 Corte Costituzionale sent. 151 del 21 aprile 2011
Corte Costituzionale sent. 151 del 21 aprile 2011
Oggetto: Ambiente - Caccia  - Norme della Provincia di Bolzano - Specie animali integralmente  protette - Utilizzo di nozioni non coincidenti con quelle utilizzate  dalle norme statali di settore sulla protezione della fauna selvatica  omeoterma e per il prelievo venatorio e sulla conservazione degli  habitat naturali e seminaturali, nonché della flora e della fauna  selvatiche; Specie vegetali parzialmente protette - Utilizzo di nozioni non  coincidenti con quelle utilizzate dalle norme statali di settore sulla  protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio e  sulla conservazione degli habitat naturali e seminaturali, nonché della  flora e della fauna selvatiche - Possibilità di raccolta senza  limitazioni dei funghi e di specie vegetali parzialmente protette -  Contrasto con la normativa statale che prevede limiti e condizioni -  Concessione, da parte del responsabile della Ripartizione provinciale  Natura e Paesaggio, di deroghe alla cattura di talune specie per le  quali è invece necessaria l'autorizzazione del Ministero dell'ambiente -  Previsto invio della relazione informativa alle Autorità competenti  senza obbligo della documentazione a corredo prevista dalle norme  comunitarie - Misure compensative necessarie per garantire la coerenza  globale della rete ecologica europea Natura 2000 - Comunicazione alla DG  Ambiente della Commissione Europea direttamente ad opera dell'Autorità  provinciale anziché tramite il Ministero dell'Ambiente - Abbattimento di  determinate specie nelle oasi di protezione per particolari motivi -  Previsione che l'assessore provinciale alla caccia si avvalga dei pareri  dell'Osservatorio faunistico e della Ripartizione provinciale Natura e  Paesaggi - Contrasto con la normativa nazionale che prevede il parere  dell'Istituto Nazionale della Fauna Selvatica, ora ISPRA.
 Dispositivo: illegittimità costituzionale 
 SENTENZA N. 151 ANNO 2011 REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE COSTITUZIONALE composta dai signori:  Presidente: Paolo MADDALENA; Giudici : Alfio FINOCCHIARO, Alfonso  QUARANTA, Franco GALLO, Luigi MAZZELLA, Gaetano SILVESTRI, Sabino  CASSESE, Giuseppe TESAURO, Paolo Maria NAPOLITANO, Giuseppe FRIGO,  Alessandro CRISCUOLO, Paolo GROSSI, Giorgio LATTANZI, ha pronunciato la seguente SENTENZA nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt.  4, 8, comma 4, 11, commi 1 e 2, 22, comma 6, e 33, comma 3, della legge  della Provincia autonoma di Bolzano 12 maggio 2010, n. 6 (Legge di  tutela della natura e altre disposizioni), promosso dal Presidente del  Consiglio dei ministri con ricorso spedito per la notifica il 26 luglio  2010, depositato in cancelleria il 5 agosto 2010 ed iscritto al n. 90  del registro ricorsi 2010. Visto l’atto di costituzione della Provincia autonoma di Bolzano; udito nell’udienza pubblica del 5 aprile 2011 il Giudice relatore Gaetano Silvestri; uditi l’avvocato dello Stato Vittorio Russo per il  Presidente del Consiglio dei ministri e gli avvocati Giuseppe Franco  Ferrari e Roland Riz per la Provincia autonoma di Bolzano. Ritenuto in fatto 1. – Il Presidente del Consiglio dei ministri,  rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha  promosso, con ricorso spedito per la notifica il 26 luglio 2010 e  depositato il successivo 5 agosto, questioni di legittimità  costituzionale degli artt. 4, 8, comma 4, 11, commi 1 e 2, 22, comma 6, e  33, comma 3, della legge della Provincia di Bolzano 12 maggio 2010, n. 6  (Legge di tutela della natura e altre disposizioni), per violazione  degli artt. 117, primo comma, secondo comma, lettera s), terzo e quinto  comma, della Costituzione, nonché dell’art. 8 del d.P.R. 31 agosto 1972,  n. 670 (Approvazione del testo unico delle leggi costituzionali  concernenti lo statuto speciale per il Trentino-Alto Adige). Preliminarmente, dopo aver rilevato che la legge  provinciale impugnata contiene disposizioni a tutela degli animali  selvatici, delle piante a diffusione spontanea, dei loro habitat, nonché  dei fossili e dei minerali, la difesa dello Stato evidenzia che gli  ambiti di potestà legislativa primaria della Provincia autonoma di  Bolzano riguardano la caccia e i parchi per la protezione della flora e  della fauna, previsti dall’art. 8, primo comma, numeri 15) e 16), del  d.P.R. n. 670 del 1972. Diversamente, «la potestà di disciplinare  l’ambiente nella sua interezza è stata affidata in via esclusiva allo  Stato» dall’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., nel quale sono  affiancate le nozioni di ambiente e di ecosistema, come ampiamente  confermato dalla giurisprudenza costituzionale (è richiamata la sentenza  n. 378 del 2007). Spetterebbe pertanto allo Stato disciplinare  l’ambiente, inteso quale entità organica, dettando norme di tutela che  hanno ad oggetto «il tutto e le singole componenti considerate come  parti del tutto». Il ricorrente prosegue sottolineando che la disciplina  unitaria e complessiva del bene ambiente inerisce ad un interesse  pubblico di valore costituzionale primario ed assoluto (sono richiamate  le sentenze n. 210 del 1987 e n. 151 del 1986 della Corte  costituzionale), e deve garantire un elevato livello di tutela, secondo  le prescrizioni del diritto comunitario. Da ciò discenderebbe che tale  disciplina unitaria non possa essere derogata da altre normative di  settore, e che la stessa prevalga sulle discipline dettate dalle Regioni  e dalle Province autonome, «in materie di propria competenza, ed in  riferimento ad altri interessi», costituendo un limite all’esercizio  della potestà legislativa dei predetti enti territoriali (è richiamata  la sentenza n. 380 del 2007 della Corte costituzionale). In particolare, l’esercizio dell’attività venatoria  sarebbe ricompreso nella nozione di ambiente e di ecosistema, dal  momento che tale attività incide sulla tutela della fauna e,  conseguentemente, sull’equilibrio dell’ecosistema. Ne deriva che la  Provincia autonoma di Bolzano, anche quando esercita la propria  competenza in materia di caccia, sarebbe tenuta a rispettare gli  standard minimi ed uniformi di tutela fissati dal legislatore nazionale,  nonché la normativa comunitaria di riferimento (direttive 79/409/CEE  del 2 aprile 1979 e 92/43/CEE del 21 maggio 1992, cd. direttiva  Habitat), secondo il disposto dell’art. 8, primo comma, dello statuto  speciale, e dell’art. 117, primo comma, Cost. Prima di descrivere le singole censure, la difesa  statale evidenzia come, più in generale, alcune disposizioni della legge  provinciale n. 6 del 2010, oggetto di impugnazione, non rispettino i  vincoli posti dall’art. 8, primo comma, dello statuto speciale,  risultando invasive della competenza statale esclusiva in materia di  ambiente, poiché non recano i necessari richiami alla normativa statale  di settore, e precisamente alla legge 11 febbraio 1992, n. 157 (Norme  per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo  venatorio) e al d.P.R. 8 settembre 1997, n. 357 (Regolamento recante  attuazione della direttiva 92/43/CEE relativa alla conservazione degli  habitat naturali e seminaturali, nonché della flora e della fauna  selvatiche). Tale mancato richiamo renderebbe «non univocamente  interpretabili le disposizioni riguardanti le azioni, le specie e i  luoghi oggetto delle previste attività di tutela e conservazione» della  flora e della fauna selvatiche. 