| SENTENZA N. 205 ANNO 2011 
 REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE COSTITUZIONALE composta dai signori:  Presidente: Alfonso QUARANTA; Giudici : Paolo                   MADDALENA, Alfio                  FINOCCHIARO, Franco                  GALLO, Luigi                  MAZZELLA, Gaetano                 SILVESTRI, Sabino                 CASSESE, Giuseppe                TESAURO, Paolo Maria            NAPOLITANO, Giuseppe                FRIGO, Alessandro             CRISCUOLO, Paolo                  GROSSI,  Giorgio                LATTANZI, 
 ha pronunciato la seguente SENTENZA nei giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 15,  comma 6-ter, lettere b) e d) e comma 6-quater, del decreto-legge 31  maggio 2010, n. 78 (Misure urgenti in materia di stabilizzazione  finanziaria e competitività economica), convertito, con modificazioni,  dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, promossi con ricorsi delle Regioni  Liguria ed Emilia-Romagna, notificati il 28 settembre 2010, depositati  in cancelleria il 6 ottobre 2010 ed iscritti ai nn. 102 e 106 del  registro ricorsi 2010. Visti gli atti di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri; udito nell’udienza pubblica dell’8 giugno 2011 il Giudice relatore Giuseppe Frigo; uditi gli avvocati Giandomenico Falcon e Luigi Manzi per  le Regioni Liguria ed Emilia-Romagna e l’avvocato dello Stato Antonio  Tallarida per il Presidente del Consiglio dei ministri. 
 Ritenuto in fatto 1. – Con ricorso notificato il 28 settembre 2010 e  depositato il successivo 6 ottobre (r. ric. n. 102 del 2010), la Regione  Liguria ha impugnato numerose disposizioni del decreto-legge 31 maggio  2010, n. 78 (Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e  competitività economica), convertito, con modificazioni, dalla legge 30  luglio 2010, n. 122 e, tra queste, l’art. 15, commi 6-ter, lettere b) e  d), e 6-quater, prospettando la violazione degli artt. 117, terzo comma,  e 118 della Costituzione. La Regione, individuando in premessa il contenuto delle  disposizioni impugnate, evoca in particolare, il comma 6-ter, lettera  b), del citato art. 15, che modifica l’art. 12 del decreto legislativo  16 marzo 1999, n. 79 (Attuazione della direttiva 96/92/CE recante norme  comuni per il mercato interno dell’energia elettrica), inserendovi il  comma 1-bis, ai sensi del quale: «al fine di consentire il rispetto del  termine per l’indizione delle gare e garantire un equo indennizzo agli  operatori economici per gli investimenti effettuati ai sensi  dell’articolo 1, comma 485, della legge 23 dicembre 2005, n. 266, le  concessioni di cui al comma 1 sono prorogate di cinque anni». Richiama altresì la lettera d) del comma 6-ter del  medesimo articolo ove si prevede un’ulteriore proroga disponendo, in  sostituzione del comma 8 dell’art. 12 del d.lgs. n. 79 del 1999, che «in  attuazione di quanto previsto dall’articolo 44, secondo comma, della  Costituzione, e allo scopo di consentire la sperimentazione di forme di  compartecipazione territoriale nella gestione, le concessioni di grande  derivazione d’acqua per uso idroelettrico in vigore, anche per effetto  del comma 7 del presente articolo, alla data del 31 dicembre 2010,  ricadenti in tutto o in parte nei territori delle province individuate  mediante i criteri di cui all’articolo 1, comma 153, della legge 27  dicembre 2006, n. 296, le quali siano conferite dai titolari,  anteriormente alla pubblicazione del relativo bando di indizione della  gara di cui al comma 1 del presente articolo, a società per azioni a  composizione mista pubblico-privata partecipate nella misura complessiva  minima del 30 per cento e massima del 40 per cento del capitale sociale  dalle province individuate nel presente comma e/o da società  controllate dalle medesime, fermo in tal caso l’obbligo di individuare  gli eventuali soci delle società a controllo provinciale mediante  procedure competitive, sono prorogate a condizioni immutate per un  periodo di anni sette, decorrenti dal termine della concessione quale  risultante dall’applicazione delle proroghe di cui al comma l-bis». Infine, considera il comma 6-quater dell’art. 15, il  quale statuisce che «le