Sez. 
3, Sentenza n.
1783 del
28/04/2000 Cc.  (dep. 07/06/2000 
) Rv. 216585 
Presidente: Malinconico A.  Estensore: Novarese F. 
Imputato: Pizzuti F. P.M. 
De Nunzio W. (Diff.) 
SANITÀ PUBBLICA - IN GENERE - Smaltimento di 
rifiuti - Omissione dell'obbligo di bonifica - Reato di cui all'art. 51 bis del 
D.Lgs. 22 del 1997 - Natura. 
La contravvenzione di cui all'art. 51 bis del D.Lgs 5 febbraio 1997 n. 22 si configura come reato omissivo di pericolo presunto che si consuma ove il soggetto non proceda all'adempimento dell'obbligo di bonifica secondo le cadenze procedimentalizzate dell' art. 17. La norma predetta si applica anche a situazioni verificatesi in epoca anteriore all'emanazione del regolamento di cui al D.M. 25 ottobre 1999 n. 472 (in vigore dal 16 dicembre 1999).
 LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Camera di consiglio
Dott. MALINCONICO ALFONSO Presidente del 28/4/2000
1. Dott. ACCATTATIS VINCENZO " SENTENZA
2. " SAVIGNANO GIUSEPPE " N. 1783
3. " DI NUBILA VINCENZO " REGISTRO GENERALE
4. " NOVARESE FRANCESCO " N. 9407/00
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto da PIZZUTI FRANCO n. il 19 ottobre 1958 in qualità di 
legale rappresentante della s.r.l. Malenco e Duca, SANTICCIOLI ARNALDO n. a 
Cortona il 24 marzo 1950, amministratore unico della s.r.l. Taras e cinque 
aprile, CIOCIOLA MARCO n. ad ORTA NOVA il 28 agosto 1942, legale rappresentante 
della s.r.l. Quarzo 1990.
avverso il decreto del G.i.p. del Tribunale di Monza del 14 febbraio 2000.
Sentita la relazione fatta dal Consigliere Dr. F. Novarese Udito il Pubblico 
Ministero nella persona del WLADIMIRO DE NUNZIO che ha concluso per RIGETTO
udito il difensore Avv. DOLCE RAFFAELE - ROMA
Svolgimento del processo
Pizzuti Franco, in qualità di legale rappresentante delle S.r.l. Malenco e Duca, 
Santiccioli Arnaldo, amministratore unico delle s.r.l. Taras e cinque aprile, e 
Ciociola Marco, in qualità di legale rappresentante della s.r.l. Quarzo 1990, 
hanno proposto ricorso per Cassazione avverso il decreto del G.i.p. del 
Tribunale di Monza, emesso il 14 febbraio 2000, con il quale veniva disposto il 
sequestro preventivo di un terreno di circa 100.000 mq di proprietà delle 
suddette società, sito in Sesto S. Giovanni, nonché delle opere edilizie ivi 
realizzate, deducendo quali motivi:
a) l'inosservanza ed erronea applicazione dell'art. 51 bis d.lvo n. 22 del 1997, 
introdotto dal d.lvo n. 389 del 1997 e modificato dalla legge n. 426 del 1998, 
poiché la predetta normativa non poteva essere applicata a detti indagati, in 
quanto erano soltanto acquirenti dell'area e non coloro che avevano cagionato 
l'inquinamento o un pericolo concreto ed attuale di inquinamento dei siti ex 
art. 17 secondo comma d. lvo cit., mentre la posizione del proprietario è 
disciplinata dall'art. 17 commi 10 e 11 ed in maniera più chiara dall'art. 9 del 
D.M. n. 471 del 1999, e perché questo precetto costituiva una norma penale in 
bianco integrata con il D.M. 25 ottobre 1999 n. 471 entrato in vigore il 16 
dicembre 1999, mentre i fatti risalivano a parecchi anni fa e, comunque, ad un 
periodo antecedente l'entrata in vigore di detta disciplina, in considerazione 
pure della richiesta del sequestro preventivo effettuata dal P.M. in data 14 
dicembre 1999, sicché deve concernere eventi precedenti,
b) la conseguente violazione dell'art. 321 c.p.p., in quanto era stato disposto 
un sequestro preventivo senza che fosse neppure in astratto configurabile un 
reato.
Motivi della decisione
Appare opportuno riassumere i fatti attraverso la sommaria descrizione della 
vicenda effettuata dal G.i.p. del Tribunale di Monza, alla quale deve attenersi 
questo giudice di legittimità. L'area oggetto del provvedimento di sequestro si 
estende per circa 500.000 mq, ma solo 100.000 mq sono stati interessati da 
attività antropica in passato, prima, fino al 1974, da parte del gruppo Falck e 
dell'industria siderurgica e poi, sino al 1993, dalla società Transider, che 
effettuava demolizioni di veicoli a motore. Detta area era stata oggetto di 
studi, affidati a vari professionisti, da parte del Comune di Sesto S. Giovanni 
sin dal 1991 in funzione dell'esecuzione di nuovi insediamenti previsti dal 
P.R.G. con variante approvata nel 1990.
Infatti la Regione Lombardia aveva proceduto all'approvazione di detta variante 
subordinandola alla soluzione dei problemi infrastrutturali ed alla verifica 
della compatibilità ambientale dei nuovi insediamenti con gli impianti 
industriali esistenti, anche se dismessi o in via di rilascio.
La zona, denominata Vulcano, era stata studiata anche dal prof. Villa, al quale 
il Comune nel 1997 richiedeva una relazione integrativa in seguito all'entrata 
in vigore, nel frattempo, della normativa regionale (D.G.R. n.6/17252) e statale 
(d.lvo n. 22 del 1997).
I risultati di questi studi erano stati vivacemente contestati per la loro 
approssimazione e per la poca significatività delle analisi dal responsabile 
"pro tempore" dell'U.S.L. n. 31 di Sesto S. Giovanni, che proponeva un piano di 
indagine integrativo per definire lo stato del sottosuolo, non è effettuato. 
Sulla base di detti studi il Comune adottava il Piano Particolareggiato di 
recupero del comprensorio di Vulcano in data 24 novembre 1997, richiedendo, nel 
contempo, il 26 febbraio 1998, alla Regione ed alla Provincia la proposta di 
archiviazione del sito Vulcano, poiché "considerati gli esiti della valutazione 
complessiva dell'area e delle analisi effettuate, l'arca risulterebbe non 
contaminata". Successivamente, nonostante in un primo tempo nel marzo e 
nell'aprile 1998, l'A.S.L. di Sesto S.G. avesse protestato per le modalità poco 
attente con cui era stata effettuata la verifica, il dirigente del settore 
urbanistico rilasciava un'autorizzazione edilizia per lavori di demolizione in 
data 30 ottobre 1998, mentre il responsabile del servizio di igiene pubblica 
ambientale dell'A.S.L. con relazione redatta il 15 novembre 1998 si limitava ad 
accertare l'inizio di siffatto intervento edilizio.
Tuttavia in detta relazione si evidenziava la presenza in loco di amianto, 
nonché di vasche interrate alcune delle quali contenenti ancora olio 
combustibile.
In data 4 febbraio 1999 il De Donato esprimeva parere favorevole ai sensi 
dell'art. 220 T.U.LL.SS. per il rilascio della concessione edilizia per la 
costruzione di opere sull'area Falck - Vulcano e, quanto alla possibilità di 
gettare le fondazioni, si riservava di esprimere in via definitiva il "nulla 
osta" sanitario all'esito della verifica del piano di indagine della proprietà 
sullo stato del suolo.
Questa verifica era necessaria per escludere cause di inquinamento del suolo e 
conseguente mancato risanamento del sottosuolo ostativi al rilascio della 
suddetta concessione.
Pertanto, in data 11 febbraio 1999, il dirigente del settore urbanistico del 
Comune di Sesto San Giovanni, ing. Schiappapietra, rilasciava atto di 
autorizzazione ai lavori di sbancamento, successivi alla demolizione delle opere 
presenti sull'area Vulcano, già precedentemente autorizzata, e, quindi, il 16 
aprile 1999 concessione edilizia per la costruzione di un centro integrato di 
servizi e commercio e di due parcheggi pluripiano.
L'A.S.L. effettuava una serie di sopralluoghi per poter sciogliere la precedente 
riserva ed evidenziava il rinvenimento, nel corso dei lavori di demolizione e di 
sbancamento, di materiali di varia origine e classificazione fra i quali 
amianto, olio combustibile contenente Pbc e relativi serbatoi, carcasse di auto, 
batterie e materiali legati alle precedenti attività imprendi dichiarando, 
tuttavia, a scioglimento della riserva formulata nel parere del 4 febbraio 1999, 
che il terreno in esame non deve ritenersi contaminato con riferimento ai valori 
di cui alle tabelle regionali emanate in data 1 agosto 1996. Nel frattempo la 
Provincia di Milano, richiesta dalla società Transider di svincolare la 
fideiussione bancaria prestata in garanzia degli adempimenti indicati 
nell'autorizzazione all'esercizio dell'attività di autodemolizione, chiedeva una 
proposta di indagine del suolo, sottosuolo ed acque sotterranee alla stessa 
società e, sotto la spinta di un esposto della Lega ambiente, inviava alcuni 
ispettori nella predetta area il 9 aprile 1999.