1.1. – Nel merito delle singole censure, il ricorrente  ritiene che l’art. 4 della legge prov. Bolzano n. 6 del 2010, rubricato  «Specie animali integralmente tutelate», contrasti con l’art. 117,  secondo comma, lettera s), Cost., nonché con gli artt. 8, primo comma,  del d.P.R. n. 670 del 1972 e 117, primo comma, Cost. Infatti, nella  norma in questione, sarebbero utilizzate «nozioni non coincidenti» con  quelle di «specie protette e particolarmente protette» presenti nella  normativa statale e comunitaria (direttiva 92/43/CEE, direttiva  79/409/CEE e relative norme statali di recepimento). 1.2. – L’art. 8, comma 4, della legge prov. Bolzano n. 6  del 2010 si porrebbe in contrasto, invece, con l’art. 117, secondo  comma, lettera s), Cost. e con il richiamato parametro statutario. La disposizione impugnata prevede che «I proprietari,  gli affittuari, gli usufruttuari e le persone con loro conviventi  possono raccogliere senza limitazioni, sui fondi di cui dispongono, i  funghi e le specie vegetali parzialmente protette», senza tenere conto  del limite quantitativo giornaliero di tre chilogrammi di funghi a  persona, stabilito dall’art. 4, comma 1, della legge 23 agosto 1993, n.  352 (Norme quadro in materia di raccolta e commercializzazione dei  funghi epigei freschi e conservati), da ritenersi standard minimo,  inderogabile, a protezione dell’ecosistema. 1.3. – È oggetto di censura anche l’art. 11, commi 1 e  2, della legge prov. Bolzano n. 6 del 2010, che interviene in materia di  «deroghe» ai divieti fissati dalle disposizioni di cui agli artt. 4,  comma 5, e 7, comma 4, della medesima legge provinciale, a tutela  rispettivamente delle specie animali e vegetali «integralmente  protette». In particolare, la disposizione contenuta nel comma 1  attribuisce il potere di concessione delle suddette deroghe al dirigente  della Ripartizione provinciale Natura e paesaggio e quella contenuta  nel comma 2 prevede che il predetto dirigente trasmetta «ogni due anni  alle autorità nazionali competenti una relazione riguardante le deroghe  concesse ai sensi del comma 1». Secondo la difesa dello Stato la previsione contenuta  nel comma 1 si porrebbe in contrasto con gli artt. 117, secondo comma,  lettera s), Cost., 8 del d.P.R. n. 670 del 1972 e 117, primo comma,  Cost., in quanto difforme da quella contenuta nell’art. 11, comma 1, del  d.P.R. n. 357 del 1997, secondo cui le deroghe ai divieti che tutelano  le specie, animali e vegetali, riferibili all’allegato IV alla direttiva  92/43/CEE, ovvero all’allegato D al citato regolamento, devono essere  in ogni caso autorizzate dal Ministero dell’ambiente. L’Avvocatura generale evidenzia come la gestione delle  deroghe al prelievo debba avvenire a livello statale in ragione della  diffusione frammentata, sul territorio nazionale, della popolazione di  alcune tra le specie elencate negli allegati sopra richiamati, sicché  soltanto la valutazione della situazione complessiva al momento della  autorizzazione delle deroghe garantisce la conservazione di tali specie. Quanto alla previsione contenuta nel comma 2, il  ricorrente ne rileva il contrasto con gli stessi parametri sopra  richiamati, nella parte in cui non prevede che la relazione periodica  riguardante le deroghe concesse in ambito provinciale sia corredata dei  dati richiesti dall’art. 16 della direttiva 92/43/CEE in riferimento  alla relazione biennale, avente ad oggetto le deroghe concesse, che gli  Stati membri sono tenuti ad inviare alla Commissione europea. 1.4. – è impugnato altresì l’art. 22, comma 6, della  legge prov. Bolzano n. 6 del 2010, riguardante la disciplina della  valutazione d’incidenza dei piani e progetti che possano avere ricadute  sul sito Natura 2000, istituito dall’art. 4 della direttiva 92/43/CEE.  La previsione denunciata prevede specificamente che, in caso di  approvazione di piani o progetti che abbiano incidenza sul sito indicato  o sulla sua conservazione, i provvedimenti di approvazione dispongano  «le misure compensative necessarie per garantire la coerenza globale  della rete ecologica europea Natura 2000, di cui è data comunicazione  alla Commissione europea». L’Avvocatura generale evidenzia come, ai sensi degli  artt. 5, comma 9, 10 e 13 del d.P.R. n. 357 del 1997, richiamati quali  norme interposte, le comunicazioni alla predetta Commissione debbano  avvenire per il tramite del Ministero dell’ambiente. In tal senso si  sarebbe espressa anche la Corte costituzionale, con la sentenza n. 378  del 2007, sulla base del principio sancito dall’art. 117, terzo e quinto  comma, Cost., che attribuisce allo Stato la competenza a disciplinare i  rapporti delle Regioni e delle Province autonome con l’Unione europea, e  a definire le procedure di partecipazione dei predetti enti  territoriali, negli ambiti di propria competenza, alla formazione degli  atti comunitari. Con riferimento specifico alle materie dell’ambiente e  del patrimonio culturale, l’art. 5 della legge 5 giugno 2003, n. 131  (Disposizioni per l’adeguamento dell’ordinamento della Repubblica alla  legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3) dispone che spetta allo  Stato, e per esso al Ministro dell’ambiente, il potere di rappresentare  il Paese davanti agli organismi europei, e quindi il potere di  interloquire con la Commissione europea. La disposizione provinciale  contrasterebbe comunque con l’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost.  e con il parametro statutario evocato, vertendosi nell’ambito materiale  della tutela dell’ambiente, di competenza esclusiva statale. 