 Cons. Stato Sez. IV n.1645 del 16 marzo 2011
Cons. Stato Sez. IV n.1645 del 16 marzo 2011
Urbanistica. Vincolo di rispetto cimiteriale
Il suolo assoggettato a vincolo di rispetto cimiteriale non appare suscettibile di una edificazione da effettuarsi in attuazione di atti di natura urbanistica (basati sulla legislazione ordinaria o su quella speciale), in considerazione del divieto previsto dall'art. 338 T.U.LL.SS.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
 N. 01645/2011REG.PROV.COLL.
 N. 10343/2002 REG.RIC.
 N. 10408/2002 REG.RIC.
 N. 00597/2009 REG.RIC.
 Il Consiglio di Stato
 
 in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
 ha pronunciato la presente
 SENTENZA
 sul ricorso numero di registro generale 10343 del 2002, proposto dalla  Associazione "Abitare Insieme", in persona del legale rappresentante pro  tempore, rappresentato e difeso dall'avv. Silvio Roberto Tarquini, con domicilio  eletto presso il signor Domenico Di Pietro in Roma, via Albano n. 98;
 contro
 la signora Presti Concetta Maria, rappresentata e difesa dagli avvocati Vincenzo  Cerulli Irelli, Concetta Maria Presti e Franco Gaetano Scoca, con domicilio  eletto presso il primo, in Roma, via Dora, n. 1;
 
 nei confronti di
 
 Il Comune di l'Aquila, in persona del legale rappresentante pro tempore, non  costitutosi nel secondo grado del giudizio;
 
 
 sul ricorso numero di registro generale 10408 del 2002, proposto dal Comune di  l'Aquila, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dagli  avvocati Paola Giuliani e Luciano Torelli, con domicilio eletto presso la  Segreteria di questa Sezione del Consiglio di Stato, in Roma, piazza Capo di  Ferro, 13;
 contro
 La signora Presti Concetta Maria, rappresentata e difesa dagli avvocati Vincenzo  Cerulli Irelli, Concetta Maria Presti e Franco Gaetano Scoca, con domicilio  eletto presso il primo, in Roma, via Dora, n. 1;
 
 
 sul ricorso numero di registro generale 597 del 2009, proposto dalla signora  Presti Concetta Maria, rappresentata e difesa dagli avvocati Vincenzo Cerulli  Irelli e Concetta Maria Presti, con domicilio eletto presso il primo, in Roma,  via Dora, n. 1;
 contro
 Il Comune di l'Aquila, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e  difeso dall'avv. Paola Giuliani, con domicilio eletto presso il signor Benedetto  Giovanni Carbone in Roma, via degli Scipioni, n. 288;
 
 nei confronti di
 
 L’Associazione Abitare Insieme e la s.r.l. Edilvit, rappresentati e difesi dagli  avv. Rodolfo Ludovici e Silvio Roberto Tarquini, con domicilio eletto presso la  signora Monica Scongiaforno in Roma, via Postumia, 3;
 i signori Ferri Gianluca Antonio Francesco, Ferri Alessia Francesca, la s.a.s.  Impresa Edile-Stradale di Martella Geom.Pasquale & C., l’Amministrazione  Provinciale di L'Aquila, Sportello unico per le attività produttive del Comune  di L'Aquila, la s.n.c. Torretta di Luca Cocciolone & C., in persona dei  rispettivi legali rappresentanti pro tempore;
 il signor Cocciolone Luca;
 il signor Martella Pasquale, rappresentato e difeso dagli avvocati Francesco  Camerini, Adriano Rossi, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato  Adriano Rossi in Roma, viale delle Milizie 1;
 
 per la riforma quanto ai ricorsi nn. 10343 del 2002 e 10408/2002, della sentenza  del T.a.r. Abruzzo - l'Aquila n. 00575/2001;
 
 quanto al ricorso n. 597 del 2009, della sentenza del T.A.R. Abruzzo - l'Aquila  n. 01141/2008;
 
 
 Visti i ricorsi in appello e i relativi allegati;
 Viste le memorie difensive;
 Visti tutti gli atti della causa;
 
 Relatore nell'udienza pubblica del giorno 19 ottobre 2010 il Cons. Andrea  Migliozzi e uditi per le parti gli avvocati Cerulli Irelli, Presti , Rossi e  Ludovici;
 
 Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
 FATTO
 1. La sig.ra Concetta Maria Presti, nella qualità di proprietaria di un  fabbricato ad uso abitazione sito in località Torretta del Comune di l’Aquila ,  in relazione ad una struttura residenziale da realizzarsi da parte  dell’Associazione “Abitare Insieme” sul lotto confinante la sua proprietà, da  adibire a residenze e servizi per un comunità alloggio, con ricorso n. 550 del  1999 impugnava innanzi al TAR per l’Abruzzo - l’Aquila - i seguenti atti:
 
 la deliberazione del Consiglio Comunale di l’Aquila n. 49 del 30 marzo 1998, di  approvazione della proposta di progettazione presentata dall’Associazione  “Abitare Insieme” ai sensi dell’art.10 della legge n.104 del 1992, per  realizzare una comunità alloggio;
 
 la convenzione stipulata tra il Comune e l’Associazione per la realizzazione del  progetto;
 
 il parere espresso dalla commissione edilizia comunale nella seduta del 3  settembre 1997;
 
 il parere della seconda commissione consiliare, espresso nella seduta del 28  marzo 1998.
 
 Con motivi aggiunti, l’interessata impugnava altresì la concessione edilizia  n.387 del 20 maggio 2000.
 
 2. Il TAR, con la sentenza n. 575 del 27 settembre 2001, accoglieva il proposto  ricorso, con annullamento degli atti impugnati, ritenendo, in particolare,  fondate le censure di cui al sesto, settimo, ottavo e nono motivo .
 
 3. Con il primo degli appelli in esame (n. 10343 del 2002), l’Associazione  “Abitare Insieme “ ha impugnato tale sentenza e ha dedotto articolati motivi di  gravame.
 
 La sig.ra Concetta Maria Presti si è costituita in giudizio con controricorso ed  ha proposto un appello incidentale avverso la stessa sentenza n. 575 del 2001,  riproponendo le censure non accolte in primo grado.
 
 La sentenza n. 575 del 2001 è stata appellata anche dal Comune di l’Aquila (con  il ricorso n. 10408 del 2002), che ha contestato le statuizioni di accoglimento  di alcune censure della originaria ricorrente.
 
 L’appellata si è costituita anche in questo giudizio con controricorso ed ha  proposto appello incidentale, corrispondente a quello proposto nel giudizio n.  10343 del 2002.
 
 4. La signora Maria Concetta Presti ha proposto ulteriori ricorsi contro altri  provvedimenti:
 
 - il ricorso n. 345 del 2001, contro la deliberazione del consiglio comunale di  L’Aquila n.38 del 19 marzo 2001, di adozione del Piano di riqualificazione  viabilità ‘Acqua santa – Collemaggio’;
 
 - motivi aggiunti del 16 settembre 2002, contro la delibera del consiglio  comunale n. 93 del 2002, di controdeduzioni alle osservazioni alla delibera n.  38 del 2001;
 
 - motivi aggiunti del 29 novembre 2002, contro la deliberazione comunale n. 1261  del 2002 di approvazione del medesimo Piano;
 
 - motivi aggiunti del 13 settembre 2003, contro la concessione edilizia n. 258  del 2003, rilasciata alla s.p.a. Impresa Martella per la costruzione di una  palazzina per civile abitazione e di una villetta bifamiliare;
 
 - motivi aggiunti del 13 maggio 2004, contro il permesso di costruire n. 194 del  4 maggio 2004 emesso sul progetto presentato dall’Associazione “Abitare insieme”  per la realizzazione di una comunità-alloggio;
 
 - motivi aggiunti del 5 ottobre 2006, contestando le denunce di inizio attività  n. 1192 del 2004 e 1507 del 2004, presentate dall’Associazione “Abitare  insieme”, rispettivamente per una variante in corso d’opera e una sanatoria  della concessione edilizia n. 194 del 2004;
 
 - motivi aggiunti del 9 gennaio 2008, contestato la dichiarazione di inizio  attività n. 529 del 2007, presentata dall’Associazione “Abitare Insieme”;
 
 - motivi aggiunti del 9 maggio 2008, avverso la medesima dichiarazione n. 529  del 2007;
 
 - il ricorso n. 253 del 2002, contro atti riguardanti il progetto edilizio  presentato dalla Società Torretta di Lucia Cocciolone;
 
 - il ricorso n. 705 del 2004, integrato da motivi aggiunti rispettivamente del  18 marzo 2005 e del 3 giugno 2008, contro le denunce di inizio attività con cui  è stato assentito il progetto della Società Edilvit.
 
 L’interessata ha anche formulato domande di risarcimento nei ricorsi nn. 345 del  2001 e 705 del 2004, sia in forma specifica che per equivalente, in ragione  delle conseguenze pregiudizievoli derivanti dall’edificazione, in termini di  perdita di visuale, luce ed aria per il fabbricato di sua proprietà.
 
