 Cass. Sez. III n. 24245 del 24 giugno 2010 (Ud.  24 mar. 2010)
Cass. Sez. III n. 24245 del 24 giugno 2010 (Ud.  24 mar. 2010)
Pres. De Maio Est. Fiale Ric. Chiarello
Urbanistica. Sanatoria e silenzio rifiuto
La richiesta di accertamento di conformità in sanatoria, se non interviene pronuncia entro i 60 giorni successivi alla presentazione, deve intendersi “rifiutata”. Irrilevante deve inoltre ritenersi la presentazione di ricorso giurisdizionale.
 UDIENZA del 24.03.2010
SENTENZA N. 632
REG. GENERALE N. 1809/2010
 REPUBBLICA ITALIANA
 IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
 LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
 Sez. III Penale
Composta dagli Ill.mi  Sigg.ri  Magistrati:
 Dott. GUIDO DE MAIO                                                     - Presidente
 Dott. ALFREDO MARIA LOMBARDI                                  - Consigliere
Dott. MARIO  GENTILE                                                     - Consigliere
 Dott. ALDO  FIALE                                                            - Rel. Consigliere
 Dott. GUICLA IMMACOLATA MULLIRI                                - Consigliere
 ha pronunciato la seguente
 SENTENZA
 sul ricorso proposto da:
 1) CHIARELLO GIUSEPPE N. IL 00/00/0000
 - avverso la sentenza n. 3709/2008 CORTE APPELLO di PALERMO, del  06/10/2009  visti gli atti, la sentenza e il ricorso
 - udita in PUBBLICA UDIENZA del 24/03/2010 la relazione fatta dal  Consigliere  Dott. ALDO FIALE
 - Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. Gugliemo  Passacantando che  ha concluso per il rigetto del ricorso
 
 SVOLGIMENTO. DEL PROCESSO
 La Corte di Appello di Palermo, con sentenza del 6.10.2009, confermava  la  sentenza 1.7.2008 del Tribunale monocratico di Termini Imerese, che  aveva  affermato la responsabilità penale di Chiarello Giuseppe in ordine ai  reati di  cui:
 - all'art. 44, lett. b), D.P.R. n. 380/2001 (per avere realizzato, senza  il  necessario permesso di costruire, un fabbricato in duplice elevazione su  un'area  di circa 160 mq.
- acc. in Misilmeri, fino al   29.6.2004);
 - agli artt. 64, 65, 71 e 72 D.P.R. n. 380/2001;
 - all'art. 349 cpv. cod. pen. (per avere violato, in qualità di custode,  i  sigilli apposti dall'autorità giudiziaria all'immobile abusivamente  edificato);
 e, riconosciute attenuanti generiche equivalenti all'aggravante  contestata per  il delitto e ritenuta la continuazione tra tutti i reati, lo aveva  condannato  alla pena complessiva di mesi dieci di reclusione ed euro 400,00 di  multa,  ordinando la demolizione delle opere abusive e concedendo il beneficio  della  sospensione condizionale.
 Avverso tale sentenza ha proposto ricorso il Chiarello, il quale - sotto  i  profili della violazione di legge e del vizio di motivazione - ha  eccepito:
 - la carenza di prove circa la riconducibilità alla propria persona  dell'attività di prosecuzione dei lavori abusivi dopo l'intervenuta  apposizione  dei sigilli;
 - la insussistenza dell'elemento psicologico del delitto di violazione  dei  sigilli, in quanto egli, per errore sulla legge extrapenale, non si  sarebbe reso  conto che "il sigillo apposto dalla Polizia municipale di Misilmeri  fosse  proprio uno di quelli protetti dalla norma incriminatrice";
 - la illegittimità della mancata sospensione del procedimento penale, ex  art.  45, 1° comma, del T.U. n. 380/2001 (già art. 22 della legge n. 47/1985),  in  attesa della definizione del procedimento giurisdizionale instaurato con  ricorso  avverso il diniego del rilascio del titolo abilitativo sanante, per  accertamento  di conformità, ai sensi dell'art. 36 dello stesso T.U. (già art. 13  della legge  n. 47/1985);
 - la inapplicabilità dell'ordine di demolizione del fabbricato abusivo,  trattandosi di sanzione demandata alla competenza esclusiva  dell'autorità  amministrativa territoriale;
 - la prescrizione dei reati contravvenzionali, maturata in epoca  anteriore alla  decisione impugnata.
 MOTIVI DELLA DECISIONE
 Il ricorso deve essere rigettato, perché tutte le doglianze anzidette  sono  infondate.
