L’istituto dell’asservimento e la cessione di cubatura.
di Antonio VERDEROSA
L'asservimento di un fondo ad un altro, consistente nella volontaria rinuncia alle possibilità edificatorie di un lotto in favore del loro sfruttamento in un'altra particella, serve ad accrescere la potenzialità edilizia di un'area per mezzo dell'utilizzo, in essa, della cubatura realizzabile in una particella contigua e del conseguente computo anche della superficie di quest'ultima, ai fini della verifica del rispetto dell'indice di fabbricabilità fondiaria(cfr. Consiglio di Stato, sez. V, 13 settembre 2013, n. 4531).L’istituto del trasferimento di cubatura ha trovato la propria specifica ragion d’essere dopo l’introduzione dei limiti inderogabili di densità edilizia in base all’art. 17 della legge n. 765 del 1967, norma che ha introdotto l’art. 41- quinquies della L.U. n. 1150 del 1942, nonché con l’introduzione degli standard edilizi di cui al D.M. n. 1444/1968.
In particolare, l’art. 41- quinquies della legge urbanistica ha stabilito che il piano regolatore debba prevedere limiti inderogabili di densità edilizia, rapporti massimi tra spazi destinati agli insediamenti residenziali e produttivi e spazi pubblici o riservati alle attività collettive, a verde pubblico o a parcheggi. Inoltre, è previsto che tali limiti debbano essere definiti per zone territoriali omogenee.
In tal modo lo jus aedificandi, inerente alla proprietà del suolo e di essa manifestazione, può essere attuato secondo quanto previsto dagli atti di pianificazione, i quali ne stabiliscono, oltre che la destinazione, gli indici di edificazione. Questi ultimi, a loro volta, in rapporto all’estensione dell’area, determinano la capacità edificatoria (o cubatura) realizzabile (Cons. Stato, Sez. IV, sent. n. 4647 del 2008).
Con l’accentramento di cubatura, la capacità edificatoria viene incrementata mediante il trasferimento di diritti edificatori provenienti da un’altra area, che ne rimane priva, in tutto o in parte, mentre tali diritti sono utilizzati dal fondo ricevente.
L’istituto in questione è frutto di copiosa elaborazione giurisprudenziale. Infatti, pur in assenza di un’espressa disposizione scritta, la giurisprudenza – e in particolare la giurisprudenza amministrativa – ha riconosciuto che i diritti edificatori che un terreno possiede possono essere trasferiti poiché gli stessi costituiscono un’utilità separata dal terreno cui ineriscono (v. inizialmente Cons. Stato, sez. V, 28 giugno 1971, n. 632; Cons. Stato, sez. V, 23 febbraio 1973, n. 178; Cass. civ., sez. II, 29 giugno 1971, n. 4245; poi anche sez. V, n. 3637 del 2000, n. 400 del 1998, n. 1382 del 1994, n. 291 del 1991) .
La ratio del c.d. “asservimento” (del fondo che si priva della propria capacità edificatoria in favore del fondo che la riceve) consiste nell’interesse della p.a. affinché sia osservato il rapporto tra superficie edificabile e volumi realizzabili nell’area interessata. Al tempo stesso, tale interesse risiede nella sostanziale indifferenza alla materiale collocazione dei fabbricati, fermi restando evidentemente i limiti di cubatura realizzabile in un determinato ambito territoriale, fissati dal piano, oltre al rispetto delle distanze e delle eventuali prescrizioni sulla superficie minima dei lotti (cfr. Cons. Stato, sez. V, 22 ottobre 2007, n. 5496; Cons. Stato, sez. IV, 4 maggio 2006, n. 2488; Cons. Stato, sez. V, 3 marzo 2003, n. 1172; Cons. Stato, sez, V, 11 aprile 1991, n. 530; Cons. Stato, sez. IV, 19 dicembre 1987, n. 795) .
