 Corte Costituzionale sent. 62 del 21 marzo 2012
Corte Costituzionale sent. 62 del 21 marzo 2012
Oggetto: Ambiente - Norme della Regione Puglia - Istituzione dell'Autorità idrica pugliese - Funzioni del direttore generale - Predisposizione dello schema di convenzione diretto a regolare i rapporti tra l'Autorità e il gestore del servizio idrico integrato, da sottoporre all'approvazione del Consiglio direttivo - Contrasto con la normativa statale di riferimento, che attribuisce tale compito all'Agenzia nazionale per la regolazione e la vigilanza sulle risorse idriche. Ambiente - Norme della Regione Puglia - Gestione del servizio idrico integrato - Affidamento a una azienda pubblica regionale che realizza la parte prevalente della propria attività con l'ente pubblico che la controlla - Lamentato affidamento in via diretta mediante una norma di legge anziché mediante una gara concorrenziale rivolta al libero mercato, in contrasto con la regola comunitaria dell'affidamento a terzi mediante gara ad evidenza pubblica e della eccezionalità dell' "in house providing" - Amministrazione pubblica - Istituzione dell'azienda pubblica regionale "Acquedotto Pugliese" (AQP) - Previsto subentro nel patrimonio ed in tutti i rapporti attivi e passivi della società Acquedotto Pugliese Spa, nonché nei compiti istituzionali e nell'esercizio della attività precedentemente svolta dalla stessa società - Lamentata incidenza sulla società Acquedotto Pugliese Spa disciplinata con legge statale. Impiego pubblico - Norme della Regione Puglia - Previsione che tutto il personale in servizio presso l'Acquedotto pugliese Spa venga trasferito nell'organico dell'AQP - Lamentato inquadramento generalizzato con stabilizzazione di personale non di ruolo, in contrasto con la normativa statale costituente disposizione di principio ai fini del coordinamento della finanza pubblica.
Dispositivo: illegittimità costituzionale - cessata materia del contendere
 SENTENZA N. 62 ANNO 2012 REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE COSTITUZIONALE composta dai signori:  Presidente: Alfonso QUARANTA; Giudici : Franco GALLO, Luigi MAZZELLA,  Sabino CASSESE, Giuseppe TESAURO, Paolo Maria NAPOLITANO, Giuseppe  FRIGO, Alessandro CRISCUOLO, Paolo GROSSI, Giorgio LATTANZI, Aldo  CAROSI, Marta CARTABIA, Sergio MATTARELLA, Mario Rosario MORELLI, ha pronunciato la seguente SENTENZA nei giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 5,  comma 6, lettera g), della legge della Regione Puglia 30 maggio 2011, n.  9 (Istituzione dell’Autorità idrica pugliese), nonché dell’art. 2,  comma 1, dell’art. 5 e dell’art. 9, comma 1, della legge della Regione  Puglia 20 giugno 2011, n. 11 (Gestione del servizio idrico integrato.  Costituzione dell’Azienda pubblica regionale “Acquedotto pugliese –  AQP”), promossi dal Presidente del Consiglio dei ministri con ricorsi  notificati il 1°- 4 agosto 2011 e l’8-12 agosto 2011, depositati in  cancelleria il 10 ed il 17 agosto 2011 ed iscritti al n. 81 (concernente  la legge reg. n. 9 del 2011) ed al n. 83 (concernente la legge reg. n.  11 del 2011) del registro ricorsi 2011, pubblicati, rispettivamente,  nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica, prima serie speciale, n. 42  del 5 ottobre 2011 e n. 43 del 12 ottobre 2011. Visto l’atto di costituzione della Regione Puglia nel giudizio di cui al ricorso n. 83 del 2011; udito nell’udienza pubblica del 22 febbraio 2011 il Giudice relatore Franco Gallo; udito l’avvocato dello Stato Alessandro De Stefano per il Presidente del Consiglio dei ministri. Ritenuto in fatto 1.– Con ricorso notificato a mezzo del servizio postale,  spedito il 1° agosto 2011, ricevuto il 4 agosto successivo e depositato  il 10 agosto 2011 (registro ricorsi n. 81 del 2011), il Presidente del  Consiglio dei ministri ha promosso questioni principali di legittimità  costituzionale dell’art. 5, comma 6, lettera g), e dell’art. 11, comma  1, della legge della Regione Puglia 30 maggio 2011, n. 9 (Istituzione  dell’Autorità idrica pugliese), pubblicata nel Bollettino Ufficiale  della Regione Puglia n. 87 del 3 giugno 2011 ed entrata in vigore lo  stesso giorno della pubblicazione 1.1.− L’impugnato comma 6, lettera g), dell’art. 5 della  legge della Regione Puglia n. 9 del 2011, nel testo vigente al momento  della proposizione del ricorso, stabiliva che il Direttore generale  dell’«Autorità idrica pugliese» (autorità istituita dall’art. 1 della  stessa legge regionale «per il governo pubblico dell’acqua» e dotata di  personalità giuridica di diritto pubblico) «predispone lo schema di  convenzione diretto a regolare i rapporti tra l’Autorità e il gestore  del servizio idrico integrato, da sottoporre all’approvazione del  Consiglio direttivo». Nel ricorso si denuncia il contrasto tra tale  disposizione e la legislazione statale, perché la norma impugnata, nel  riservare al Direttore generale del predetto ente pubblico regionale il  cómpito di “predisporre” l’indicata convenzione, gli attribuisce una  funzione che l’art. 10, comma 14, lettera b), del decreto-legge 13  maggio 2011, n. 70 (Semestre Europeo. Prime disposizioni urgenti per  l’economia), convertito, con modificazioni, dalla legge 12 luglio 2011,  n. 106, assegna invece all’«Agenzia nazionale per la regolazione e la  vigilanza in materia di acqua», ente statale istituito con il comma 11  del medesimo articolo 10. Infatti, prosegue il ricorso, il citato comma  14, lettera b), dell’art. 10 stabilisce che la menzionata Agenzia  nazionale «predispone una o più convenzioni tipo di cui all’articolo 151  del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152», cioè le convenzioni  tipo dirette a disciplinare i rapporti tra Autorità d’àmbito e gestori  del servizio idrico integrato. Del resto, aggiunge la difesa dello  Stato, il comma 15 dell’art. 10 del decreto-legge n. 70 del 2011 precisa  che alla menzionata Agenzia nazionale «sono trasferite le funzioni già  attribuite alla Commissione nazionale per la vigilanza sulle risorse  idriche dall’articolo 161 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152,  e dalle altre disposizioni vigenti alla data di entrata in vigore del  presente decreto» e, quindi, anche la funzione di “predisporre” «con  delibera una o più convenzioni tipo di cui all’articolo 151» dello  stesso d.lgs. n. 152 del 2006; delibera da trasmettersi «al Ministro per  l’ambiente e per la tutela del territorio e del mare, che la adotta con  proprio decreto sentita la Conferenza permanente per i rapporti tra lo  Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano» (art.  161, comma 4, lettera c). Ad avviso del ricorrente, poiché la sopra citata vigente  normativa statale costituisce esercizio della competenza legislativa  esclusiva dello Stato in materia di tutela dell’ambiente e  dell’ecosistema e, pertanto, non è derogabile dal legislatore regionale,  il rilevato contrasto tra la normativa regionale e quella statale si  risolve nella violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera s), della  Costituzione. 