 TAR Lazio (RM) Sez. IIbis n. 4090 del 16 marzo 2010
TAR Lazio (RM) Sez. IIbis n. 4090 del 16 marzo 2010
Aria. Assegnazione quote CO2
Per evitare la violazione  degli obblighi internazionali e  comunitari dell’Italia e l’alterazione delle regole di concorrenza fra  gli  operatori economici, il sistema di assegnazione nazionale delle quote  di CO2 ai  singoli  operatori economici deve essere considerato un sistema “chiuso”, con la  conseguente impossibilità per le Autorità nazionali (incluso il  Giudice) di  adottare decisioni (cautelari o di merito) concernenti l’assegnazione di  singole  quote, che possano causare il superamento dei limiti del Piano Nazionale  di  Assegnazione validato dalla Commissione Europea per il periodo temporale  di  riferimento. Pertanto, l’eventuale accoglimento del ricorso in epigrafe,  ove  dovesse comportare il conferimento alla ricorrente di maggiori quote (in  forma  specifica, ovvero per equivalente, mediante il risarcimento della spesa  sostenuta per l’acquisto di quote ulteriori), imporrebbe,  necessariamente, di  procedere ad una contestuale e complessiva diversa riallocazione  dell’insieme  delle quote assegnate agli altri operatori economici nazionali, nel  rispetto  della parità di trattamento degli operatori economici e degli impegni  internazionali e comunitari assunti dall’Italia in materia di  progressivo  contenimento dell’emissione di gas ad effetto serra e di contrasto ai  cambiamenti climatici. In particolare, affinché la descritta disciplina comunitaria in  materia di  emission trading possa conseguire le proprie finalità di contenimento  delle  emissioni, peraltro senza alterare la parità di trattamento dei singoli  operatori economici ed il libero gioco della concorrenza economica  (sanciti  dagli artt. 3, 41 e 97 della Costituzione italiana e dal Trattato  istitutivo  della Comunità europea), assume valore fondamentale l’iniziale  “decisione di  assegnazione” agli operatori economici, che l’Italia, così come gli  altri Paesi  comunitari, deve assumere in conformità al proprio Piano Nazionale di  Assegnazione, disciplinato dall’Allegato III della Direttiva 2003/87/CE. La decisione nazionale di assegnazione può avvenire solo dopo l’esame,  da parte  della Commissione Europea, della conformità del Piano Nazionale di  Assegnazione  all’Allegato III della Direttiva. Tale Allegato fornisce una chiara  indicazione  delle quote che ciascuno Stato può ripartire fra le diverse attività  economiche  disciplinate, secondo criteri volti ad assicurare la coerenza fra gli  obiettivi  di riduzione nazionale sottoscritti nell’ambito del Protocollo, le  previsioni di  crescita delle emissioni, il potenziale di loro riduzione ed il  principio di  concorrenza.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
N. 04090/2010 REG.SEN.
 N. 09901/2007 REG.RIC.
 Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
 
 (Sezione Seconda Bis)
 ha pronunciato la presente
 SENTENZA
 Sul ricorso numero di registro generale 9901 del 2007, proposto da:
 Soc Evonik Degussa Italia Spa, rappresentato e difeso dagli avv. Luciano  Butti,  Riccardo Chilosi, Federico Peres, con domicilio eletto presso Riccardo  Chilosi  in Roma, p.zza Martiri di Belfiore, 2;
 
 contro
 
 Ministero dell'Ambiente e Tutela del Territorio e del Mare,  rappresentato e  difeso dall'Avvocatura dello Stato, domiciliata per legge in Roma, via  dei  Portoghesi, 12; Ministero delle Attivita' Produttive, Comitato Naz  Gestione e  Attuazione Direttiva 2003/87/Ce;
 
 nei confronti di
 
 Soc Polynt Spa;
 
 per l'annullamento
 
 previa sospensione dell'efficacia, della deliberazione N.25/07 recante  :SPECIFICAZIONE DEL CAMPO DI APPLICAZIONE DEL DEC LGS 4/4/06  RELATIVAMENTE AGLI  IMPIANTI DI COMBUSTIONE E RACCOLTA DELLE INFORMAZIONI AI FINI  DELL'ASSEGNAZIONE  DELLE QUOTE CO2..
 