1.5. – Il ricorrente impugna, infine, l’art. 33, comma  3, della legge prov. Bolzano n. 6 del 2010, per violazione degli artt.  117, primo e secondo comma, lettera s), Cost., e 8 del d.P.R. n. 670 del  1972. La disposizione provinciale interviene sul testo della  legge della Provincia autonoma di Bolzano 17 luglio 1987, n. 14 (Norme  per la protezione della selvaggina e per l’esercizio della caccia),  introducendo all’art. 9 il comma 1-bis, che delinea il procedimento per  l’abbattimento, all’interno delle oasi di protezione, «di determinate  specie di cui all’art. 4, commi 1 e 2, per motivi biologici e  igienico-sanitari e per prevenire danni alle colture agricole-forestali  ed al patrimonio ittico». In particolare, è stabilito che l’Assessore  provinciale competente in materia di caccia possa autorizzare  l’abbattimento «sentiti i pareri dell’Osservatorio Faunistico e della  Ripartizione provinciale Natura e paesaggio». Tale ultima previsione, in assunto del ricorrente, si  porrebbe in contrasto con la normativa statale, contenuta negli artt. 7 e  19 della legge n. 157 del 1992, che richiede, per l’abbattimento delle  specie elencate negli allegati II, III e IV della direttiva 92/43/CEE,  il parere dell’Istituto Nazionale della Fauna Selvatica. L’Avvocatura generale osserva come, anche di recente, la  giurisprudenza costituzionale abbia ribadito le prerogative statali  sulla individuazione delle specie animali oggetto di caccia, anche  quando lo statuto regionale o provinciale annoveri la caccia tra le  materie di competenza legislativa primaria. È richiamata in particolare la sentenza n. 233 del 2010,  nella quale la Corte avrebbe evidenziato la peculiare incidenza della  normativa regionale in un ambito attribuito alla competenza esclusiva  del legislatore statale, quello della tutela dell’ambiente, come  confermato anche dall’art. 7 della direttiva 79/409/CEE, secondo cui «in  funzione del loro livello di popolazione, della distribuzione  geografica e del tasso di riproduzione in tutta la Comunità le specie  elencate nell’allegato II possono essere oggetto di caccia nel quadro  della legislazione nazionale». In attuazione della normativa comunitaria, l’art. 18  della legge n. 157 del 1992 elenca le specie cacciabili, i periodi in  cui è consentita la caccia ed i procedimenti attraverso cui possono  essere modificate le suddette previsioni, fissando in tal modo standard  minimi e uniformi di tutela della fauna sull’intero territorio  nazionale. Si legge, infatti, nella sentenza n. 233 del 2010, che si  tratta «di norma fondamentale di riforma economico-sociale, in quanto  indica il nucleo minimo di salvaguardia della fauna selvatica il cui  rispetto deve essere assicurato sull’intero territorio nazionale e,  quindi, anche nell’ambito delle Regioni a statuto speciale (sentenze n.  227 del 2003 e n. 536 del 2002)». 1.6. – La difesa dello Stato richiama ulteriori pronunce  a conferma dell’orientamento ormai consolidato della Corte  costituzionale, secondo cui la previsione contenuta nell’art. 117,  secondo comma, lettera s), Cost. «esprime una esigenza unitaria per ciò  che concerne la tutela dell’ambiente e dell’ecosistema, ponendo un  limite agli interventi a livello regionale che possono pregiudicare gli  equilibri ambientali» (sentenza numero 226 del 2003). Il resistente  sottolinea inoltre come la tutela dell’ambiente, più che una materia in  senso stretto, rappresenti un compito nell’esercizio del quale lo Stato  introduce standard di protezione uniformi validi in tutte le Regioni e  non derogabili da queste (sono citate le sentenze n. 222 del 2003 e n.  407 del 2002). Dalle pronunce richiamate, nonché dai lavori preparatori  relativi alla riforma dell’art. 117 Cost., emergerebbe con chiarezza  l’intento del legislatore di revisione costituzionale di riservare allo  Stato il potere di fissare standard di tutela uniformi sull’intero  territorio nazionale. La Corte costituzionale avrebbe poi ribadito che  la materia «tutela dell’ambiente» presenta un contenuto allo stesso  tempo oggettivo, in quanto riferito appunto al bene ambiente, e  finalistico, perché tende alla migliore conservazione del bene stesso  (sono richiamate le sentenze n. 225, n. 220, n. 30, n. 12, n. 10 del  2009, n. 104 del 2008, n. 378 e 367 del 2007). In ragione di ciò, prosegue la difesa statale, la Corte  ha affermato che la tutela e la conservazione dell’ambiente sono  affidate allo Stato, mediante la fissazione di livelli «adeguati e non  riducibili di tutela» (sentenza n. 61 del 2009), con la conseguenza che  le Regioni possono esercitare le loro competenze per regolare la  «fruizione dell’ambiente» nel rispetto dei livelli di tutela fissati  dalla disciplina statale (sentenze n. 214 e n. 62 del 2008). Sarebbe  questo il senso dell’affermazione secondo cui la competenza statale,  quando è espressione della tutela dell’ambiente, costituisce un limite  all’esercizio delle competenze regionali, le quali non possono derogare i  livelli minimi di protezione dettati dallo Stato (sono richiamate le  sentenze n. 164 del 2009, n. 437 e n. 180 del 2008). La difesa dello Stato conclude con una osservazione di  carattere generale, secondo cui la normativa provinciale oggetto di  impugnazione sarebbe illegittima sotto un duplice profilo: per un verso,  l’utilizzo di nozioni non coincidenti con quelle proprie della  normativa statale e comunitaria, unitamente alla previsione di deroghe  ai limiti imposti dalla normativa statale, producono l’effetto di  vanificare la tutela uniforme minima dell’ambiente; per altro verso,  l’attribuzione ad autorità provinciali di competenze che la normativa  statale riserva a propri organi «rende impossibile garantire quella  uniformità di tutela che sarebbe altrimenti raggiungibile». 2. – La Provincia di Bolzano, in persona del vice  Presidente sostituto pro tempore, si è costituita in giudizio chiedendo  che sia dichiarata l’inammissibilità o, comunque, l’infondatezza delle  questioni promosse. 2.1. – Preliminarmente, la resistente eccepisce  l’inammissibilità della questione avente ad oggetto l’art. 4 della legge  prov. Bolzano n. 6 del 2010, per la genericità della censura, limitata  al rilievo della non coincidenza tra la nozione di «specie integralmente  protette», utilizzata nella disposizione impugnata, con quelle di  «specie protette e particolarmente protette», contenute nella normativa  statale e comunitaria. In particolare, ad avviso della difesa provinciale, il  ricorrente non avrebbe chiarito in quale modo l’asserita lesione dei  parametri costituzionali evocati, in rapporto alla normativa statale e  comunitaria, ridondi in una lesione delle competenze legislative statali  in tema di “ambiente”. 2.2. – Nel merito, il ricorso nella sua interezza  sarebbe basato sull’erroneo presupposto della riconducibilità della  disciplina dettata dalla legge provinciale impugnata alla materia  dell’ambiente, prevista dall’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost. In realtà, osserva la difesa della resistente, l’art. 8,  primo comma, numeri 15) e 16), dello statuto speciale attribuisce alle  Province autonome la competenza a legiferare nelle materie «caccia e  pesca» e «alpicoltura e parchi per la protezione della flora e della  fauna», là dove il valore prescrittivo del catalogo di materie contenuto  nello statuto è rimasto fermo, pur dopo la modifica del Titolo V della  Parte seconda della Costituzione, salve le modifiche in melius secondo  il disposto dell’art. 10 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3  (Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione).  