1.2.– Il parimenti impugnato comma 1 dell’art. 11 della  stessa legge reg. Puglia n. 9 del 2011 stabiliva, nel testo vigente al  momento della proposizione del ricorso, che: «Il personale assunto a  tempo indeterminato alla data del 1° gennaio 2010 presso ATO Puglia è  trasferito all’Autorità idrica pugliese, che provvede all’inquadramento  nello stesso profilo professionale e relative attribuzioni economiche».  Secondo l’Avvocatura generale dello Stato, tale disposizione víola gli  artt. 3, 51 e 97, terzo comma, Cost. Il Presidente della Corte costituzionale ha disposto il  rinvio della trattazione di tale questione, separandola dall’altra, in  ragione dell’opportunità di esaminare in una stessa udienza, ancora da  stabilirsi, le censure prospettate avverso il predetto comma 1 dell’art.  11 della legge reg. Puglia n. 9 del 2011 sia nel testo originario,  impugnato con il ricorso n. 81 del 2011, sia nel testo sostituito ad  opera del comma 1 dell’art. 3 della legge della Regione Puglia 13  ottobre 2011, n. 27 (Modifiche alla legge regionale 30 maggio 2011, n. 9  – Istituzione dell’Autorità idrica pugliese), anch’esso impugnato dal  Presidente del Consiglio dei ministri con il ricorso n. 170 del 2011. 2.− Con ricorso notificato a mezzo del servizio postale,  spedito l’8 agosto 2011, ricevuto il 12 agosto successivo e depositato  il 17 agosto 2011 (registro ricorsi n. 83 del 2011), il Presidente del  Consiglio dei ministri ha promosso questioni principali di legittimità  costituzionale dell’art. 2, comma 1, dell’art. 5 e dell’art. 9, comma 1,  della legge della Regione Puglia 20 giugno 2011, n. 11 (Gestione del  servizio idrico integrato. Costituzione dell’Azienda pubblica regionale  “Acquedotto pugliese – AQP”), pubblicata nel Bollettino Ufficiale della  Regione Puglia n. 96 del 20 giugno 2011 ed entrata in vigore il 5 luglio  2011. 2.1.− L’impugnato comma 1 dell’art. 2 della legge reg.  Puglia n. 11 del 2011 stabilisce che «Il servizio idrico integrato della  Puglia è affidato a un’azienda pubblica regionale che realizza la parte  prevalente della propria attività con l’ente pubblico che la controlla,  anche per beneficiare delle economie di scala e di scopo e favorire una  maggiore efficienza ed efficacia nell’espletamento del servizio e con  l’obbligo del reinvestimento nel servizio di almeno l’80 per cento degli  avanzi netti di gestione. Ai fini della presente legge, per avanzo  netto di gestione si intende il risultato economico di esercizio del  soggetto di cui all’articolo 5 [cioè l’Azienda pubblica regionale  denominata «Acquedotto pugliese (AQP)», istituita da tale articolo] al  netto degli ammortamenti, accantonamenti, interessi, imposte e tasse». Tale comma, secondo il ricorrente, nell’affidare  direttamente, mediante una norma di legge, la gestione del «servizio  idrico integrato» (SII) ad un ente pubblico regionale controllato dalla  Regione Puglia (AQP), víola: a) l’art. 117, primo comma, Cost., perché  si pone in contrasto con i princípi del diritto dell’Unione europea  vigenti in materia di «servizio di interesse economico generale» (SIEG),  direttamente applicabili nell’ordinamento italiano, a séguito  dell’abrogazione, con referendum popolare, dell’art. 23-bis del  decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112 (Disposizioni urgenti per lo  sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la  stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria),  convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133,  riguardante, in particolare, le forme di gestione dei servizi pubblici  locali (SPL) di rilevanza economica; b) l’art. 117, secondo comma,  lettere e) ed s), Cost., perché, pur avendo rango di fonte legislativa  regionale, statuisce nelle materie tutela della concorrenza e tutela  dell’ambiente, riservate alla competenza legislativa esclusiva dello  Stato. Con riguardo alla censura sub a), l’Avvocatura generale  dello Stato premette che il SII costituisce un «servizio pubblico  locale» (SPL) di rilevanza economica e, quindi, rientra nella nozione  (caratteristica del diritto dell’Unione europea) di SIEG, che, in base  all’art. 106 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE), è  soggetto alle regole di concorrenza fissate nei trattati dell’Unione e,  in particolare, alla regola dell’affidamento della sua gestione a terzi  mediante gara ad evidenza pubblica, salvo che lo Stato membro ritenga  che l’applicazione di tali regole possa ostacolare la «speciale  missione» attribuita al servizio dall’ordinamento giuridico (vengono  citate le sentenze della Corte costituzionale n. 187 del 2011, n. 325  del 2010, n. 246 del 2009 e le sentenze della Corte di giustizia UE 10  settembre 2009, in causa C-573/07, Sea s.r.l., e 11 gennaio 2005, in  causa C-26/03, Stadt Halle, punti 48 e 49). Da tale premessa e dalla  conseguente «natura derogatoria ed eccezionale degli affidamenti» della  gestione dei SIEG, mediante l’in house providing, «ad aziende pubbliche  controllate», l’Avvocatura fa derivare la necessità che tali eccezionali  affidamenti avvengano «mediante provvedimenti suscettibili di controllo  giurisdizionale e sorretti da congrua e logica motivazione sulle  ragioni che giustificano una tale scelta, secondo canoni di  ragionevolezza, di proporzionalità e di adeguatezza». Ne segue, per il  ricorrente, che la disposizione denunciata, individuando mediante non un  atto amministrativo, ma un atto legislativo – cioè con un atto di  volontà politica, per sua natura privo di una formale motivazione – il  soggetto affidatario della gestione del SII, impedisce il sindacato  giurisdizionale sulla correttezza delle ragioni che giustificano la  deroga all’ordinaria regola pro concorrenziale, posta dal diritto  dell’Unione, di affidamento mediante gara ad evidenza pubblica. Con riguardo alla censura sub b), il ricorrente osserva  che l’art. 1, comma 1-quinquies, del decreto-legge 25 gennaio 2010, n. 2  (Interventi urgenti concernenti enti locali e regioni), convertito, con  modificazioni, dalla legge 26 marzo 2010, n. 42, ha inserito nell’art. 2  della legge 23 dicembre 2009, n. 191 (Disposizioni per la formazione  del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria  2010), il comma 186-bis, il