 
 Visto il ricorso con i relativi allegati;
 
 Visto l'atto di costituzione in giudizio di Ministero dell'Ambiente e  Tutela del  Territorio e del Mare;
 
 Viste le memorie difensive;
 
 Visti tutti gli atti della causa;
 
 Relatore nell'udienza pubblica del giorno 5 novembre 2009 il dott.  Raffaello  Sestini e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
 
 Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
 FATTO
 .1. Con il gravame in epigrafe, la società ricorrente ha impugnato la  Deliberazione n. 025/2007 adottata dal Comitato di Gestione e Attuazione  della  Direttiva 2003/87/CE, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 172 del  26.7.2007,  relativa alla «specificazione del campo di applicazione del Decreto  Legislativo  4 aprile 2006 relativamente agli impianti di combustione e raccolta  delle  informazioni ai fini dell'assegnazione delle quote di CO2 per il periodo   2008¬2012 agli impianti di cui alla Decisione della Commissione Europea  del 15  maggio 2007», nonché di tutti gli atti, comportamenti, provvedimenti  presupposti, connessi e consequenziali, richiamati dalla stessa, anche  se non  materialmente allegati, nonché contro tutti gli atti, comportamenti e  provvedimenti presupposti, connessi e consequenziali.
 
 Tale deliberazione, infatti, ha esteso la disciplina comunitaria di  rilascio  delle quote di CO2 relativa alla c.d. emission trading anche  all’attività svolta  dalla ricorrente, di produzione di nero di carbonio (o carbon black o  nerofumo  di gas), materiale utilizzato soprattutto per la produzione di  pneumatici,  inchiostri e, in generale, come elemento additivo per la pigmentazione  di  oggetti, mediante il processo c.d. "fumace", ricavando vapore ed energia   elettrica dal recupero energetico dalla sua produzione.
 
 Al riguardo, la ricorrente deduce la sussistenza dei vizi di violazione  di  legge, con riferimento all’art. 1 delle Disposizioni preliminari, agli  artt. 70,  72, 76 e 77 Cost, ed all’art. 14 della legge n. 11/2005, nonché di  sviamento di  potere, in quanto l’impugnato atto amministrativo avrebbe indebitamente  modificato, e non semplicemente chiarito, un atto normativo di rango  primario  quale il d.lgs. n. 216/2006.
 
 2. L'Amministrazione resistente, costituitasi in giudizio per il tramite   dell’Avvocatura dello Stato, oppone sostanzialmente che per  l'adeguamento  dell'ordinamento interno al diritto comunitario cd. derivato  (regolamenti,  decisioni, direttive) "vige il principio della prevalenza della  “sostanza sulla  forma", con la conseguente libertà dello Stato membro di recepire il  diritto  comunitario attraverso qualsiasi tipo di fonte; inoltre, il  provvedimento  impugnato non incide su una fonte legislativa, bensì soltanto sul Piano  nazionale di assegnazione delle emissioni 2008-2012 (PNA2), che perciò  poteva  essere modificato da una fonte non legislativa; in ogni caso, la  primazia del  diritto comunitario consentirebbe anche una "disapplicazione" della  norma  interna eventualmente difforme.
 
 3. In esito all’udienza del 2 aprile 2009, questo Tribunale con sentenza  n.  6887/2009, riscontrata la carenza nell'integrità del contraddittorio, ne  ha  disposto l’integrazione ai sensi dell'art. 21, comma 1, della L. 6  dicembre  1971, n. 1034, ordinando alla parte ricorrente di procedere alla  notifica, anche  per pubblici proclami, a tutte le aziende operanti nei settori regolati  dalla  Direttiva Europea n. 2003/87/CE e riportati nell'allegato 1 al Decreto  del  Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio n. 74 del 23  febbraio  2006. A seguito della pubblica udienza del 5 novembre 2009 la causa è  stata  infine introitata dal Collegio per la decisione.
 DIRITTO
 .1. Con il ricorso indicato in epigrafe, la società istante chiede  l’annullamento, per quanto d’interesse, del provvedimento meglio  evidenziato in  epigrafe con il quale lo Stato italiano ha dato attuazione sul piano  interno  alla disciplina comunitaria in materia di emission trading, estendendo  l’iniziale ambito di applicazione previsto dal Piano Nazionale di  Assegnazione  anche all’attività industriale di produzione di nerofumo.
 