All'esito delle risultanze ispettive, la Provincia riteneva l'area Vulcano 
soggetta alle procedure di bonifica stabilite dall'art. 17 d.lvo n. 22 del 1997 
secondo le modalità fissate dal documento concordato nel 1998 dal Ministero 
dell'Ambiente, dalla Regione Lombardia e dai Comuni di Cinisello Balsamo e Sesto 
S. Giovanni, il quale ultimo lo sottoscriveva il 23 marzo 1999, relativo alle 
"Linee guida per la perimetrazione e la caratterizzazione delle aree dello 
stabilimento Falck di Sesto S. Giovanni e delle relative discariche 
industriali".
Pertanto la Provincia con atto del 15 aprile 1999, anteriore di un gì - orno al 
rilascio della concessione edilizia, diffidava le società proprietarie dell'area 
dal continuare i lavori in assenza delle certificazioni analitiche dei materiali 
movimentati. Intanto anche il Ministero dell'ambiente con atto del 20 maggio 
s.a. chiedeva ulteriori analisi sui campioni prelevati nell'area Vulcano, poiché 
"i parametri analizzati (erano) tutto insufficienti a fornire garanzia di area 
non inquinata", mentre il Sindaco del Comune di Sesto S. Giovanni con ordinanza 
emanata il successivo 10 giugno ai sensi dell'art. 13 d.lvo n. 22 del 1997 
autorizzava il deposito temporaneo sull'area Vulcano dei materiali provenienti 
degli scavi e demolizioni ed emetteva il 15 luglio 1999, dopo il parere 
favorevole del 16 giugno 1999 dell'A.S.L., nulla osta alla prosecuzione delle 
attività costruttive sull'area Vulcano.
Effettuato un sequestro probatorio di varia documentazione presso enti pubblici 
territoriali e l'A.S.L., in data 14 gennaio 2000 la Provincia evidenziava agli 
enti interessati ed alla Procura, la scadenza dell'ordinanza sindacate ex art. 
13 d. lvo n. 22 del 1997 e l'omessa richiesta di ogni autorizzazione e 
l'inadempimento di quanto stabilito dalla predetta ordinanza.
Un mese prima di detta comunicazione il P.M. aveva richiesto il sequestro 
preventivo dell'area di 100.000 mq su descritta ed il 14 febbraio 2000 veniva 
emesso dal G.i.p. il decreto applicativo della misura cautelare reale sulla base 
delle imputazioni elevate dal P.M. e concernenti l'art. 323 c.p., il art. 347 
c.p., 20 lett. b) l. n. 47 del 1985; 51 primo comma lett. a) e b), 51 terzo 
comma e 51 bis d. lvo n. 22 del 1997 e successive modificazioni a carico di 
Penati Filippo e degli odierni indagati.
Riassunti in tal modo i fatti, seguendo l'elencazione effettuata nel 
provvedimento impugnato, il G.i.p. afferma che "la sussistenza dei presupposti 
di legge per procedersi al sequestro preventivo con riferimento all'ipotesi 
criminosa di cui all'art. 51 bis d. lvo n. 22 del 1997 rende superflua... la 
disamina di altre ipotesi, delittuose e contravvenzionali, poste dal P.M. a 
fondamento della sua richiesta", sicché il G.i.p. non ha valutato la sussistenza 
delle altre fattispecie criminose.
Tuttavia dalla semplice narrazione dei fatti, le cui caratteristiche peculiari 
sono state evidenziate con differente carattere e sottolineatura, si evince la 
possibilità di configurare in astratto alcuni reati senza che questa Corte possa 
effettuare un riscontro in concreto sugli atti.
Ed invero il rilascio di due "autorizzazioni" per demolizione e sbancamento 
finalizza all'edificazione come di una concessione edilizia in un sito 
contaminato in contrasto con le condizioni apposte dalla Regione in sede di 
approvazione della variante al P. R. G. configurano in astratto i reati di cui 
agli artt. 323 c.p. e 20 lett. b) l. n. 47 del 1985 (cfr. quale leading case 
Cass. sez. III 14 luglio 1994, Cremona in Riv. giur. ed. 1995, I,954).
Inoltre il deposito di rifiuti dopo la scadenza dell'ordinanza contingibile ed 
urgente, della cui legittimità potrebbe dubitarsi in virtù del dettato dell'art. 
13 d.lvo n. 22 del 1997, e senza aver ottenuto le prescritte autorizzazioni ex 
art. 27 d.lvo cit., delinea il reato previsto all'art. 51 primo comma ove non 
siano sussistenti le condizioni tutte per aversi deposito temporaneo, 
difficilmente riscontrabili nella specifica fattispecie sulla base della 
narrazione dei fatti effettuata dal G.i.p. (su detta nozione vedi Cass. sez. III 
ud. 21 gennaio 2000 dep. 21 aprile 2000, Rigotti ed altri), seppure 
limitatamente all'area nel quale è stato effettuato. Lo sbancamento e lo scavo 
del terreno, in cui sono stati rinvenuti vari tipi di rifiuti, possono aver 
determinato un'operazione di smaltimento non consentita da parte degli attuali 
detentori, obbligati in base all'art. 10 d.lvo cit., sicché sarebbe 
configurabile il reato di cui all'art. 51 primo comma d.lvo cit., tanto più che 
l'art 57 primo comma d.lvo n. 22 del 1997 ha previsto la "provvisoria 
sopravvivenza" della normativa regolamentare e tecnica relativa alle sole 
attività di raccolta, trasporto e smaltimento dei rifiuti, onde non è invocabile 
detta disciplina transitoria per la bonifica.
Peraltro, in ogni modo, sono necessari accertamenti in fatto al fine di appurare 
la carenza "ictu oculi" dell'elemento psicologico, il rapporto tra fattispecie 
astratta e quella concreta e gli altri atti prodotti dal P.M. o dalle parti, che 
allegano fatti impeditivi, secondo uno schema che ha trovato la risposta più 
avanzata e non sempre condivisibile in una decisione delle sezioni unite (Cass. 
sez. III un. 29 gennaio 1997 n. 23, Bassi rv. 206657 vedi per una differente 
lettura di detta pronuncia Cass. sez. III 18 gennaio 2000, Di Bisceglie).
Orbene, la sussistenza "prima facie" alcuni degli altri reati contestati, la 
proposizione del ricorso "per saltum", la quale non può impedire la completa 
valutazione dei fatti da parte del G.i.p., quando questi, per un principio di 
economia processuale, pur avendo descritto in maniera puntuale i vari 
accadimenti, si occupi di una sola imputazione, fra quelle prospettate dal P.M., 
la sempre ammessa qualificazione giuridica degli stessi e la possibilità di 
attribuire un nomen iuris differente, in uno con il divieto per questa Corte di 
prendere visione degli atti, determinano l'annullamento con rinvio, poiché si è 
in presenza di un'incompleta valutazione dei fatti da parte del G.i.p..
Del resto una differente soluzione non solo contrasterebbe con quanto finora 
evidenziato, ma determinerebbe una disparità di trattamento tra provvedimento di 
riesame e ricorso "per saltum", nonostante la parte si sia sottratta al potere 
integrativo del Tribunale, sebbene il vizio deducibile in Cassazione sia, in 
entrambi i casi, la violazione di legge in tema di misure cautelari reali, 
mentre l'ordinanza impositiva del sequestro è annullabile senza rinvio solamente 
nell'ipotesi in cui appaia la completa carenza di ogni rispondenza tra 
fattispecie astratte ipotizzate e situazione concreta.
Nè una simile valutazione contrasta con il principio devolutivo, giacché si 
tratta soltanto di procedere ad una differente qualificazione giuridica dei 
fatti narrati e conosciuti dall'indagato attraverso la lettura del provvedimento 
impugnato. Il principio di alternativa tra i due rimedi giuridici (il riesame ed 
il ricorso "per saltum") e la differente incidenza su diritti fondamentali e 
primari delle misure cautelari personali rispetto a quelle reali (su cui vedi 
Corte Cost. n. 48 del 1994 e la lettura condivisibile di Cass. sez. III 14 
dicembre 1995, Angotti in Riv. giur. ed. 1996, I,600) non comportano, a parere 
del collegio, l'ammissibilità del ricorso diretto nei soli casi in cui si sia in 
presenza di provvedimenti non sanabili e la necessità di rigettare o dichiarare 
inammissibile detta impugnazione "per saltum" negli altri casi, secondo quanto 
sostenuto da una parte della giurisprudenza di questa Corte (Cass. sez. III 3 
luglio 1998, Forelli fra tante). Questa differente opinione è confortata anche 
dai diversi ambiti di indagine ritenuti sussistenti in sede di legittimità per 
questi due mezzi di gravame riguardo alle misure cautelari personali (violazione 
di legge e vizi motivazionali deducibili in sede di riesame e solo la prima nel 
ricorso "per saltum" del tutto coincidenti, invece, con riferimento alle cautele 
reali (cfr. (Cass. sez. II 4 giugno 1997 n.3808, Baisi rv.209595), in quanto 
limitati alla sola violazione di legge.
