Cass. Sez. III n. 24990 del 8 luglio 2025 (CC 3 apr 2025)
Pres. Ramacci Est. Aceto Ric. Perfetto
Urbanistica.Demolizione ed incidenza del tempo trascorso

L’ordine di demolizione ingiunto dal pubblico ministero costituisce esecuzione (provvisoriamente a spese della collettività) dell’ordine già irrevocabilmente impartito dal giudice con sentenza pronunciata all’esito di un giusto processo svolto nel contraddittorio tra le parti. Il condannato non può “lucrare” sul tempo inutilmente trascorso dalla data di irrevocabilità della sentenza perché l’ingiunzione del pubblico ministero è causata proprio dalla sua inerzia, né può successivamente invocare il principio di proporzionalità allegando (colpevoli) inerzie o fatti da lui stesso posti in essere nella piena consapevolezza della natura abusiva dell’immobile, della precarietà della propria situazione abitativa, della persistente violazione dell’ordine.

RITENUTO IN FATTO

                1. Antonio Perfetto ricorre per l’annullamento dell’ordinanza del 12 ottobre 2024 del Tribunale di Napoli che ha rigettato la richiesta di sospensione e/o revoca dell’ingiunzione a demolire le opere abusivamente realizzate emessa dal Pubblico ministero in esecuzione dell’ordine impartito con sentenza del 7 marzo 2002 del Tribunale di Napoli, Sez. dist. di Frattamaggiore, irr. il 15 marzo 2005, pronunciata nei suoi confronti (e di Angela Tammaro) per il reato di cui all’art. 44 lett. b), d.P.R. n. 380 del 2001, contestato come accertato fino al 21 dicembre 1999.
                    1.1. Con il primo motivo deduce l’erronea applicazione della legge penale o di altre norme delle quali si deve tener conto nell’applicazione della legge penale e la illogicità della motivazione in relazione alla non ravvisata incompatibilità dell’esecuzione della demolizione con il provvedimento di acquisizione del bene al patrimonio comunale e successiva destinazione pubblicistica attribuita al manufatto abusivo, destinazione illogicamente ed erroneamente svilita dalla circostanza di fatto dell’occupazione abusiva dell’immobile stesso ad opera di Angela Tammaro.
                    1.2. Con il secondo motivo deduce l’erronea applicazione della legge penale o di altre norme delle quali si deve tener conto nell’applicazione della legge penale e la illogicità della motivazione in relazione alla mancata applicazione del principio affermato dalla Corte EDU con la sentenza “Ivanova” trattandosi di immobile abitato dalla Tammaro e dai suoi figli in maniera indisturbata da oltre dieci anni.

CONSIDERATO IN DIRITTO

            2. Il ricorso è inammissibile per mancanza di interesse ad impugnare e comunque perché generico e manifestamente infondato.

            3. L'interesse richiesto dall'articolo 568, comma 4, cod. proc. pen., deve essere concreto ed attuale, correlato agli effetti primari e diretti del provvedimento da impugnare e sussiste solo se l'impugnazione sia idonea a costituire, attraverso l'eliminazione di un provvedimento pregiudizievole, una situazione pratica più vantaggiosa per l'impugnante rispetto a quella esistente (Sez. U, n. 6203 del 11/05/1993, Amato, Rv. 193743; Sez. U, n. 9616 del 24/03/1995, Boido, Rv. 202018; Sez. U, n. 42 del 13/12/1995, Timpani, Rv. 203093; Sez. U, n. 10372 del 27/09/1995, Serafino, Rv. 202269; Sez. U, n. 20 del 20/10/1996, Vitale, Rv. 206169; Sez. U, n. 18253 del 24/04/2008, Tchmil, Rv. 239397; Sez. U, n. 28911 del 28/03/2019, Massaria, Rv. 275953 - 02). La legge processuale non ammette l'esercizio del diritto di impugnazione avente di mira la sola esattezza teorica della decisione, senza che alla posizione giuridica del soggetto derivi alcun risultato pratico favorevole, nel senso che miri a soddisfare una posizione oggettiva giuridicamente rilevante e non un mero interesse di fatto (così, Sez. U, Serafino, cit.). 
                3.1. L’acquisizione al patrimonio del Comune dell'immobile abusivo, poiché priva il condannato del diritto di proprietà del bene acquisito (o di altro diritto reale sullo stesso), fa cessare l'interesse alla revoca o alla sospensione dell'ordine di demolizione in capo al responsabile dell’illecito (Sez. 3, n. 35203 del 18/06/2019, Centioni, Rv. 277500 - 01; Sez. 3, n. 45432 del 25/05/2016, Ligorio, Rv. 268133 - 01; Sez. 3, n. 13578 del 05/03/2025, Maiello, non mass.; Sez. 3, n. 12520 del 13/02/2025, Iacono, non mass.; ). Sicché il condannato che non sia più proprietario del bene o non vanti più su di esso un diritto reale, può opporsi all'intimazione a demolire il manufatto abusivo solo deducendo un concreto e attuale interesse, corrispondente a un beneficio effettivo e reale derivante dalla revoca o dalla sospensione del provvedimento (Sez. 3, n. 11171 del 14/12/2023, dep. 2024, Pollastro, Rv. 286047 - 01), interesse che, per esempio, può essere ravvisato nell’esecuzione spontanea del provvedimento (Sez. 3, n. 7399 del 13/11/2019, dep. 2020, Calise, Rv. 278090 - 01).
                3.2. Il ricorrente non deduce alcun concreto e attuale interesse a opporsi alla demolizione di un bene che non gli appartiene più sicché egli non può sostituirsi al Comune nel far valere interessi alla conservazione di un bene di proprietà dell’Ente.
                3.3. Il primo motivo è comunque anche manifestamente infondato.
                3.4. L’esistenza dei prevalenti interessi pubblici che ostano alla demolizione dello specifico immobile abusivo acquisito al patrimonio comunale deve essere espressamente indicata e deliberata dal Consiglio comunale (non essendo sufficiente la mera delibera di acquisizione del bene al patrimonio comunale), trattandosi di attribuzione in astratto non esercitabile nemmeno dalla Giunta (art. 31, comma 5, d.P.R. n. 380 del 2001; Sez. 3, n. 3682 del 19/11/1999, dep. 2000, Puglisi, Rv. 215458 - 01), men che meno dal responsabile amministrativo del settore urbanistica che, nel caso di specie, mediante propria determina, aveva più di dieci anni fa individuato il manufatto in questione tra quelli destinabili a fini pubblici e, in particolare, all’edilizia residenziale pubblica, così dando attuazione a delibere consigliari adottate in epoca precedente a quella che aveva deciso la pura e semplice acquisizione del manufatto al patrimonio comunale. Ché, anzi, tale determina era stata adottata a fini meramente ricognitivi onde consentire al consiglio comunale di esprimersi successivamente sulla effettiva sussistenza di interessi pubblici al mantenimento degli immobili, delibera consiliare che il ricorrente nemmeno deduce essere mai stata adottata.