quale: 1) da un lato, sopprime le Autorità  d’àmbito territoriale ottimale (AATO) di cui agli articoli 148 e 201 del  d.lgs. n. 152 del 2006 (e successive modificazioni), enti  originariamente competenti a provvedere sull’affidamento della gestione  del SII; 2) dall’altro, stabilisce che «le regioni attribuiscono con  legge le funzioni già esercitate» dalle AATO, «nel rispetto dei princípi  di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza». In forza di tale  normativa, secondo l’interpretazione del ricorrente (il quale valorizza  l’uso, da parte del legislatore statale, delle espressioni “attribuzione  delle funzioni” e “princípi di sussidiarietà, differenziazione e  adeguatezza”), le Regioni debbono limitarsi ad individuare con legge gli  enti e gli organi ai quali devolvere le funzioni già esercitate dalle  AATO ed ai quali spetta il cómpito di determinare in via amministrativa  le forme della gestione e le modalità di affidamento del SII, ferma  restando – attenendo alle materie tutela della concorrenza e tutela  dell’ambiente − la competenza legislativa esclusiva statale ad  individuare le suddette funzioni ed a disciplinarne l’esercizio. La  difesa dello Stato conclude nel senso che la disposizione impugnata −  affidando direttamente, mediante una norma di legge, ed a tempo  indeterminato la gestione del SII ad un ente regionale e consentendo la  revoca di tale gestione in ogni tempo mediante un contrarius actus  legislativo – si pone in contrasto con la predetta normativa statale e  víola gli evocati parametri costituzionali. 2.2. – È impugnato anche l’art. 5 della stessa legge  reg. Puglia n. 11 del 2011, il quale istituisce l’Azienda pubblica  regionale «Acquedotto pugliese (AQP)» e stabilisce il subentro di tale  azienda nel patrimonio e nei rapporti della s.p.a. Acquedotto pugliese, a  suo tempo costituita, quale successore nei rapporti del disciolto «Ente  autonomo per l’acquedotto pugliese», con d.lgs. 11 maggio 1999, n. 141  (Trasformazione dell’Ente autonomo acquedotto pugliese in società per  azioni, a norma dell’articolo 11, comma 1, lettera b, della legge 15  marzo 1997, n. 59). Secondo l’Avvocatura generale dello Stato, tale  disposizione, pur non incidendo formalmente sulla normativa statale e  pur non provocando l’estinzione della s.p.a. Acquedotto pugliese  (operante, in forza di detto decreto legislativo, fino al 31 dicembre  2018, per l’esercizio delle attività di captazione, adduzione,  potabilizzazione, distribuzione di acqua ad usi civili, nonché di  fognatura e depurazione delle acque reflue, cioè per l’esercizio delle  attività in cui si articola il SII), víola ugualmente l’art. 117,  secondo comma, lettere e) ed s), Cost., perché finisce «per privare di  qualsiasi funzione la società» e, quindi, «per svuotare di qualsiasi  efficacia» il predetto decreto legislativo, dettato in materie  ascrivibili alla tutela della concorrenza ed alla tutela dell’ambiente e  dell’ecosistema, appartenenti alla sfera di competenza legislativa  esclusiva dello Stato. 2.3.– In base al parimenti impugnato comma 1 dell’art. 9  della medesima legge reg. Puglia n. 11 del 2011, «Il personale in  servizio presso l’Acquedotto pugliese S.p.A. alla data di costituzione  dell’AQP transita nell’organico dell’AQP alla data della costituzione  della medesima, conservando tutti i diritti giuridici ed economici  acquisiti, senza ulteriori e maggiori oneri. Nell’attuazione di tale  progetto sono assicurate le relazioni sindacali». Ad avviso del ricorrente, la suddetta disposizione, nel  prevedere il trasferimento del personale dalla s.p.a. Acquedotto  pugliese all’Azienda pubblica regionale AQP, a prescindere dalla  circostanza che il personale sia inquadrato nel comparto pubblico con  procedura selettiva concorsuale, víola: a) l’art. 3 Cost., perché  irragionevolmente consente al solo personale in servizio presso la  s.p.a. Acquedotto pugliese di essere inquadrato nei ruoli dell’AQP,  prescindendo dalla regola della selezione concorsuale che si impone  invece per la generalità dei pubblici dipendenti; b) l’art. 51 Cost.,  perché, privilegiando il personale già in servizio presso la s.p.a.  Acquedotto pugliese rispetto ad altri possibili aspiranti all’assunzione  presso l’AQP, non permette a tutti i cittadini di accedere agli uffici  pubblici in condizioni di eguaglianza, secondo i requisiti stabiliti  dalla legge; c) l’art. 97, terzo comma, Cost., perché il generalizzato  ed automatico inquadramento di tutti i dipendenti in servizio presso la  s.p.a. Acquedotto pugliese nei ruoli dell’AQP contrasta con la regola di  accesso agli impieghi pubblici tramite concorso pubblico, posta a  tutela non solo dei potenziali aspiranti, ma anche dell’interesse  pubblico alla scelta dei candidati migliori, nonché all’imparzialità ed  al buon andamento della pubblica amministrazione (vengono citate le  sentenze della Corte costituzionale n. 52 del 2011; n. 81 del 2006; n.  159 del 2005; n. 205 e n. 34 del 2004); d) l’art. 117, terzo comma,  Cost., perché si pone in contrasto con l’art. 17, commi da 10 a 13, del  decreto-legge 1° luglio 2009, n. 78 (Provvedimenti anticrisi, nonché  proroga di termini), convertito, con modificazioni, dalla legge 3 agosto  2009, n. 102, il quale, con norma integrante un principio fondamentale  di coordinamento della finanza pubblica, preclude alle amministrazioni  pubbliche, a decorrere dal gennaio 2010, ogni procedura di  stabilizzazione del personale non di ruolo diversa dalla valorizzazione  dell’esperienza professionale acquisita attraverso l’espletamento di  concorsi pubblici con parziale riserva di posti. 3.– Nel giudizio di cui al ricorso n. 83 del 2011 si è  costituita la Regione Puglia chiedendo la dichiarazione di  inammissibilità e di infondatezza del ricorso. 3.1.– Con riferimento all’impugnato comma 1 dell’art. 2  della legge reg. Puglia n. 11 del 2011, la difesa della resistente  eccepisce l’inammissibilità della censura prospettata, perché il  ricorrente non ha esperito alcun tentativo di fornire una  interpretazione secundum Constitutionem  della disposizione denunciata  (vengono richiamate le pronunce della Corte costituzionale n. 177 del  2006; n. 89 del 2005; n. 356 del 1996). La Regione osserva, al riguardo,  che tale disposizione può essere interpretata – in coerenza con l’art.  2, comma 2, lettera f), della legge reg. Puglia n. 9 del 2011, secondo  cui all’Autorità idrica pugliese è attribuita, tra le altre, la funzione  concernente «l’affidamento della gestione del servizio idrico  integrato» – nel senso che il SII è affidato non necessariamente  all’azienda pubblica regionale denominata AQP (istituita dall’art. 5  della stessa legge regionale), ma ad una qualunque «azienda pubblica  regionale che realizza la parte prevalente della propria attività con  l’ente pubblico che la controlla, […] con l’obbligo del reinvestimento  nel servizio di almeno l’80 per cento degli avanzi netti di gestione».  