Non sembra nemmeno condivisibile, ad avviso del collegio, l'affermazione, 
contenuta in una decisione delle sezioni unite (Cass. sez. un. 26 gennaio 1998 
n. 16, Nexhi rv. 209336), secondo cui occorre sempre considerare l'effettiva 
volontà dell'interessato, giacché si deve distinguere tra erronea attribuzione 
del "nomen juris", potere di qualificazione giuridica e volontà reale 
dell'impugnante non modificabile.
Ed invero l'art. 568 c.p.p. contempla pure l'ipotesi di proposizione di 
impugnazione dinanzi a giudice incompetente, nella quale la "reale" volontà è 
fin troppo evidente, mentre l'argomentazione su riferita era utilizzata sotto il 
vigore del precedente codice di rito, che non contemplava una norma specifica 
per giustificare l'ammissibilità della conversione del mezzo di impugnazione, ma 
non appare più conferente dinanzi ad un espresso dettato legislativo. Peraltro, 
secondo detto assunto, ove fosse proposto erroneamente un ricorso "per saltum" 
dovrebbe essere dichiarata inammissibile l'impugnazione (cfr. contra per 
implicito ord. 18 gennaio 2000, P.M. Pret. Venezia in cui si richiama il 
principio del "favor impugnationis", desumibile da tutto l'impianto del codice 
di rito vigente ed il significato pregnante dell'art. 568 c.p.p.). Tuttavia da 
quanto finora svolto non discende l'ineluttabile alternativa fra il rigetto del 
ricorso o l'annullamento senza rinvio del decreto, giacché vi sono casi in cui, 
come quello in esame, nel quale il rinvio è imposto dalla necessità di 
consentire al G.i.p. di effettuare quei riscontri fattuali e di considerare gli 
altri reati, prospettati dal P.M., ma non presi in considerazione cioè non 
valutati per escluderli o per ritenerli sussistenti a livello di fumus, 
nonostante dalla descrizione dei fatti contenuta nel provvedimento impugnato 
appaiano in astratto configurabili. L'annullamento con rinvio, poi, secondo 
quanto rilevato in uniformi decisioni in tema di misure cautelari personali o 
reali, non determina il dissequestro o il venir meno della cautela personale, 
poiché il provvedimento permane e deve essere integrato secondo i principi 
affermati dal giudice di legittimità, cui quello di rinvio deve attenersi.
Tuttavia a questa impostazione potrebbe opporsi la possibilità del G.i.p. su 
richiesta del P.M. di reiterare il provvedimento di sequestro fondato sullo 
stesso reato, ma su differenti elementi, fattuali e/o motivazionali, rispetto a 
quelli del decreto annullato oppure di emetterne uno autonomo sulla base delle 
nuove valutazioni in ordine ai reati non considerati in precedenza e ritenuti 
dal P.M., secondo quanto affermato da uniforme giurisprudenza di questa Corte. 
Peraltro la possibilità di procedere su un diverso piano processuale, a parere 
del collegio, non esclude il potere della Corte di Cassazione di annullare con 
rinvio il decreto di sequestro, pur in presenza di un ricorso immediato, 
giacché, oltre ad una sistematica lettura degli artt. 325, 620 e 623 c.p.p., 
convalidano detta soluzione ragioni di economia processuale e di rapida 
definizione del procedimento, ora costituzionalmente garantite (art. 111 Cost.), 
tanto più che non si configura alcuna violazione del diritto di difesa, 
indubbiamente compresso dalla limitata valutazione effettuata dal G.i.p., ma 
anche dalla scelta del mezzo alternativo di impugnazione.
Però un simile discorso non assume più rilievo ove la necessità di integrazioni 
o di accertamenti in fatto concerna la contravvenzione su cui si fonda in 
maniera assorbente il decreto di sequestro, poiché, in tal caso, nemmeno 
l'ipotesi di reato considerata è ritenuta del tutto insussistente.
Pertanto in conclusione deve affermarsi che, in sede di ricorso "per saltum" è 
possibile procedere all'annullamento senza rinvio del provvedimento impugnato 
solo ove appaia la completa carenza di ogni rispondenza tra fattispecie astratte 
ipotizzate e situazione concreta.
Tuttavia un simile approdo non determina necessariamente il rigetto o 
l'inammissibilità del ricorso, qualora siano necessarie integrazioni o 
accertamenti in fatto o vengano addotto censure incompatibili, giacché, in 
presenza di un'espressa disposizione di legge (art. 568 c.p.p.), non è possibile 
riferirsi alla volontà della parte, sicché occorre convertire il ricorso in 
richiesta di riesame, ove si tratti di vizi facilmente colmabili da quel giudice 
di merito (ex. gr. deduzione del difetto motivazione), ovvero annullare con 
rinvio il provvedimento impugnato.
Ciò posto per fugare dubbi sui caratteri di detto annullamento, con riguardo ai 
motivi dedotti in ricorso occorre rilevare che, ancor prima dell'entrata in 
vigore dell'art. 51 bis d.lvo n. 389 del 1997, modificato dalla legge n. 426 del 
1998, l'inottemperanza al provvedimento di risanamento delle aree contaminate di 
cui all'art. 17 secondo comma d.lvo n. 22 del 1997 veniva sanzionata penalmente 
dall'art. 50 secondo comma d.lvo cit., sicché non trattasi di una disposizione 
del tutto nuova, ma della specificazione di una disciplina già esistente 
nell'originaria formulazione. Peraltro, valutata sempre la competenza 
dell'organo emanante in relazione ai precipui compiti di questo ente in materia 
di rifiuti, attribuiti dall'art.20 del d.lvo n. 22 del 1997 ed in generale dalla 
legge n. 142 del 1990 e dalle diverse leggi "Bassanini", il provvedimento emesso 
dalla Provincia di Milano in data 15 aprile 1999, può trovare la sua sanzione 
nella norma penale in bianco generale di cui all'art. 650 c.p., ove ne contenga 
i presupposti di legge da considerare pure in relazione all'esistenza di una 
legge regionale (n.94 del 1980), che ha previsto finanziamenti per la bonifica 
dei siti inquinati, e di una successiva legge (n. 62 del 1995), che ha regolato 
la procedura amministrativa da seguire per l'effettuazione delle operazioni di 
bonifica.
Infatti, nonostante i poteri attribuiti alle Province dall'art. 20 concernano la 
fase della valutazione finale di conformità degli interventi di ripristino al 
progetto esecutivo ed alle prescrizioni autorizzatorie, solo un'esegesi "ad 
litteram" non include anche una generale potestà di emettere ordinanze in 
situazioni di particolare pericolo per l'effettuazione dell'intervento, il cui 
adempimento dovrà poi essere oggetto di valutazione e di controllo. Del resto 
una simile possibilità, sia pure con riguardo ad un provvedimento comunale, è 
stata prospettata dalle sezioni unite di questa Corte (Cass. sez. un. 28 
dicembre 1994 n. 12753, Zaccarelli rv. 199385), ne' potrebbe essere invocata la 
costante giurisprudenza amministrativa (cfr. ex plurimis T.a.r. Lombardia sez. I 
27 febbraio 1998 n. 390 e Cons. Stato sez. V 1 dicembre 1997 n. 1464 contra 
T.a.r. Emilia - Romagna sez. Parma 22 maggio 1995 n. 241) in base alla quale il 
proprietario del terreno in cui si sono attuate da terzi attività di gestione di 
rifiuti e/o di realizzazione di discarica non sarebbe responsabile e non 
dovrebbe provvedere allo smarrimento dei rifiuti illegittimamente stoccati ed al 
ripristino dei siti inquina poiché detto orientamento giurisprudenziale 
presuppone sempre un comportamento meramente passivo, che, in ogni caso, non 
abbia in alcun modo contribuito alla causazione della situazione illecita.
Peraltro il riferito indirizzo del giudice amministrativo doveva essere già 
rivisto alla luce dell'art. 3 comma 32 della legge 28 dicembre 1995 n. 549 (c.d. 
legge finanziaria del 1996), che stabiliva un obbligo del proprietario dei 
terreni sui quali insiste una discarica di accollarsi gli oneri della bonifica 
in solido con l'utilizzatore ed è stato diversamente strutturato dal d.lvo n. 22 
del 1997 (art. 14 ultimo comma, art. 17 commi 10 e 11 e D.M. n. 471 del 1999 
art. 9 e 18).