Pertanto, la competenza legislativa esclusiva dello Stato, come prevista  nel secondo comma dell’art. 117 Cost., assumerebbe nei confronti della  Provincia autonoma di Bolzano carattere necessariamente residuale. Ciò posto sul piano generale, la difesa provinciale nega  che la competenza esclusiva dello Stato in materia di ambiente possa  avere, nei suoi confronti, «quell’effetto “trasversale” di limitazione  delle attribuzioni legislative periferiche caratterizzante il riparto di  competenze delineato dal Titolo V Cost., nella parte non applicabile  alla resistente in quanto meno favorevole, alla luce dell’art. 10, l.  cost. n. 3/2001». Tale ultima disposizione non consentirebbe allo Stato  di opporre alle Regioni a statuto speciale ed alle Province autonome le  «più estese competenze legislative in materia di tutela dell’ambiente e  dell’ecosistema», e gli enti territoriali richiamati conserverebbero,  nelle stesse materie, le competenze ad essi pacificamente riconosciute  prima della revisione costituzionale del 2001, unitamente a tutte le  altre attribuzioni statutarie. La Provincia autonoma richiama la giurisprudenza  costituzionale per evidenziare come, a differenza di quanto sostenuto  dal ricorrente, non sia affatto affermata la compressione delle potestà  legislative provinciali a favore della competenza statale in materia di  ambiente prevista dall’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost. Nella sentenza n. 378 del 2007, già ampiamente citata  dal ricorrente, la Corte costituzionale ha precisato che «occorre tenere  conto degli statuti speciali di autonomia», i quali «nell’attribuire  competenze legislative a detti enti, distinguono le materie oggetto di  una potestà legislativa primaria, dalle materie oggetto di una potestà  legislativa concorrente», e che, qualora si verta in materia di  competenza provinciale primaria, «la Provincia autonoma è tenuta ad  osservare soltanto i principi generali dell’ordinamento e le norme  fondamentali di riforma economica e sociale». Priva di pregio sarebbe la tesi della difesa statale,  secondo cui talune disposizioni della legge provinciale avrebbero  disatteso gli standard minimi ed uniformi di tutela dell’ambiente,  fissati dalla legislazione nazionale. Né ancora potrebbe ritenersi che  la Provincia autonoma sia vincolata, nelle materie di legislazione  primaria, alle disposizioni statali di attuazione delle direttive  comunitarie, spettando alla stessa Provincia, ai sensi del d.P.R. 19  novembre 1987, n. 526 (Estensione alla regione Trentino-Alto Adige ed  alle province autonome di Trento e Bolzano delle disposizioni del  decreto del Presidente della Repubblica 24 luglio 1977, n. 616),  l’attuazione delle direttive comunitarie nelle materie di propria  competenza, con possibile intervento statale solo in caso di inerzia  (sono richiamate le sentenze n. 378 del 2007 e n. 425 del 1999 della  Corte costituzionale). Con la legge provinciale oggetto di impugnazione,  invero, la Provincia autonoma di Bolzano ha dato attuazione alle  «prescrizioni di matrice comunitaria di cui alle direttive richiamate,  esercitando una propria attribuzione costituzionale», ovvero un  potere-dovere, ai sensi dell’art. 117, quinto comma, Cost. Tale  disciplina è dunque destinata a prevalere su quella statale «secondo un  modello di rapporti tra Stato e Regioni o Province autonome nella fase  discendente dell’integrazione comunitaria, ormai pacifico» nella  richiamata giurisprudenza costituzionale. Prima di procedere all’esame del merito delle singole  censure prospettate nel ricorso statale, la difesa della resistente  evidenzia come, in ogni caso, le disposizioni della legge provinciale,  anche là dove dettano una disciplina parzialmente diversa da quella  statale, rispondano al «principio di ragionevolezza in rapporto alle  concrete esigenze di tutela ed agli obiettivi attesi dalla stessa  legislazione statale di attuazione […] e dalla disciplina comunitaria». 2.3. – Con riferimento all’impugnato art. 4 della legge  prov. n. 6 del 2010, la resistente, dopo aver ribadito l’eccezione di  inammissibilità della relativa questione, osserva come la dizione  «specie integralmente protette», contenuta nella disposizione  provinciale, garantisca una tutela ancora più pregnante alle specie  animali indicate dall’allegato A alla medesima legge provinciale, nonché  dalla direttiva 92/43/CEE e dalla direttiva 30 novembre 2009, n.  2009/147/CE, del Consiglio (che ha abrogato la direttiva 79/409/CEE  richiamata nel ricorso statale). 2.4. – Analoghe considerazioni sono svolte in  riferimento all’impugnato art. 8, comma 4, della legge prov. n. 6 del  2010. La disciplina ivi dettata risulterebbe più stringente di quella  statale, in quanto consente la raccolta dei funghi ai soli proprietari,  affittuari, usufruttuari (e persone conviventi) dei fondi interessati,  mentre la legge n. 352 del 1993, che pone un limite quantitativo pro  capite senza circoscrivere il novero dei soggetti legittimati alla  raccolta, appresterebbe una tutela debole. 2.5. – Quanto alla disposizione contenuta nell’impugnato  art. 11 della legge prov. n. 6 del 2010, che assegna al dirigente della  Ripartizione provinciale Natura e paesaggio la competenza a concedere  deroghe ai divieti previsti dagli artt. 4, comma 5, e 7, comma 4 della  stessa legge, la resistente richiama l’art. 1 del d.P.R. 22 marzo 1974,  n. 279 (Norme di attuazione dello statuto speciale per la regione  Trentino-Alto Adige in materia di minime proprietà colturali, caccia e  pesca, agricoltura e foreste), il quale dispone che «le attribuzioni  dell’amministrazione dello Stato in materia di […] caccia e pesca,  alpicoltura e parchi per la protezione della flora e della fauna, […]  esercitate sia direttamente dagli organi centrali e periferici dello  Stato sia per il tramite di enti ed istituti pubblici a carattere  nazionale o sovra provinciale e quelle già spettanti alla regione  Trentino Alto-Adige nelle stesse materie, sono esercitate, per il  rispettivo territorio, dalle province di Trento e di Bolzano con  l’osservanza delle norme del presente decreto». È richiamato inoltre l’art. 16 dello statuto speciale,  il quale dispone che «nelle materie e nei limiti entro cui la regione o  la provincia può emanare norme legislative, le relative potestà  amministrative, che in base all’ordinamento preesistente erano  attribuite allo Stato, sono esercitate rispettivamente dalla regione e  dalla provincia». In definitiva, secondo la resistente, ogni competenza  amministrativa inerente le materie della caccia e della protezione della  flora e della fauna appartiene alla Provincia autonoma, senza che la  censurata sostituzione degli organismi statali con altrettanti organi  provinciali incida in alcun modo sull’effettività della tutela delle  specie, animali e vegetali, protette dalla direttiva 92/43/CEE. I limiti  di esercizio del potere di deroga, come individuati dalla disposizione  impugnata, sono gli stessi indicati dal d.P.R. n. 357 del 1997, ed  inoltre, al fine di garantire il monitoraggio della gestione delle  deroghe, la stessa disposizione impone agli organi provinciali di  comunicare all’autorità nazionale, con cadenza biennale, una relazione  concernente le deroghe. In questo modo lo Stato è posto in grado di dare  esecuzione agli obblighi di comunicazione biennale discendenti  dall’art. 16 della direttiva 92/43/CEE. Inconferente sarebbe poi il richiamo, contenuto nel  ricorso statale, al disposto dell’art. 8, comma 4, del d.P.R. n. 357 del  1997, giacché quest’ultima previsione riguarda il sistema di  monitoraggio sul regime di tutela ordinaria delle specie di cui alla  direttiva 92/43/CEE, e non anche l’obbligo di comunicazione delle  “deroghe”, al quale invece fa riferimento l’art. 16 della citata  direttiva. 