Da ciò deriva, per la resistente, che: a) la disposizione impugnata non  prevede l’affidamento diretto della gestione del SII all’AQP e,  pertanto, non può essere qualificata come legge-provvedimento; b) per  l’affidamento di tale servizio è necessaria, invece, l’adozione –  all’esito «di una valutazione comparativa dell’offerta dell’azienda  pubblica regionale e di eventuali imprese private concorrenti» – di un  provvedimento amministrativo da parte dell’Autorità idrica pugliese,  motivato e pienamente sindacabile in via giudiziale; c) la suddetta  disposizione si limita ad orientare l’autorità idrica (con una norma di  mero indirizzo, inidonea a vincolarne la discrezionalità), nel senso di  indurla a valorizzare, nell’affidamento del SII, la «speciale missione»  che, in base all’art. 106 del TFUE, consente l’eccezionale affidamento  in house della gestione del servizio stesso, al fine di favorire il  soddisfacimento – non sempre sufficientemente garantito dagli  automatismi del mercato – dei bisogni vitali incomprimibili connessi  all’uso del bene comune “acqua” (art. 1 della medesima legge reg. n. 11  del 2011). La difesa della Regione aggiunge che comunque, al fine di  dissipare ogni equivoco interpretativo e far venir meno l’interesse  dello Stato a ricorrere, è intenzione della Giunta regionale di  modificare nel senso seguente la prima parte della disposizione  impugnata, prima ancora che questa trovi applicazione: «Il servizio  idrico integrato della Puglia è affidato dall’autorità idrica pugliese,  nel rispetto della normativa comunitaria, a un’azienda pubblica  regionale […]». 3.2.– Con riferimento alle censure relative all’art. 5  della legge reg. Puglia n. 11 del 2011, istitutivo dell’Azienda pubblica  regionale «Acquedotto pugliese (AQP)», la difesa della resistente  osserva che la trasformazione in società per azioni dell’Ente autonomo  per l’acquedotto pugliese era stata disposta dal d.lgs. n. 141 del 1999  ben prima della riforma del Titolo V della Parte II della Costituzione  ed a fini non già di tutela della concorrenza e dell’ambiente, ma solo  di riordino degli enti pubblici nazionali (ai sensi dell’art. 11, comma  1, lettera b, della legge 15 marzo 1997, n. 59, recante «Delega al  Governo per il conferimento di funzioni e compiti alle regioni ed enti  locali, per la riforma della Pubblica Amministrazione e per la  semplificazione amministrativa»), per favorire la privatizzazione,  evitare aggravi per la finanza pubblica, favorire il riassetto  funzionale ed organizzativo, migliorare l’efficienza della gestione (ai  sensi dell’art. 1, comma 83, della legge 28 dicembre 1995, n. 549,  recante «Misure di razionalizzazione della finanza pubblica»), cosí da  incidere, se mai, nella materia, di competenza legislativa concorrente,  armonizzazione dei bilanci pubblici e coordinamento della finanza  pubblica (art. 117, terzo comma, Cost., nel testo vigente). Il rispetto,  da parte della Regione, dei princípi fondamentali posti dalla  legislazione statale nelle suddette materie di competenza legislativa  concorrente fa concludere la resistente per l’inammissibilità o la non  fondatezza della questione in esame. 3.3.– Con riferimento, infine, all’art. 9 della legge  reg. Puglia n. 11 del 2011, la difesa della resistente afferma che è  intenzione della Giunta regionale di modificare tale disposizione «in  senso aderente alla giurisprudenza costituzionale formatasi sull’art.  97, comma terzo, della Costituzione», al fine di far venir meno  l’interesse dello Stato al ricorso. Considerato in diritto 1.− Con il ricorso n. 81 del 2011, il Presidente del  Consiglio dei ministri ha promosso due questioni principali di  legittimità costituzionale aventi ad oggetto, la prima, l’art. 5, comma  6, lettera g), della legge della Regione Puglia 30 maggio 2011, n. 9  (Istituzione dell’Autorità idrica pugliese); la seconda, l’art. 11,  comma 1, della stessa legge. Con il ricorso n. 83 del 2001, il medesimo ricorrente ha  promosso tre questioni principali di legittimità costituzionale della  legge della Regione Puglia 20 giugno 2011, n. 11 (Gestione del servizio  idrico integrato. Costituzione dell’Azienda pubblica regionale  “Acquedotto pugliese – AQP”), aventi ad oggetto, rispettivamente, l’art.  2, comma 1, l’art. 5 e l’art. 9, comma 1, di tale legge. Il Presidente della Corte costituzionale ha  successivamente disposto il rinvio della trattazione della questione  riguardante l’art. 11, comma 1, della legge reg. n. 9 del 2011, promossa  con il ricorso n. 81 del 2011. Ne deriva che il thema decidendum è  limitato alla questione riguardante l’art. 5, comma 6, lettera g), della  legge reg. Puglia n. 9 del 2011, promossa con il ricorso n. 81 del  2011, ed a quelle promosse con il ricorso n. 83 del 2011. Cosí precisato l’oggetto del decidere, va ulteriormente  rilevato che le questioni da esaminare riguardano leggi della Regione  Puglia in tema di servizio idrico integrato (SII). L’identità del tema e  delle parti ricorrenti e resistenti (Stato e Regione Puglia) rende  opportuna la riunione dei giudizi, affinché questi siano congiuntamente  trattati e decisi. 2.− La questione promossa con il ricorso n. 81 del 2011  ha ad oggetto, come visto, l’art. 5, comma 6, lettera g), della legge  reg. Puglia n. 9 del 2011, pubblicata nel Bollettino Ufficiale della  Regione Puglia n. 87 del 3 giugno 2011 ed entrata in vigore lo stesso  giorno della pubblicazione. Tale lettera g) stabiliva – nel testo  vigente al momento della proposizione del ricorso – che il Direttore  generale dell’«Autorità idrica pugliese» (autorità dotata di personalità  giuridica di diritto pubblico ed istituita dall’art. 1 della medesima  legge regionale «per il governo pubblico dell’acqua») «predispone lo  schema di convenzione diretto a regolare i rapporti tra l’Autorità e il  gestore del servizio idrico integrato, da sottoporre all’approvazione  del Consiglio direttivo». La disposizione impugnata, secondo il  ricorrente, si pone in contrasto con l’art. 117, secondo comma, lettera  s), della Costituzione, perché attribuisce al Direttore generale  dell’Autorità idrica pugliese una funzione che la normativa emessa dallo  Stato nell’esercizio della sua competenza legislativa esclusiva nella  materia tutela dell’ambiente e dell’ecosistema – cioè l’art. 10, comma  