Infatti, mentre per l'ari 14 ultimo comma, nel caso di abbandono dei rifiuti, è 
prevista una responsabilità del proprietario del sito in cui si è verificato 
detto fatto solo se la violazione sia imputabile a titolo di dolo o colpa, nel 
caso di bonifica del sito inquinato sono stabiliti alcuni istituti (onere reale 
e privilegio) diretti a garantire il recupero delle spese di bonifica sostenute 
dal Comune nei confronti del proprietario incolpevole.
Sembra porsi apparentemente in contrasto con questa tesi una pronuncia di un 
giudice amministrativo (T.a.r. Emilia Romagna sez. 1 19 febbraio 1998 n. 64), la 
cui decisione, però, è condizionata dalla particolarità della fattispecie 
(ordinanza di ripristino di un sito interessato da un solo episodio di 
sversamento), sicché sono giustificate la soluzione e la motivazione, anche se 
fondate su cadenze basate sulla pregressa disciplina e sul precedenti approdi 
senza considerare l'interesse pubblicistico sotteso alla bonifica 
dall'inquinamento, qualora si sia in presenza di una situazione che vada al di 
là del semplice abbandono dei rifiuti, e senza valutare la natura "ambulatoria" 
delle relative responsabilità. Inoltre la contravvenzione di cui all'art. 51 bis 
d.lvo cit. distingue differenti situazioni: due previste dall'art. 17 secondo 
comma: a) chiunque cagiona l'inquinamento b) o un pericolo concreto ed attuale 
di inquinamento ed una terza derivante dall'omesso adempimento della diffida 
adottata dal Comune, su segnalazione degli organi preposti.
L'art. 17 secondo comma in parola dispone, poi, che "chiunque, cagiona, anche in 
maniera accidentale. il superamento dei limiti di cui al comma 1 lettera a) 
(n.d.r. cioè di quelli stabiliti dal Ministro dell'Ambiente, di concerto con i 
Ministri dell'industria, del commercio e dell'artigianato vale a dire dal D.M. 
25 ottobre 1999 n. 471, entrato in vigore il 16 dicembre 1999, perché pubblicato 
sulla G.U. del 15 s.m.a.) ovvero determina un pericolo concreto ed attuale di 
superamento dei limiti medesimi" è tenuto ad una serie di adempimenti, 
procedimentalizzati dalla predetta norma alle lettere a, b, e c ed a procedere a 
proprie spese agli interventi di messa in sicurezza, di bonifica, di ripristino 
ambientale delle aree inquinate e degli impianti dai quali deriva il pericolo di 
inquinamento. La formulazione ed il contenuto di questo precetto hanno dato 
luogo a differenziate opzioni interpretative, puntualmente esaminate da un'acuta 
studiosa, riflettentisi sulla classificazione giuridica del reato, sul momento 
consumativo e sugli altri effetti penali conseguenti.
Una diffusa trattazione degli stessi esula da una pronuncia giurisdizionale, 
sicché si ritiene di dover limitare la stessa agli argomenti utili e necessari 
nella fattispecie in esame. Pertanto sono state avanzate in dottrina differenti 
tesi, che configurano detta contravvenzione come un reato a condotta mista 
oppure quale due ipotesi contravvenzionali con una causa di non punibilità 
derivante dal Provvedere alla bonifica secondo il procedimento di cui all'art.17 
ovvero come reato di pericolo presunto che si consuma ove il soggetto non 
proceda al corretto adempimento dell'obbligo di bonifica con le cadenze 
procedimentalizzate dall'art. 17.
Tale ultima ricostruzione, a parere del collegio, appare più coerente con il 
sistema complessivo, delineato dall'art. 17 e soprattutto dal secondo comma, con 
principi comunitari e nazionali in tema di danno ambientale e di centralità, in 
materia di rifiuti, della bonifica e messa in sicurezza dei siti, con la 
pregressa disposizione contemplata all'art. 50 secondo comma, di cui costituisce 
esplicita specificazione di una delle due tesi sostenute in dottrina nel vigore 
della predetta, e con analoga disposizione (art. 58 quarto comma d.lvo n. 152 
del 1999), contenuta nella normativa di un settore affine (quello 
dell'inquinamento idrico) in una successiva disciplina, che ricalca quella 
dell'art. 51 bis in esame, dovendosi escludere dalla condotta cioè dall'elemento 
oggettivo del reato l'attività che ha cagionato l'inquinamento, che potrà anche 
essere accidentale senza violare l'art. 27 Cost., in quanto la stessa integra 
soltanto il fatto originante gli obblighi di bonifica e non il precetto citato.
L'interpretazione seguita si presenta, poi, più rispondente ai principi di 
offensività e di proporzionalità della pena, perché, attraverso il rafforzamento 
penalistico dell'effettività delle misure reintegratorie del bene offeso, si fa 
assumere all'interesse pubblico alla riparazione una connotazione particolare, 
che permea di sè il precetto e diviene esso stesso bene giuridico protetto. 
L'esegesi avanzata è, infine, più consona alla limitatezza delle risorse 
ambientali ed all'irreversibilità di alcuni danni, a volte incommensurabili, ed 
ai connotati propri del diritto penale ambientale, nel quale l'apprestamento di 
una serie di reati di pericolo presunto "di scopo" e di un modello di tutela 
c.d. ingiunzionale risponde in via immediata alla tutela dell'ambiente. La 
soluzione accolta in tenia di inquadramento dogmatico e di qualificazione della 
contravvenzione in esame determina i suoi effetti pure sotto il profilo 
dell'operatività della disposizione, giacché chi segue la teoria del reato con 
evento di danno oppure di quello a condotta mista individua l'antigiuridicità 
della condotta nel (o nel pericolo di) superamento dei livelli di contaminazione 
previsti, sicché, a parte la tesi di chi ritiene di immediata applicazione il 
precetto indipendentemente dall'emanazione del decreto ministeriale, la 
disposizione di cui all'art. 51 bis d.lvo cit. si applicherebbe soltanto ai 
fatti di danno ambientale che si verificheranno successivamente all'adozione del 
regolamento. Una simile soluzione, non accolta dal collegio per le ragioni su 
illustrate, peraltro presta il fianco a dubbi di costituzionalità, giacché fa 
dipendere da un provvedimento della pubblica amministrazione gli elementi 
costitutivi di un reato (cfr. Corte Cost. sent. n. 282 del 1990), nonostante sia 
frequente nel diritto penale ambientale il rinvio con efficacia modificativa o 
estintiva del precetto o con efficacia tipizzante alla normazione tecnica di 
dettaglio, la quale finisce per delimitare in modo scientificamente valutabile i 
c.d. "concetti valvola" o le formule legislative ampie. Inoltre, nella tesi 
derivata dell'immediata operatività del precetto, l'approdo appare contrastare 
con la lettera della legge, in quanto il riferimento dell'art.51 bis d.lvo cit. 
all'art. 17 secondo comma stesso decreto, che a sua volta richiama il 
superamento dei limiti di cui al comma primo lettera a), determina la necessità 
di considerare quale precetto integrativo dell'elemento oggettivo in base a 
detta tesi le prescrizioni contenute nel decreto ministeriale (n. 471 del 1999).
Infine, inquadrata detta violazione fra i reati di danno, la previsione di una 
contravvenzione invece di un delitto sembra violare il principio di 
ragionevolezza di cui all'art. 3 Cost., non potendosi, a parere del collegio, in 
questo caso, in cui sono coinvolti beni primari, richiamare la c.d. 
discrezionalità legislativa, e con gli studi attuali in materia di modifica dei 
reati ambientali.
Pertanto, anche sotto il profilo della ricerca di un'interpretazione 
adeguatrice, la tesi che configura il reato omissivo appare preferibile, sicché, 
in considerazione dell'inquadramento dell'inquinamento o del pericolo dello 
stesso fra i presupposti di fatto, la norma di cui all'art. 51 bis d.lvo cit. si 
applicherà anche a situazioni verificatesi in epoca anteriore all'emanazione del 
regolamento, non solo nell'ipotesi in cui il soggetto responsabile venga 
diffidato dal Comune ai sensi dell'art. 17 cit.. Infatti, dall'accentramento del 
disvalore delle norme previste dagli artt. 51 bis e 17 d.lvo cit. sull'omissione 
dell'obbligo di bonifica secondo le cadenze procedimentalizzate dall'art. 17, il 
cui inadempimento di per sè integra la contravvenzione in parola, ne deriva che 
i presupposti del reato - al contrario degli elementi essenziali - assumono 
rilevanza, ai fini della colpevolezza, solo in quanto siano noti all'agente, 
eppertanto, ciò che rileva è che essi devono effettivamente sussistere, 
preesistere od essere concomitanti alla condotta di reato.