disposizioni dei commi 6, 6-bis e 6-ter del  presente articolo si applicano fino all’adozione di diverse disposizioni  legislative da parte delle regioni, per quanto di loro competenza». Assume la Regione Liguria che la proroga delle  concessioni di grande derivazione d’acqua per uso idroelettrico,  disposta dalle lettere b) e d) del comma 6-ter del citato art. 15,  incide nella materia della «produzione, trasporto e distribuzione  nazionale dell’energia», attribuita alla competenza legislativa  concorrente dall’art. 117, terzo comma, Cost. Tali norme sarebbero, quindi, illegittime per le  medesime ragioni già poste a fondamento della sentenza n. 1 del 2008,  avente ad oggetto l’impugnativa dell’art. 1, comma 485, della legge 23  dicembre 2005, n. 266, recante «Disposizioni per la formazione del  bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2006)» che  prorogava di dieci anni le concessioni esistenti. La Corte ha, infatti,  dichiarato in tale sentenza la norma «lesiva delle competenze  regionali, in quanto la previsione di una proroga di dieci anni delle  concessioni in atto costituisce una norma di dettaglio». Secondo la ricorrente, le norme in questione lederebbero  anche le proprie competenze amministrative (art. 118 Cost.), perché  precluderebbero l’esercizio da parte della Regione delle funzioni in  materia di gestione del demanio idrico, ai sensi di quanto disposto  dagli artt. 86 e seguenti del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112  (Conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello Stato alle  regioni ed agli enti locali, in attuazione del capo I della legge 15  marzo 1997, n. 59) e del decreto del Presidente del Consiglio dei  ministri del 12 ottobre 2000 (Individuazione dei beni e delle risorse  finanziarie, da trasferire alle regioni per l’esercizio delle funzioni e  dei compiti amministrativi in materia ambientale). La lesione alla titolarità della competenza regionale  attribuita dall’art. 117, terzo comma, Cost. emergerebbe anche dalla  disposizione del comma 6-quater del medesimo art. 15, perché nelle  materie devolute alla potestà legislativa concorrente lo Stato non  potrebbe mai adottare norme di dettaglio, tantomeno “cedevoli”. Se,  invero, a dire della ricorrente, già prima della riforma costituzionale  del 2001 dette norme erano ammissibili solo in determinati casi – vale a  dire al fine di consentire l’applicazione di nuove leggi cornice ovvero  per adempiere ad obblighi internazionali – nel mutato contesto  normativo, sulla scia della giurisprudenza costituzionale per la quale  «la nuova formulazione dell’art. 117, comma 3, rispetto a quella  previgente dell’art. 117, comma 1, esprime l’intento di una più netta  distinzione fra la competenza regionale a legiferare in queste materie e  la competenza statale, limitata alla determinazione dei principi  fondamentali della disciplina» (sentenza n. 282 del 2002), in dottrina  si sarebbe andato consolidando l’orientamento di ritenere  l’illegittimità costituzionale di norme statali di dettaglio nelle  materie devolute alla potestà legislativa concorrente. Conclude poi, sul punto, la Regione Liguria che, quando  pure si ritenessero ammissibili norme statali di dettaglio “cedevoli” in  casi determinati, non vi rientrerebbe la disposizione del comma  6-quater impugnato, che sarebbe, quindi, comunque illegittimo. 2. – Per violazione dell’art. 117, terzo comma, Cost.,  la stessa disposizione (art. 15, comma 6-quater, del decreto-legge n. 78  del 2010, convertito dalla legge n. 122 del 2010) è impugnata anche  dalla Regione Emilia-Romagna, nell’ambito di un ricorso attinente a  diverse altre materie e disposizioni, notificato il 28 settembre 2010 e  depositato il successivo 6 ottobre (r. ric. n. 106 del 2010), adducendo  le medesime motivazioni esposte dalla Regione Liguria a fondamento  dell’illegittimità delle norme “cedevoli”. 