Il trasferimento di cubatura è tuttavia subordinato al soddisfacimento, pena l’illegittimità dell’atto che lo acconsente, di alcuni presupposti inderogabili:
i) l’omogeneità di destinazione d’uso (Cons. Stato, sez. IV, 4 maggio 2006, n. 2488; Cons. Stato, sez. V, 30 ottobre 2003, n. 6734; Cons. Stato, sez. V, 30 aprile 1994, n. 193; Cons. Stato, sez. V, 4 gennaio 1993, n. 26; Cons. Stato, sez. V, 19 marzo 1991, n. 291) ;
ii) la contiguità territoriale: i fondi, seppur non necessariamente adiacenti, devono essere significativamente vicini (cfr. Cons. Stato, sez. V, 10 marzo 2003, n. 1278), altrimenti ne risulterebbero stravolte proprio le previsioni di piano sulla densità edificatoria di zona e incrinata l’inderogabilità delle relative prescrizioni;
iii) la possibilità che gli stessi strumenti urbanistici vietino, in via immediata e diretta, tali operazioni per alcune aree oppure adottino scelte sui limiti di volumetria che conducano a un esito analogo (Cass. civ., sez. V, 14 maggio 2007, n. 10979; Cass. civ., sez. V, 14 maggio 2003, n. 7417) .
E’ stato affermato che:
- “un’area edificatoria già utilizzata a fini edilizi è suscettibile di ulteriore edificazione solo quando la costruzione su di essa realizzata non esaurisca la volumetria consentita dalla normativa vigente al momento del rilascio dell’ulteriore (nuovo) permesso di costruire, dovendosi considerare non solo la superficie libera e il volume ad essa corrispondente, ma anche la cubatura del fabbricato preesistente al fine di verificare se, in relazione all’intera superficie dell’area (superficie scoperta più superficie impegnata dalla costruzione preesistente), residui l’ulteriore volumetria di cui si chiede la realizzazione, a nulla rilevando che questa possa insistere su una parte del lotto in seguito catastalmente divisa, dovendosi considerare irrilevanti i frazionamenti delle proprietà private medio tempore intervenuti;
- quando “un’area edificabile viene successivamente frazionata in più parti tra vari proprietari, la volumetria disponibile nell’intera area permane invariata, sicché, qualora siano già state realizzate sul lotto originario una o più costruzioni, i proprietari dei vari terreni, in cui detto lotto sia stato successivamente frazionato, hanno a disposizione solo la volumetria che eventualmente residua tenuto conto di quanto originariamente costruito”;
- qualora un “lotto urbanisticamente unitario sia già stato oggetto di uno o più interventi edilizi, la volumetria residua, o la superficie coperta residua, va calcolata previo decurtamento di quella in precedenza realizzata, con irrilevanza di eventuali successivi frazionamenti catastali o alienazioni parziali, onde evitare che il computo dell’indice venga alterato con l’ipersaturazione di alcune superfici al fine di creare artificiosamente disponibilità nel residuo” (Cons. Stato n. 2215/2019, n. 2941/2012).
Sulla scorta dei suindicati principi, la giurisprudenza ha riconosciuto corretto seguire il criterio “doppia conformità edificatoria” al fine di valutare la residua edificabilità di un lotto.
Tale metodo consiste nella ricerca storica della legittimazione urbanistica ed edificatoria mediante la ricostruzione (i) dei passaggi e delle relative trasformazioni correlate agli indici di densità edilizia, riferita alle zone territoriali, e fondiaria riferita al singolo lotto, (ii) della storia dei vari passaggi per la titolarità e proprietà intervenuti nel tempo.
Più in particolare, le verifiche di legittimazione urbanistica delle volumetrie devono ricostruire tutti i passaggi precedenti in termini di:
- passaggi di proprietà,
- provvedimenti urbanistico-edilizi (titoli edilizi abilitativi, certificati di agibilità, planimetrie catastali);
- pianificazione territoriale (succedutasi nel corso del tempo).
Secondo tale incedere, le cubature e le volumetrie restano opportunamente asservite o ancorate ai lotti edificati di riferimento, restando irrilevante il successivo evolversi dell’assetto della situazione proprietaria, catastale e tavolare.
La logicità e ragionevolezza del menzionato criterio (ovvero della doppia valutazione, odierna e storica, delle cubature derivate e originarie) è stata rinvenuta nella opportunità di evitare l’effetto di moltiplicare e superare le volumetrie massime ammissibili dello strumento urbanistico comunale.
L’applicazione corretta del metodo in questione sconta, infine e più in generale, il principio logico e imprescindibile secondo cui il concetto di asservimento si traduce in un rapporto indissolubile tra costruzione di certa volumetria e lotto originario di pertinenza che l’ha legittimata.