Tale impostazione, rinvenibile già nell'art. 17 secondo comma d.lvo cit., trova 
ulteriore conferma nel D.M. n. 471 del 1999 ed in particolare:
a) nell'art. 2 lett. b), in cui è sufficiente un pericolo di rischio per la 
salute pubblica o l'ambiente ed è contemplato il superamento "anche di uno solo 
dei valori di concentrazione";
b) nell'art. 10 in relazione all'art. 2 lett. f), che riguarda la possibilità 
del permanere in un sito di valori di contaminazione, residui, superiori a 
quelli stabiliti dall'Allegato 1, purché sia garantita la tutela sanitaria ed 
ambientale:
c) nell'espressa previsione dell'obbligo degli interventi (messa in sicurezza, 
bonifica e ripristino) anche in presenza di un pericolo concreto ed attuale di 
superamento dei limiti in base al combinato disposto dell'art. 17 secondo comma 
lett. c) d.lvo n. 22 del 1997, dell'art.2 lett. e) D.M. cit. e degli allegati 
tecnici;
d) nell'estensione, in conformità con il dettato legislativo, dell'ambito di 
controllo anche ai casi di "situazioni di pericolo dell'inquinamento";
e) nell'art. 9 del citato D.M. (interventi ad iniziativa degli interessati), nel 
quale la clausola di riserva ("al di fuori dei casi di cui agli articoli 7 e 8") 
si riferisce alle ipotesi normali, in cui l'obbligo a provvedere nasce dall'aver 
cagionato il pericolo concreto ed attuale di inquinamento o il superamento dei 
limiti di accettabilità (art.7) o dalla violazione della diffida del Comune 
(art.8), mentre l'art.9 si applica all'adempimento spontaneo del proprietario 
con notevoli facilitazioni ove si tratti di "situazioni di inquinamento o di 
pericolo concreto ed attuale di inquinamento determinate da eventi anche 
accidentali", non "verificatisi in data successiva all'entrata in vigore del 
presente regolamento" (arg. ex. commi terzo e sesto dell'art.9 D.M. cit.).
Non poteva reperirsi nelle norme regolamentari su richiamate migliore ratifica 
dell'applicabilità dell'art. 51 bis d.lvo cit. anche a fatti di inquinamento o 
di pericolo concreto ed attuale determinato da situazioni pregresse, corroborato 
pure dalla nozione di cui all'art. 2 lett. c) e dall'art. 18 secondo e terzo 
comma tanto è vero che i fautori della tesi opposta sono costretti ad attribuire 
a questa disposizione un carattere eccezionale ed a restringere gli artt.7 ed 8 
del DM cit. entro gli ambiti angusti dei fatti commessi in epoca posteriore 
all'entrata in vigore del D.M. senza che ciò appaia dalle norme e con alcuni 
dubbi di costituzionalità di una disciplina, che comporterebbe una sanatoria 
generalizzata delle situazioni pregresse in contrasto con diritti fondamentali 
costituzionalmente garantiti, invocando insussistenti violazioni di parametri 
costituzionali di immensa rilevanza (art.25;
irretroattività del precetto penale ed art.27 comma primo; la colpevolezza), per 
nulla posti a repentaglio dalla ricostruzione effettuata.
Le considerazioni finora svolte rendono evidente che, essendo stato il 
provvedimento di sequestro emesso il 14 febbraio 2000, alla luce pure dei vari 
accertamenti cui fa riferimento il decreto impugnato, quel giudice doveva 
valutare:
a) se le operazioni poste in essere dagli attuali proprietari del terreno 
avessero causato un pericolo "concreto ed attuale" di inquinamento mediante il 
superamento dei limiti di accettabilità di cui al D.M. n. 471 del 1999;
b) se in conseguenza di ciò si configurasse un obbligo di bonifica;
c) se fossero state seguite le cadenze procedimentali stabilite dall'art. 17 
d.lvo cit.; d) l'incidenza dell'accordo del 2 novembre 1998 su eventuali 
obblighi dei soggetti privati, recuperabile alla luce della pregressa 
legislazione regionale sulla bonifica dei siti inquinati sia sotto il profilo 
dell'ultimo comma dell'art. 14 d.lvo cit., poiché il proprietario dell'area non 
è, in questo caso, esente da colpe, sia per quanto attiene alla validità degli 
indici parametrici, ove conformi a quelli del D.M. citato o più restrittivi, in 
relazione all'art. 1 secondo comma del d.lvo n. 22 del 1997, che impone alle 
regioni a statuto ordinario, come la Lombardia, di rispettare le disposizioni 
contenute nel predetto decreto legislativo, costituenti principi fondamentali 
della legislazione statale.
Pertanto, in base a detti accertamenti, che dovranno essere effettuati dal 
giudice di rinvio, sarebbe configurabile il reato di cui all'art. 51 bis d.lvo 
n. 22 del 1997, contrariamente a quanto ritenuto dai ricorrenti, giacché 
soltanto a chi rivesta la qualità di proprietario senza aver posto in essere 
alcuna condotta incidente sul pericolo di inquinamento del sito, può applicarsi 
esclusivamente la responsabilità solidale in sede amministrativa e civile per 
l'onere reale derivante dai commi decimo ed undicesimo dell'art. 17 d.lvo cit.
Peraltro, la nozione d'inquinamento del suolo e del sottosuolo è 
"relativizzata", giacché bisogna considerare la destinazione di uso della zona 
con riguardo alla strumentazione urbanistica vigente al fine di individuare i 
valori di concentrazione limite ammissibili. Tuttavia, nella configurazione 
dell'ipotesi di pericolo è possibile, in base all'art. 17 secondo comma lett. c) 
d.lvo cit. ed alla disciplina dell'allegato 4 del D.M. cit., ricorrere al 
criterio dell'ordinaria diligenza, ove la stessa sia rinvenibile nella 
conoscenza o conoscibilità di detta possibilità secondo l'"id quod plerumque 
accidit" tramite il ricorso ad attività conoscitive pregresse o ad altri indizi 
quali la natura delle produzioni industriali svolte, in quanto, in caso 
contrario, per ritenere sussistente detto pericolo occorrerà pure la presenza di 
valori di concentrazione prossimi a quelli limite in modo da escludere ogni 
dubbio circa la latitudine del precetto, ancorando a dati tecnicamente e 
scientificamente certi la possibilità del superamento di detti limiti.
Infine, nonostante il regolamento preveda, in conformità alla legge, tutto un 
sistema di metodi di prelevamento e campionamento e di analisi, la violazione di 
dette procedure, a somiglianza con quanto già sostenuto dalla giurisprudenza di 
questa Corte e dalla migliore dottrina in tema di analisi e prelevamenti in 
materia di inquinamento idrico, comporterà soltanto l'obbligo di una più 
puntuale motivazione sull'affidabilità dei risultati così ottenuti, ma non 
determinerà alcuna nullità ovvero l'impossibilità di ritenere dimostrati i 
presupposti del reato costituenti l'inquinamento o il pericolo concreto ed 
attuale di inquinamento.
Peraltro ad identica soluzione si perverrebbe ove si volessero seguire gli altri 
inquadramenti, non condivisi, della contravvenzione in esame quale reato a 
condotta mista o con evento di danno, giacché sarebbe stato necessario accertare 
se nel periodo dal 16 dicembre 1999 al 14 febbraio 2000 risultassero superati i 
limiti parametrici stabiliti dal D.M. a 471 del 1999 e se ciò fosse ascrivibile 
alla movimentazione dei rifiuti operata attraverso gli scavi e gli sbancamenti.
Inoltre l'accoglimento della qualificazione dell'illecito penale in parola quale 
reato con evento di danno comporterebbe, almeno per una parte dei fautori di 
detta tesi, l'esistenza di una continuità normativa fra la nuova disciplina e 
l'art. 32 d.P.R. n. 915 del 1982 per i fatti anteriori all'entrata in vigore del 
decreto legislativo n. 22 del 1997 e, comunque, di quello n. 389 del 1997 con la 
conseguente applicabilità del precedente precetto (cfr. Cass. sez. III 13 
gennaio 1999, Palasciano in Ambiente e sicurezza 1999 n. 9, 100 contra Cass. 
sez. III 9 ottobre 1997 n.9157, Felice rv. 209542) quale norma più favorevole e 
la possibilità di configurare detta contravvenzione per il periodo pregresso non 
ancora prescritta al momento dell'adozione della misura cautelare reale. In 
conclusione sul punto deve affermarsi che la contravvenzione di cui all'art. 51 
bis d.lvo n. 22 del 1997 e s. m. si configura come reato omissivo di pericolo 
presunto che si consuma ove il soggetto non proceda all'adempimento dell'obbligo 
di bonifica secondo le cadenze procedimentalizzate dall'art 17 d.lvo cit., 
sicché l'inquadramento dell'inquinamento o del pericolo dello stesso fra i 
presupposti di fatto determina l'applicazione della predetta norma anche a 
situazioni verificatesi in epoca anteriore all'emanazione del regolamento (D.M. 
n. 471 del 1999 in vigore dal 16 dicembre 1999), non solo nell'ipotesi in cui il 
soggetto responsabile venga diffidato dal Comune ai sensi dell'art. 17 cit..
