Pres. Vitalone Est. Sensini Ric. Scupola
Urbanistica. Ristrutturazione edilizia
Il concetto di ristrutturazione edilizia postula necessariamente la preesistenza di un fabbricato da ristrutturare, vale a dire di un organismo edilizio dotato delle murature perimetrali, strutture orizzontali e copertura. Pertanto, la ricostruzione di un rudere preesistente non può mai ricondursi nell\'ambito di operatività della "ristrutturazione edilizia", trattandosi di intervento sostanzialmente "nuovo", che richiede specifico e preventivo titolo abilitativo
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Udienza  pubblica
 Dott. VITALONE Claudio - Presidente - del 26/10/2007
 Dott.  CORDOVA Agostino - Consigliere - SENTENZA
 Dott. FIALE Aldo - Consigliere - N.  02603
 Dott. SENSINI Maria Silvia - Consigliere - REGISTRO GENERALE
 Dott.  GAZZARA Santi - Consigliere - N. 007378/2007
 ha pronunciato la seguente: 
SENTENZA/ORDINANZA
 sul ricorso proposto  da:
 1) SCUPOLA GIUSEPPE LUIGI N. IL 26/06/1932;
 avverso SENTENZA del  27/11/2006 CORTE APPELLO di LECCE;
 visti gli atti, la sentenza ed il  ricorso;
 udita in PUBBLICA UDIENZA la relazione fatta dal Consigliere Dott.  SENSINI MARIA SILVIA;
 Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. IZZO  Gioacchino che ha concluso per l\'inammissibilità del ricorso.
 SVOLGIMENTO DEL  PROCESSO E MOTIVI DELLA DECISIONE
 Con sentenza in data 27/11/2006 la Corte di  Appello di Lecce, in parziale riforma della pronuncia resa il precedente  21/3/2006 dal Tribunale di Lecce - Sezione Distaccata di Tricase - nei confronti  Scupola Giuseppe Luigi, concedeva al predetto il beneficio della non menzione  della condanna e confermava nel resto l\'impugnata sentenza. Il prevenuto era  stato ritenuto colpevole del reato di cui al D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44,  lett. c) per aver effettuato i seguenti lavori edilizi: realizzazione di un  immobile allo stato rustico per un\'area coperta di mq. 200 circa, composto da n.  7 vani ed accessori, in totale assenza della concessione edilizia ed in zona  sottoposta a vincolo paesaggistico. In Castrignano del Capo, il 13/3/2004. Per  l\'effetto, lo Scupola era stato condannato, in concorso di attenuanti generiche,  alla pena di mesi 2 di arresto ed Euro 22.000,00 di ammenda, con concessione del  beneficio della sospensione condizionale della pena subordinata all\'effettivo  abbattimento del manufatto abusivo entro due mesi dal passaggio in giudicato  della sentenza.
 In sintesi, la Corte territoriale, disattendendo in proposito  le argomentazioni difensive tese a ricondurre l\'intervento edilizio nell\'ambito  della "manutenzione straordinaria", affermava: 1) che non era affatto in  contestazione che nell\'area interessata dall\'intervento per cui è processo  sorgesse in precedenza un\'antica costruzione rurale, che lo stesso tecnico di  fiducia dello Scupola, aveva asserito appartenere al genere localmente noto come  "pajara", ossia una sorta di trullo, non avente funzione abitativa, in quanto  tipicamente adibito a deposito e custodia degli attrezzi agricoli, ma ciò di cui  si controverteva era la tipologia dell\'intervento posto in essere; 2) doveva  escludersi che quelli in oggetto potessero qualificarsi come lavori di  manutenzione straordinaria, tanto che nella stessa domanda di "condono  edilizio", il tecnico di fiducia dell\'imputato aveva esplicitamente definito il  manufatto per cui è processo "nuova costruzione"; 3) le dimensioni del manufatto  edificato dallo Scupola non sembravano affatto compatibili, ne\' per dimensione  complessiva, ne\' per suddivisione degli spazi, con una costruzione tipica, quale  il già citato trullo; 4) alla stregua delle suddette considerazioni, l\'opera  sicuramente non poteva ritenersi condonabile.