 5. Su tutte tali impugnazioni e domande si è pronunciato il TAR per l’Abruzzo  con la sentenza n. 1141 del 2008, la quale ha così deciso:
 
 a) ha accolto il ricorso n. 345 del 2001 ed ha annullato gli atti ivi impugnati;
 
 b) ha dichiarato improcedibile il ricorso n. 253 del 2002, per sopravvenuto  difetto di interesse;
 
 c) ha accolto il ricorso n. 705 del 2004 ed ha annullato gli atti impugnati;
 
 d) ha condannato il Comune di L’Aquila al risarcimento dei danni in favore della  ricorrente “secondo i criteri e giusta le modalità di cui in motivazione”.
 
 6. Il Comune di L’Aquila ha proposto appello avverso la sentenza n. 1141 del  2008, chiedendo che siano integralmente respinte le domande di primo grado.
 
 Con un controricorso contenente un appello incidentale, anche la signora Presti  ha chiesto la riforma parziale della sentenza n. 1141 del 2008.
 
 Ella ha chiesto l’accoglimento delle censure assorbite in primo grado. nei  limiti del proprio interesse, e in particolare anche dell’atto di motivi  aggiunti del 13 settembre 2003 (di impugnazione della concessione edilizia n.  258 del 2003 rilasciata all’Impresa Martella) e dei motivi aggiunti al ricorso  n. 345 del 2001, rispettivamente del 13 maggio 2004, 12 luglio 2004, 5 ottobre  2006, 9 gennaio 2008 e 23 maggio 2008 (riferiti , quest’ultimo al ricorso n. 705  del 2004) e dei motivi aggiunti ai ricorsi nn. 345 del 2001 e 705 del 2004.
 
 L’interessata ha dedotto di avere interesse ad impugnare, in particolare, i capi  VI .3), IV, IV.1 e VII) della seconda sentenza del Tar Abruzzo, per la parte in  cui non ha integralmente accolto le sue domande.
 
 8. Questa Sezione - con l’ordinanza collegiale n. 3 del 2009 – ha riunito tutti  gli appelli in epigrafe indicati, “per evidenti ragioni di connessione  soggettiva ed oggettiva”.
 
 All’udienza pubblica del 19 ottobre 2010 la causa è stata trattenuta in  decisione.
 DIRITTO
 1. Gli appelli in esame, già riuniti con la ordinanza collegiale n. 3 del 2009,  riguardano tutti gli atti con cui il Comune di l’Aquila ha assentito la  realizzazione di opere edilizie, contestata dalla signora Presti con i ricorsi  di primo grado ed i relativi motivi aggiunti.
 
 2. Con l’appello n. 10343 del 2002, l’Associazione “Abitare insieme” – che ha  ottenuto i titoli per realizzare alcune delle opere edilizie – ha chiesto che,  in riforma della sentenza del TAR per l’Abruzzo n. 575 del 2001, siano respinte  le censure proposte dalla signora Presti:
 
 Anche il Comune di l’Aquila, con l’appello n. 10408 del 2002, ha impugnato la  sentenza n. 575 del 2001, formulando censure corrispondenti a quelle dedotte  dall’Associazione.
 
 Il TAR ha annullato alcuni atti (la delibera consiliare n. 49 del 1998 di  approvazione della proposta progettuale dalla Associazione, ai sensi dell’art.  10 della legge n. 104 del 1992, per realizzare una struttura residenziale da  adibire a comunità-alloggio; la convenzione stipulata tra il Comune e  l’Associazione il 16 marzo 1999; la concessione edilizia n. 387 del 2000,  rilevando effettivamente sussistenti i seguenti profili di illegittimità:
 
 - nella procedura di approvazione del progetto non sono state assicurate le  forme partecipative, mentre nella specie si sarebbero dovuti applicare gli artt.  7 e ss della legge n. 241 del 1990;
 
 - il fabbricato viene ad insistere nella fascia di rispetto cimiteriale e in  tale acclarata circostanza si rinviene il contrasto con le disposizioni di cui  all’art. 338 del testo unico delle leggi sanitarie, recanti il divieto di  costruzione nella fascia coperta dal vincolo di inedificabilità per esigenze  igienico-sanitarie;
 
 - non è stato acquisito il parere del servizio prevenzione e igiene ambientale  dell’USL nella fase immediatamente precedente all’approvazione del progetto;
 
 - le norme tecniche di attuazione del piano regolatore prevede, per le  attrezzature socio–sanitarie, l’utilizzazione di un lotto minimo di superficie  di 10.000 mq, mentre nella specie, la superficie disponibile risulterebbe di  5.089 mq.
 
 L’appellante Associazione ha dettagliatamente censurato ciascuna statuizione  sfavorevole della sentenza del TAR
 
 3. Ritiene la Sezione che le deduzioni dell’Associazione e del Comune (da  trattare congiuntamente perché sostanzialmente coincidenti, sia pure con  diversità lessicali) sono nel complesso infondate e vanno respinte, poiché la  sentenza del TAR ha correttamente verificato la sussistenza di vizi di cui sono  affetti gli atti impugnati in primo grado.
 