Infatti, dall'accentramento del disvalore delle norme previste dagli artt. 51 
bis e 17 d.lvo cit. sull'omissione dell'obbligo di bonifica e delle cadenze 
procedimentali stabilite per adempiervi ne deriva che i presupposti del reato - 
al contrario degli elementi essenziali - assumono rilevanza, ai fini della 
colpevolezza, solo in quanto siano noti all'agente, eppertanto, interessa solo 
che essi devono effettivamente sussistere, preesistere od essere concomitanti 
alla condotta di reato.
Una simile ricostruzione ermeneutica dell'inquadramento dogmatico trova 
ulteriore conferma nella coordinata lettura del D.M. su citato ed in particolare 
degli artt.2 lett. c), 7, 8, 9, 10 in relazione all'art. 2 lett. f), 18 e degli 
allegati tecnici e comporta, nella fattispecie in esame, in cui il decreto di 
sequestro è stato emanato il 14 febbraio 2000, la necessità di valutare se le 
operazioni poste in essere dagli attuali proprietari del terreno abbiano causato 
un pericolo concreto ed attuale di inquinamento mediante il superamento dei 
limiti di accettabilità di cui al D.M. n. 471 del 1999, se in conseguenza di ciò 
si configurasse un obbligo di bonifica e se fosse stato instaurato il 
procedimento contemplato dall'an. 17 ed, inoltre, l'incidenza dell'accordo del 2 
novembre 1998 su eventuali obblighi dei soggetti privati alla luce della 
normativa regionale pregressa in tema di bonifica dei siti, di cui occorre 
valutare la compatibilità ai sensi dell'art. 1 secondo comma d.lvo cit. 
Nell'individuare, poi, la possibilità di valutare la sussistenza di un pericolo 
concreto ed attuale di inquinamento sarà possibile utilizzare il canone della 
comune diligenza tutte le volte in cui sia riscontrabile la conoscenza o 
conoscibilità di detta possibilità secondo l'"id quod plerumque accidit" tramite 
il ricorso ad attività conoscitive pregresse o ad altri indizi quali la natura 
delle produzioni industriali svolte, in quanto, in caso contrario, bisognerà 
accertare la presenza di valori di concentrazione prossimi a quelli limite in 
modo da escludere ogni dubbio circa la latitudine del precetto, ancorandolo a 
dati tecnicamente e scientificamente certi. Infine, nonostante il regolamento di 
cui al D.M. n. 471 del 1999 preveda, in conformità all'art. 17 primo comma 
lettera b) d.lvo n. 22 del 1977 e successive modificazioni, tutto un sistema di 
metodi di prelevamento e campionamento e di analisi, la violazione di dette 
procedure comporterà soltanto l'obbligo di una più puntuale motivazione 
sull'affidabilità dei risultati così ottenuti, ma non determinerà alcuna nullità 
da escludersi per il principio di tassatività e neppure l'impossibilità di 
ritenere dimostrati i presupposti del reato costituenti l'inquinamento ovvero il 
pericolo concreto ed attuale di inquinamento oppure l'insussistenza di un 
obbligo di bonifica secondo le cadenze procedimentalizzate dall'art. 17 secondo 
comma d.lvo cit..
P.Q.M.
Annulla il decreto impugnato con rinvio al Tribunale di Monza. Così deciso in 
Roma, in camera di consiglio, il 28 aprile 2000. Depositato in Cancelleria il 7 
giugno 2000
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Camera di consiglio Dott. MALINCONICO 
ALFONSO Presidente del 28/4/2000 1. Dott. ACCATTATIS VINCENZO " SENTENZA 2. " 
SAVIGNANO GIUSEPPE " N. 1783 3. " DI NUBILA VINCENZO " REGISTRO GENERALE 4. " 
NOVARESE FRANCESCO " N. 9407/00 ha pronunciato la seguente SENTENZA sul ricorso 
proposto da PIZZUTI FRANCO n. il 19 ottobre 1958 in qualità di legale 
rappresentante della s.r.l. Malenco e Duca, SANTICCIOLI ARNALDO n. a Cortona il 
24 marzo 1950, amministratore unico della s.r.l. Taras e cinque aprile, CIOCIOLA 
MARCO n. ad ORTA NOVA il 28 agosto 1942, legale rappresentante della s.r.l. 
Quarzo 1990. avverso il decreto del G.i.p. del Tribunale di Monza del 14 
febbraio 2000. Sentita la relazione fatta dal Consigliere Dr. F. Novarese Udito 
il Pubblico Ministero nella persona del WLADIMIRO DE NUNZIO che ha concluso per 
RIGETTO udito il difensore Avv. DOLCE RAFFAELE - ROMA Svolgimento del processo 
Pizzuti Franco, in qualità di legale rappresentante delle S.r.l. Malenco e Duca, 
Santiccioli Arnaldo, amministratore unico delle s.r.l. Taras e cinque aprile, e 
Ciociola Marco, in qualità di legale rappresentante della s.r.l. Quarzo 1990, 
hanno proposto ricorso per Cassazione avverso il decreto del G.i.p. del 
Tribunale di Monza, emesso il 14 febbraio 2000, con il quale veniva disposto il 
sequestro preventivo di un terreno di circa 100.000 mq di proprietà delle 
suddette società, sito in Sesto S. Giovanni, nonché delle opere edilizie ivi 
realizzate, deducendo quali motivi: a) l'inosservanza ed erronea applicazione 
dell'art. 51 bis d.lvo n. 22 del 1997, introdotto dal d.lvo n. 389 del 1997 e 
modificato dalla legge n. 426 del 1998, poiché la predetta normativa non poteva 
essere applicata a detti indagati, in quanto erano soltanto acquirenti dell'area 
e non coloro che avevano cagionato l'inquinamento o un pericolo concreto ed 
attuale di inquinamento dei siti ex art. 17 secondo comma d. lvo cit., mentre la 
posizione del proprietario è disciplinata dall'art. 17 commi 10 e 11 ed in 
maniera più chiara dall'art. 9 del D.M. n. 471 del 1999, e perché questo 
precetto costituiva una norma penale in bianco integrata con il D.M. 25 ottobre 
1999 n. 471 entrato in vigore il 16 dicembre 1999, mentre i fatti risalivano a 
parecchi anni fa e, comunque, ad un periodo antecedente l'entrata in vigore di 
detta disciplina, in considerazione pure della richiesta del sequestro 
preventivo effettuata dal P.M. in data 14 dicembre 1999, sicché deve concernere 
eventi precedenti, b) la conseguente violazione dell'art. 321 c.p.p., in quanto 
era stato disposto un sequestro preventivo senza che fosse neppure in astratto 
configurabile un reato. Motivi della decisione Appare opportuno riassumere i 
fatti attraverso la sommaria descrizione della vicenda effettuata dal G.i.p. del 
Tribunale di Monza, alla quale deve attenersi questo giudice di legittimità. 
L'area oggetto del provvedimento di sequestro si estende per circa 500.000 mq, 
ma solo 100.000 mq sono stati interessati da attività antropica in passato, 
prima, fino al 1974, da parte del gruppo Falck e dell'industria siderurgica e 
poi, sino al 1993, dalla società Transider, che effettuava demolizioni di 
veicoli a motore. Detta area era stata oggetto di studi, affidati a vari 
professionisti, da parte del Comune di Sesto S. Giovanni sin dal 1991 in 
funzione dell'esecuzione di nuovi insediamenti previsti dal P.R.G. con variante 
approvata nel 1990. Infatti la Regione Lombardia aveva proceduto 
all'approvazione di detta variante subordinandola alla soluzione dei problemi 
infrastrutturali ed alla verifica della compatibilità ambientale dei nuovi 
insediamenti con gli impianti industriali esistenti, anche se dismessi o in via 
di rilascio. La zona, denominata Vulcano, era stata studiata anche dal prof. 