 2. Al riguardo, la ricorrente deduce la sussistenza dei vizi di  violazione di  legge, con riferimento all’art. 1 delle Disposizioni preliminari, agli  artt. 70,  72, 76 e 77 Cost, ed all’art. 14 della legge n. 11/2005, nonché di  sviamento di  potere, in quanto l’impugnato atto amministrativo avrebbe indebitamente  modificato, e non semplicemente chiarito, un atto normativo di rango  primario  quale il d.lgs. n. 216/2006.
 
 In estrema sintesi, il ricorso contesta le modalità con le quali si  sarebbe di  fatto esteso il campo di applicazione del D.lgs. 216/2006, in quanto un  mero  atto amministrativo, o quantomeno una fonte di diritto secondaria -quale  è senza  dubbio la deliberazione del Comitato ministeriale di gestione della  procedura in  esame, - non potrebbe modificare o integrare in alcun modo quanto  stabilito da  una fonte primaria, quale il D.lgs. 216/06, e neppure vi sarebbero le  condizioni  per procedere alla disapplicazione per preminenza del diritto  comunitario,  trattandosi e imporre nuovi obblighi ai privati sulla base di norme di  direttiva  comunitaria non trasposte nell’ordinamento nazionale.
 
 3. Il Collegio premette che il provvedimento impugnato è diretto ad  ottemperare  agli obblighi internazionali e comunitari dell’Italia in materia di  emissione di  gas ad effetto serra. Sono noti gli effetti negativi a livello  planetario  globale addebitabili a tali emissioni secondo la migliore dottrina  scientifica.  L’Italia ha quindi aderito al Protocollo di Kyoto (ovvero al trattato  internazionale finalizzato a ridurre le emissioni di gas ad effetto  serra), così  come la stessa Unione Europea, che si è quindi dotata di una politica  comunitaria in materia di cambiamenti climatici, diretta ad assicurare  il  rispetto dell’impegno di riduzione delle emissioni sottoscritto  congiuntamente  all’Italia ed agli altri Stati europei nell’ambito del protocollo.
 
 In tale ambito, la direttiva 2003/87/CE ha istituito il sistema  comunitario di  scambio delle quote di emissione di CO2 (gas ritenuto il principale  responsabile  dell’effetto serra), prevedendo che l’Italia, al pari degli altri Paesi  comunitari, possa assegnare quote di emissione di CO2 ai singoli  impianti  (inclusi quelli della ricorrente), operanti nei settori economici  individuati  dalla direttiva in quanto maggiormente responsabili della produzione di  CO2.
 
 Ciascun gestore nazionale, a seguito dell’assegnazione delle quote, ha  l’obbligo  di comunicare le emissioni di CO2 effettivamente rilasciate in atmosfera  nel  corso dell’anno, e di restituire le quote in misura corrispondente,  ricorrendo  obbligatoriamente, nel caso in cui le emissioni risultino eccedenti  rispetto  alle quote conferite, all’acquisto sul mercato di ulteriori quote,  corrispondenti ad impianti “virtuosi” che hanno viceversa contenuto le  proprie  emissioni rispetto alle quote ad essi assegnate, risultando in tal modo  conferito un valore economico, negoziabile sul mercato, al contenimento  delle  emissioni di CO2 da parte dei singoli operatori economici, secondo il  principio  “chi inquina paga”.
 