2.6. – La difesa provinciale ritiene priva di fondamento  anche la questione promossa in riferimento all’art. 22, comma 6, della  legge prov. n. 6 del 2010, che prevede la comunicazione diretta, dagli  organi provinciali alla Commissione europea, delle misure compensative  necessarie a garantire la coerenza globale della rete ecologica Natura  2000, diversamente da quanto previsto dalla normativa statale contenuta  nel d.P.R. n. 357 del 1997. È ribadita la “cedevolezza” delle prescrizioni contenute  nel citato regolamento – che avrebbe perso efficacia per effetto  dell’entrata in vigore della legge provinciale –, con ulteriore richiamo  della sentenza n. 425 del 1999 della Corte costituzionale. In ogni  caso, la norma provinciale impugnata non contrasterebbe con il disposto  dell’art. 5 della legge n. 131 del 2003, che disciplina le modalità di  partecipazione delle Province autonome, nelle materie di propria  competenza, alla formazione degli atti comunitari: quest’ultima  disposizione non escluderebbe in alcun modo che la Provincia autonoma di  Bolzano possa provvedere direttamente a comunicare dati rilevanti alla  Commissione europea. 2.7. – Con riferimento infine alla censura che investe  l’art. 33, comma 3, della legge prov. n. 6 del 2010, che ha introdotto  il comma 1-bis all’art. 9 della legge prov. Bolzano n. 14 del 1987, la  difesa provinciale osserva come tale previsione e l’art. 18 della legge  n. 157 del 1992, in combinato disposto con l’art. 7 della medesima  legge, operino su piani differenti. La disposizione provinciale impugnata, infatti, avrebbe  lo scopo di consentire l’abbattimento, per motivi biologici e  igienico-sanitari, ovvero per prevenire danni alle colture  agricole-forestali e al patrimonio ittico, delle specie animali indicate  all’art. 4, commi 1 e 2, della legge provinciale n. 14 del 1987, là  dove le disposizioni statali richiamate disciplinano il calendario  venatorio. Né potrebbe ritenersi, a parere della stessa difesa, che la  legge n. 157 del 1992 costituisca, in rapporto all’art. 33 della legge  provinciale n. 6 del 2010, norma fondamentale di riforma  economico-sociale, finalizzata ad individuare il nucleo minimo di tutela  della fauna selvatica. La censura formulata dallo Stato avrebbe avuto ragion  d’essere qualora fosse stato attribuito all’assessore provinciale  competente in materia di caccia il compito di ridefinire il calendario  venatorio, giacché in tal caso l’individuazione delle specie cacciabili e  dei periodi di attività venatoria avrebbero intaccato il richiamato  nucleo minimo di tutela, nei termini stigmatizzati dalla Corte  costituzionale nella sentenza n. 233 del 2010, richiamata dal  ricorrente. Ma così non sarebbe, dal momento che la ratio dell’art. 33,  comma 3, della legge prov. n. 6 del 2010 risiede nella necessità di  consentire l’abbattimento di capi di specie protette quando ricorrano le  peculiari e contingenti situazioni sopra enucleate. In sintesi, mentre  la legge n. 157 del 1992 disciplina l’attività venatoria nel suo  svolgersi ordinario, il campo di applicazione della disposizione  impugnata è affatto particolare. La difesa provinciale evidenzia inoltre come nessuna  delle specie di mammiferi cacciabili ai sensi dell’art. 4, comma 1,  della legge provinciale n. 14 del 1987 sia compresa negli allegati II e  IV alla direttiva 92/43/CEE, mentre l’allegato III alla stessa  direttiva, pure richiamato dal ricorrente, ha ad oggetto i criteri di  selezione dei siti di potenziale importanza comunitaria e designati  quali zone speciali di conservazione, e perciò presenta un ambito  applicativo non sovrapponibile a quello della disposizione provinciale  censurata. Sotto diverso profilo l’allegato II alla citata  direttiva 92/43/CEE prevede una particolare tutela dell’habitat di  specie animali in pericolo, vulnerabili, rare o endemiche, allo scopo di  scongiurarne la rarefazione o l’estinzione. Diversamente, l’art. 4,  comma 2, della legge provinciale n. 14 del 1987 si limita a prevedere la  possibilità di un intervento mirato di controllo, per evitare che  l’aumento eccessivo di alcune specie possa pregiudicare l’equilibrio  ecologico o l’agricoltura, la silvicoltura, la piscicoltura, la  consistenza della fauna selvatica o la sicurezza pubblica, ovvero per  motivi di sanità. Infine, osserva la difesa della Provincia di Bolzano,  l’allegato IV alla direttiva 92/43/CEE estende il novero delle specie di  cui all’allegato II e introduce, a peculiare tutela delle stesse,  accanto al divieto di uccisione e cattura, anche il divieto di disturbo,  nonché di deterioramento o distruzione delle aree di ripopolamento e  riposo. Ciò dimostrerebbe che le specie animali destinatarie di tale  rafforzata tutela sono quelle rare ed in pericolo, prive come tali di  impatto sulla produzione agricola, forestale o ittica, e perciò non  assoggettabili al regime dell’abbattimento selettivo previsto dalla  disposizione provinciale impugnata. 3. – In data 14 marzo 2011 la Provincia autonoma di  Bolzano ha depositato memoria integrativa con la quale insiste nelle  conclusioni già rassegnate nell’atto di costituzione in giudizio,  argomentando ulteriormente in riferimento alla inammissibilità ed alla  non fondatezza delle questioni promosse con il ricorso statale. 3.1. – La difesa provinciale ribadisce l’eccezione di  inammissibilità, per genericità ed indeterminatezza, delle censure  relative all’art. 4 della legge provinciale n. 6 del 2010, ed evidenzia  come, secondo la giurisprudenza costituzionale consolidata, nei ricorsi  in via principale il ricorrente debba illustrare adeguatamente le  ragioni per le quali le disposizioni impugnate violano i parametri  evocati, e spiegare in quale misura le violazioni ridondino sulle  proprie attribuzioni costituzionali. L’onere motivazionale si porrebbe,  in questa tipologia di giudizi, «in termini anche più pregnanti che in  quello in via incidentale», con la conseguenza che la mancata  specificazione delle argomentazioni è causa di inammissibilità della  questione. 