3. – In entrambi i giudizi è intervenuto il Presidente  del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura  generale dello Stato. In via preliminare ed in termini generali, la difesa  dello Stato ha eccepito la tardività del ricorso perché proposto avverso  norme del decreto-legge non modificate in sede di conversione e,  quindi, immediatamente lesive. Ha quindi premesso che le misure adottate con il  decreto-legge n. 78 del 2010, convertito dalla legge n. 122 del 2010,  nel quale si ascrivono le disposizioni impugnate, devono essere  esaminate nel loro complesso, «sì che ognuna sorregge l’altra per  raggiungere insieme le finalità perseguite di stabilizzazione e di  rilancio economico». Con riguardo alla disciplina in esame, secondo il  Presidente del Consiglio dei ministri, il ricorso sarebbe infondato, in  quanto le disposizioni in materia di proroga di concessioni  idroelettriche e la relativa previsione di cedevolezza sarebbero volte  ad assicurare l’applicazione dei principi generali in materia, in attesa  della legislazione regionale attuativa. In particolare, la norma introdotta dalla disposizione  combinata del comma 6-ter, lettera b), e del comma 6-quater dell’art. 15  del decreto-legge n. 78 del 2010, convertito dalla legge n. 122 del  2010, sarebbe volta a fornire una soluzione alle conseguenze della  pronuncia di illegittimità dell’art. 1, comma 485, della legge n. 266  del 2005 ad opera della sentenza n. 1 del 2008, in quanto le imprese che  avevano eseguito gli investimenti previsti dalla citata disposizione  avevano adito le sedi giudiziarie, contestando il mancato rispetto del  legittimo affidamento; inoltre, poiché, secondo le previsioni dell’art.  12 del d.lgs. n. 79 del 1999 molte concessioni idroelettriche sarebbero  scadute nel 2010, le imprese concessionarie sarebbero dovute essere  «rimesse in termini, in conformità a quanto previsto dal primo comma del  suddetto art. 12». 4. – Con memoria depositata il 3 maggio 2011, il  Presidente del Consiglio dei ministri ha ribadito che la norma  risultante dalla disposizione combinata delle prescrizioni impugnate, di  carattere “cedevole”, assolve allo scopo di ovviare agli inconvenienti  derivanti dalla dichiarazione di incostituzionalità, ad opera della  sentenza n. 1 del 2008, della proroga decennale delle concessione delle  grandi derivazioni di acqua. 5. – Successivamente, il 18 maggio 2011, anche le  Regioni Liguria ed Emilia-Romagna hanno depositato distinte memorie, che  presentano un analogo contenuto. Le ricorrenti hanno contestato la sussistenza della  finalità, indicata dalla Presidenza del Consiglio dei ministri, di  «assicurare l’applicazione dei principi generali posti, in attesa della  legislazione regionale applicativa», dal momento che le norme impugnate  non servirebbero a rendere operativi nuovi o vecchi principi  fondamentali: al contrario, esse sarebbero contrastanti con i principi  comunitari e nazionali di tutela della concorrenza. Inoltre, l’affermazione dell’Avvocatura generale per la  quale la disposizione impugnata tutelerebbe le imprese beneficiarie  della proroga, poi dichiarata illegittima, garantendo loro un equo  indennizzo, non sarebbe condivisibile, perché, da un canto, sarebbe  «bizzarro e paradossale» che a fondamento della previsione della proroga  delle concessioni idroelettriche venga posta una sentenza che ha  dichiarato l’illegittimità di una norma analoga; dall’altro, il comma  6-ter, lettera b), in esame, non si limiterebbe a garantire un equo  indennizzo, ma ripristinerebbe la medesima proroga, seppure di durata  inferiore. D’altro canto, non si comprenderebbe la ragione per cui lo  Stato sarebbe intervenuto solo in prossimità della scadenza del termine  previsto dall’art. 12, comma 1, del d.lgs. n. 79 del 1999 per il bando  relativo all’affidamento di nuove concessioni, pur in presenza di  un’esigenza asseritamente pressante ed urgente. In conclusione, secondo le Regioni ricorrenti, i ritardi  delle amministrazioni nel bandire le gare per le nuove concessioni non  potrebbero giustificare l’invasione, da parte dello Stato, della potestà  legislativa regionale nella materia «energia», con norme peraltro  lesive del principio di concorrenza. 6. – Il Presidente del Consiglio dei ministri, in data  18 maggio 2011, ha depositato una ulteriore memoria, in cui ha  riaffermato che il carattere “cedevole” attribuito dalla disposizione  impugnata (art. 15, comma 6-quater) è in linea con i precedenti della  Corte, tra i quali ha citato la sentenza n. 1 del 2002. 