 4. Ne discende che, per evitare la violazione degli obblighi  internazionali e  comunitari dell’Italia e l’alterazione delle regole di concorrenza fra  gli  operatori economici, il sistema di assegnazione nazionale delle quote ai  singoli  operatori economici deve essere considerato un sistema “chiuso”, con la  conseguente impossibilità per le Autorità nazionali (incluso questo  Giudice) di  adottare decisioni (cautelari o di merito) concernenti l’assegnazione di  singole  quote, che possano causare il superamento dei limiti del Piano Nazionale  di  Assegnazione validato dalla Commissione Europea per il periodo temporale  di  riferimento. Pertanto, l’eventuale accoglimento del ricorso in epigrafe,  ove  dovesse comportare il conferimento alla ricorrente di maggiori quote (in  forma  specifica, ovvero per equivalente, mediante il risarcimento della spesa  sostenuta per l’acquisto di quote ulteriori), imporrebbe,  necessariamente, di  procedere ad una contestuale e complessiva diversa riallocazione  dell’insieme  delle quote assegnate agli altri operatori economici nazionali, nel  rispetto  della parità di trattamento degli operatori economici e degli impegni  internazionali e comunitari assunti dall’Italia in materia di  progressivo  contenimento dell’emissione di gas ad effetto serra e di contrasto ai  cambiamenti climatici.
 
 5. In particolare, affinché la descritta disciplina comunitaria in  materia di  emission trading possa conseguire le proprie finalità di contenimento  delle  emissioni, peraltro senza alterare la parità di trattamento dei singoli  operatori economici ed il libero gioco della concorrenza economica  (sanciti  dagli artt. 3, 41 e 97 della Costituzione italiana e dal Trattato  istitutivo  della Comunità europea), assume valore fondamentale l’iniziale  “decisione di  assegnazione” agli operatori economici, che l’Italia, così come gli  altri Paesi  comunitari, deve assumere in conformità al proprio Piano Nazionale di  Assegnazione, disciplinato dall’Allegato III della Direttiva 2003/87/CE.
 
 La decisione nazionale di assegnazione può avvenire solo dopo l’esame,  da parte  della Commissione Europea, della conformità del Piano Nazionale di  Assegnazione  all’Allegato III della Direttiva. Tale Allegato fornisce una chiara  indicazione  delle quote che ciascuno Stato può ripartire fra le diverse attività  economiche  disciplinate, secondo criteri volti ad assicurare la coerenza fra gli  obiettivi  di riduzione nazionale sottoscritti nell’ambito del Protocollo, le  previsioni di  crescita delle emissioni, il potenziale di loro riduzione ed il  principio di  concorrenza.
 
 6. Ed è proprio in tale ambito, che la Commissione Europea con Decisione   15.7.2007, ha ritenuto il Piano Nazionale presentato dall’Italia “non  conforme “  ai criteri di redazione dei Piani nazionali contenuti nella direttiva  2003/87/CE, a causa della mancata inclusione di una serie di tipologie  di  impianti, compresa quella in cui rientra l’impianto della ricorrente, ed  ha  quindi chiesto all’Italia di integrare in tal senso il Piano,  consentendole di  aumentare di conseguenza, in maniera giustificata, la quantità totale  media di  quote annue da assegnare.
 
 7. Ciò premesso, osserva il Collegio che le “Decisioni” sono atti  comunitari  concreti e puntuali, e vengono definite come “obbligatorie” in tutti i  loro  elementi per i destinatari da esse specificatamente designati. Ne  consegue ce le  Decisioni sono immediatamente applicabili, in modo vincolante, in  ciascuno Stato  membro, e come tali sono suscettibili di determinare doveri ed obblighi,  sia  direttamente per i soggetti – cittadini ed imprese- indicati, sia – come  nel  caso in esame- per le Autorità nazionali appartenenti agli Stati  componenti  dell’Unione Europea cui la Decisione si indirizza, che sono tenuti a  darvi  tempestiva attuazione.
 
 Quindi l’Autorità nazionale competente, ovverosia il Comitato nazionale  di  gestione e attuazione della Direttiva 2003/87/CE istituito presso il  Ministero  dell’Ambiente, ha doverosamente dato sollecita attuazione alla Decisione  in  esame, al fine di evitare una sicura procedura d’infrazione e condanna  nei  confronti dell’Italia, con tutte le conseguenti ricadute negative anche  economiche, e le connesse responsabilità erariali dei componenti del  Comitato e  degli stessi vertici ministeriali, integrando il Piano Nazionale (atto  amministrativo, pur generale) con un successivo provvedimento  amministrativo,  adottato dell’organo competente a termini di legge e nel rispetto della  prevista  procedura, e pertanto del tutto idoneo ad operare le necessarie  integrazioni,  impedendo in radice la possibilità di configurare il dedotto vizio di  sviamento  di potere.
 