Villa, al quale il Comune nel 1997 richiedeva una relazione integrativa in 
seguito all'entrata in vigore, nel frattempo, della normativa regionale (D.G.R. 
n.6/17252) e statale (d.lvo n. 22 del 1997). I risultati di questi studi erano 
stati vivacemente contestati per la loro approssimazione e per la poca 
significatività delle analisi dal responsabile "pro tempore" dell'U.S.L. n. 31 
di Sesto S. Giovanni, che proponeva un piano di indagine integrativo per 
definire lo stato del sottosuolo, non è effettuato. Sulla base di detti studi il 
Comune adottava il Piano Particolareggiato di recupero del comprensorio di 
Vulcano in data 24 novembre 1997, richiedendo, nel contempo, il 26 febbraio 
1998, alla Regione ed alla Provincia la proposta di archiviazione del sito 
Vulcano, poiché "considerati gli esiti della valutazione complessiva dell'area e 
delle analisi effettuate, l'arca risulterebbe non contaminata". Successivamente, 
nonostante in un primo tempo nel marzo e nell'aprile 1998, l'A.S.L. di Sesto 
S.G. avesse protestato per le modalità poco attente con cui era stata effettuata 
la verifica, il dirigente del settore urbanistico rilasciava un'autorizzazione 
edilizia per lavori di demolizione in data 30 ottobre 1998, mentre il 
responsabile del servizio di igiene pubblica ambientale dell'A.S.L. con 
relazione redatta il 15 novembre 1998 si limitava ad accertare l'inizio di 
siffatto intervento edilizio. Tuttavia in detta relazione si evidenziava la 
presenza in loco di amianto, nonché di vasche interrate alcune delle quali 
contenenti ancora olio combustibile. In data 4 febbraio 1999 il De Donato 
esprimeva parere favorevole ai sensi dell'art. 220 T.U.LL.SS. per il rilascio 
della concessione edilizia per la costruzione di opere sull'area Falck - Vulcano 
e, quanto alla possibilità di gettare le fondazioni, si riservava di esprimere 
in via definitiva il "nulla osta" sanitario all'esito della verifica del piano 
di indagine della proprietà sullo stato del suolo. Questa verifica era 
necessaria per escludere cause di inquinamento del suolo e conseguente mancato 
risanamento del sottosuolo ostativi al rilascio della suddetta concessione. 
Pertanto, in data 11 febbraio 1999, il dirigente del settore urbanistico del 
Comune di Sesto San Giovanni, ing. Schiappapietra, rilasciava atto di 
autorizzazione ai lavori di sbancamento, successivi alla demolizione delle opere 
presenti sull'area Vulcano, già precedentemente autorizzata, e, quindi, il 16 
aprile 1999 concessione edilizia per la costruzione di un centro integrato di 
servizi e commercio e di due parcheggi pluripiano. L'A.S.L. effettuava una serie 
di sopralluoghi per poter sciogliere la precedente riserva ed evidenziava il 
rinvenimento, nel corso dei lavori di demolizione e di sbancamento, di materiali 
di varia origine e classificazione fra i quali amianto, olio combustibile 
contenente Pbc e relativi serbatoi, carcasse di auto, batterie e materiali 
legati alle precedenti attività imprendi dichiarando, tuttavia, a scioglimento 
della riserva formulata nel parere del 4 febbraio 1999, che il terreno in esame 
non deve ritenersi contaminato con riferimento ai valori di cui alle tabelle 
regionali emanate in data 1 agosto 1996. Nel frattempo la Provincia di Milano, 
richiesta dalla società Transider di svincolare la fideiussione bancaria 
prestata in garanzia degli adempimenti indicati nell'autorizzazione 
all'esercizio dell'attività di autodemolizione, chiedeva una proposta di 
indagine del suolo, sottosuolo ed acque sotterranee alla stessa società e, sotto 
la spinta di un esposto della Lega ambiente, inviava alcuni ispettori nella 
predetta area il 9 aprile 1999. All'esito delle risultanze ispettive, la 
Provincia riteneva l'area Vulcano soggetta alle procedure di bonifica stabilite 
dall'art. 17 d.lvo n. 22 del 1997 secondo le modalità fissate dal documento 
concordato nel 1998 dal Ministero dell'Ambiente, dalla Regione Lombardia e dai 
Comuni di Cinisello Balsamo e Sesto S. Giovanni, il quale ultimo lo 
sottoscriveva il 23 marzo 1999, relativo alle "Linee guida per la perimetrazione 
e la caratterizzazione delle aree dello stabilimento Falck di Sesto S. Giovanni 
e delle relative discariche industriali". Pertanto la Provincia con atto del 15 
aprile 1999, anteriore di un gì - orno al rilascio della concessione edilizia, 
diffidava le società proprietarie dell'area dal continuare i lavori in assenza 
delle certificazioni analitiche dei materiali movimentati. Intanto anche il 
Ministero dell'ambiente con atto del 20 maggio s.a. chiedeva ulteriori analisi 
sui campioni prelevati nell'area Vulcano, poiché "i parametri analizzati (erano) 
tutto insufficienti a fornire garanzia di area non inquinata", mentre il Sindaco 
del Comune di Sesto S. Giovanni con ordinanza emanata il successivo 10 giugno ai 
sensi dell'art. 13 d.lvo n. 22 del 1997 autorizzava il deposito temporaneo 
sull'area Vulcano dei materiali provenienti degli scavi e demolizioni ed 
emetteva il 15 luglio 1999, dopo il parere favorevole del 16 giugno 1999 
dell'A.S.L., nulla osta alla prosecuzione delle attività costruttive sull'area 
Vulcano. Effettuato un sequestro probatorio di varia documentazione presso enti 
pubblici territoriali e l'A.S.L., in data 14 gennaio 2000 la Provincia 
evidenziava agli enti interessati ed alla Procura, la scadenza dell'ordinanza 
sindacate ex art. 13 d. lvo n. 22 del 1997 e l'omessa richiesta di ogni 
autorizzazione e l'inadempimento di quanto stabilito dalla predetta ordinanza. 
Un mese prima di detta comunicazione il P.M. aveva richiesto il sequestro 
preventivo dell'area di 100.000 mq su descritta ed il 14 febbraio 2000 veniva 
emesso dal G.i.p. il decreto applicativo della misura cautelare reale sulla base 
delle imputazioni elevate dal P.M. e concernenti l'art. 323 c.p., il art. 347 
c.p., 20 lett. b) l. n. 47 del 1985; 51 primo comma lett. a) e b), 51 terzo 
comma e 51 bis d. lvo n. 22 del 1997 e successive modificazioni a carico di 
Penati Filippo e degli odierni indagati. Riassunti in tal modo i fatti, seguendo 
l'elencazione effettuata nel provvedimento impugnato, il G.i.p. afferma che "la 
sussistenza dei presupposti di legge per procedersi al sequestro preventivo con 
riferimento all'ipotesi criminosa di cui all'art. 51 bis d. lvo n. 22 del 1997 
rende superflua... la disamina di altre ipotesi, delittuose e contravvenzionali, 
poste dal P.M. a fondamento della sua richiesta", sicché il G.i.p. non ha 
valutato la sussistenza delle altre fattispecie criminose. Tuttavia dalla 
semplice narrazione dei fatti, le cui caratteristiche peculiari sono state 
evidenziate con differente carattere e sottolineatura, si evince la possibilità 
di configurare in astratto alcuni reati senza che questa Corte possa effettuare 
un riscontro in concreto sugli atti. Ed invero il rilascio di due 
"autorizzazioni" per demolizione e sbancamento finalizza all'edificazione come 
di una concessione edilizia in un sito contaminato in contrasto con le 
condizioni apposte dalla Regione in sede di approvazione della variante al P. R. 