 Considerato in diritto 1. – Le Regioni Liguria ed Emilia-Romagna, con distinti  ricorsi, hanno impugnato numerose disposizioni del decreto-legge 31  maggio 2010, n. 78 (Misure urgenti in materia di stabilizzazione  finanziaria e competitività economica), convertito, con modificazioni,  dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, e, tra esse, la Regione Liguria, ha  individuato in particolare l’art. 15, commi 6-ter, lettere b) e d), e  6-quater, deducendo la violazione degli artt. 117, terzo comma, e 118  della Costituzione, e la Regione Emilia- Romagna, l’art. 15, comma  6-quater, deducendo la violazione dell’art. 117, terzo comma, Cost. Riservata a separate pronunce la decisione sulle  impugnazioni delle altre disposizioni contenute nel suddetto  decreto-legge n. 78 del 2010, convertito dalla legge n. 122 del 2010,  sono prese qui in esame le questioni di legittimità costituzionale  relative appunto al citato art. 15, comma 6-ter, lettere b) e d), e  comma 6-quater. Per la Regione Liguria, la previsione della proroga  delle concessioni di grande derivazione d’acqua per uso idroelettrico  inciderebbe, con una disposizione di dettaglio, nella materia della  «produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia»,  attribuita alla competenza legislativa concorrente dall’art. 117, terzo  comma, Cost. Essa sarebbe, quindi, illegittima per le medesime ragioni  poste a fondamento della decisione n. 1 del 2008, avente ad oggetto  l’impugnativa dell’art. 1, comma 485, della legge 23 dicembre 2005, n.  266, recante “Disposizione per la formazione del bilancio annuale e  pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2006)” che prorogava di dieci  anni le concessioni esistenti. Secondo la ricorrente le norme in questione lederebbero  anche le competenze amministrative regionali, perché precluderebbero  l’esercizio da parte della Regione delle funzioni in materia di gestione  del demanio idrico. Del pari, sia per la Regione Liguria che per la Regione  Emilia-Romagna sarebbe violato l’art. 117, terzo comma, Cost., anche  sotto un ulteriore profilo, dal momento che, nelle materie devolute alla  potestà legislativa concorrente, lo Stato non potrebbe adottare norme  di dettaglio, neanche conferendo loro carattere “cedevole”. 2. – Poiché i ricorsi pongono questioni analoghe, viene  disposta la riunione dei relativi giudizi ai fini di una trattazione  unitaria e di un’unica decisione. 3. – In via preliminare, l’eccezione sollevata dal  Presidente del Consiglio dei ministri in ordine alla tardività delle  impugnazioni proposte solo dopo l’entrata in vigore della legge di  conversione del decreto-legge, nei confronti di disposizioni non  modificate da quest’ultima, va disattesa, alla luce della costante  giurisprudenza di questa Corte che riconosce la tempestività della  impugnazione dei decreti-legge successivamente alla loro conversione in  legge, la quale rende permanente e definitiva la normativa solo  provvisoriamente da questi dettata (ex multis, sentenza n. 383 del  2005). Inoltre, sempre in via preliminare, la considerazione  della manovra economica nel suo complesso, espressa dall’Avvocatura  dello Stato, se può di certo orientare nell’individuazione delle  finalità perseguite, vale a dire la stabilizzazione finanziaria ed il  rilancio economico, non può, in questa sede, impedire che il vaglio di  legittimità costituzionale sia operato in riferimento alle singole  disposizioni, che presentano, tra l’altro, carattere fortemente  disomogeneo le une dalle altre e che vengono impugnate in relazione a  parametri costituzionali di volta in volta differenti. 4. – Il ricorso proposto dalla Regione Emilia-Romagna è inammissibile per carenza di interesse. La Regione Emilia-Romagna ha, invero, impugnato  unicamente la norma (comma 6-quater dell’art. 15) che conferisce  carattere “cedevole”, rispetto all’emananda legislazione regionale, ad  alcune disposizioni statali dettate in materia di concessioni di grandi  derivazioni. La caducatoria (solo) di detta disposizione e non  (anche) di quelle asseritamente lesive del riparto delle competenze  potrebbe rendere quest’ultime operanti anche nel caso della  sopravvenienza di una normativa regionale. Né potrebbe essere accolta la prospettiva, indicata  all’udienza pubblica dalla Regione Emilia-Romagna, per la quale  l’impugnativa