 3.1. In primo luogo, ha un rilievo decisivo la fondamentale questione relativa  ai profili di illegittimità dedotti dalla signora Presti, ritenuti fondati dal  TAR, costituiti dalla violazione dell’art. 338 del testo unico sulle leggi  sanitarie, con riguardo al vincolo di rispetto cimiteriale.
 
 L’Associazione appellante sostiene l’insussistenza del vizio di violazione delle  norma suindicata, poiché il progettato intervento edilizio ricadrebbe al di  fuori della fascia vincolata di 100 metri, che si dovrebbe calcolare dal muro di  cinta del cimitero, dovendosi ricondurre unicamente a tale ultima distanza la  fascia entro cui considerare il divieto di edificazione
 
 L’assunto difensivo non è condivisibile.
 
 Il richiamato art. 338 stabilisce che “i cimiteri debbono essere collocati a  distanza di almeno 200 metri dai centri abitati. E’ vietato di costruire intorno  agli stessi nuovi edifici e ampliare quelli esistenti entro il raggio di 200  metri”.
 
 Ora, anche a voler ritenere che l’erigenda struttura si collochi al di là e non  al di qua dei 100 metri di distanza dal perimetro cimiteriale, rimane il fatto  che il rispetto del divieto di edificazione di cui all’art. 338 va calcolato con  riferimento ad una fascia di rispetto di 200 metri, misurata dal muro di cinta  del cimitero, entro cui comunque il progettato intervento, come evidenziato  dalle risultanze documentali, viene a collocarsi, inverandosi così il contrasto  con il predetto articolo che al primo comma sancisce il divieto di nuove  costruzioni.
 
 L’Associazione insiste nella tesi che la fascia di rispetto sarebbe solo quella  fissata in 100 metri dal limite cimiteriale, poiché quella prevista dalla legge,  pari a 200 metri, sarebbe stata dimezzata dal Comune con propri provvedimenti.
 
 Tale tesi va però disattesa, perché infondata.
 
 Dalla documentazione acquisita, emerge che con la delibera n. 2014 del 6  dicembre 1972, la giunta comunale ridusse la fascia a 100 metri unicamente (come  si rileva dalla lettura sia della parte narrativa che di quella dispositiva)  allo scopo di ampliare il cimitero “limitatamente ai lati sud ed est, mentre  resta invariato per gli altrui lati”: in tali sensi si espresse anche l’Ufficio  del Medico provinciale, che - con atto del 27 dicembre 1972 - autorizzò la  riduzione in questione limitatamente ai lati interessati dai lavori di  ampliamento.
 
 Ne consegue che la riduzione della fascia ha operato unicamente in funzione del  soddisfacimento delle esigenze (allora rappresentate) di ampliamento di una  parte del cimitero, rimanendo del tutto inalterata la prescrizione legale di non  realizzare nuovi edifici o di ampliare quelli preesistenti entro la fascia dei  200 metri, da calcolare dal muro di cinta del cimitero.
 
 D’altra parte, il suolo assoggettato a vincolo di rispetto cimiteriale non  appare suscettibile di una edificazione da effettuarsi in attuazione di atti di  natura urbanistica (basati sulla legislazione ordinaria o su quella speciale),  in considerazione del divieto previsto dal medesimo art. 338 (ex plurimis, Cons  Stato, Sez. IV, 11 ottobre 2006, n. 6064; Sez.V, 3 maggio 2007).
 
 3.2. Anche se tale profilo risulta di per sé dirimente, ritiene la Sezione di  dover respingere anche le censure dell’appellante principale riguardanti il  vizio di carenza di istruttoria, pure correttamente rilevato dal Tar  relativamente all’assenza del necessario parere ai fini sanitari –ambientali  dell’USL, in ordine al progettato intervento.
 
 L’Associazione sostiene che all’adempimento istruttorio in discussione l’USL  abbia adempiuto con il “parere” del Servizio di prevenzione e igiene Ambientale  n.1267 del 15 marzo 1998.
 