La carenza di tali presupposti determinerebbe, infatti, conseguenze irreparabili sulla conformazione del suolo urbano, conseguenze che il legislatore aveva prevenuto introducendo per l’appunto l’art. 41- quinquies della l. n. 1150 del 1942 e gli standard edilizi di cui al D.M.n. 1444/1968.
Se ciò non fosse verrebbe ad essere consentita la concentrazione edificatoria solo su alcune parti di Piano, con la conseguenza che si eliminerebbero dalle stesse gli standard (opere di urbanizzazione primaria, secondaria e limiti volumetrici assentitili).
Ne discende che un'area sia suscettibile di ulteriore edificazione, soltanto nel caso in cui la costruzione già realizzata non esaurisca la volumetria già consentita dalla normativa vigente al momento del rilascio dell'ulteriore concessione edilizia (Cons. Stato, sez. V, 26 novembre 1994, n. 1382; 7 novembre 1990, n. 766; 23 febbraio 1973, n. 178).
Ogni fabbricato che realizzi una volumetria abitabile assorbe una volta e per sempre la c.d. potenzialità edificatoria - risultante dall'indice di edificabilità - dell'area sulla quale insiste.
Ciò significa, come pacificamente affermato dalla giurisprudenza (Cons. Stato, sez. V, 28.5.2012 n. 3120; Id., 12.7.2004 n. 5039; Id., 27.6.2006 n. 4117; Id, 28.2.2001 n. 1074; Cons. Stato, sez. IV, 6.5.2013 n. 2442; Id., 22.5.2012 n. 2941) , che la costruzione eseguita su un'area, che venga poi frazionata in più particelle catastali, continua ad assorbire (o a "saturare") la potenzialità edificatoria anche delle particelle successivamente "staccate",
Del resto, se così non fosse sarebbe agevole aggirare la normativa sugli indici di edificabilità, volta proprio a limitare la potenzialità edificatoria delle aree: sarebbe sufficiente costruire su una parte marginale di ogni area, e poi procedere al frazionamento della stessa e chiedere una nuova concessione per edificare sulla porzione rimasta libera dall'ingombro volumetrico realizzato dalla costruzione, e poi procedere ad ulteriori frazionamenti in modo da edificare ogni volta sui relitti di area via via rimasti sgombri.
Questo perché, ai fini del calcolo della volumetria realizzabile, infatti, non rileva la circostanza che l'unico fondo del proprietario sia stato suddiviso in catasto in più particelle, dovendosi verificare l'esistenza di più manufatti sul fondo dell'originario unico proprietario (Cons. Stato, Sez. V, 26 novembre 1994 n. 1382).
Allorché un'area edificabile venga successivamente frazionata in più parti tra vari proprietari, infatti, la volumetria disponibile ai sensi della normativa urbanistica nell'intera area permane invariata, con la duplice conseguenza che, nell'ipotesi in cui sia stata già realizzata sul fondo originario una costruzione, i proprietari dei vari terreni, in cui detto fondo è stato frazionato, hanno a disposizione solo la volumetria che residua tenuto conto dell'originaria costruzione e in proporzione della rispettiva quota di acquisto (Cons. Stato, sez. IV, 16 febbraio 1987 n. 91).
Il calcolo della volumetria realizzabile su di un lotto edificabile deve essere operato detraendo dalla cubatura richiesta quella relativa al fabbricato preesistente, in modo da determinare se residui un'ulteriore volumetria assentibile, a nulla rilevando il fatto che questa possa insistere su particelle che erano catastalmente divise (sez. V, 26 settembre 2008, n. 4647; 12 maggio 2008, n. 2177; 23 agosto 2005, n. 4385; 29 giugno 1979, n. 442); TAR Salerno, 636/2013).
