 Cass. Sez. III n. 25212 del 26 giugno 2012 (Cc 18 gen. 2012)
Cass. Sez. III n. 25212 del 26 giugno 2012 (Cc 18 gen. 2012)
Pres. De Maio Est. Grillo Ric. Maffia
Urbanistica. Ordine di demolizione e revoca in fase esecutiva
La sanzione dell'ordine di demolizione, prevista dall'art. 31 del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, sfugge alla regola del giudicato penale ed è sempre riesaminabile in sede esecutiva al fine di una eventuale revoca, che è consentita solo in presenza di determinazioni della P.A. o del giudice amministrativo incompatibili con l'abbattimento del manufatto, ovvero quando sia ragionevolmente prevedibile, in base ad elementi concreti e specifici, che tali provvedimenti saranno adottati in breve tempo, non potendo la tutela del territorio essere rinviata indefinitamente.
REPUBBLICA ITALIANA
 IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
 LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
 Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:        Camera di consiglio
 Dott. DE MAIO   Guido            - Presidente  - del 18/01/2012
 Dott. SQUASSONI Claudia          - Consigliere - SENTENZA
 Dott. LOMBARDI  Alfredo          - Consigliere - N. 113
 Dott. GRILLO    Renato      - est. Consigliere - REGISTRO GENERALE
 Dott. AMORESANO Silvio           - Consigliere - N. 25950/2011
 ha pronunciato la seguente: 
SENTENZA
 sul ricorso proposto da:
 MAFFIA Anna, nata a Napoli il 12.08.1952;
 avverso ordinanza GIP Tribunale di Napoli del 20.04.2011;
 udita nella udienza camerale del 18 gennaio 2012 la relazione fatta  			dal Consigliere Dr. Renato GRILLO;
 lette le conclusioni del Pubblico Ministero in persona del Sostituto  			Procuratore Generale dott. VOLPE Giuseppe che ha richiesto  			dichiararsi l'inammissibilità del ricorso.
 SVOLGIMENTO DEL PROCESSO E MOTIVI DELLA DECISIONE
 Con ordinanza 4 giugno 2008, il GIP del Tribunale di Napoli, in  			funzione di Giudice della esecuzione, con ordinanza emessa in data 17  			aprile 2011 rigettava l'istanza di revoca, o di sospensione,  			dell'ordine di demolizione di un manufatto abusivo impartito con  			decreto penale di condanna divenuto irrevocabile in data 1 luglio  			2007.
 Ricorre avverso la detta ordinanza la condannata MAFFIA Anna a  			mezzo del difensore fiduciario deducendo violazione di legge e  			difetto di motivazione.
 Rileva che l'ingiunzione a demolire non avrebbe potuto essere emessa  			in pendenza di un ricorso amministrativo dinnanzi al T.A.R. avverso  			l'ordinanza di demolizione emessa dal Comune di Napoli la cui  			decisione era prevedibile che sarebbe intervenuta in tempi brevi.  			Il ricorso è manifestamente infondato.
 È appena il caso di ricordare come, secondo la costante  			giurisprudenza di questa Corte, l'ordine di demolizione, conseguente  			alla pronuncia di una sentenza penale irrevocabile di condanna per  			illecito edilizio, costituisce espressione di un potere dispositivo  			autonomo attribuito dalla legge alla autorità giudiziaria, il quale  			può eventualmente concorrere con quello omologo della P.A., onde è  			il Pubblico Ministero competente ad eseguirlo, mentre è il giudice  			dell'esecuzione che deve accertarne in sede di incidente la  			compatibilità con eventuali atti che siano stati emanati dalla  			autorità amministrativa (v. Cass. Sez. 3 17.10.2007 n. 42978,  			Parisi, Rv. 238145).