 Osserva al riguardo la Sezione che, dall’esame del contenuto di tale atto,  emerge che il Responsabile del Servizio ha unicamente richiamato sulle questioni  l’attenzione della Ripartizione urbanistica del Comune di l’Aquila, senza  formulare una qualsiasi propria valutazione sulla idoneità igienico-sanitaria  della erigenda struttura e la mancata acquisizione della valutazione dell’organo  consultivo in questione nella fase preventiva di approvazione del progetto  stesso non può non avere una sua (negativa) incidenza in ordine alla legittimità  del progettato intervento edilizio
 
 Pertanto, gli atti impugnati in primo grado risultano affetti dal vizio di  carenza del previsto parere, sotto questo profilo non sostituibile da quello  emesso successivamente, in ordine al rilascio della relativa concessione  edilizia
 
 3.3. La sussistenza dei rilevati vizi, già riscontrati dal TAR, consente di  ritenere irrilevanti in questa sede, e conseguentemente impregiudicate, le  ulteriori questioni controverse tra le parti:
 
 - se siano state effettivamente violate le regole della partecipazione, nel  corso del procedimento;
 
 - se vi sia stata la violazione dell’art. 34 delle norme tecniche di attuazione,  per l’assenza del cd lotto minimo di 10.000 mq. 3.4.
 
 4. L’infondatezza dell’appello principale (quanto ai due profili sopra  evidenziati, che evidenziano due vizi che giustificano l’annullamento degli atti  impugnati in primo grado) non preclude di per sé l’esame delle censure con cui  la signora Presti, con i suoi appelli incidentali (proposti in entrambi gli  appelli principali), ha chiesto l’accoglimento delle censure respinte o  assorbite in primo grado.
 
 Infatti, ella in primo grado ha dedotto – quale ragione radicalmente escludente  la possibilità di applicare l’art. 10, comma 6, della legge n. 104 del 1992 –  che l’Amministrazione comunale non potrebbe a tal fine consentire la  realizzazione di ‘comunità-alloggio’, caratterizzate dalla collaborazione di  famiglie dedite al volontariato, che diano assistenza ai portatori di handicap.
 
 Ad avviso dell’appellante incidentale, in applicazione della medesima normativa  il Comune non potrebbe approvare un progetto caratterizzato, come nella specie,  dalla realizzazione di tre appartamenti destinati alla residenza di tre nuclei  familiari ‘normali’, in assenza di specifiche attrezzature e presidi sanitari  per la riabilitazione dei disabili.
 
 Ritiene la Sezione che le articolate doglianze della appellante incidentale  vadano respinte.
 
 L’art. 10, comma 6, della legge n.104 del 1992 si riferisce alle strutture da  adibire a comunità-alloggio, senza elencare le caratteristiche tipologiche di  tali strutture o richiedere determinati requisiti tecnici: le sue  caratteristiche possono essere ragionevolmente individuate dalle  Amministrazioni, che valutano le realtà locali, le esigenze da soddisfare, le  risorse umane e patrimoniali disponibili.
 
 Del tutto ragionevolmente, la legge n. 104 del 1992 può essere applicata mirando  all’inserimento e all’integrazione sociale delle persone disabili, anche con la  collaborazione di chi intenda svolgere attività di volontariato o comunque  intenda aiutare i più deboli.
 
 Proprio con la comunità-alloggio, l’Amministrazione può consentire lo  svolgimento di vite migliori, in ambienti per quanto possibili strutturati sul  modello di famiglie nelle quali i normodotati possano occuparsi dei disabili e  questi possano, per quanto possibile, incrementare o mantenere il loro  inserimento sociale.
 
 Nella specie, proprio la previsione progettuale dei tre appartamenti destinati a  “nuclei familiari normali” (beninteso, legittimati ad abitare nei medesimi  alloggi solo nel caso di perdurante puntuale rispetto degli obblighi e dei  compiti così assunti) evidenzia la ragionevolezza della soluzione e il rispetto  delle disposizioni legislative, da interpretare comunque nel senso che occorra  trovare in concreto la soluzione più consona alle loro esigenze.
 
 Sotto tale profilo, non rileva la mancata prevista presenza di attrezzature di  tipo medico, evidentemente perché i disabili da ospitare nella struttura con  tali caratteristiche – in ragione delle loro specifiche necessità ed esigenze -  vanno scelti più per consentire lo svolgimento di una loro vita dignitosa (con  interventi medici solo nel caso di necessità e agevolati dai doveri così assunti  dai componenti dei ‘nuclei normali’), piuttosto che per disporre lungodegenze da  gestire con specifici interventi medici o infermieristici.
 
 In sintesi, ritiene la Sezione che in linea di principio una comunità-alloggio,  del tipo preso in considerazione in sede amministrativa, possa senz’altro essere  pianificata in attuazione della legge n. 104 del 1992 (nel rispetto delle  procedure urbanistiche e dei vincoli di natura non urbanistica).
 
 5. Le ulteriori censure riproposte dall’appellante incidentale, riproposte in  questa sede, vanno dichiarate improcedibili per carenza di interesse, in ragione  della portata conformativa della presente sentenza e della necessità, per  l’Amministrazione, di rinnovare il procedimento ove intenda soddisfare gli  interessi sostanziali posti a base degli atti di cui si è riscontrata in questa  sede l’illegittimità.
 