3.2. – Nel merito, in ogni caso, tutte le censure  prospettate dallo Stato sarebbero infondate posto che, nelle materie di  competenza legislativa primaria della «caccia e pesca» e della  «alpicoltura e parchi per la protezione della flora e della fauna», la  Provincia autonoma non sarebbe sottoposta ai limiti fissati dall’art.  117, secondo comma, lettera s), Cost. e quindi al rispetto delle norme  statali che fissano “standard minimi ed uniformi di tutela” in materia  di ambiente. Invero, le disposizioni introdotte dalla legge  costituzionale n. 3 del 2001 sono applicabili, alla Provincia autonoma  resistente, solo in quanto prevedano forme più ampie di autonomia di  quelle già riconosciute, con la conseguenza che lo Stato non potrebbe  invocare le competenze derivanti dal citato art. 117, secondo comma,  lettera s), Cost. e la normativa statale di riferimento (legge n. 157  del 1992 e d.P.R. n. 357 del 1997) come “limiti” delle competenze  legislative della Provincia autonoma di Bolzano. Secondo la difesa provinciale, inoltre, lo Stato non  potrebbe pretendere il rispetto della normativa richiamata in quanto  attuativa della disciplina comunitaria, dal momento che, ai sensi del  d.P.R. n. 526 del 1987, spetta alla Provincia autonoma di Bolzano, nelle  materie di propria competenza, dare attuazione alle direttive  comunitarie (sono richiamate le sentenze n. 425 del 1999 e n. 378 del  2007). Infine, anche a voler seguire la tesi del ricorrente  sull’applicabilità degli standard minimi ed uniformi di tutela fissati  dalla legislazione statale, le doglianze prospettate risulterebbero  infondate, in quanto le disposizioni provinciali impugnate, anche là  dove dettano una disciplina difforme da quella statale, risulterebbero  comunque rispettose degli obiettivi di tutela minima previsti dalle  direttive e dalla normativa statale di attuazione. In questo senso, la disposizione contenuta nell’art. 4,  che prevede la tutela “integrale” delle specie animali di cui alla  direttiva 92/43/CEE ed alla direttiva 2009/147/CE (che ha sostituito la  direttiva 79/409/CEE) – là dove, invece, la direttiva 92/43/CEE e il  d.P.R. n. 357 del 1997 utilizzano la locuzione “protezione rigorosa” –,  sembra essere in linea con la direttiva Habitat. Allo stesso modo, la disposizione contenuta  nell’impugnato art. 8, comma 4, della legge provinciale, che distingue, a  fini della limitazione nella raccolta dei funghi, i proprietari,  affittuari, usufruttuari dei fondi (e le persone con essi conviventi),  dal resto della popolazione, sarebbe rispettoso dei precetti contenuti  negli artt. 42 e 44 Cost. Ancora, sarebbero destituite di fondamento le censure  riguardanti la sostituzione degli organi statali con quelli provinciali  nella concessione delle deroghe alla disciplina riservata alle specie  animali e vegetali di cui alla direttiva 92/43/CEE, posto che nelle  materie della «caccia e pesca» e della «protezione della flora e fauna»,  ai sensi dell’art. 1 del d.P.R. n. 279 del 1974, la Provincia autonoma  di Bolzano esercita, nel proprio territorio, le attribuzioni  dell’amministrazione dello Stato. Né la sostituzione censurata  inciderebbe sull’effettività della tutela, essendo i limiti di esercizio  del potere di deroga identici a quelli indicati nel d.P.R. n. 357 del  1997. Analoghe considerazioni varrebbero per l’impugnato art. 22 della  legge provinciale, che prevede la comunicazione diretta, dalla Provincia  autonoma alla Commissione europea, delle misure compensative connesse  alla coerenza globale della rete ecologica europea Natura 2000.  Trattandosi di disciplinare l’ambito materiale della caccia e pesca e  della protezione della flora e della fauna, legittimamente spetta alla  Provincia di procedere alla indicata comunicazione e le diverse  prescrizioni, contenute nel d.P.R. n. 357 del 1997, hanno perso  efficacia con l’entrata in vigore della normativa provinciale. Quanto, infine, all’impugnato art. 33, comma 3, della  legge provinciale n. 6 del 2010, la difesa provinciale ribadisce che  tale previsione ha lo scopo di consentire l’abbattimento, in deroga ai  divieti indicati nell’art. 4, comma 5, della stessa legge, e con  l’intervento dell’assessore provinciale competente in materia di caccia,  delle specie assoggettate in via ordinaria al regime di tutela  integrale disposto dal medesimo art. 4, nel caso in cui ciò sia  richiesto da peculiari e contingenti esigenze. La disposizione censurata  non inciderebbe perciò, in alcun modo, sul regime previsto dall’art. 18  della legge n. 157 del 1992, che contiene la disciplina del calendario  venatorio. Considerato in diritto 1. – Il Presidente del Consiglio dei ministri,  rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha promosso  questioni di legittimità costituzionale degli artt. 4, 8, comma 4, 11,  commi 1 e 2, 22, comma 6, e 33, comma 3, della legge della Provincia di  Bolzano 12 maggio 2010, n. 6 (Legge di tutela della natura e altre  disposizioni), per violazione degli artt. 117, primo comma, secondo  comma, lettera s), terzo e quinto comma, della Costituzione, nonché  dell’art. 8 del d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670 (Approvazione del testo  unico delle leggi costituzionali concernenti lo statuto speciale per il  Trentino-Alto Adige). 2. – Preliminarmente deve essere esaminata l’eccezione  di inammissibilità della questione riguardante l’art. 4 della legge  prov. Bolzano n. 6 del 2010, prospettata dalla difesa della resistente,  per genericità della relativa censura. Sarebbe priva di motivazione, secondo la difesa  provinciale, l’asserita incidenza sulle attribuzioni costituzionalmente  garantite dello Stato della diversità terminologica contenuta nella  disposizione impugnata – per indicare il grado di protezione di alcune  specie animali e vegetali – rispetto alle espressioni contenute nelle  norme statali e comunitarie. 2.1. – L’eccezione non è fondata. L’intero ricorso statale è basato sulla prospettata  violazione degli artt. 117, secondo comma, lettera s), Cost. e 8, primo  comma, dello statuto speciale per il Trentino-Alto Adige/Südtirol.  L’asserita totale estraneità dell’oggetto delle norme impugnate alle  materie di competenza della Provincia autonoma di Bolzano implica, se  riscontrata da questa Corte, l’irrilevanza della misura del  discostamento della normativa provinciale da quella statale, giacché né  lo Stato né le Regioni, e in questo caso le Province autonome, possono  legiferare del tutto al di fuori delle loro competenze legislative  costituzionalmente attribuite. Quanto detto sopra non esclude naturalmente che questa  Corte, nello scrutinio del merito delle questioni sollevate, possa  riconoscere, indipendentemente dall’impostazione del ricorso, la  concomitanza di potestà legislative provinciali e statali, e valutare,  in tale ipotesi, se le censure siano fondate o, al contrario, sia stata  legittimamente prevista, da parte della Provincia autonoma, la tutela di  interessi funzionalmente collegati con la materia dell’ambiente, ma  rientranti in materie di propria competenza, sempre nel rispetto degli  standard uniformi stabiliti dalle leggi statali (ex plurimis, sentenza  n. 62 del 2008). 3. – Nel merito, le questioni sono fondate. 