resa esplicita solo con riguardo al comma 6-quater  dell’art. 15 del decreto-legge n. 78 del 2010, convertito dalla legge n.  122 del 2010, dovrebbe intendersi, peraltro, come implicitamente  riferita anche alle disposizioni da esso richiamate. Sennonché, essendo indubitabile che la Giunta regionale,  con delibera del 20 settembre 2010, ha statuito l’impugnazione del  comma 6-quater del citato art. 15 e non pure delle ulteriori norme,  all’interpretazione propugnata dalla ricorrente osta il consolidato  orientamento di questa Corte che considera inammissibili le questioni  sollevate su disposizioni non espressamente indicate nella delibera  della Giunta, sulla base della necessaria corrispondenza tra la  deliberazione con cui l’ente si determina all’impugnazione ed il  contenuto del ricorso, attesa la natura politica dell’atto di  impugnazione (da ultimo, sentenza n. 278 del 2010). 5. – Le questioni sollevate dalla Regione Liguria sono fondate. Le disposizioni impugnate, infatti, in quanto attengono  alla durata ed alla programmazione delle concessioni di grande  derivazione d’acqua per uso idroelettrico, si ascrivono alla materia  «produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia»,  attribuita alla competenza legislativa concorrente; poiché pongono un  precetto specifico e puntuale – prevedendo la proroga automatica di  dette concessioni – esse, inoltre, si configurano quali norme di  dettaglio. Questa Corte già con la sentenza n. 1 del 2008, nel  vagliare la legittimità costituzionale dell’art. 1, commi 483 e  seguenti, della legge n. 266 del 2005 – i quali prevedevano la proroga  delle concessioni idroelettriche ed i meccanismi per la sua operatività –  ha ricondotto disposizioni analoghe a quelle oggi in esame alla  menzionata materia e ne ha riconosciuto il carattere dettagliato, con  conseguente pronuncia di illegittimità costituzionale. A differenti conclusioni, rispetto al citato precedente,  non conduce la previsione della loro applicazione fino all’adozione di  diverse disposizioni legislative da parte delle Regioni, per quanto di  loro competenza (cosiddetta clausola di “cedevolezza”), contenuta nel  comma 6-quater dell’art. 15 impugnato. Assume l’Avvocatura generale che la richiamata  disposizione si giustificherebbe in quanto volta ad assicurare  l’applicazione dei principi generali in materia, in attesa  dell’intervento del legislatore regionale. Pur senza affrontare la complessa tematica della  generale ammissibilità, dopo la riforma del Titolo V della Parte II  della Costituzione, delle norme statali “cedevoli” in ambiti devoluti  alla potestà legislativa regionale, nel caso in esame, è sufficiente la  considerazione che il presupposto addotto dalla Presidenza del Consiglio  dei ministri a giustificazione dell’emanazione di dette norme – vale a  dire l’esigenza di colmare, per il tempo necessario all’emanazione della  normativa regionale, un vuoto legislativo nell’applicazione di principi  fondamentali statali – in concreto non sussiste. La proroga di cinque anni prevista dal comma 6-ter,  lettera b), dell’art. 15 in esame, è, invero, dichiaratamente  finalizzata a consentire il rispetto del termine per l’indizione delle  procedure ad evidenza pubblica, in conformità di quanto previsto dal  decreto legislativo 16 marzo 1999, n. 79 (Attuazione della direttiva  96/92/CE recante norme comuni per il mercato interno dell’energia  elettrica), ed a recuperare il costo degli investimenti per gli  interventi di ammodernamento effettuati dai concessionari, ai sensi  dell’art. 1, commi 486 e 487, della legge n. 266 del 2005, al fine  dell’ottenimento della proroga. Tuttavia, a ben vedere, la prima finalità – quella di  consentire il graduale espletamento delle procedure di evidenza pubblica  imposte dal diritto comunitario e, quindi, di evitare uno iato  temporale nell’erogazione del servizio – è, in realtà, perseguita, dal  successivo comma 6-ter, lettera e), che consente al concessionario  uscente di proseguire la gestione della derivazione fino al subentro  dell’aggiudicatario della gara, se alla data di scadenza della  concessione non sia ancora concluso il procedimento per l’individuazione  del nuovo gestore. Riguardo all’ulteriore finalità, in armonia con quella  dichiaratamente perseguita dalla manovra in esame, del «contenimento  della spesa pubblica», il