 Avverso la sentenza ha proposto  ricorso per Cassazione il difensore dell\'imputato, deducendo: 1) difetto di  motivazione laddove la sentenza non aveva adeguatamente valutato che gli  interventi edilizi in contestazione si erano risolti: nella rinnovazione delle  parti in rovina dell\'originario muro perimetrale "a secco", eseguita utilizzando  il pietrame parzialmente crollato e giacente in prossimità del muro stesso,  senza peraltro procedere alla demolizione e ricostruzione del preesistente;  nella realizzazione di servizi igienico-sanitari e tecnologici, di cui  l\'immobile non era all\'origine dotato e nella copertura della superficie  abitabile con un solaio in muratura. Il tutto nel rispetto della sagoma, della  superficie e della volumetria originarie, senza dar luogo ad alcun ampliamento  dimensionale della "pajara".
 Non si poteva, dunque, parlare ne\' di interventi  di "ristrutturazione edilizia" ne\', tanto meno, di "nuova costruzione", bensì di  una tipologia di intervento soggetta a denuncia di inizio attività. Difetto di  motivazione anche laddove la Corte di merito aveva affermato, in modo del tutto  apodittico, che la "pajara" non era destinata ad uso abitativo: al contrario,  essa veniva costruita dalle famiglie di contadini al fine di stabilire la  propria dimora in prossimità del luogo di lavoro;
 2) violazione della L. n.  326 del 2003, art. 32, comma 25, in quanto la Corte di merito non aveva sospeso  il processo per consentire al prevenuto la definizione della procedura di  "condono edilizio". In data 9/10/2007 veniva presentata dal difensore una  memoria difensiva, con la quale si ribadiva, tra l\'altro, che l\'intervento posto  in essere dal ricorrente doveva qualificarsi di "manutenzione straordinaria" del  vecchio trullo, dunque integrante una tipologia di intervento soggetto alla sola  d.i.a..
 Si insisteva, pertanto, per l\'annullamento della sentenza. Il ricorso  è manifestamente infondato e va, conseguentemente, dichiarato  inammissibile.
 Invero, i motivi formulati dal ricorrente sono la mera  ripetizione di doglianze già esposte dinanzi ai Giudici di merito e da questi  motivatamente disattese. È, infatti, inammissibile il ricorso per Cassazione  fondato su motivi che ripropongono le stesse ragioni già discusse e ritenute  infondate dai primi Giudici, dovendosi gli stessi considerare non specifici. La  mancanza di specificità del motivo, infatti, deve essere apprezzata non solo per  la sua genericità, intesa come indeterminatezza, ma anche per la mancanza di  correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste  a fondamento dell\'impugnazione, dal momento che quest\'ultima non può ignorare le  esplicitazioni del Giudice censurato senza cadere nel vizio di aspecificità che  conduce, a norma dell\'art. 591 c.p.p., comma 1, lett. c), alla inammissibilità  dell\'impugnazione. Il requisito della specificità implica, infatti, per la parte  impugnante, l\'onere non solo di indicare con esattezza i punti oggetto di  gravame, ma di spiegare anche le ragioni per le quali si ritiene ingiusta o  contra legem la decisione, all\'uopo evidenziando, in modo preciso e completo,  ancorché sintetico, gli elementi che si pongono a fondamento della censura (cfr.  Cass. Sez. 5, 3/3/1999 n. 2896, La Mantia).
 Tanto non è avvenuto nella  fattispecie in disamina, essendo risultati - i motivi di censura - ripropositivi  di questioni già disattese dai Giudici del merito.
 In particolare, va  ribadito:
 del tutto correttamente, la Corte territoriale ha escluso che gli  interventi posti in essere dal ricorrente potessero ricondursi sia nell\'ambito  della manutenzione straordinaria che della ristrutturazione edilizia. Invero, il  D.P.R. n. 380 del 2001, art. 3, comma 1, lett. b) ricomprende nella manutenzione  straordinaria "le opere e le modifiche necessarie per rinnovare e sostituire  parti anche strutturali degli edifici, nonché per realizzare ed integrare i  servizi igienico - sanitari e tecnologici, sempre che non alterino i volumi e le  superfici delle singole unità immobiliari e non comportino modifiche delle  destinazioni d\'uso".