 6. Vanno a questo punto esaminati gli appelli proposti avverso la sentenza del  TAR per l’Abruzzo n. 1141 del 14 ottobre 2008, che – pur avendo annullato alcuni  ulteriori e consequenziali provvedimenti amministrativi – ha accolto in parte le  domande proposte dalla signora Presti con i ricorsi n. 345 del 2001 e 745 del  2004 (e con i relativi motivi aggiunti).
 
 La signora Presti, con l’appello n. 597 del 2009, ha chiesto l’accoglimento  integrale dei ricorsi di primo grado.
 
 Il Comune di l’Aquila, nel medesimo giudizio n. 597 del 2009, ha proposto un  appello autonomo (ma inserito dalla Segreteria nello stesso fascicolo),  chiedendo la reiezione integrale dei ricorsi primo grado.
 
 7. Per il suo carattere preliminare, va esaminato con priorità l’appello (avente  natura autonoma) del Comune di l’Aquila, il quale ha formulato tre distinte  censure:
 
 - sarebbero inammissibili le doglianze proposte in primo grado dalla signora  Presti, perché non sarebbe titolare di alcun interesse legittimo in relazione  all’edificazione nella fascia cimiteriale;
 
 - non sussisterebbe la violazione dell’art. 338 del testo unico sulle leggi  sanitarie, poiché gli atti di programmazione urbanistica si muovono su un piano  diverso a autonomo rispetto alla disciplina sanitaria dettata in tema di  rispetto della fascia cimiteriale, sì da ritenersi insussistente la conseguente  dichiarata illegittimità dei permessi di costruire e degli altri titolo  abilitativi rilasciati in favore dell’Associazione “Abitare Insieme” e della  s.r.l. Edilvit.
 
 - la signora Presti non potrebbe fondatamente chiedere alcun risarcimento del  danno, poiché non sarebbe stata addotta né dimostrata alcuna violazione delle  norme edilizie.
 
 Ritiene la Sezione che l’appello del Comune sia infondato e vada respinto.
 
 7.1. La prima deduzione, secondo cui la signora Presti avrebbe proposto un  ricorso inammissibile, non tiene conto dei principi generali – elaborati dalla  pacifica giurisprudenza - riguardanti l’impugnativa dei titoli edilizi  abilitativi e degli atti presupposti di natura urbanistica.
 
 Possono infatti impugnare tali titoli coloro che sono titolari di un bene  immobile posto nei pressi dei luoghi ove vanno realizzate le opere.
 
 Con riferimento ai fondi interessati dalle edificazioni dell’Associazione  “Abitare Insieme “ e della s.r.l. Edilvit, la legittimazione ad impugnare i  provvedimenti sussiste perché la signora Presti è titolare di un immobile in  prossimità di quelli degli originari controinteressati: la legittimazione così  ravvisabile consente di dedurre ogni vizio di legittimità, anche quello  riguardante il mancato rispetto della fascia di rispetto cimiteriale.
 
 7.2. Circa la dedotta insussistenza del vizio di violazione dell’art. 338 del  testo unico, le deduzioni del Comune vanno respinte, per le medesime ragioni  evidenziate dal TAR con la prima sentenza n. 575 del 2001, confermata sul punto  dal precedente § 3.1.della presente sentenza.
 
 Contrariamente a quanto ha reieteratamente dedotto il Comune, il Collegio non  può che ribadire che il regime giuridico della fascia di rispetto cimiteriale  non può essere modificato con i provvedimenti di natura urbanistica previsti  dalla legislazione (anche dalla legge n. 104 del 1992).
 
 7.3. Risultano altresì infondate le critiche dell’Amministrazione al capo della  sentenza n. 1140 del 2001, con cui il TAR ha ravvisato la sussistenza di un  danno risarcibile.
 
 L’appellante nega tale sussistenza, poiché non sarebbero state violate nella  specie le disposizioni in materia di distanze o di standard urbanistici.
 
 Osserva la Sezione che in linea di principio è risarcibile il danno cagionato al  vicino, che impugni tempestivamente e fondatamente il titolo abilitativo che  abbia consentito la realizzazione di un manufatto, anche quando il vizio del  titolo consiste nella violazione della disciplina riguardante un vincolo non  urbanistico (paesaggistico, archeologico, idrogeologico, autostradale,  cimiteriale, ecc.), purché risulti la diminuzione del godimento del suo bene  (sotto il profilo del soleggiamento, della amenità, del panorama e comunque  sotto ogni profilo che comporta, anche per il maggiore carico urbanistico, il  relativo deprezzamento).
 