14, lettera b), del decreto-legge 13 maggio 2011, n. 70 (Semestre  Europeo. Prime disposizioni urgenti per l’economia), convertito, con  modificazioni, dalla legge 12 luglio 2011, n. 106 – assegna invece  all’ente statale «Agenzia nazionale per la regolazione e la vigilanza in  materia di acqua», prevedendo che tale Agenzia «predispone una o più  convenzioni tipo di cui all’articolo 151 del decreto legislativo 3  aprile 2006, n. 152», ossia (sempre ad avviso del ricorrente) le  convenzioni tipo dirette a disciplinare i rapporti tra Autorità d’àmbito  e gestori del servizio idrico integrato. In ordine alla questione deve essere dichiarata la  cessazione della materia del contendere. Dopo la proposizione del  ricorso, il comma 1 dell’art. 2 della legge della Regione Puglia 13  ottobre 2011, n. 27 (Modifiche alla legge regionale 30 maggio 2011, n. 9  – Istituzione dell’Autorità idrica pugliese), pubblicata nel Bollettino  Ufficiale della Regione Puglia n. 165 del 21 ottobre 2011 ed entrata in  vigore il giorno stesso della pubblicazione, ha soppresso la  disposizione impugnata, la quale è rimasta in vigore, pertanto, soltanto  dal 3 giugno 2011 al 21 ottobre dello stesso anno. Durante tale periodo  di vigenza non risulta predisposta, da parte del Direttore generale  dell’Autorità idrica pugliese, alcuna convenzione tipo diretta a  disciplinare i rapporti tra Autorità d’àmbito e gestori del servizio  idrico integrato. Ne deriva che l’abrogazione disposta dal citato ius  superveniens è idonea a superare le censure prospettate dal ricorrente  ed è intervenuta quando la norma abrogata non aveva ancora avuto  applicazione. Di qui la cessazione della materia del contendere. 3.− Con la prima questione promossa con il ricorso n. 83  del 2011 viene impugnato l’art. 2, comma 1, della legge reg. Puglia n.  11 del 2011, pubblicata nel Bollettino Ufficiale della Regione Puglia n.  96 del 20 giugno 2011 ed entrata in vigore il 5 luglio 2011, in forza  del quale «Il servizio idrico integrato della Puglia è affidato a  un’azienda pubblica regionale che realizza la parte prevalente della  propria attività con l’ente pubblico che la controlla, anche per  beneficiare delle economie di scala e di scopo e favorire una maggiore  efficienza ed efficacia nell’espletamento del servizio e con l’obbligo  del reinvestimento nel servizio di almeno l’80 per cento degli avanzi  netti di gestione. Ai fini della presente legge, per avanzo netto di  gestione si intende il risultato economico di esercizio del soggetto di  cui all’articolo 5 [cioè l’Azienda pubblica regionale denominata  «Acquedotto pugliese (AQP)», istituita da tale articolo] al netto degli  ammortamenti, accantonamenti, interessi, imposte e tasse». Per il ricorrente, tale comma víola, in primo luogo,  l’art. 117, primo comma, Cost., perché si pone in contrasto con i  princípi del diritto dell’Unione europea vigenti in materia di «servizio  di interesse economico generale» (SIEG), che sono direttamente  applicabili nell’ordinamento italiano a séguito dell’abrogazione, con  referendum popolare, dell’art. 23-bis del decreto-legge 25 giugno 2008,  n. 112 (Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la  semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza  pubblica e la perequazione tributaria), convertito, con modificazioni,  dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, riguardante, in particolare, le forme  di gestione dei SPL di rilevanza economica. Secondo la difesa dello  Stato, detto parametro è violato in base alle seguenti considerazioni:  a) il servizio idrico integrato (SII) costituisce un «servizio pubblico  locale» (SPL) di rilevanza economica e, quindi, rientra nella nozione  (caratteristica del diritto dell’Unione europea) di SIEG, che, in base  all’art. 106 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE), è  soggetto alle regole di concorrenza fissate nei trattati dell’Unione e,  quindi, alla regola dell’affidamento della sua gestione a terzi  mediante gara ad evidenza pubblica, salvo che lo Stato membro ritenga  che l’applicazione di tali regole possa ostacolare la «speciale  missione» attribuita al servizio dall’ordinamento giuridico; b) la  conseguente «natura derogatoria ed eccezionale degli affidamenti» della  gestione dei SIEG, mediante l’in house providing, «ad aziende pubbliche  controllate», esige che tali eccezionali affidamenti avvengano «mediante  provvedimenti suscettibili di controllo giurisdizionale e sorretti da  congrua e logica motivazione sulle ragioni che giustificano una tale  scelta, secondo canoni di ragionevolezza, di proporzionalità e di  adeguatezza»; c) la disposizione denunciata, individuando mediante non  un atto amministrativo ma un atto legislativo – cioè mediante un atto di  volontà politica, per sua natura privo di una formale motivazione – il  soggetto affidatario della gestione del SII, impedisce il sindacato  giurisdizionale sulla correttezza delle ragioni che giustificano la  deroga all’ordinaria regola pro concorrenziale, posta dal diritto  dell’Unione, di affidamento mediante gara ad evidenza pubblica. In  secondo luogo, viene dedotta la violazione dell’art. 117, secondo comma,  lettere e) ed s), Cost., perché la disposizione impugnata, pur avendo  rango di fonte legislativa regionale, statuisce nelle materie tutela  della concorrenza e tutela dell’ambiente, riservate alla competenza  legislativa esclusiva dello Stato, in quanto affida la gestione del SII,  direttamente ed a tempo indeterminato, ad uno specifico ente regionale,  tanto da porsi in contrasto con il vigente comma 186-bis dell’art. 2  della legge 23 dicembre 2009, n. 191 (Disposizioni per la formazione del  bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2010),  in base al quale le Regioni debbono limitarsi ad individuare con legge  gli enti e gli organi ai quali devolvere le funzioni già esercitate  dalle AATO (Autorità d’àmbito territoriale ottimale) ed ai quali  soltanto spetta il cómpito di determinare in via amministrativa le forme  della gestione e le modalità di affidamento del SII, ferma restando –  attenendo alle indicate materie tutela della concorrenza e tutela  dell’ambiente − la competenza legislativa esclusiva statale ad  individuare le suddette funzioni ed a disciplinarne l’esercizio. La questione è fondata in riferimento all’evocato art.  117, secondo comma, lettere e) ed s), Cost., assorbito ogni altro  profilo. 3.1.