 L'ordine di demolizione di opere edilizie abusive sfugge, pertanto,  			alla regola del giudicato ed è riesaminabile in sede esecutiva al  			fine di una eventuale revoca consentita però solo in presenza di  			determinazioni della autorità o giurisdizione amministrativa  			incompatibili con l'abbattimento del manufatto ovvero quando sia  			ragionevolmente prevedibile, in base a elementi concreti, che un tale  			provvedimento sarà adottato in breve arco temporale.  			Pertanto, non è sufficiente, per neutralizzare l'ordine in esame, la  			mera possibilità che in tempo lontano - o, comunque, non prevedibile  			- saranno emanati atti favorevoli al condannato non potendosi  			rinviare sine die la tutela del territorio che l'ordine di  			demolizione è finalizzato a reintegrare.
 Questi principi tendono a salvaguardare, in un armonico equilibrio,  			due interessi meritevoli di protezione: quello pubblico alla rapida  			riparazione del bene violato e quello del privato volto ad evitare un  			danno irreparabile in presenza di una situazione giuridica che  			potrebbe evolversi a suo favore.
 In tale contesto, il Giudice della esecuzione è tenuto ad una  			attenta disamina sui possibili esiti e sui tempi di definizione della  			procedura amministrativa relativa all'ingiunzione di demolizione alla  			base della richiesta in sede penale mirata ad ottenere la revoca o la  			sospensione dell'ordine.
 Rientra, infatti, nel potere-dovere del Giudice dell'esecuzione  			accertare il possibile esito della richiesta di annullamento  			dell'ordine (amministrativo) di demolizione e l'esistenza di  			eventuali cause ostative ad un suo accoglimento (astenendosi dal  			concedere una dilazione della decisione, contrariamente a quanto  			ipotizzato dalla ricorrente. Egli deve, quindi, valutare i tempi di  			definizione del procedimento avanti la giurisdizione amministrativa e  			sospendere l'esecuzione solo in prospettiva di una rapida definizione  			dello stesso (v. Cass. Sez. 3A, 30.3.2000 n. 1388, Ciconte ed altri  			Rv 216071; Cass. Sez. 3", 30.9.2004 n. 43878, Cacciatore, Rv. 230308  			Cass. Sez. 3 5.3.2009 n. 16686, Marano, Rv. 243463).
 Nel caso concreto è pacifico che il Giudice ha effettuato il  			doveroso controllo all'esito del quale ha rilevato come non  			sussistessero provvedimenti della Pubblica Amministrazione  			inconciliabili con l'ordine di demolizione (in particolare  			provvedimento di acquisizione del manufatto al patrimonio del Comune  			o immissione in possesso da parte dell'organo pubblico).  			Inoltre è altrettanto indiscusso che non solo non risultava  			presentata istanza di condono edilizio ma non era state neanche  			rilasciata eventuale concessione in sanatoria, pur avendone la parte  			fatto espressa riserva in sede di presentazione della richiesta di  			revoca o sospensione dell'esecuzione.
 Appare quindi pienamente coerente con i principi più volte affermati  			da questa Corte che la mera presentazione di un ricorso al T.A.R. non  			consentiva di differire ulteriormente l'esecuzione dell'ordine: tale  			conclusione è ancor più in quanto in relazione a quanto osservato  			nella premessa dal momento che la prognosi sullo accoglimento del  			ricorso era assolutamente negativa stante la mancanza di prova sulla  			condonabilità (o sanabilità) dell'opera ed anzi mancando persino la  			documentazione della avvenuta presentazione di una istanza volta a  			tale scopo.
 La motivazione offerta è quindi pienamente congrua e corretta e,  			come tale, insindacabile in sede di legittimità.
 In applicazione dell'art. 616 cod. proc. pen., il ricorso va quindi  			dichiarato inammissibile: segue la condanna della ricorrente al  			pagamento delle spese processuali e, in mancanza di elementi che  			possano far ritenere non colpevole la causa di inammissibilità del  			ricorso, al pagamento in favore della Cassa delle ammende di una  			somma, che si ritiene congruo fissare in Euro 1.000,00.  			P.Q.M.
 Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al  			pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1000,00 in  			favore della Cassa delle Ammende.
 Così deciso in Roma, il 18 gennaio 2012.
 Depositato in Cancelleria il 26 giugno 2012
 
                    