 8. Quanto, poi, alla possibile illegittimità per violazione di legge,  osserva in  primo luogo il Collegio che una delle norme di legge richiamate da parte   ricorrente (art. 14 della legge n. 11/2005), introduce una certamente  opportuna  procedura di raccordo istituzionale fra Parlamento e Governo ai fini  dell’attuazione delle Decisioni comunitarie, che deve però essere  attivata dal  competente Ministro qualora ritenga che la Decisione “rivesta  particolare  importanza per gli interessi nazionali o comporti rilevanti oneri di  esecuzione”.
 
 Pertanto, la mancata attivazione della procedura in esame, lungi dal  consentire  la non attuazione della Decisione o dal determinare un’illegittimità  della  stessa attuazione secondo il diritto nazionale, deve più semplicemente  essere  intesa come l’implicito risultato di un’insindacabile valutazione  politica del  Ministro competente.
 
 9. Più delicata è la questione concernente la censurata modifica dei  contenuti  del d.lgs. n. 216/2006 mediante un atto amministrativo, con la  conseguente  dedotta violazione delle norme costituzionali che disciplinano la  gerarchia del  sistema nazionale delle fonti di diritto.
 
 Il Collegio, per verificare la fondatezza della censura di violazione di  legge  in esame, deve in primo luogo accertare se l’impugnato provvedimento sia   compatibile con le fonti normative superiori, sulla base di  un’interpretazione  della norma di riferimento necessariamente “orientata” al diritto  comunitario.  Infatti, alla stregua di un criterio di presunzione di legittimità,  l’interprete  deve scegliere, fra i diversi possibili significati di una norma, quello  che  consente di ritenerla legittima nel sistema nazionale e comunitario  delle fonti  di diritto. Pertanto, alla luce delle pregresse considerazioni, deve  essere  valorizzata la circostanza che l’Allegato A del citato d.lgs. 216/2006  include  nell’ambito di applicazione (tutti gli) “impianti di combustione con una  potenza  calorifica di combustione di oltre 20 MW, esclusi…” (solo, ovvero  esclusivamente) “…gli impianti per rifiuti pericolosi o urbani” (e  quindi non  gli impianti di produzione di nerofumo). Nonostante la predetta  interpretazione  “evolutiva”, la medesima norma risulta, peraltro, incompatibile con il  provvedimento impugnato quando , in premessa, richiama in modo tassativo  taluni  codici “NOSE” di classificazione degli impianti di combustione,  escludendo dal  novero la classificazione relativa alla tipologia di impianti cui  appartiene  quello della ricorrente.
 
 Pertanto, risultando fondate la censura di violazione di legge, sia pur  nei  limiti indicati, occorre passare ad esaminare l’eccezione sollevata  dall’Amministrazione, secondo cui sarebbe necessario procedere alla  disapplicazione della medesima norma nazionale, per violazione del  diritto  comunitario.
 
 10. In realtà, osserva il Collegio, alla stregua dell’art. 76 Cost. il  decreto  legislativo costituisce una legittima fonte normativa di rango primario  nei  limiti della delega operata dal Parlamento, che nella fattispecie  prevedeva (né  poteva non prevedere) quale primario principio e criterio direttivo  l’integrale  rispetto delle norme comunitarie di riferimento, ciò che nel caso in  esame non  sembrerebbe essere avvenuto, come testimoniato proprio dalla Decisione  della  Commissione in data 15.7.2007.
 
 La non conformità al criterio di delega determina l’illegittimità della  norma  delegata, azionabile davanti alla Corte Costituzionale ad opera del  Giudice a  quo demandato ad applicarla, ma qualora la medesima illegittimità  concreti in  una diretta violazione di una espressa disposizione del Diritto  dell’Unione  Europea immediatamente cogente, secondo il costante insegnamento della  Corte di  Giustizia il giudice nazionale deve direttamente disapplicare la norma  nazionale  che si frappone alla corretta applicazione della disposizione  comunitaria in  ambito nazionale.
 