Lo stesso Cons. giust. amm. Sicilia sez. giurisd., nella sentenza del 14/05/2019, n.430, precisa che “né, al fine di computare se vi sia - e quale sia - l'indice di edificabilità residuo di un'area occorre fare riferimento ad un formale ed originario atto di asservimento, ben potendo l'Amministrazione effettuare il calcolo (della residua capacità edificatoria di un'area) solamente nel momento in cui è chiamata a provvedere in ordine alla richiesta di una nuova concessione; ciò che determina il c.d. vincolo di inedificabilità per intervenuto asservimento di cubatura o assorbimento di cubatura - consistente nel fatto che fra la volumetria di ogni fabbricato e la superficie che lo ospita deve esistere un determinato rapporto definito per legge (con conseguente asservimento alla costruzione dell’area ospitante, la quale perde ogni ulteriore potenzialità edificatoria, che rimane, per l'appunto, assorbita dalla costruzione) - non è il formale provvedimento con cui l'Amministrazione affermi la sussistenza di tale stato (di limitata utilizzabilità a scopo edificatorio) dell'area, ma la circostanza (di fatto) che l'area risulti gravata dall'insistenza, su essa, di un fabbricato”.
Il TAR Napoli, sez. VII, nella sentenza del 2010/7042, statuisce che: “È altresì pacifico che ai fini della quantificazione della volumetria residua disponibile di un lotto parzialmente edificato occorra considerare tutte le costruzioni che insistono sull'area; tra tali costruzioni vanno dunque inserite anche quelle abusive, purché oggetto di una domanda di condono e dunque, almeno fino alla definizione di tale domanda in senso negativo, non sanzionabili con la demolizione: anche tali manufatti concorrono a determinare una saturazione dell’area, né sembra ragionevole escludere dalla volumetria assentibile quella già sfruttata, sia pure per mezzo di opere abusive successivamente condonate” .
Da tali premesse interpretative giurisprudenziali discendono le seguenti considerazioni :
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ciò che rileva considerare tutti i volumi esistenti e che l’intera volumetria realizzabile sia stata raggiunta, è la verifica degli indici di zona. Ciò comporta che non si può in linea di principio, in alcun modo derogarsi(salve le ipotesi eccezioni proprie riconducibili ad una legislazione di condono)alle prescrizioni contenute nello strumento urbanistico, volto notoriamente a regolare l’uso del territorio comunale in modo conforme, coerente ed adeguato ai connessi interessi pubblici, così come discrezionalmente apprezzati proprio (ed esclusivamente) dall’amministrazione comunale (Cons. Stato, 2012/3120);
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di qui l’inconferenza delle tesi di molti privati secondo cui nel calcolo della cubatura esistente, non possono essere computati i volumi espressi da immobili abusivi condonati successivamente alla data di adozione degli strumenti urbanistici né va inclusa quella di immobili per i quali il procedimento di condono risulta ancora pendente.
E’ comunque il caso di precisare che l’approccio seguito risulta ragionevole e legittimo, in quanto mira prudenzialmente ad evitare che l’edificazione progettata possa tradursi in un consumo di suolo e in un aggravio del carico urbanistico esorbitanti dai parametri di zona, nell’ipotesi in cui le volumetrie esistenti, non ancora legittimate, lo diventino in esito alla definizione dei correlativi procedimenti di sanatoria pendenti.
In proposito la IV ^ SezionedelConsiglio di Statocon laSentenza n°4143del 07.09.2011 sancisce in materia di asservimento il principio secondo cui “(…) I terreni da cui è stata “prelevata" la cubatura non beneficiano degli incrementi di potenzialità edificatoria dettati in un secondo tempo da un diverso strumento urbanistico, non esprimono ulteriore capacità edificatoria anche in caso di variante del Prg migliorativa degli indici di fabbricabilità e non sono da considerarsi aree libere (…)”..
Si sottolinea come «il concetto di “asservimento” di un’area ad una costruzione è concetto giuridico e non empirico; sicché per potersi parlare di asservimento non è sufficiente che un’area sia “di fatto” al servizio di un edificio ma occorre che essa abbia ricevuto una tale destinazione o da uno strumento urbanistico o dalle vigenti norme del regolamento edilizio, ovvero, ancora, da un impegno del privato costruttore (che può risultare anche dalla domanda di concessione edilizia), o di altri proprietari, in ogni caso recepiti in sede di rilascio della concessione edilizia, ovvero da una clausola apposta alla concessione medesima».
