Cass. Sez. III n. 8669 del 1/3/2007 (Ud. 12/01/2007)  
Presidente: Lupo E.  Estensore: Squassoni C.  Imputato: De Martino e altro
(Rigetta, App. Napoli, 13 dicembre 2005)
EDILIZIA - IN GENERE - Realizzazione di soppalco all'interno di preesistente abitazione - Permesso di costruire - Necessità - Fondamento.
La realizzazione di un soppalco all'interno di una preesistente abitazione necessita del preventivo rilascio del permesso di costruire (o della DIA alternativa al permesso), atteso che l'art. 10, comma primo lett. c), del d.P.R. 6 giugno 2001 n. 380 assoggetta a permesso di costruire gli interventi di ristrutturazione edilizia che portano ad un organismo in tutto o in parte diverso dal precedente, senza la necessità che concorrano tutte le condizioni previste nello stesso articolo (modifiche del volume, della sagoma, dei prospetti, delle superfici), in quanto queste sono alternative, come ricavasi dall'uso della disgiuntiva nel citato testo normativo.
REPUBBLICA ITALIANA
 IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
 LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:        Udienza pubblica
 Dott. LUPO      Ernesto          - Presidente  - del 12/01/2007
 Dott. SQUASSONI Claudia          - Consigliere - SENTENZA
 Dott. FIALE     Aldo             - Consigliere - N. 00064
 Dott. FRANCO    Amedeo           - Consigliere - REGISTRO GENERALE
 Dott. IANNIELLO Antonio          - Consigliere - N. 016192/2006
 ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
 sul ricorso proposto da:
 1) DE MARTINO ALESSANDRA, N. IL 26/07/1981;
 2) TOSCANO UMBERTO, N. IL 05/06/1976;
 avverso SENTENZA del 13/12/2005 CORTE APPELLO di NAPOLI;
 visti gli atti, la sentenza ed il ricorso;
 udita in PUBBLICA UDIENZA la relazione fatta dal Consigliere Dott.  			SQUASSONI CLAUDIA;
 Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. IZZO Gioacchino,  			che ha concluso per: rigetto del ricorso.
 MOTIVI DELLA DECISIONE
 Con sentenza 24 febbraio 2005, il Tribunale di Napoli ha ritenuto i  			coniugi De Martino Alessandra e Toscano Umberto responsabili dei  			reati previsti dalla L. n. 47 del 1985, art. 20, comma 1, lett. b -  			L. n. 64 del 1974, artt. 1, 2, 20 e li ha condannati alla pena di  			giustizia; la decisione è stata confermata dalla Corte di Appello di  			Napoli con la sentenza in epigrafe precisata.
 Per giungere a tale conclusione, i Giudici di merito hanno confutato  			la prospettazione della difesa la quale sosteneva che l'opera  			realizzata (un soppalco allo interno di una abitazione) non  			necessitasse di un provvedimento concessorio non comportando alcun  			aumento di volumetria ne' alcun aggravio alla statica dello edificio.  			Sul punto, la Corte ha rilevato come la norma di riferimento non  			fosse la L. n. 47 del 1985, art. 26, ma il D.P.R. n. 380 del 2001,  			art. 10 che assoggetta a permesso di costruire gli interventi di  			ristrutturazione edilizia che comportino, tra l'altro, un aumento  			delle superfici (come è avvenuto nel caso concreto).  			La Corte ha ritenuto che, anche se la imputata si era assunta la  			responsabilità della edificazione, pur il marito ne doveva  			rispondere dal momento che era noviziato dello intervento che  			avvantaggiava tutta la famiglia.
 Per l'annullamento della sentenza, gli imputati hanno proposto  			ricorso in Cassazione deducendo difetto di motivazione e violazione  			di legge, in particolare, rilevando:
 - che la realizzazione di un soppalco - che deve essere qualificata  			come intervento di manutenzione straordinaria o di restauro  			conservativo - è annoverata tra le opere interne che non necessitano  			di atti autorizzatori;
 - che i Giudici hanno concluso in modo apodittico sulla  			responsabilità del Toscano senza evidenziare quale contributo  			materiale o morale abbia apportato alla perpetrazione dello illecito.  			Le censure non sono meritevoli di accoglimento.
 Il primo problema che il caso pone consiste nello stabilire se  			l'intervento edilizio in oggetto necessitasse di previo permesso di  			costruire.