 Al riguardo, il Collegio osserva altresì la non pertinenza delle  contro-eccezioni mosse dalla ricorrente, circa l’impossibilità di  imporre  obblighi ai privati sulla base di direttive non trasposte  nell’ordinamento  nazionale, atteso che la disapplicazione discenderebbe dall’attuazione  della  Decisione comunitaria, atto direttamente vincolante per lo Stato  nazionale, e  che il recepimento della direttiva comunitaria avviene nel nostro  ordinamento  già con l’entrata in vigore della legge comunitaria o della specifica  legge di  delega, residuando solo l’adozione dei conseguenti strumenti attuativi  (regionali o nazionali, normativi, delegati o regolamentari, o  amministrativi).  Pertanto, l’infedele attuazione quanto all’ambito di applicazione  (ovverosia  quanto ad una norma cogente, puntuale e non condizionata) di una  direttiva  comunitaria già recepita nell’ordinamento nazionale dalla legge di  delega, ad  opera del decreto delegato attuativo, si palesa suscettibile di  immediata  disapplicazione da parte del Giudice nazionale chiamato alla sua  attuazione, al  pari di ogni altra norma nazionale successiva al recepimento della  stessa  direttiva nell’ordinamento italiano e da essa difforme.
 
 11. Più in generale, in ordine alle censure in esame, il Collegio  osserva che, a  seguito dell’impugnata integrazione, il Piano nazionale di assegnazione  delle  quote di emissioni per il periodo di riferimento risulta conforme alle  procedure  e ai parametri di cui alla direttiva del Parlamento europeo e del  Consiglio 13  ottobre 2003, 2003/87/CE, che istituisce un sistema per lo scambio di  quote di  emissioni dei gas a effetto serra nella Comunità e che modifica la  direttiva  96/61/CE del Consiglio. Si tratta, dunque, di un procedimento che  travalica i  confini del singolo Stato membro, per andare a costituire una voce della  c.d.  global administrative law, nel senso che la regola generale ed i  principi cui lo  Stato ha deciso di adeguarsi sono fondati, nella specie, dal protocollo  di Kyoto  attraverso lo sviluppo di un diritto amministrativo comune e a vocazione   universale. Ma, altresì, deve rinvenirsi nella fattispecie in esame, il  fenomeno  dell’europeizzazione del diritto amministrativo, di cui si discute da  qualche  tempo, in termini di influenza dell’integrazione europea  sull’organizzazione ed  – anche - sulle stesse funzioni ed i procedimenti degli Stati membri. E’  questo  il caso: la direttiva del 2003 in tema di emissioni di gas serra che da’   indicazione agli Stati non limitate ai principi, essendo bensì estese  agli  organismi atti al rilascio dell’autorizzazione, al metodo di  assegnazione ed  alla programmazione, disciplinando il procedimento e prevedendo i  rapporti tra  le autorità nazionali e comunitarie. Per quanto qui rileva, la  ‘strutturazione’  stessa del procedimento amministrativo risulta incisa, sia in relazione  alla  determinazione sopranazionale dei criteri, sia in relazione alle fasi  procedimentali, di tal ché non è dato ad un singolo Stato di procedere  alla  decisione di autorizzazione senza il coinvolgimento della Comunità ed, a  monte,  senza che la Comunità stessa si sia pronunziata sull’atto di  programmazione  elaborato o in difformità da quanto approvato in sede comunitaria.
 
 Ne consegue, osserva il Collegio, che la finalità dell’intera disciplina  deve  ravvisarsi nella progressiva diminuzione – entro la soglia indicata come   ‘sviluppo sostenibile’ – delle emissioni di Co2 e non nel mero  mantenimento  delle stesse emissioni con trasformazione delle quote non consumate  dalle  singole imprese in beni-merce collocabili sul mercato, e che fin  dall’approvazione della direttiva 2003/87/CE tutti gli operatori dei  settori  produttivi ed impiantistici indicati, ivi incluso – come detto – quello  della  ricorrente, erano ben consapevoli, alla stregua di un criterio di  ordinaria  diligenza, che a partire dal gennaio 2005 non sarebbe stato più  possibile  emettere gratuitamente CO2 in atmosfera, e che chi avesse effettuato  tempestivamente interventi volti ad aumentare l'efficienza dell'impianto  avrebbe  dovuto sostenere per la CO2 emessa costi inferiori, e pertanto ogni  operatore di  mercato era stato messo in grado di compiere le proprie scelte aziendali  e  produttive nel nuovo ambito comunitario volto al contenimento delle  emissioni.
 