3.1. – Il ricorrente censura l’intero art. 4 della legge  prov. n. 6 del 2010, perché in esso è utilizzata la nozione di «specie  integralmente protette», non coincidente con le nozioni utilizzate dalla  normativa statale e comunitaria di riferimento. Tale scelta linguistica  – operata da una norma riconducibile alla materia di competenza  esclusiva statale «tutela dell’ambiente», di cui all’art. 117, secondo  comma, lettera s) Cost. – renderebbe peraltro «non univocamente  interpretabili» le disposizioni a tutela delle specie animali. Per valutare la fondatezza della questione, è necessario  precisare quale sia l’ambito materiale cui inerisce la disciplina  impugnata. La Provincia autonoma di Bolzano è titolare di potestà  legislativa primaria in materia di «caccia e pesca», e «parchi per la  protezione della flora e della fauna» (art. 8, comma 8, numeri 15 e 16,  dello statuto speciale). La norma censurata non regola l’attività venatoria, né  riguarda l’istituzione o la disciplina di parchi naturali, ma mira a  tutelare la fauna in sé e per sé, con divieti, a carattere generale, che  prescindono sia da specifiche attività sia da particolari contesti  spaziali. Si tratta quindi di vere e proprie norme di protezione  ambientale, che rientrano nella materia «tutela dell’ambiente», di  competenza esclusiva statale, non compresa tra le materie specificamente  enumerate dallo statuto speciale come di competenza primaria delle  Province autonome. Poiché si versa in materia del tutto estranea alla  competenza provinciale, non v’è luogo ad esaminare il problema se la  norma impugnata abbia previsto, o non, una tutela uguale o più intensa  di quella fissata dalla legge statale. Infatti, non è consentito alle  Regioni ed alle Province autonome di legiferare, puramente e  semplicemente, in campi riservati dalla Costituzione alla competenza  esclusiva dello Stato, ma soltanto di elevare i livelli di tutela degli  interessi costituzionalmente protetti, purché nell’esercizio di proprie  competenze legislative, quando queste ultime siano connesse a quelle di  cui all’art. 117, secondo comma, Cost. (ex plurimis, sentenza n. 378 del  2007). Tale ipotesi non ricorre nella fattispecie, giacché la norma  impugnata non regola l’abbattimento delle specie animali nell’esercizio  dell’attività venatoria, ma pone divieti – riguardanti, in generale, la  cattura e l’uccisione di animali o la distruzione di uova e luoghi di  nidificazione e di riproduzione – rivolti a tutti indistintamente, quali  che siano le attività svolte. Né può dirsi che i divieti in parola  siano limitati ai territori compresi nell’ambito di parchi naturali,  giacché tale restrizione non risulta in alcun modo dalla stessa norma  impugnata. In definitiva, l’art. 4 della legge prov. Bolzano n. 6  del 2010, nel disciplinare in generale la tutela di specie animali,  indipendentemente dall’esercizio della caccia e dalla disciplina dei  parchi naturali, invade la sfera di competenza legislativa esclusiva  dello Stato in materia di tutela dell’ambiente e dell’ecosistema, di cui  all’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., che trova applicazione  anche nei confronti delle Regioni a statuto speciale e delle Province  autonome, in quanto tale materia non è compresa tra le previsioni  statutarie riguardanti le competenze legislative, primarie o  concorrenti, regionali o provinciali. Non si pone pertanto il problema se la norma  costituzionale citata preveda, per le Regioni e le Province autonome,  «forme di autonomia più ampie rispetto a quelle già attribuite» (art. 10  della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 – Modifiche al titolo V  della parte seconda della Costituzione), proprio perché, come chiarito,  la materia «tutela dell’ambiente» non appartiene a quelle già  attribuite alle Province autonome prima della revisione del Titolo V  della Parte seconda della Costituzione. 3.2. – È altresì censurato l’art. 8, comma 4, della  legge prov. n. 6 del 2010, che consente la raccolta illimitata di funghi  epigei ai proprietari, agli affittuari, agli usufruttuari e alle  persone con loro conviventi sui fondi di cui dispongono, in deroga  all’art. 4, comma 1, della legge 23 agosto 1993 n. 352 (Norme quadro in  materia di raccolta e commercializzazione di funghi epigei freschi e  conservati), che fissa il limite massimo giornaliero di tre chilogrammi  complessivi per persona. La legge statale sopra citata, che ricade in materia di  tutela dell’ambiente, attribuisce alle Regioni la potestà di  disciplinare con proprie leggi la raccolta e la commercializzazione dei  funghi epigei spontanei, nel rispetto dei princìpi fondamentali dalla  medesima legge stabiliti. È pure previsto che le Regioni a statuto  speciale e le Province autonome di Trento e Bolzano provvedano in base  alle competenze esclusive nei limiti stabiliti dai rispettivi statuti  (art. 1, comma 1). Il limite generale di tre chilogrammi giornalieri per  persona, di cui alla norma statale citata, si pone con evidenza quale  standard uniforme di tutela, a garanzia dell’ambiente e dell’ecosistema,  e perciò costituisce limite invalicabile da qualunque normativa  regionale o provinciale, secondo la costante giurisprudenza di questa  Corte. Non si può condividere il rilievo della difesa  provinciale, che si basa su una pretesa maggiore tutela dei funghi da  parte della norma impugnata, giacché circoscriverebbe il novero dei  soggetti legittimati alla raccolta, anziché consentire la stessa a  chiunque, pur con il limite quantitativo. La stessa norma infatti si  limita a prevedere l’assenza di limiti per le categorie prima  menzionate, ma non si collega ad un generale divieto di raccogliere  funghi, che non si evince da alcuna norma provinciale. Tale divieto  riguarda infatti soltanto le «piante parzialmente protette» (art. 8,  comma 3, legge prov. n. 6 del 2010), tenute distinte dai funghi nella  norma impugnata (art. 8, comma 4). Dal combinato disposto dei due commi  sopra citati si ricava che nel territorio della Provincia di Bolzano è  vietata l’estirpazione delle piante parzialmente protette, tranne che  alle persone appartenenti alle categorie di cui al successivo comma 4,  le quali possono raccoglierle senza limitazioni; è invece consentita la  raccolta illimitata di funghi alle stesse persone, fermo restando per  tutti gli altri soggetti il limite di cui alla legge statale, che non  risulta derogato, seppur con disciplina più stringente, da alcuna norma  provinciale. Non si può neppure accogliere l’ulteriore argomento  difensivo della resistente, basato sull’evocazione degli artt. 42 e 44  Cost., giacché nella fattispecie non vengono in rilievo la tutela della  proprietà ed i limiti alla stessa, ma la tutela dell’ambiente come bene  comune, per la cui salvaguardia esistono regole generali inderogabili da  tutti, proprietari dei fondi e non. La conservazione di determinate  specie vegetali, su cui si basa l’equilibrio dell’ecosistema, non può  essere subordinata alla soddisfazione di interessi particolari. Per i motivi esposti, risulta violato il livello  uniforme di tutela fissato dalla legge statale a protezione  dell’ambiente e dell’ecosistema. 