– Al riguardo, la Regione resistente eccepisce  preliminarmente l’inammissibilità della censura, perché il ricorrente  non avrebbe esperito alcun tentativo di fornire una interpretazione  conforme a Costituzione della disposizione denunciata. Questa, secondo  la Regione, sarebbe interpretabile nel senso che non sancisce  l’affidamento diretto della gestione del SII all’AQP, ma si limita ad  imporre all’Autorità idrica pugliese di provvedere all’affidamento ad  un’azienda pubblica regionale (anche diversa dall’AQP), la quale  possieda il duplice requisito di realizzare «la parte prevalente della  propria attività con l’ente pubblico che la controlla» e di reinvestire  «nel servizio […] almeno l’80 per cento degli avanzi netti di gestione».  Solo in tal modo, soggiunge la resistente, la normativa impugnata  sarebbe coerente con l’art. 2, comma 2, lettera f), della precedente  legge reg. Puglia n. 9 del 2011, il quale riserva all’Autorità idrica  pugliese la funzione di provvedere con un proprio atto all’«affidamento  della gestione del servizio idrico integrato». L’eccezione non può essere accolta sia perché nel  giudizio di legittimità costituzionale promosso in via principale il  ricorrente – a differenza del giudice rimettente nell’incidente di  costituzionalità – non ha l’onere di esperire, a pena di inammissibilità  della questione, un tentativo di interpretazione conforme a  Costituzione della disposizione impugnata, sia perché il denunciato art.  2, comma 1, della legge reg. n. 11 del 2011 non è interpretabile nel  senso indicato dalla Regione. Sotto il primo aspetto, è sufficiente ricordare che, per  costante giurisprudenza di questa Corte, la questione di legittimità  costituzionale promossa in via principale, pur non potendo avere per  oggetto la definizione di un mero contrasto sulla interpretazione della  norma (sentenza n. 19 del 1956), è ammissibile anche quando la richiesta  di dichiarazione di illegittimità costituzionale di una norma di legge,  accompagnata dall’indicazione del vizio denunciato, sia prospettata in  base alla tesi interpretativa prescelta dal ricorrente (ex multis,  sentenze n. 412 del 2001; n. 244 del 1997 e n. 482 del 1991), senza il  previo esperimento del tentativo di giungere ad una interpretazione  alternativa, idonea a superare i dubbi di costituzionalità. Questa  conclusione si giustifica in ragione della radicale differenza delle  questioni promosse in via principale rispetto a quelle sollevate in via  incidentale: nelle prime è lo stesso ricorrente (Stato o Regione), parte  nel giudizio di costituzionalità, ad avanzare una propria  interpretazione della norma denunciata, con riferimento all’astratta  possibilità di applicazione della norma stessa; nelle seconde, cioè in  quelle sollevate in via incidentale, è il giudice rimettente a dover  fornire la dimostrazione della rilevanza del dubbio di costituzionalità,  cioè del fatto che, in concreto, il giudizio a quo «non possa essere  definito indipendentemente dalla risoluzione della questione di  legittimità costituzionale» (art. 23, secondo comma, della legge 11  marzo 1953, n. 87, recante «Norme sulla costituzione e sul funzionamento  della Corte costituzionale») e quindi, in particolare, che il dubbio di  costituzionalità non possa essere risolto facendo uso degli strumenti  interpretativi a disposizione dell’autorità giurisdizionale. Solo per  l’incidente di costituzionalità dunque – e non per il giudizio di  legittimità costituzionale promosso in via di azione – è richiesto al  rimettente, a pena di inammissibilità della questione, un previo  tentativo di interpretazione conforme a Costituzione, nel senso che «la  risoluzione dell’eventuale dubbio interpretativo in ordine alla norma  impugnata è lasciata alla preliminare valutazione del rimettente, vuoi  ai fini della richiesta motivazione sulla rilevanza della questione di  legittimità costituzionale nel giudizio a quo vuoi in ossequio  all’obbligo, pure posto a carico dello stesso giudice, della  interpretazione adeguatrice, ove possibile, alla Costituzione» (citata  sentenza n. 412 del 2001). Sotto il secondo aspetto, va rilevato che,  contrariamente a quanto sostenuto dalla resistente, la legge regionale  n. 11 del 2011 può essere interpretata solo nel senso che essa stessa  provvede all’affidamento diretto della gestione del SII all’AQP. Infatti  detta legge, nel disporre che la gestione del SII è affidata ad  un’azienda pubblica regionale con particolari caratteristiche e  nell’istituire contestualmente una specifica azienda con tali  caratteristiche (a quanto consta, l’unica del genere) con il fine di  gestire il SII, individua proprio in tale azienda (l’AQP) l’affidataria  della gestione del servizio e – attraverso la determinazione delle  caratteristiche generali degli affidatari – anche le forme di gestione  utilizzabili, inibendo cosí all’Autorità idrica pugliese di procedere  alla scelta, previa valutazione comparativa delle modalità di gestione e  degli affidatari. In tal modo la legge reg. n. 11 del 2011 risulta  incompatibile con il citato art. 2, comma 2, lettera f), della legge  reg. Puglia n. 9 del 2011 – secondo il quale è, invece, l’Autorità  idrica pugliese a provvedere all’affidamento della gestione del SII – e  ne ha perciò determinato, in quanto lex posterior incompatibile,  l’abrogazione tacita. 3.2. – Nel merito, occorre sottolineare che la  disciplina dell’affidamento della gestione del SII attiene, come piú  volte affermato da questa Corte, alle materie tutela della concorrenza e  tutela dell’ambiente, riservate alla competenza legislativa esclusiva  dello Stato (ex plurimis, sentenze n. 187 del 2011; n. 128 del 2011; n.  325 del 2010; n. 142 del 2010; n. 307 del 2009; n. 246 del 2009). Nella  specie, anche dopo l’abrogazione referendaria dell’art. 23-bis del  decreto-legge n. 112 del 2008 (con effetto dal 21 luglio 2011, ad opera  dell’art. 1, commi 1 e 2, del d.P.R. 18 luglio 2011, n. 113, recante  «Abrogazione, a seguito di referendum popolare, dell’articolo 23-bis del  decreto-legge n. 112 del 2008, convertito, con modificazioni, dalla  legge n. 133 del 2008, e successive modificazioni, nel testo risultante a  seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 325 del 2010, in  materia di modalità di affidamento e gestione dei servizi pubblici  locali di rilevanza economica»), resta vigente il disposto del terzo  periodo del comma 186-bis dell’art. 2 della legge n. 191 del 2009  (inserito dall’art. 1, comma 1-quinquies, del decreto-legge 25 gennaio  2010, n. 2, convertito con modificazioni, dalla legge 26 marzo 2010, n.  42), in forza del quale alla legge regionale spetta soltanto disporre  l’attribuzione delle funzioni delle soppresse Autorità d’àmbito  territoriale ottimale (AATO), «nel rispetto dei princípi di  sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza», e