 Lo stesso art. 3, primo comma, alla successiva lett. d)  - come modificato dal D.Lgs. 27 dicembre 2002, n. 301 - definisce interventi di  ristrutturazione edilizia quelli "rivolti a trasformare gli organismi edilizi  mediante un insieme sistematico di opere che possono portare ad un organismo in  tutto o in parte diverso dal precedente. Tali interventi comprendono il  ripristino o la sostituzione di alcuni elementi costitutivi dell\'edificio,  l\'eliminazione, la modifica e l\'inserimento di nuovi elementi ed impianti".  Tuttavia, è assolutamente consolidato in giurisprudenza che il concetto di  ristrutturazione edilizia postula necessariamente la preesistenza di un  fabbricato da ristrutturare, vale a dire di un organismo edilizio dotato delle  murature perimetrali, strutture orizzontali e copertura. Pertanto, la  ricostruzione di un rudere preesistente - che si trattasse di rudere, nel caso  de quo, è stato inequivocabilemnte accertato in sede di sopralluogo in data  25/3/2004, del quale la sentenza avversata da atto a pag. 2 - non può mai  ricondursi nell\'ambito di operatività della "ristrutturazione edilizia",  trattandosi di intervento sostanzialmente "nuovo", che richiede specifico e  preventivo titolo abilitativo (cfr. Cass. Sez. 3, 23/1/2007 n. 15054, Meli ed  altro;
 Sez. 3, 13/1/2006 n. 20776, P.M. c/ Polverino; conf. Cons. Stato, Sez.  5, 28/5/2004 n. 3452). Nè, a maggior ragione, può parlarsi di intervento  ricadente nell\'ambito della manutenzione straordinaria, che, per sua natura, non  può comportare aumento della superficie utile, del numero delle unità  immobiliari, ne\' modifica della sagoma o mutamento della destinazione  d\'uso.
 Nel caso in oggetto, a prescindere dalla destinazione o meno abitativa  dell\'antica "pajara", è stato accertato che le dimensioni del manufatto  edificato non potevano in alcun modo ritenersi compatibili, ne\' per dimensione  complessiva, ne\' per suddivisione degli spazi (erano stati ricavati sette vani),  con la costruzione tipica sulla quale si era intervenuti, tanto che lo stesso  tecnico di fiducia dell\'imputato, geometra Ratano, aveva espressamente parlato,  nell\'istanza di "condono", di "nuova costruzione", ed aveva altresì atto che le  aperture originarie erano state modificate, essendosi fatto luogo al loro  ampliamento, con conseguente alterazione del prospetto (cfr. pag. 4  sent.).
 Palesemente infondato è anche il secondo profilo di doglianza,  relativo alla pretesa fruibilità del "condono edilizio" di cui alla L. n. 326  del 2003.
 È costante l\'indirizzo di questa Corte secondo cui le opere abusive  realizzate in aree sottoposte a vincolo a tutela degli interessi ambientali e  paesistici possono ottenere la sanatoria prevista dal D.L. n. 326 del 2003, art.  32, convertito con modificazioni nella L. n. 326 del 2003, solo quando si tratti  di interventi di minore rilevanza (restauro, risanamento conservativo e  manutenzione straordinaria), previo parere favorevole dell\'autorità preposta  alla tutela del vincolo.
 Del tutto corretta deve, pertanto, ritenersi la  decisione di Giudici di merito che, verificata preliminarmente la sussistenza di  condizioni ostative, non hanno accolto l\'istanza di sospensione del procedimento  (cfr. Cass. Sez. 3, 3/10/2006 n. 38113, De Giorgi). Conclusivamente, il proposto  ricorso va dichiarato inammissibile. Tenuto conto della sentenza 13/6/2000 n.  186 della Corte Costituzionale e rilevato che non sussistono elementi per  ritenere che "la parte abbia proposto ricorso senza versare in colpa nella  determinazione della causa di inammissibilità", alla ridetta declaratoria di  inammissibilità segue, a norma dell\'art. 616 c.p.p., l\'onere delle spese del  procedimento e del versamento di una somma, in favore della Cassa delle Ammende,  determinata, in considerazione delle ragioni di inammissibilità del ricorso  stesso, nella misura di Euro 1.000,00.
 P.Q.M.
 La Corte Suprema di  Cassazione dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al  pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 in favore della  Cassa delle Ammende. Così deciso in Roma, il 26 ottobre 2007.
 Depositato in  Cancelleria il 5 dicembre 2007
 
                    




