Legge 3941991. Modificazione del regime delle acque. Nota a Cass. Sez. III 25 giugno 2002 di Veronica DINI
CORTE
DI CASSAZIONE,
Sez. III penale– 25 giugno 2002– Pres.
TORIELLO Est. GRILLO – imp. A.E.
 
Territorio L.394/1991 sulle aree protette – divieto di opere che comportino modificazione del regime delle acque
Territorio modificazione del regime delle acque - captazione delle acque protratta nel tempo
Territorio captazione delle acque senza autorizzazione - illegittimità
 
L’art.11 comma 3 L. 394/1991 sulle aree protette, vieta le attività e le opere che possono compromettere la salvaguardia del paesaggio e degli ambienti naturali tutelati, con particolare riguardo alla flora e alla fauna protette e ai rispettivi habitat; tra esse proibisce espressamente e particolarmente (alla lett.c)) “la modificazione del regime delle acque”.
Tale regime, non può essere compromesso evidentemente da un isolato prelievo, ma la sua modifica presuppone una captazione delle acque protratta nel tempo, per un periodo significativo, anche se eventuali opere per effettuarla siano eseguite in un contesto temporale unico o limitato.
Costituisce indebita modificazione del regime delle acque nel territorio del Parco nazionale dello Stelvio, la captazione delle acque senza la prescritta autorizzazione e contro il parere dell'Ente Parco.
 