Al riguardo si osserva che, in caso di istanza di sanatoria, è necessario che l’istante dimostri la disponibilità giuridica dell’area, avente la medesima destinazione urbanistica, da vincolare a servizio del manufatto abusivo, disponibilità che deve sussistere sia al momento della realizzazione del fabbricato sia al momento dell’accertamento. In ogni caso la giurisprudenza dell’Adunanza plenaria de Consiglio di Stato, del 23 aprile 2009, n. 3 stabilisce un principio di specifico rilievo: nel determinare la volumetria massima assentibile su un'area sulla quale insiste un edificio costruito in tempo risalente, non si può affermare che quanto realizzato in precedenza debba essere automaticamente computato, essendo invece necessario far riferimento alla effettiva situazione dell'immobile, per verificare se in concreto sia rinvenibile o meno una situazione di asservimento. A tal fine verranno in rilievo i dati reali costituiti dal modo in cui gli immobili si trovano e dalle relazioni che intrattengono con l'ambiente circostante.
La citata giurisprudenza rileva anche che dai titoli edilizi abilitativi - il cui rilascio definisce le potenzialità edificatorie di un fondo determinandone anche la cubatura assentibile in relazione ai limiti imposti dalla normativa urbanistica - sorge un vincolo di asservimento per cui, una volta esaurite le predette potenzialità, le restanti parti del fondo sono sottoposte ad un regime di inedificabilità che discende ope legis dall'utilizzazione del fondo medesimo.
Con la cessione di cubatura, la capacità edificatoria viene incrementata con il trasferimento di diritti edificatori provenienti da un’altra area, che ne rimane priva, in tutto o in parte, mentre tali diritti sono utilizzati dal fondo ricevente. Il presupposto logico del c.d. ‘asservimento’ (del fondo che si priva della propria capacità edificatoria in favore del fondo che la riceve) consiste nell’interesse della p.a. affinché sia osservato il rapporto tra superficie edificabile e volumi realizzabili nell’area interessata ma, al tempo stesso, nella sostanziale indifferenza alla materiale collocazione di fabbricati, fermi restando evidentemente i limiti di cubatura realizzabile in un determinato ambito territoriale, fissati dal piano, oltre al rispetto degli delle distanze e delle eventuali prescrizioni sulla superficie minima dei lotti.
Il trasferimento della cubatura è tuttavia subordinato al soddisfacimento, pena l’invalidità dell’asservimento, di alcuni presupposti:
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l’omogeneità di destinazione d’uso (Cons. Stato, sez. IV, 4 maggio 2006, n. 2488; Cons. Stato, sez. V, 30 ottobre 2003, n. 6734; Cons. Stato, sez. V, 30 aprile 1994, n. 193; Cons. Stato, sez. V, 4 gennaio 1993, n. 26; Cons. Stato, sez. V, 19 marzo 1991, n. 291);
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a contiguità territoriale (i fondi, seppur non necessariamente adiacenti, devono essere significativamente vicini, cfr. Cons. Stato, sez. V, 10 marzo 2003, n. 1278), altrimenti ne risulterebbero stravolte proprio le previsioni di piano sulla densità edificatoria di zona e incrinata l’inderogabilità delle relative prescrizioni;
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la possibilità che gli stessi strumenti urbanistici vietino, in via immediata e diretta, tali operazioni per alcune aree oppure adottino scelte sui limiti di volumetria che conducano a un esito analogo (Cass. civ., sez. V, 14 maggio 2007, n. 10979; Cass. civ., sez. V, 14 maggio 2003, n. 7417)”.
Coerentemente con i principi richiamati, la giurisprudenza amministrativa, per la legittimità della cessione di cubatura, richiede non solo l’omogeneità d’area territoriale ma anche la contiguità dei fondi, e ha riconosciuto utilizzabili asservimenti riferiti ad aree, anche se non contigue sul piano fisico, vicine però in modo significativo (Cons. Stato, sez. VI, n. 1515 del 2016, in precedenza cfr. ad es. Cons. Stato, Sez. VI, n. 6734 del 2003). La giurisprudenza è inoltre intervenuta per chiarire i rapporti tra strumenti di pianificazione, densità edilizia territoriale, densità edilizia fondiaria e la necessità che l’indice di edificabilità sia rapportato all’effettiva superficie suscettibile di edificazione in modo da potere individuare la volumetria assentibile con il permesso di costruire (cfr. Cons. Stato, sez. IV, n. 5419 del 2017)”.
Ebbene, la cessione di cubatura non può essere esclusa o limitata da una previsione di piano.