non spetta, di  conseguenza, provvedere direttamente all’esercizio di tali funzioni  affidando la gestione ad un soggetto determinato. Da ciò deriva, in  particolare, che, in base alla normativa statale, la legge regionale  deve limitarsi ad individuare l’ente od il soggetto che eserciti le  competenze già spettanti all’AATO e, quindi, anche la competenza di  deliberare la forma di gestione del servizio idrico integrato e di  aggiudicare la gestione di detto servizio. Queste funzioni, infatti,  erano attribuite all’AATO dai commi 1 e 2 dell’art. 150 del d.lgs. 3  aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale), i quali aggiungevano,  rispettivamente, che la forma di gestione era deliberata «fra quelle di  cui all’articolo 113, comma 5, del decreto legislativo 18 agosto 2000,  n. 267», recante «Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti  locali» (comma 1) e che l’aggiudicazione avveniva «mediante gara […] in  conformità ai criteri di cui all’articolo 113, comma 7, del decreto  legislativo 18 agosto 2000, n. 267 […]» (comma 2). Va precisato che la  disciplina di cui ai richiamati commi 5 e 7 dell’art. 113 è stata  delegificata ed abrogata dal combinato disposto dell’art. 23-bis del  decreto-legge n. 112 del 2008 (in quanto «incompatibili» con tale art.  23-bis) e dell’art. 12, comma 1, lettera a), del d.P.R. 7 settembre  2010, n. 168 (Regolamento in materia di servizi pubblici locali di  rilevanza economica, a norma dell’articolo 23-bis, comma 10, del  decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni,  dalla legge 6 agosto 2008, n. 133) e che, prima ancora, questa Corte,  con sentenza n. 272 del 2004, aveva dichiarato l’illegittimità  costituzionale del secondo e del terzo periodo del comma 7. Tuttavia  tale abrogazione e l’indicata dichiarazione di illegittimità  costituzionale hanno fatto venir meno soltanto il vincolo che i due  commi abrogati imponevano alle AATO (e, pertanto, anche ai successori di  queste, individuati con legge regionale) di adottare esclusivamente  alcune specifiche forme di gestione e di rispettare particolari criteri  e, perciò, non hanno soppresso la funzione propria delle AATO medesime  di deliberare le forme di gestione del SII e di aggiudicare tale  gestione, nel rispetto dei princípi e delle disposizioni vigenti nel  diritto dell’Unione europea. In proposito, è appena il caso di  sottolineare che i piú volte menzionati commi 5 e 7 dell’art. 113 del  d.lgs. n. 267 del 2000 non hanno ripreso vigore a séguito della  dichiarazione dell’avvenuta abrogazione dell’intero art. 23-bis del  decreto-legge n. 112 del 2008 per effetto dell’esito del referendum  indetto con d.P.R. 23 marzo 2011. Come questa Corte ha piú volte  affermato, infatti, dall’abrogazione referendaria dell’art. 23-bis del  decreto-legge n. 112 del 2008, non consegue la reviviscenza delle norme  abrogate da tale articolo (sentenze n. 320 e n. 24 del 2011;  sull’esclusione, di regola, dell’effetto retroattivo dell’abrogazione  referendaria, ordinanza n. 48 del 2012). Nella specie, la norma regionale impugnata si pone in  contrasto con la suddetta normativa statale, perché – disponendo che la  gestione del SII è affidata ad un’azienda pubblica regionale avente  determinate caratteristiche – da un lato esclude che l’ente regionale  successore delle competenze dell’AATO (ossia l’Autorità idrica pugliese)  deliberi con un proprio atto le forme di gestione del SII e provveda  all’aggiudicazione della gestione del servizio al soggetto affidatario e  dall’altro, con disposizione che tiene luogo di un provvedimento,  stabilisce essa stessa che il SII sia affidato ad un’azienda pubblica  regionale, da identificarsi necessariamente nell’unica (a quanto consta)  azienda pubblica regionale istituita al fine di detta gestione, cioè  nell’azienda denominata «Acquedotto pugliese – AQP», prevista dalla  medesima legge reg. Puglia n. 11 del 2011 (artt. da 5 a 14). Poiché,  come già rilevato, la normativa statale non consente che la legge  regionale individui direttamente il soggetto affidatario della gestione  del SII e che stabilisca i requisiti generali dei soggetti affidatari di  tale gestione (cosí determinando, indirettamente, anche le forme di  gestione), appare evidente la violazione dell’evocato art. 117, secondo  comma, lettere e) ed s), Cost., con la conseguente illegittimità  costituzionale dell’impugnata normativa regionale (sulla legittimità  costituzionale delle leggi statali, emesse nell’esercizio della  competenza legislativa esclusiva dello Stato, che vietino l’esercizio in  via legislativa della funzione amministrativa regionale, ex plurimis,  sentenze n. 20 del 2012; n. 44 del 2010; n. 271 e n. 250 del 2008;  ordinanza n. 405 del 2008). 5.− La seconda questione promossa con il ricorso n. 83  del 2011 ha ad oggetto l’art. 5 della suddetta legge reg. Puglia n. 11  del 2011, che istituisce – come sopra ricordato − l’Azienda pubblica  regionale «Acquedotto pugliese (AQP)» e stabilisce il subentro di tale  azienda nel patrimonio e nei rapporti della s.p.a. Acquedotto pugliese, a  suo tempo costituita, mediante trasformazione del preesistente «Ente  autonomo per l’acquedotto pugliese», con il d.lgs. 11 maggio 1999, n.  141 (Trasformazione dell’Ente autonomo acquedotto pugliese in società  per azioni, a norma dell’articolo 11, comma 1, lettera b, della legge 15  marzo 1997, n. 59). L’articolo è impugnato per violazione dell’art.  117, secondo comma, lettere e) ed s), Cost., perché – pur non incidendo  formalmente sulla normativa statale e pur non provocando l’estinzione  della s.p.a. Acquedotto pugliese (la quale è destinata ad operare, in  base al predetto decreto legislativo, fino al 31 dicembre 2018, per  l’esercizio delle attività di captazione, adduzione, potabilizzazione,  distribuzione di acqua ad usi civili, nonché di fognatura e depurazione  delle acque reflue, cioè per l’esercizio delle attività in cui si  articola il SII) – finisce «per privare di qualsiasi funzione» la s.p.a.  