 1. Quanto all'affermazione della responsabilità in ordine al delitto di  violazione dei sigilli, risulta riscontrata, nella fattispecie in esame,   l'effettività di detta violazione (con prosecuzione delle opere abusive)  senza  che l'imputato, nominato custode, abbia avvertito dell'accaduto  l'autorità.
 Secondo la giurisprudenza di questa Corte:
 - il custode è obbligato ad esercitare sulla cosa sottoposta a sequestro  e sulla  integrità dei relativi sigilli una custodia continua ed attenta. Egli  non può  sottrarsi a tale obbligo se non adducendo oggettive ragioni di  impedimento e,  quindi, chiedendo ed ottenendo di essere sostituito, ovvero, qualora non  abbia  avuto il tempo o la possibilità di farlo, fornendo la prova del caso  fortuito o  della forza maggiore che gli abbiano impedito di esercitare la dovuta  vigilanza  (vedi Cass., sez. III, 9.4.2004, Collettini);
 - qualora venga accertata la violazione dei sigilli, è lecito, pertanto,   ritenere che essa sia opera dello stesso custode, da solo o in concorso  con  altri, tranne che lo stesso dimostri di non essere stato in grado di  avere  conoscenza per caso fortuito o forza maggiore (vedi Cass., sez. III:  11.9.2009,  n. 35208; 7.5.2009, n. 19075; 22.12.2008, n. 47450). Ciò non configura  alcuna  ipotesi di responsabilità oggettiva, incombendo sul custode l'onere  della prova  degli eventuali caso fortuito e forza maggiore quali cause impeditive  dell'esercizio del dovere di vigilanza e custodia (cosi Cass., sez. III:   23.6.2009, n. 26121; 28.1.2000, n. 2989).
 Nella specie, l'imputato aveva dichiarato alla polizia giudiziaria, in  data  10.5.2004, di essere l'autore materiale delle opere di edificazione  abusiva fino  a quel momento realizzate ed egli mai ha successivamente prospettato di  essere  estraneo all'ulteriore prosecuzione dei lavori, per l'addebitabilità  della  stessa a persone diverse che avrebbero agito eludendo la sua vigilanza.
 Non è dato comprendere, infine, in quale "errore di fatto" possa essere  incorso  il Chiarello, che lo abbia portato a ritenere che "il sigillo apposto  dalla  Polizia municipale di Misilmeri fosse proprio uno di quelli protetti  dalla norma  incriminatrice": egli, infatti, venne reso inequivocabilmente edotto, in   occasione del sequestro, dell'obbligo di intangibilità del manufatto  sequestrato.
 2. L'art. 45, 1° comma, del T.U. n. 380/2001 (allo stesso modo dell'art.  22  della legge n. 47/1985) dispone che - qualora venga richiesto  l'accertamento di  conformità ai sensi dell'art. 36 dello stesso T.U. (già art. 13 della  legge n.  47/1985) - "l'azione penale relativa alle violazioni edilizie rimane  sospesa  finché non siano stati esauriti i procedimenti amministrativi di  sanatoria".
 La norma ricollega, dunque, la durata della sospensione all'esaurimento  dei soli  "procedimenti amministrativi di sanatoria", limitandola temporalmente  alla  decisione degli organi comunali sulla relativa domanda, manifestata  anche nella  forma del silenzio-rifiuto prevista dal 4° comma dell'art. 36. Detta  sospensione  non può estendersi, pertanto, fino alla definizione dell'eventuale  procedimento  giurisdizionale originato dal ricorso avverso il diniego del rilascio  del titolo  abilitativo sanante (vedi Cass., Sez, III, 18.1.2006, Solis, 28.4.2005,  Pescara;  8.4.2004, n. 16706, Brilla; 7.3.2003, n. 10640, Petrillo. A tale  interpretazione  ha aderito anche la Corte Costituzionale con la sentenza n. 370/1988 e  con  l'ordinanza n. 247/2000).
 L'emissione del provvedimento sospensivo, inoltre, resta pur sempre  condizionata  al previo accertamento del giudice penale in ordine alla effettiva  sussistenza  dei presupposti necessari per il conseguimento della sanatoria (vedi  Cass., Sez.  III, 7.3.1997, n. 2256, Tessari ed altro).
Deve pure ricordarsi, al riguardo, che - secondo la costante giurisprudenza di questa Corte Suprema - nell'ipotesi in cui il giudice di merito non abbia sospeso, ex art. 45, 1° comma, del T.U. n. 380/2001, il procedimento relativo ai reati di cui all'art. 44 dello stesso T.U., non consegue alcuna nullità, mancando qualsiasi previsione normativa in tal senso e non configurandosi pregiudizi al diritto di difesa dell'imputato, poiché questi può far valere nei successivi gradi di giudizio l'esistenza o la sopravvenienza della causa estintiva.