 Sul tema, la tesi in diritto dei ricorrenti era esatta sotto la  			vigenza della abrogata legislazione in materia edilizia; la L. n. 47  			del 1985, art. 26 (novellato dalla L. n. 622 del 1996, art. 2, comma  			60) assoggettava a denuncia di inizio di attività le opere interne  			di singole unità immobiliari - non in contrasto con gli strumenti  			adottati o approvati e con i regolamenti edilizi - a condizione che  			non comportassero modifiche della sagoma e dei prospetti, non  			recassero pregiudizio alla statica dello immobile e, limitatamente  			agli immobili compresi nelle zone omogenee A, non alterassero la  			destinazione d'uso.
 L'opera realizzata dagli imputati rispettava tutti i requisiti  			precisati dall'art. 26 per essere esonerata dal regime concessorio.  			L'attuale normativa, nel vigore della quale è stato effettuato  			l'intervento per cui è processo, non regola in modo autonomo le  			opere interne che devono essere ricondotte nel novero delle  			ristrutturazioni edilizie; il D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, art. 10,  			comma 1, lett. c) assoggetta a permesso di costruire gli interventi  			di ristrutturazione edilizia "che portino ad un organismo edilizio in  			tutto o in parte diverso dal precedente, che comportino aumento di  			unità immobiliari, modifiche del volume, della sagoma, dei prospetti  			o delle superfici" ovvero si riconnettano a mutamenti di destinazione  			d'uso limitatamente agli immobili compresi nelle zone omogenee A.  			La previsione del D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, art. 10, comma 1,  			lett. c) non assoggetta a permesso di costruire solo le  			ristrutturazioni edilizie minori, cioè, quelle che non comportano le  			conseguenze specificate nella norma; tali sono gli interventi che  			determinano una semplice modifica dello ordine delle parti che  			compongono una costruzione e che non alterano il carico urbanistico.  			L'intervento posto in essere dagli imputati non è riconducitele alla  			ristrutturazione edilizia di portata minore in quanto comportava un  			aumento della superficie utile calpestabile.
 Sul tema, la tesi (pur sostenuta dalla sentenza della Cassazione  			Sezione 3^, n. 40829/2005) secondo la quale la nuova normativa  			richiederebbe - perché debba essere insufficiente la semplice Dia -  			la contemporanea modifica delle superfici, del volume e della sagoma,  			non è condivisa dal Collegio. La proposta interpretazione contrasta  			con il dato testuale, come si rileva dalla disgiuntiva finale  			utilizzata dal Legislatore (per separare la modifica dei prospetti da  			quella delle superfici); l'esegesi collide, anche, con il dato  			sistematico in quanto l'ampliamento di un manufatto allo esterno  			della sagoma esistente è considerata nuova costruzione a sensi del  			D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, art. 3, sub e/1.
 Pertanto, si deve concludere che le singole fattispecie per le quali  			il ricordato art. 10, comma 1, lett. c richiede il permesso di  			costruire siano autonome senza necessità di sovrapposizione (conf.  			Cassazione, Sezione terza, sentenza 20 settembre 2006, imp. Montilli  			- 22 settembre 2006, imp. Richiello - 19 ottobre 2006, imp. Picone).  			Per quanto esposto, si rileva che l'intervento degli imputati (che  			divideva l'altezza di un vano comportando una duplicazione di  			calpestio e, quindi, di superfici utili) costituisce ristrutturazione  			edilizia; esso necessitava di permesso di costruire o  			alternativamente, a scelta discrezionale degli interessati, per il  			disposto del D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, art. 22, comma 3, lett. a,  			di denuncia di inizio di attività la cui mancanza comporta  			l'applicazione delle sanzioni penali del successivo art. 44.  			Per quanto concerne la posizione dello imputato, la conclusione dei  			Giudici di merito è esatta e condivisibile, a nulla rilevando che la  			moglie si sia assunta ogni responsabilità; la situazione concreta in  			cui si è svolta l'attività incriminata squalifica la tesi che  			l'intervento sia stato realizzato alla insaputa del Toscano e senza  			la sua volontà.
 L'imputato, anche se non comproprietario, aveva la disponibilità di  			fatto del bene ed era notiziato, per esplicita ammissione della  			moglie, della abusiva edificazione; inoltre, l'intervento è stato  			effettuato dal coniuge con il quale conviveva e l'ampliamento di  			superficie era reso necessario dalle esigenze familiari e, di  			conseguenza, giovava anche all'imputato.
 Pertanto, nella situazione in esame si riscontrano elementi idonei a  			ritenere una compartecipazione dello imputato, quanto meno a titolo  			di concorso morale, nella altrui illecita condotta.  			P.Q.M.
 La Corte rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti in solido al  			pagamento delle spese processuali.
 Così deciso in Roma, il 12 gennaio 2007.
 Depositato in Cancelleria il 1 marzo 2007
 
                    