Acquedotto pugliese e, quindi, finisce «per svuotare di qualsiasi  efficacia» il predetto decreto legislativo n. 141 del 1999,  riconducibile alle materie tutela della concorrenza e tutela  dell’ambiente e dell’ecosistema, appartenenti alla sfera di competenza  legislativa esclusiva dello Stato. La questione è fondata. Va premesso, al riguardo, che la normativa regionale  denunciata deve essere valutata in riferimento al quadro costituzionale  vigente al momento della sua emanazione, cioè a quello successivo alla  riforma del Titolo V della Parte II della Costituzione, e non (come  invece pare adombrare la resistente Regione Puglia) alle norme  costituzionali esistenti al momento dell’entrata in vigore del d.lgs. n.  141 del 1999, il quale ha direttamente costituito la s.p.a. Acquedotto  pugliese, il cui patrimonio ed i cui rapporti sono oggetto del censurato  “subentro” in favore dell’AQP. Di qui la pertinenza dei parametri  costituzionali evocati dal ricorrente. Ciò posto, non è dubbio che detta normativa regionale  incide sul patrimonio e sui rapporti attivi e passivi di una società per  azioni costituita con legge statale; società nel cui oggetto sociale  rientra la «gestione del ciclo integrato dell’acqua» e che è destinata  ad operare (in base al citato d.lgs. n. 141 del 1999) almeno fino al 31  dicembre 2018. In considerazione di tale contenuto e, in particolare,  della sua attinenza (proprio perché trasferisce le risorse ed i rapporti  dell’indicata società per azioni) alla gestione del servizio idrico  integrato, la norma regionale impugnata è riconducibile – oltre che alla  materia ordinamento civile – alle materie tutela della concorrenza e  tutela dell’ambiente, entrambe riservate alla competenza legislativa  esclusiva dello Stato in base agli evocati parametri costituzionali  (come evidenziato dalle sopra citate sentenze n. 187 del 2011; n. 128  del 2011; n. 325 del 2010; n. 142 del 2010; n. 307 del 2009; n. 246 del  2009). La previsione del subentro dell’AQP nel patrimonio e nei rapporti  della s.p.a. Acquedotto pugliese, ponendosi in palese contrasto con la  suddetta disciplina statale (che non prevede tale subentro), integra,  perciò, la denunciata illegittimità costituzionale. 6.− La terza questione promossa con il ricorso n. 83 del  2011 ha ad oggetto l’art. 9, comma 1, della medesima legge reg. Puglia  n. 11 del 2011, in base al quale «Il personale in servizio presso  l’Acquedotto pugliese S.p.A. alla data di costituzione dell’AQP transita  nell’organico dell’AQP alla data della costituzione della medesima,  conservando tutti i diritti giuridici ed economici acquisiti, senza  ulteriori e maggiori oneri. Nell’attuazione di tale progetto sono  assicurate le relazioni sindacali». Per il ricorrente, tale normativa,  nel prevedere il trasferimento del personale dalla s.p.a. Acquedotto  pugliese all’Azienda pubblica regionale AQP, a prescindere dalla  circostanza che il personale sia inquadrato nel comparto pubblico con  procedura selettiva concorsuale, víola: a) l’art. 3 Cost., perché  irragionevolmente consente al solo personale in servizio presso la  s.p.a. Acquedotto pugliese di essere inquadrato nei ruoli dell’AQP,  prescindendo dalla regola della selezione concorsuale che si impone  invece per la generalità dei pubblici dipendenti; b) l’art. 51 Cost.,  perché, privilegiando il personale già in servizio presso la s.p.a.  Acquedotto pugliese rispetto ad altri possibili aspiranti all’assunzione  presso l’AQP, non permette a tutti i cittadini di accedere agli uffici  pubblici in condizioni di eguaglianza, secondo i requisiti stabiliti  dalla legge; c) l’art. 97, terzo comma, Cost., perché il generalizzato  ed automatico inquadramento di tutti i dipendenti in servizio presso la  s.p.a. Acquedotto pugliese nei ruoli dell’AQP contrasta con la regola di  accesso agli impieghi pubblici tramite concorso pubblico, posta a  tutela non solo dei potenziali aspiranti, ma anche dell’interesse  pubblico alla scelta dei candidati migliori, nonché all’imparzialità ed  al buon andamento della pubblica amministrazione; d) l’art. 117, terzo  comma, Cost., perché si pone in contrasto con l’art. 17, commi da 10 a  13, del decreto-legge 1° luglio 2009, n. 78 (Provvedimenti anticrisi,  nonché proroga di termini), convertito, con modificazioni, dalla legge 3  agosto 2009, n. 102, il quale, con norma integrante un principio  fondamentale di coordinamento della finanza pubblica, preclude alle  amministrazioni pubbliche, a decorrere dal gennaio 2010, ogni procedura  di stabilizzazione del personale non di ruolo diversa dalla  valorizzazione dell’esperienza professionale acquisita attraverso  l’espletamento di concorsi pubblici con parziale riserva di posti. Anche tale questione è fondata. La normativa impugnata dispone un generale ed automatico  transito del personale di una persona giuridica di diritto privato, la  s.p.a. Acquedotto pugliese, nell’organico di un soggetto pubblico  regionale, l’Azienda pubblica regionale denominata AQP, senza il previo  espletamento di alcuna procedura selettiva. Le modalità di tale transito  costituiscono, pertanto, una palese deroga al principio del concorso  pubblico, al quale debbono conformarsi − come piú volte affermato da  questa Corte – le procedure di assunzione del personale delle pubbliche  amministrazioni (ex plurimis, sentenza n. 190 del 2005). Il mancato  ricorso a tale forma generale e ordinaria di reclutamento del personale  della pubblica amministrazione non trova, nella specie, alcuna peculiare  e straordinaria ragione giustificatrice (che non risulta dal testo  della legge regionale, non è indicata dalla Regione resistente e, allo  stato degli atti, neppure appare ricavabile aliunde), tanto da  risolversi in un privilegio indebito per i soggetti che possono  beneficiare della norma impugnata (sulla necessità che le eccezioni alla  regola di cui all’art. 97 Cost. rispondano a peculiari e straordinarie  esigenze di servizio, ex plurimis, sentenze n. 363, n. 205 e n. 81 del  2006). Risulta, dunque, violato l’art. 97 Cost. Le ulteriori censure  restano assorbite. per questi motivi LA CORTE COSTITUZIONALE riuniti i giudizi, 1) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 2,  comma 1, dell’art. 5 e dell’art. 9, comma 1, della legge della Regione  Puglia 20 giugno 2011, n. 11 (Gestione del servizio idrico integrato.  Costituzione dell’Azienda pubblica regionale “Acquedotto pugliese –  AQP”), oggetto delle questioni di legittimità costituzionale promosse  dal Presidente del Consiglio dei ministri con il ricorso n. 83 del 2011,  indicato in epigrafe; 2) dichiara cessata la materia del contendere in ordine  alla questione di legittimità costituzionale dell’art. 5, comma 6,  lettera g), della legge della Regione Puglia 30 maggio 2011, n. 9  (Istituzione dell’Autorità idrica pugliese), promossa dal Presidente del  Consiglio dei ministri, in riferimento all’art. 117, secondo comma,  lettera s), della Costituzione, con il ricorso n. 81 del 2011, indicato  in epigrafe. Cosí deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 7 marzo 2012. F.to: Alfonso QUARANTA, Presidente Franco GALLO, Redattore Gabriella MELATTI, Cancelliere Depositata in Cancelleria il 21 marzo 2012.
 
 
 
 
                    