            4. Fermo restando quanto già detto in ordine alla mancanza di interesse (e di legittimazione) del ricorrente a far valere diritti che non gli appartengono più, il secondo motivo è generico e manifestamente infondato non essendo stati specificati profili diversi dall’occupazione ultradecennale dell’immobile da parte della Tammaro e del suo nucleo famigliare. 
                4.1. L’occupazione ultradecennale dell’immobile non giova alle ragioni del ricorrente posto che il dedotto affidamento che il titolare del bene da demolire possa fare sull’inerzia della AG non ha rilevanza: il decorso del tempo, lungi dal radicare in qualche misura la posizione giuridica dell’interessato, rafforza piuttosto il carattere abusivo dell’intervento (Cons. St., Ad. Plen., n. 9 del 17/10/2017). Peraltro, il Giudice dell’esecuzione (non contestato sul punto) ha affermato che il Comune ha ingiunto alla Tammaro il pagamento dell’indennità di occupazione sine titulo dell’immobile per gli anni 2021-2023, sicché le deduzioni difensive sono smentite in fatto, prima ancora che in diritto.
                4.2. Piuttosto, il lungo tempo trascorso non ha impedito all’autore dell’abuso di cercare soluzioni alternative (avrebbe dovuto anzi favorirlo). Per questo la maggior parte delle decisioni di legittimità ha ritenuto rispettato il principio di proporzionalità valorizzando il tempo a disposizione del destinatario dell'ordine di demolizione per «cercare una soluzione alternativa» (così Sez. 3, n. 48021 del 11/09/2019, Giordano, Rv. 277994-01, e Sez. 3, n. 24882 del 26/04/2018, Ferrante, Rv. 273368-01). 
                4.3. L’ordine di demolizione ingiunto dal pubblico ministero costituisce esecuzione (provvisoriamente a spese della collettività) dell’ordine già irrevocabilmente impartito dal giudice con sentenza pronunciata all’esito di un giusto processo svolto nel contraddittorio tra le parti. Il condannato non può “lucrare” sul tempo inutilmente trascorso dalla data di irrevocabilità della sentenza perché l’ingiunzione del pubblico ministero è causata proprio dalla sua inerzia, né può successivamente invocare il principio di proporzionalità allegando (colpevoli) inerzie o fatti da lui stesso posti in essere nella piena consapevolezza della natura abusiva dell’immobile, della precarietà della propria situazione abitativa, della persistente violazione dell’ordine.

                5. Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue, ex art. 616 cod. proc. pen., essendo essa ascrivibile a colpa del ricorrente (C. Cost. sent. 7-13 giugno 2000, n. 186), l'onere delle spese del procedimento nonché del versamento di una somma in favore della Cassa delle ammende, che si fissa equitativamente nella misura di € 3.000,00. Il Collegio intende in tal modo esercitare la facoltà, introdotta dall’art. 1, comma 64, legge n. 103 del 2017, di aumentare, oltre il massimo edittale, la sanzione prevista dall’art. 616 cod. proc. pen. in caso di inammissibilità del ricorso considerate le ragioni della inammissibilità stessa come sopra indicate.


P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di € 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma, il 03/04/2025.