G. configurano in astratto i reati di cui agli artt. 323 c.p. e 20 lett. b) l. 
n. 47 del 1985 (cfr. quale leading case Cass. sez. III 14 luglio 1994, Cremona 
in Riv. giur. ed. 1995, I,954). Inoltre il deposito di rifiuti dopo la scadenza 
dell'ordinanza contingibile ed urgente, della cui legittimità potrebbe dubitarsi 
in virtù del dettato dell'art. 13 d.lvo n. 22 del 1997, e senza aver ottenuto le 
prescritte autorizzazioni ex art. 27 d.lvo cit., delinea il reato previsto 
all'art. 51 primo comma ove non siano sussistenti le condizioni tutte per aversi 
deposito temporaneo, difficilmente riscontrabili nella specifica fattispecie 
sulla base della narrazione dei fatti effettuata dal G.i.p. (su detta nozione 
vedi Cass. sez. III ud. 21 gennaio 2000 dep. 21 aprile 2000, Rigotti ed altri), 
seppure limitatamente all'area nel quale è stato effettuato. Lo sbancamento e lo 
scavo del terreno, in cui sono stati rinvenuti vari tipi di rifiuti, possono 
aver determinato un'operazione di smaltimento non consentita da parte degli 
attuali detentori, obbligati in base all'art. 10 d.lvo cit., sicché sarebbe 
configurabile il reato di cui all'art. 51 primo comma d.lvo cit., tanto più che 
l'art 57 primo comma d.lvo n. 22 del 1997 ha previsto la "provvisoria 
sopravvivenza" della normativa regolamentare e tecnica relativa alle sole 
attività di raccolta, trasporto e smaltimento dei rifiuti, onde non è invocabile 
detta disciplina transitoria per la bonifica. Peraltro, in ogni modo, sono 
necessari accertamenti in fatto al fine di appurare la carenza "ictu oculi" 
dell'elemento psicologico, il rapporto tra fattispecie astratta e quella 
concreta e gli altri atti prodotti dal P.M. o dalle parti, che allegano fatti 
impeditivi, secondo uno schema che ha trovato la risposta più avanzata e non 
sempre condivisibile in una decisione delle sezioni unite (Cass. sez. III un. 29 
gennaio 1997 n. 23, Bassi rv. 206657 vedi per una differente lettura di detta 
pronuncia Cass. sez. III 18 gennaio 2000, Di Bisceglie). Orbene, la sussistenza 
"prima facie" alcuni degli altri reati contestati, la proposizione del ricorso 
"per saltum", la quale non può impedire la completa valutazione dei fatti da 
parte del G.i.p., quando questi, per un principio di economia processuale, pur 
avendo descritto in maniera puntuale i vari accadimenti, si occupi di una sola 
imputazione, fra quelle prospettate dal P.M., la sempre ammessa qualificazione 
giuridica degli stessi e la possibilità di attribuire un nomen iuris differente, 
in uno con il divieto per questa Corte di prendere visione degli atti, 
determinano l'annullamento con rinvio, poiché si è in presenza di un'incompleta 
valutazione dei fatti da parte del G.i.p.. Del resto una differente soluzione 
non solo contrasterebbe con quanto finora evidenziato, ma determinerebbe una 
disparità di trattamento tra provvedimento di riesame e ricorso "per saltum", 
nonostante la parte si sia sottratta al potere integrativo del Tribunale, 
sebbene il vizio deducibile in Cassazione sia, in entrambi i casi, la violazione 
di legge in tema di misure cautelari reali, mentre l'ordinanza impositiva del 
sequestro è annullabile senza rinvio solamente nell'ipotesi in cui appaia la 
completa carenza di ogni rispondenza tra fattispecie astratte ipotizzate e 
situazione concreta. Nè una simile valutazione contrasta con il principio 
devolutivo, giacché si tratta soltanto di procedere ad una differente 
qualificazione giuridica dei fatti narrati e conosciuti dall'indagato attraverso 
la lettura del provvedimento impugnato. Il principio di alternativa tra i due 
rimedi giuridici (il riesame ed il ricorso "per saltum") e la differente 
incidenza su diritti fondamentali e primari delle misure cautelari personali 
rispetto a quelle reali (su cui vedi Corte Cost. n. 48 del 1994 e la lettura 
condivisibile di Cass. sez. III 14 dicembre 1995, Angotti in Riv. giur. ed. 
1996, I,600) non comportano, a parere del collegio, l'ammissibilità del ricorso 
diretto nei soli casi in cui si sia in presenza di provvedimenti non sanabili e 
la necessità di rigettare o dichiarare inammissibile detta impugnazione "per 
saltum" negli altri casi, secondo quanto sostenuto da una parte della 
giurisprudenza di questa Corte (Cass. sez. III 3 luglio 1998, Forelli fra 
tante). Questa differente opinione è confortata anche dai diversi ambiti di 
indagine ritenuti sussistenti in sede di legittimità per questi due mezzi di 
gravame riguardo alle misure cautelari personali (violazione di legge e vizi 
motivazionali deducibili in sede di riesame e solo la prima nel ricorso "per 
saltum" del tutto coincidenti, invece, con riferimento alle cautele reali (cfr. 
(Cass. sez. II 4 giugno 1997 n.3808, Baisi rv.209595), in quanto limitati alla 
sola violazione di legge. Non sembra nemmeno condivisibile, ad avviso del 
collegio, l'affermazione, contenuta in una decisione delle sezioni unite (Cass. 
sez. un. 26 gennaio 1998 n. 16, Nexhi rv. 209336), secondo cui occorre sempre 
considerare l'effettiva volontà dell'interessato, giacché si deve distinguere 
tra erronea attribuzione del "nomen juris", potere di qualificazione giuridica e 
volontà reale dell'impugnante non modificabile. Ed invero l'art. 568 c.p.p. 
contempla pure l'ipotesi di proposizione di impugnazione dinanzi a giudice 
incompetente, nella quale la "reale" volontà è fin troppo evidente, mentre 
l'argomentazione su riferita era utilizzata sotto il vigore del precedente 
codice di rito, che non contemplava una norma specifica per giustificare 
l'ammissibilità della conversione del mezzo di impugnazione, ma non appare più 
conferente dinanzi ad un espresso dettato legislativo. Peraltro, secondo detto 
assunto, ove fosse proposto erroneamente un ricorso "per saltum" dovrebbe essere 
dichiarata inammissibile l'impugnazione (cfr. contra per implicito ord. 18 
gennaio 2000, P.M. Pret. Venezia in cui si richiama il principio del "favor 
impugnationis", desumibile da tutto l'impianto del codice di rito vigente ed il 
significato pregnante dell'art. 568 c.p.p.). Tuttavia da quanto finora svolto 
non discende l'ineluttabile alternativa fra il rigetto del ricorso o 
l'annullamento senza rinvio del decreto, giacché vi sono casi in cui, come 
quello in esame, nel quale il rinvio è imposto dalla necessità di consentire al 
G.i.p. di effettuare quei riscontri fattuali e di considerare gli altri reati, 
prospettati dal P.M., ma non presi in considerazione cioè non valutati per 
escluderli o per ritenerli sussistenti a livello di fumus, nonostante dalla 
descrizione dei fatti contenuta nel provvedimento impugnato appaiano in astratto 
configurabili. L'annullamento con rinvio, poi, secondo quanto rilevato in 
uniformi decisioni in tema di misure cautelari personali o reali, non determina 
il dissequestro o il venir meno della cautela personale, poiché il provvedimento 
permane e deve essere integrato secondo i principi affermati dal giudice di 
legittimità, cui quello di rinvio deve attenersi. Tuttavia a questa impostazione 
potrebbe opporsi la possibilità del G.i.p. su richiesta del P.M. di reiterare il 
provvedimento di sequestro fondato sullo stesso reato, ma su differenti 
elementi, fattuali e/o motivazionali, rispetto a quelli del decreto annullato 
oppure di emetterne uno autonomo sulla base delle nuove valutazioni in ordine ai 
reati non considerati in precedenza e ritenuti dal P.M., secondo quanto 
affermato da uniforme giurisprudenza di questa Corte. Peraltro la possibilità di 
procedere su un diverso piano processuale, a parere del collegio, non esclude il 
potere della Corte di Cassazione di annullare con rinvio il decreto di 
sequestro, pur in presenza di un ricorso immediato, giacché, oltre ad una 
sistematica lettura degli artt. 325, 620 e 623 c.p.p., convalidano detta 
soluzione ragioni di economia processuale e di rapida definizione del 
procedimento, ora costituzionalmente garantite (art. 111 Cost.), tanto più che 
non si configura alcuna violazione del diritto di difesa, indubbiamente 
compresso dalla limitata valutazione effettuata dal G.i.p., ma anche dalla 
scelta del mezzo alternativo di impugnazione. Però un simile discorso non assume 
più rilievo ove la necessità di integrazioni o di accertamenti in fatto concerna 
la contravvenzione su cui si fonda in maniera assorbente il decreto di 
sequestro, poiché, in tal caso, nemmeno l'ipotesi di reato considerata è 
ritenuta del tutto insussistente. Pertanto in conclusione deve affermarsi che, 
in sede di ricorso "per saltum" è possibile procedere all'annullamento senza 
rinvio del provvedimento impugnato solo ove appaia la completa carenza di ogni 
rispondenza tra fattispecie astratte ipotizzate e situazione concreta. Tuttavia 
un simile approdo non determina necessariamente il rigetto o l'inammissibilità 
del ricorso, qualora siano necessarie integrazioni o accertamenti in fatto o 
vengano addotto censure incompatibili, giacché, in presenza di un'espressa 
disposizione di legge (art. 568 c.p.p.), non è possibile riferirsi alla volontà 
della parte, sicché occorre convertire il ricorso in richiesta di riesame, ove 
si tratti di vizi facilmente colmabili da quel giudice di merito (ex. gr. 
deduzione del difetto motivazione), ovvero annullare con rinvio il provvedimento 
impugnato. Ciò posto per fugare dubbi sui caratteri di detto annullamento, con 
riguardo ai motivi dedotti in ricorso occorre rilevare che, ancor prima 
dell'entrata in vigore dell'art. 51 bis d.lvo n. 389 del 1997, modificato dalla 
legge n. 426 del 1998, l'inottemperanza al provvedimento di risanamento delle 
aree contaminate di cui all'art. 17 secondo comma d.lvo n. 22 del 1997 veniva 
sanzionata penalmente dall'art. 50 secondo comma d.lvo cit., sicché non trattasi     
 
                    