 Nel caso in esame non risulta rilasciata concessione in sanatoria a  seguito  dell'accertamento di conformità previsto dall'art. 36 del T.U. n.  380/2001: la  relativa richiesta, non essendo intervenuta pronuncia entro i 60 giorni  successivi alla presentazione, deve intendersi "rifiutata". Irrilevante,  come si  è detto dianzi, deve ritenersi la asserita presentazione di ricorso  giurisdizionale.
 3. L'ultimo comma dell'art. 31 del T.U. n. 380/2001 (già art. 7, ultimo  comma,  della legge n. 47/1985) dispone che, per le opere abusive eseguite in  assenza di  concessione o in totale difformità o con variazioni essenziali, "il  giudice, con  la sentenza di condanna per il reato di cui all'art. 44, ordina la  demolizione  delle opere stesse se ancora non sia stata altrimenti eseguita".
 Tale ordine, emanato dal giudice in caso di condanna e di mancata  esecuzione  della demolizione, costituisce atto dovuto, nell'esercizio di un potere  autonomo  e non attribuito in via di supplenza seppure coordinabile con quello  amministrativo, per cui non si pone in rapporto alternativo con l'ordine  di  demolizione impartito dalla P.A.
 Trattasi di una sanzione amministrativa di tipo ablatorio caratterizzata  dalla  natura giurisdizionale dell'organo istituzionale al quale ne è  attribuita  l'applicazione, la cui catalogazione fra i provvedimenti giurisdizionali  trova  ragione giuridica proprio nella sua accessività alla "sentenza di  condanna"  (vedi, in tal senso, Cass., Sez. Unite, 24.7.1996, ric. Monterisi).
 4. Le contravvenzioni non erano prescritte all'epoca della pronuncia  della  sentenza impugnata.
 L'accertamento risale al 29.6.2004 e la scadenza del termine ultimo di  prescrizione, per le fattispecie contravvenzionali, coinciderebbe  pertanto con  il 29.12.2008.
 Va computata, però (secondo quanto stabilito dalle Sezioni Unite con la  sentenza  11.1.2002, n. 1021, ric. Cremonese) una sospensione del corso della  prescrizione  per complessivi anni 1, mesi 2 e giorni 28, in seguito a rinvii disposti  su  richiesta del difensore [dal 29.11.2005 al 10.5.2006; dal 20.7.2006 all'   1.11.2006; dal 6.12.2007 all'11.6.2008], non per esigenze di  acquisizione della  prova né a causa del riconoscimento di termini a difesa.
 Il termine ultimo di prescrizione resta perciò fissato al 29.3.2010.
 Deve ricordarsi, in proposito, che secondo la giurisprudenza di questa  Corte:
 - la limitazione (prevista dal novellato art. 159, comma 1 n. 3, cod.  pen.) a 60  giorni oltre "al tempo dell'impedimento", del periodo che può essere  preso in  considerazione ai fini della sospensione della prescrizione, trova  applicazione  soltanto per i rinvii di udienza determinati da impedimento di una della  parti o  di uno dei difensori e non anche ai rinvii di udienza concessi a seguito  di una  richiesta dell'imputato o del suo difensore (Cass., sez. I, 11.2.2009,  n. 5956;  sez. III, 28.1.2008, n. 4071);
 - il rinvio dell'udienza su richiesta del difensore che dichiara di  aderire  all'astensione collettiva non dà luogo ad un caso di sospensione per  impedimento  e, quindi, il corso della sospensione rimane sospeso per tutto il  periodo del  differimento (vedi Cass., sez. V, 11.8.2008, n. 33335; sez. I,  25.6.2008, n,  25714; sez. u 22.5.2008, n. 20574; sez. V, 3.12.2007, n. 44924);
 - la richiesta del difensore di rinvio dell'udienza per un concomitante  impegno  professionale non costituisce espressione di un'impossibilità assoluta a   partecipare all'udienza, ma una scelta del difensore per quanto  legittima,  sicché anche in tale ipotesi il corso della prescrizione resta sospeso  per tutto  il periodo del differimento, non applicandosi il limite massimo di 60  giorni di  cui al novellato art. 159 cod. pen. (vedi Cass., sez. I, 1.12.2008, n.  44609).
 5. Al rigetto del ricorso segue, a norma dell'ars. 616 c.p.p., l'onere  delle  spese del procedimento.
 P.Q.M.
 la Corte Suprema di Cassazione,
 visti gli arsi. 607, 615 e 616 c.p.p.,
 rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese  processuali.
ROMA, 24.3.2010
 
 DEPOSITATA IN CANCELLERIA il  24 Giu. 2010
 
                    