recupero degli investimenti effettuati dai  concessionari, attraverso detta proroga, è volto ad evitare che lo Stato  venga esposto a richieste di indennizzi da parte dei suddetti  concessionari. Questo intento del contenimento della spesa pubblica  emerge anche con maggiore evidenza laddove si consideri il successivo  comma 6-quinques dell’art. 15, il quale prevede che le somme incassate  dai Comuni e dallo Stato, versate dai concessionari delle grandi  derivazioni idroelettriche, antecedentemente alla sentenza di questa  Corte n. 1 del 2008, siano definitivamente trattenute dagli stessi  Comuni e dallo Stato. Le disposizioni impugnate, peraltro, sono incoerenti  rispetto ai principi generali, stabiliti dalla legislazione statale,  della temporaneità delle concessioni e dell’apertura alla concorrenza,  contrastando con i principi comunitari in materia: seppure per un  periodo temporalmente limitato, esse «impedisc[ono] l’accesso di altri  potenziali operatori economici al mercato, ponendo barriere all’ingresso  tali da alterare la concorrenza tra imprenditori» (sentenze n. 340, n.  233 e n. 180 del 2010). In particolare, la previsione della proroga di ulteriori  sette anni, rispetto ai cinque di cui al comma l-bis, lettera d) del  comma 6-ter dell’art. 15 impugnato, a favore delle  concessionarie-società per azioni a composizione mista pubblico-privata  partecipate per una quota minima del 30 per cento e massima del 40 per  cento del capitale sociale dalle province e/o da società controllate  dalle medesime, si muove in una direzione contraria alle indicazioni  fornite a livello comunitario, (procedura d’infrazione IP/05/920), volte  ad eliminare un ingiustificato favor riconosciuto a concessionari  uscenti e/o aziende controllate da enti locali. Alla luce delle considerazioni che precedono, il  criterio di riparto di competenze delineato dall’art. 117, terzo comma,  Cost., non è temperato, nel caso in esame, dall’esigenza, sostenuta  dalla Presidenza del Consiglio dei ministri, di dare attuazione ai  principi generali posti dalla legislazione statale in materia, i quali,  peraltro, pongono obiettivi non perfettamente in linea con quelli  perseguiti dalle norme impugnate. Ne consegue la declaratoria di illegittimità  costituzionale dell’art. 15, commi 6-ter, lettere b) e d), e 6-quater –  quest’ultimo nella parte in cui prevede che le disposizioni del comma  6-ter, lettere b) e d), si applicano fino all’adozione di diverse  disposizioni legislative da parte delle Regioni, per quanto di loro  competenza – del decreto-legge n. 78 del 2010, convertito dalla legge n.  122 del 2010. 6. – è assorbita l’ulteriore censura di violazione dell’art. 118 Cost. prospettata dalla Regione Liguria. 
 per questi motivi LA CORTE COSTITUZIONALE riservata a separate pronunce la decisione delle altre  questioni di legittimità costituzionale promosse nei confronti del  decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 (Misure urgenti in materia di  stabilizzazione finanziaria e competitività economica), convertito, con  modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122; riuniti i giudizi, dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 15,  comma 6-ter, lettere b) e d), del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78  (Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e  competitività economica), convertito, con modificazioni, dalla legge 30  luglio 2010, n. 122; dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 15,  comma 6-quater, del decreto-legge n. 78 del 2010, convertito dalla legge  n. 122 del 2010, nella parte in cui prevede che le disposizioni del  comma 6-ter, lettere b) e d), si applicano fino all’adozione di diverse  disposizioni legislative da parte delle Regioni, per quanto di loro  competenza; dichiara inammissibile la questione di legittimità  costituzionale dell’art. 15, comma 6-quater, del decreto-legge n. 78 del  2010, convertito dalla legge n. 122 del 2010, promossa, in riferimento  all’art. 117, terzo comma, della Costituzione, dalla Regione  Emilia-Romagna con il ricorso indicato in epigrafe. Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 4 luglio 2011. F.to: Alfonso QUARANTA , Presidente Giuseppe FRIGO, Redattore Gabriella MELATTI, Cancelliere Depositata in Cancelleria il 13 luglio 2011. Il Direttore della Cancelleria F.to: MELATTI |