 12. Tornando al caso particolare all’esame del Collegio, la Commissione  Europea  con Decisione 15.7.2007, ha ritenuto il Piano Nazionale presentato  dall’Italia  “non conforme “ ai criteri di redazione dei Piani nazionali contenuti  nella  direttiva 2003/87/CE, a causa della mancata inclusione (fra gli altri),  dell’impianto della ricorrente, chiedendo quindi all’Italia di  rispettare il  previsto ambito di applicazione della direttiva ormai recepita dal  nostro  ordinamento, ed ha al contempo consentito di aumentare di conseguenza,  purchè in  maniera giustificata, la quantità totale media di quote annue da  assegnare,  acclarando al di là di ogni ragionevole dubbio, sia l’incompatibilità  comunitaria della sopra citata norma nazionale, per la parte in cui  impone di  escludere lo stesso impianto, sia la doverosità della disapplicazione  della  medesima norma da parte delle competenti Autorità nazionali, al fine di  assoggetare il medesimo impianto alla normativa armonizzata ad esso  applicabile  ai sensi del Trattato.
 
 13. Conclusivamente, le scelte operate in ambito nazionale e contestate  con il  ricorso in epigrafe non possono essere ritenute illegittime come  argomentato  dalla ricorrente, essendo state adottate nel rispetto ed anzi in  adempimento  delle fonti e degli atti di diritto comunitario, con il conseguente  obbligo per  le competenti Autorità nazionali di disapplicare ogni eventuale norma  nazionale  difforme, né la ricorrente impugna le specifiche modalità di  attribuzione delle  quote di emissione nei propri confronti conseguentemente adottate dallo  Stato  italiano.
 
 Infatti, la ricorrente non impugna né le ragioni della previsione  comunitaria in  esame, né le modalità nazionali di previsione ed attribuzione delle  quote di  emissione per quanto d’interesse, ma contesta la sua stessa  sottoposizione ad  obblighi ed impegni pur espressamente sanciti dal diritto comunitario  (oltrchè  dal Trattato di Kyoto) con una direttiva già trasposta nel nostro  ordinamento,  sulla base di una specifica disposizione normativa nazionale, che è però   apertamente contrastante con lo stesso diritto comunitario e che deve  pertanto  essere disapplicata dal Giudice nazionale, così come fu correttamente  disapplicata dall’Autorità amministrativa nazionale al fine di  ottemperare alla  citata Decisione comunitaria.
 
 14. Per quanto sin qui esaminato, il ricorso deve essere respinto,  essendo stato  l’atto impugnato legittimamente adottato in conformità agli obblighi  comunitari  ed internazionali incombenti sul nostro Paese secondo le previsioni  degli artt.  9, 10 ed 11 della Costituzione.. Tuttavia, in ragione della complessità  della  fattispecie oggetto del gravame, sussistono giusti motivi per la  compensazione  delle spese di lite tra le parti.
 P.Q.M.
 Il Tribunale Amministrativo regionale del Lazio, Sezione seconda bis,  definitivamente decidendo sul ricorso in epigrafe lo respinge ai sensi e  per gli  effetti di cui in motivazione..
 
 Compensa fra le parti le spese di giudizio.
 
 Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità  amministrativa.
 
 Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 5 novembre e 17   dicembre 2009 con l'intervento dei Signori:
 
 Eduardo Pugliese, Presidente
 
 Raffaello Sestini, Consigliere, Estensore
 
 Mariangela Caminiti, Primo Referendario
 L'ESTENSORE                         IL PRESIDENTE
 
 DEPOSITATA IN SEGRETERIA
 
 Il 16/03/2010
 
                    