3.3. – Il ricorrente censura inoltre l’art. 11, commi 1 e  2, della medesima legge provinciale, che attribuisce al dirigente della  Ripartizione provinciale Natura e paesaggio il potere di concedere  deroghe ai divieti previsti a tutela delle specie animali integralmente  protette. La stessa disposizione censurata precisa, al comma 1,  che il suo ambito di applicazione è quello delle «specie animali non  soggette alle leggi provinciali sulla caccia e sulla pesca». Risalta in  tal modo con chiarezza che la disciplina in questione esula, per sua  stessa affermazione, dalla materia della caccia e della pesca,  attribuita dallo statuto speciale alle Province autonome, e ricade  quindi nell’ambito generale della «tutela dell’ambiente», di competenza  esclusiva statale. Pertanto, la competenza generale del Ministero  dell’ambiente a concedere le deroghe di cui sopra – stabilita dall’art.  11 del d.P.R. 8 settembre 1997, n. 357 (Regolamento recante attuazione  della direttiva 92/43/CEE relativa alla conservazione degli habitat  naturali e seminaturali, nonché della flora e della fauna selvatiche) –  si estende a tutto il territorio nazionale, senza che per la Provincia  di Bolzano possa essere invocato un titolo di competenza speciale. Questa Corte ha peraltro precisato che la disciplina  delle deroghe ai divieti imposti per la salvaguardia delle specie  protette rientra tra gli standard uniformi e intangibili di tutela  dell’ambiente e dell’ecosistema, di esclusiva competenza statale  (sentenza n. 387 del 2008). L’uniformità degli standard implica  logicamente l’uniformità della loro applicazione, allo scopo di impedire  che prassi amministrative diverse possano pregiudicare l’obiettivo  della conservazione della fauna in modo equilibrato in tutto il  territorio della Repubblica. 3.4. – Il ricorrente impugna anche l’art. 22, comma 6,  della legge provinciale citata, che prevede un rapporto diretto tra la  Provincia autonoma di Bolzano e la Commissione europea, riguardo alla  comunicazione delle misure compensative necessarie per garantire la  coerenza globale della rete ecologica europea Natura 2000, istituita  dall’art. 4 della direttiva Habitat. L’art. 13 del d.P.R. n. 357 del  1997 individua nel Ministero dell’ambiente il soggetto tenuto a  trasmettere le informazioni alla Commissione europea riguardo  all’attuazione di tutti gli obiettivi fissati nella suddetta direttiva. Occorre ricordare in proposito che questa Corte ha  affermato che, nella materia de qua, il «potere di interloquire con la  Commissione europea […] spetta allo Stato, ai sensi dell’art. 1, comma  5, della legge n. 349 del 1986 (che attribuisce al Ministro  dell’ambiente il compito di rappresentare l’Italia presso gli organismi  della Comunità europea in materia di ambiente e di patrimonio  culturale), in base al principio sancito dai commi terzo e quinto  dell’art. 117 della Costituzione, i quali attribuiscono allo Stato la  competenza a disciplinare i rapporti delle Regioni e delle Province  autonome con l’Unione europea e a definire le procedure di  partecipazione delle stesse, nelle materie di loro competenza, alla  formazione degli atti comunitari. L’invocato art. 1, comma 5, della  legge n. 349 del 1986 è pienamente ribadito dall’art. 5 della legge 5  giugno 2003 n. 131 […], il quale conferma il principio di unitarietà  della rappresentazione della posizione italiana nei confronti  dell’Unione europea» (sentenza n. 378 del 2007). La pronuncia ora citata  concludeva nel senso che la Provincia autonoma di Trento non potesse  «ascrivere direttamente alla propria competenza il potere di mantenere  “rapporti” con l’Unione europea, prescindendo dalle leggi dello Stato».  La medesima affermazione deve essere oggi ribadita a proposito della  Provincia di Bolzano. Non possono essere, al riguardo, condivise le  argomentazioni della resistente, che, richiamando le sentenze n. 425 del  1999 e n. 378 del 2007, pretendono di affermare la competenza  provinciale sulla base della “cedevolezza” dei regolamenti statali di  attuazione delle direttive comunitarie nelle materie di competenza  primaria delle Province autonome. Occorre precisare sul punto che la  sentenza n. 378 del 2007 ha fatto riferimento ai princìpi generali  dell’ordinamento, come già la sentenza n. 425 del 1999, per concludere  che, ferma restando la cedevolezza di cui sopra, la previsione del  potere diretto di interlocuzione attribuito alla Provincia viola tali  princìpi e le norme fondamentali di riforma economico-sociale. 3.5. – È censurato infine l’art. 33, comma 3, della  medesima legge provinciale, che introduce il comma 1-bis all’art. 9  della legge della Provincia autonoma di Bolzano 17 luglio 1987, n. 14  (Norme per la protezione della selvaggina e per l’esercizio della  caccia). La disposizione citata ha per oggetto la disciplina del  procedimento per l’abbattimento, all’interno delle oasi di protezione,  di «determinate specie di cui all’art. 4, commi 1 e 2, per motivi  biologici  igienico sanitari e per prevenire danni alle colture agricole  e forestali ed al patrimonio ittico». Il ricorrente lamenta che, nel procedimento delineato  dalla norma impugnata, l’abbattimento sia autorizzato previo parere  dell’Osservatorio faunistico provinciale, anziché dell’Istituto  nazionale della fauna selvatica, in difformità dalle previsioni  contenute negli artt. 7 e 19 della legge 11 febbraio 1992, n. 157 (Norme  per la protezione della fauna omeoterma e per il prelievo venatorio),  dettate a tutela della fauna selvatica, comprensiva delle specie  elencate negli Allegati da II a IV della direttiva Habitat. Sul presupposto che le specie animali cui si fa  riferimento nella norma impugnata siano anche quelle indicate nella  direttiva Habitat – dato riconosciuto dalla stessa difesa provinciale –  si deve affermare che la Provincia non può procedere all’abbattimento di  capi appartenenti a queste specie senza il previo parere dell’organo  consultivo centrale, istituito dall’art. 7 della legge n. 157 del 1992.  La norma contenuta nell’art. 19 di tale legge, secondo cui le Regioni  provvedono al controllo della fauna selvatica, anche nelle zone in cui è  vietata la caccia, e tale controllo è esercitato su parere  dell’Istituto nazionale per la fauna selvatica, detta uno standard di  tutela uniforme necessaria ad assicurare l’effettività della protezione  della fauna medesima su tutto il territorio nazionale, che lo Stato  italiano è tenuto a garantire in ambito comunitario. per questi motivi LA CORTE COSTITUZIONALE dichiara l’illegittimità costituzionale degli articoli  4, 8, comma 4, 11, commi 1 e 2, 22, comma 6, 33, comma 3, della legge  della Provincia autonoma di Bolzano 12 maggio 2010, n. 6 (Legge di  tutela della natura e altre disposizioni). Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 18 aprile 2011. F.to: Paolo MADDALENA, Presidente Gaetano SILVESTRI, Redattore Gabriella MELATTI, Cancelliere Depositata in Cancelleria il 21 aprile 2011. Il Direttore della Cancelleria F.to: MELATTI
 
 
 
 
                    