La L.394/1991
1. La L.6 dicembre 1991 n°394, oggetto della sentenza annotata, sottopone
a uno speciale regime di protezione alcune particolari aree del territorio: i
parchi (nazionali, naturali interregionali e regionali) e le riserve naturali
(statali e regionali), cui vanno aggiunte le aree protette da convenzioni e
direttive internazionali.
Ai
fini della legge quadro deve intendersi per area naturale protetta, quel
territorio in cui sono presenti formazioni fisiche, geologiche, geomorfologiche
e biologiche o gruppi di esse, aventi rilevante valore naturalistico e
ambientale, e come tali sottoposte a un
particolare regime di tutela e gestione (cfr. art.1 commi II, III e IV) 
A
differenza del D.lgs. 490/1991, che tutela il patrimonio naturale da un punto di
vista meramente paesaggistico, la L.394/1991 è finalizzata a salvaguardare
l'aspetto naturalistico, impedendo e sanzionando le turbative dell'equilibrio
biologico  dell'ecosistema che
possono pregiudicare l'habitat naturale.
2. In relazione alle problematiche connesse alle acque, la normativa adotta
una nozione di difesa del suolo non solo in senso tecnico – ossia
idrogeologico – ma anche in senso più ampio come difesa di un territorio
comprensivo delle necessità dei cittadini.
Conseguentemente,
la legge vieta, all'interno delle aree protette, tutte le attività e 
le opere non consentite dai provvedimenti istitutivi, dalle misure di
salvaguardia adottate dal Ministero dell' Ambiente o dalle Regioni, ovvero dai
piani e dai regolamenti espressamente previsti.
Così,
è fatto divieto, salvo deroga del Ministero dovuta a gravi motivi di difesa
ambientale:
1)    
di eseguire nuove costruzioni e di trasformare quelle esistenti;
2)    
di trasformare terreni con destinazione diversa da quella agricola;
3)    
di influire sulla morfologia del territorio, sugli equilibri ecologici,
idrogeotermici nonché sulle finalità dell'area protetta.
3. Nella fattispecie affrontata dai Giudici della Cassazione nella
sentenza qui annotata, il rappresentante della società SCI Santa Caterina
Impianti S.p.a. è imputato ex  artt.
30 e 11 comma III lett. c) L.349/1991 per aver realizzato un'indebita
modificazione del regime delle acque nel territorio del Parco Nazionale dello
Stelvio, senza la prescritta autorizzazione e contro il parere dell'Ente Parco.
Il
reato di cui all'art.30 L.394/1991 è escluso, ai sensi dell'art.60 comma III
L.689/1981, dalla possibilità di applicazione di sanzioni sostitutive,
"…atteso che nella
"materia urbanistica" il legislatore ricomprendeva all'epoca 
tutta la legislazione a salvaguardia del territorio ed a protezione
dell'ambiente[1].
4.
Quanto all'art.11 L.394/1991, invece,
il comma III prevede espressamente che: "salvo
quanto previsto dal comma 5, nei parchi sono vietate le attività e le opere che
possono compromettere la salvaguardia del paesaggio e degli ambienti naturali
tutelati con particolare riguardo alla flora e alla fauna protette e ai
rispettivi habitat. In particolare sono vietati: … c) la modificazione del
regime delle acque; 
Come
si evince dal tenore letterale della norma, si tratta di un reato di pericolo:
il divieto è posto in via generale per ogni attività che possa
compromettere il paesaggio o l'ambiente naturale.
Sul
punto, la giurisprudenza ha precisato tuttavia che "le
contravvenzioni  in materia 
di tutela paesaggistica  hanno
natura  di reati 
di  pericolo,  ma
l'interesse  protetto dalle norme 
incriminatrici,  pur dovendosi  individuare 
nella tutela  prodromica 
del  paesaggio, non può 
logicamente  prescindere 
da una  sia 
pur  minima possibilità di 
"vulnus" al bene tutelato. 
Pertanto la messa  in  pericolo 
del  paesaggio 
deve concretarsi pur  sempre  in un  nocumento
potenziale,  da valutarsi "ex
ante",  oggettivamente insito
nella minaccia ad esso portata"[2]
.
Si
ritiene che l'elenco delle condotte vietate dall’art.11 sia meramente
esemplificativo e non tassativo.
In
materia di modificazione del regime delle acque, in particolare, il T.A.R. ad
esempio, ha ritenuto legittimo, ai sensi  dell'art.
11 comma 3 della legge in oggetto, il diniego di nulla osta ambientale alla
realizzazione  di 
una centralina  idroelettrica
che "nella  specie, richiederebbe  una
derivazione  di 
acqua  dal 
torrente  all'interno 
del  Parco 
dello Stelvio, dal  quale emungere da 40  a
600 litri di  acqua al secondo, 
in relazione  a portate variabili del corso 
d'acqua da  pochi litri fino
a  1200 litri al secondo, 
con un salto  di più di 500  metri
e  con restituzione  delle acque  in
altro  torrente - 
costituendo tale opera un'alterazione del regime delle acque. "[3]
La
sentenza annotata precisa che la compromissione del regime delle acque non può
essere determinato da un solo isolato prelievo, presupponendo piuttosto "una
captazione delle acque protratta nel tempo, per un periodo significativo, anche
se eventuali opere per effettuarla siano eseguite in un contesto temporale unico