 E’ quanto risulta avvenuto nel caso di specie, poiché le edificazioni  illegittimamente consentite dal Comune nell’area oggetto del vincolo cimiteriale  sono state idonee ad incidere sul valore del bene dell’appellante, come  correttamente osservato dal TAR mediante l’elaborazione dei relativi criteri di  quantificazione.
 
 L’appello del Comune va dunque respinto.
 
 In assenza di censure sul punto, la Sezione non può pronunciarsi sulle  specifiche responsabilità e in ordine ai criteri in base ai quali andrà  ripartita tra i soccombenti la somma da corrispondere alla signora Presti.
 
 8. Si deve dunque passare all’esame dell’appello principale n. 597 del 2007, con  cui la signora Presti ha chiesto – in parziale riforma della sentenza n. 1141  del 2008 – l’accoglimento di ulteriori sue pretese già formulate in primo  grado..
 
 Più specificatamente, con i primi due motivi l’interessata intende ottenere la  riforma dei capi della sentenza con cui il TAR:
 
 - ha indicato i criteri di quantificazione del risarcimento del danno in forma  equivalente;
 
 - ha dichiarato inammissibile l’impugnativa della concessione edilizia n. 258  del 25 giugno 2003, rilasciata all’Impresa Edile Martella (contestata con i  motivi aggiunti al ricorso n. 345 del 2001, notificati il 12 settembre 2003).
 
 L’appellante ha lamentato l’erroneità del parametro di valutazione indicato dal  TAR ai fini della determinazione dell’equivalente monetario del danno subito,  erroneamente individuato nel 30% del valore del bene, da rapportarsi,  quest’ultimo, a quello risultante dagli estimi catastali.
 
 Ella ha censurato anche la dichiarazione di inammissibilità del ricorso proposto  avverso la concessione edilizia, essendovi un suo evidente interesse.
 
 Infine, l’appellante ha chiesto la riforma del capo della sentenza relativo alla  condanna alle spese , ritenendo la misura della liquidazione operata dal Tar,  che non risulterebbe adeguata all’attività difensiva svolta e alla complessità  del contenzioso.
 
 Ritiene la Sezione che l’appello n. 597 del 2007 della signora Presti vada solo  in parte accolto.
 
 8.1. Risulta fondata, e va accolta, la censura formulata nei confronti della  statuizione con cui il TAR, senza motivazione specifica, ha fissato la misura di  tale valore nella percentuale del 30% , discostandosi dalla percentuale del 40%,  indicata nella perizia extragiudiziale giurata, prodotta nel corso del giudizio  di primo grado, e supportata col riferimento a specifici criteri,
 
 Pertanto, ad integrazione dei criteri già formulati dal TAR, l’Amministrazione  si formerà un proprio convincimento ai sensi dell’allora vigente art. 35 del  d.lg. n. 80 del 1998, applicato dal TAR, anche sulla base di quanto è desumibile  dalla medesima perizia: ove sia proposto il ricorso d’ottemperanza ex art. 35,  in sede giurisdizionale sarà dunque sindacabile e valutabile anche tale aspetto.
 
 8.2. Risultano altresì fondate e vanno accolte anche le censure rivolte contro  la dichiarazione di inammissibilità dei motivi aggiunti, proposti avverso i  titoli abilitativi conseguiti dall’Impresa Martella .
 
 Come già si è osservato al § 7.1., per la pacifica giurisprudenza, che il  collegio condivide e fa propria, la legittimazione ad impugnare un concessione  edilizia sussiste per il fatto che il terzo si trovi in un situazione di stabile  collegamento con la zona interessata alla costruzione (cfr, ex plurimis, Cons  Stato, Sez. IV, 30 novembre 2009, n. 7491)
 
 Nella specie, tra gli immobili in questione (l’immobile di cui è proprietaria la  signora Presti e l’area di cui è proprietaria l’Impresa Martella) vi è una  distanza di circa trecento metri, tale da doverli considerare prossimi.
 
 Da un lato, i titoli edilizi in questione sono stati conseguiti in attuazione  degli atti di pianificazione risultati illegittimi, e riguardanti una specifica  e delimitata area del territorio comunale.
 
 Dall’altro, la distanza tra le due aree è tale da far ritenere del tutto  ragionevole la deduzione secondo cui l’incremento degli insediamenti abitativi è  idoneo a incidere negativamente sulla qualità della vita dei residenti e sul  valore degli immobili della zona.
 
 Quanto ai vizi dei medesimi titoli, essi effettivamente risultano, perché si  sono basati sugli atti di pianificazione annullati: risulta dunque fondata la  dedotta censura di illegittimità derivata.
 