[…] ne consegue che il reato , ad avviso del Collegio, ha natura permanente e
la permanenza cessa quando hanno termine i prelievi non autorizzati che
producono il detto effetto". 
Ciò
invero appare del tutto in linea con la giurisprudenza in materia. La medesima
sezione della Suprema Corte, infatti, aveva già avuto modo di precisare che
l'alterazione dello stato dei luoghi vincolati comporta "una
modificazione non momentanea, ma destinata a durare nel tempo".[4]
.
Anche
la giurisprudenza amministrativa, del resto, si muove in questa direzione:
"la tutela dell'ambiente mira alla
salvaguardia non solo del paesaggio  nel 
suo aspetto  fisico e 
statico ma del bene ambiente considerato 
nella sua  interezza; e'
pertanto legittimo il provvedimento che nega 
l'autorizzazione  alla 
realizzazione delle opere,  anche 
se completamente interrate, di presa e di adduzione di acque minerali in 
una zona  vincolata a parco
naturale, poichè la sottrazione costante per fini 
industriali di  risorse  idriche 
al territorio  comporta  necessariamente
una turbativa dell'equilibrio biologico dell'ecosistema, con 
inevitabili  riflessi sugli
"habitat" animale e vegetale e, quindi, dell'ambiente 
e  del paesaggio che ne è
parte integrante" [5]
5.
L’art.13 comma 1 della L. 6 dicembre 1991 n. 394, stabilisce poi
che il rilascio di concessioni o autorizzazioni relative ad interventi, impianti
ed opere all'interno del parco è sottoposto al preventivo nulla-osta dell'Ente
parco, e prevede in caso di inosservanza l'applicabilità della sanzione penale
comminata dal successivo art. 30 comma 1.
La
L.36/1994
6. Occorre tuttavia rilevare che la specifica problematica della fruizione e della gestione delle acque è stata affrontata qualche anno più tardi dalla L.36/1994 (cd. Legge Galli), recante “ disposizioni in materia di risorse idriche”.
L’elemento radicalmente nuovo introdotto dalla normativa è contenuto già nell'art.1, ai sensi del quale tutte le acque superficiali e sotterranee sono pubbliche e costituiscono una risorsa che è salvaguardata e utilizzata secondo criteri di solidarietà[6].
In relazione alla materia oggetto della sentenza annotata, ricordiamo in particolare che l'art.25 della L.36/1994 consente all'ente gestore dell'area protetta, sentita l'Autorità di bacino, di individuare le acque sorgive che non possono essere captate. Le captazioni prive di regolare titolo, o per le quali non è stata presentata domanda, sono immediatamente interrotte a spese dell'utente responsabile.
La
giurisprudenza ha precisato che "…
in mancanza di tali individuazioni l’autorizzazione regionale a realizzare un
impianto di captazione delle acque sorgive nell’ambito delle aree naturali
protette, ai sensi dell’art.13 della legge quadro  6 dicembre 1991 n.394 è subordinata  al preventivo nulla-osta dell’Ente gestore del Parco
nazionale, che deve valutare con adeguata ed approfondita istruttoria la
conformità  o meno dell’opera
richiesta alle esigenze di tutela dell’area protetta"[7].
Sul punto, è stato altresì chiarito che i tre distinti autonomi provvedimenti necessari per la realizzazione di interventi in aree protette (la concessione edilizia, l'autorizzazione paesaggistica e, ove necessario, il nulla osta dell'Ente parco) mantengono la loro autonomia ad ogni effetto, ivi compreso quello sanzionatorio: ne deriva che in tali casi sono applicabili sia il d.l. 312/1985, convertito con L. 431/1985, sia la L. 6 dicembre 1991 n. 394[8].
La
sentenza annotata non approfondisce la questione da questo punto di vista per
ragioni di prescrizione.
La Corte ritiene, tuttavia, provato nel caso di specie l'elemento intenzionale del reato proprio alla luce del II comma dell'art.25 della Legge Galli , in base al quale "… gli utenti di captazioni nelle aree di cui al comma 1 che, alla data di entrata in vigore della presente legge, non siano in possesso del regolare titolo, sono tenuti a richiederlo entro sei mesi dalla suddetta data, pena l'immediata interruzione della captazione a loro spese".
La
Corte ha ritenuto infatti che l'imputato non potesse ritenersi incolpevole per
il solo fatto di aver ottenuto una concessione provvisoria per la captazione
delle acque: quanto meno dalla scadenza  di
quest’ultima al rilascio di quella definitiva la captazione è avvenuta senza
titolo giustificativo, neppure sotto il profilo putativo.
Veronica Dini
  
[1]
    Cass. Pen., sez. III, 15 giugno 2001 n°30375
[2]
    Tribunale Sondrio, 19 aprile 2001
[3]
    T.A.R. Lombardia sez. I, Milano, 9 aprile 2001, n. 3051
[4]
    Cass. Pen. sez. III, 10 febbraio 1993
[5]
    T.A.R. Trentino A.A. sez. Trento, 16 giugno 1994, n. 250
[6] Alla legge cd. Galli si correla la L.37/1994 – approvata in pari data – che ha riformato gli artt. 942, 946 e 947 del codice civile attribuendo al demanio la proprietà dei terreni e degli alvei abbandonati per qualunque causa dalle acque correnti.
[7]
    Cass. Civ.,  3 marzo 2003, n.43  
[8]
    Cass. Pen.,
    sez. III, 13 ottobre 1998, n. 12917
 
 
                    