 8.3. Tenuto conto degli effetti pregiudizievoli derivanti dall’intervenuta  edificazione e ravvisabili, in particolare, nella riduzione di visuale, luce ed  aria al fabbricato di proprietà, la valutazione del danno, ai fini del  risarcimento in forma di equivalente monetario, stante la insufficienza degli  elementi probatori posti a sostegno della relativa domanda, è stata dal TAR  effettuata correttamente secondo il metodo equitativo, prendendo a base della  relativa quantificazione un dato non incongruo e neppure irragionevole, quale il  valore dell’immobile desumibile dagli estimi catastali.
 
 L’appellante sostiene che il parametro di riferimento da utilizzarsi per la  quantificazione de qua debba essere il valore venale in comune commercio, ma  nella specie non sono dedotte né provate circostanze in ordine alla messa in  vendita e commercializzazione dell’immobile, per cui il dato oggettivo da  prendersi a calcolo non può essere che quello legale e cioè il valore derivante  dallo sviluppo della rendita catastale
 
 8.4. Va altresì respinto il motivo con cui si è chiesta la riforma del capo  della sentenza riguardante la liquidazione delle spese del primo grado del  giudizio.
 
 Il TAR ha liquidato le spese sulla base di un criterio equitativo e non v’è  dubbio che il giudice di primo grado sia titolare di un proprio potere  discrezionale, per valutare ogni elemento al fine di emettere la statuizione  relativa, senza peraltro indicarne le specifiche ragioni, purché siano  rispettate le regole della soccombenza, nella specie rispettate in modo  indiscusso.
 
 8.5. Conseguentemente, vanno respinte tutte le deduzioni dell’Associazione  “Abitare insieme” e della s.r.l. Edilvit, coincidenti con quelle formulate dal  Comune, che sono state respinte, ovvero quelle contrastanti con le deduzioni  risultate fondate della signora Presti.
 
 9. Per le ragioni che precedono, vanno respinti gli appelli principali n. 10343  del 2002 e n. 10408 del 2002, con parziale reiezione dell’appello incidentale  della signora Presti, va respinto l’appello autonomo proposto dal Comune e  inserito nel giudizio n. 597 del 2009, mentre va accolto in parte l’appello  della signora Presti n. 597 del 2009.
 
 La sentenza gravata va dunque in parte confermata, mentre va riformata:
 
 - quanto ai criteri riguardanti la determinazione del danno risarcibile;
 
 - in ragione dell’annullamento dei titoli edilizi rilasciati alla Impresa  Martella.
 
 Le spese e le competenze del presente grado del giudizio seguono la regola della  soccombenza e vengono poste a carico del Comune di l’Aquila, dell’Associazione  “Abitare Insieme, della s.r.l. Edilvit e della Impresa Martella, nella misura  indicata in dispositivo.
 P.Q.M.
 Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta) definitivamente  pronunciando sugli appelli riuniti, come in epigrafe, proposti, così dispone:
 
 - rigetta – nei sensi indicati in motivazione - gli appelli principali n. 10343  del 2002 e n. 10408 del 1002 e, quanto all’appello incidentale della signora  Presti, in parte lo respinge e in parte lo dichiara improcedibile;
 
 - respinge l’appello autonomo del Comune, inserito nel fascicolo n. 597 del  2009;
 
 - accoglie in parte - nei sensi indicati in motivazione - l’appello principale  n. 597 del 2009 e per l’effetto, in parziale riforma della sentenza del TAR per  l’Abruzzo n. 1141 del 2008, annulla i titoli edilizi impugnati in primo grado,  emessi in favore della Impresa Martella, e determina il criterio di cui al §  8.1. della motivazione;
 
 - respinge le deduzioni dell’Associazione “Abitare insieme” e della s.r.l.  Edilvit, come indicato al § 8.5. della motivazione;
 
 - condanna il Comune di l’Aquila, l’Associazione “Abitare Insieme “, la s.r.l.  Edilvit e la Impresa Martella al pagamento delle spese e degli onorari del  presente grado del giudizio, che si liquidano complessivamente in euro 16.000,00  (sedicimila), oltre IVA e CPA. (in quanto dovuti), nella misura di quattromila  nei confronti di ciascuna di esse e col vincolo di solidarietà.
 
 Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
 
 Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 19 ottobre 2010 con  l'intervento dei magistrati:
 
 Luigi Maruotti, Presidente
 Pier Luigi Lodi, Consigliere
 Anna Leoni, Consigliere
 Salvatore Cacace, Consigliere
 Andrea Migliozzi, Consigliere, Estensore
 
 L'ESTENSORE
IL PRESIDENTE
 
 
 DEPOSITATA IN SEGRETERIA
 Il 16/03/2011
 
                    




