 Cass. Sez. III n. 26710 del 7 luglio 2011 (Ud. 24 mar. 2011)
Cass. Sez. III n. 26710 del 7 luglio 2011 (Ud. 24 mar. 2011)
Pres. Petti Est. Rosi Ric. Comini
Beni culturali. Contraffazione opere d’arte
In  materia di contraffazione di opere d’arte, l’inidoneità della condotta, tale da rendere configurabile il reato impossibile, sussiste solo quando, per la grossolanità della contraffazione, il falso risulti così evidente da escludere la stessa possibilità e non soltanto la probabilità che lo stesso venga riconosciuto come tale non già da un esperto d’arte, ma da un aspirante compratore, magari neppure troppo esperto (nella fattispecie la Corte ha ritenuto esclusa la grossolanità della contraffazione trattandosi di opera messa in commercio mediante consegna a galleria d’arte, munita di falsa dichiarazione di expertise tale da consentire il sicuro affidamento, da parte del futuro compratore, nell’autenticità dell’opera)
REPUBBLICA ITALIANA
 IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
 LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
 Sez. III Penale
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri  Magistrati:
 
 Dott. CIRO PETTI                                               - Presidente
 Dott. ALFREDO TERESI                                     - Consigliere
 Dott. ALFREDO MARIA LOMBARDI                    - Consigliere
Dott. ELISABETTA ROSI                                     - Rel. Consigliere
 Dott. SANTI GAZZARA                                        - Consigliere
 
 ha pronunciato la seguente
 SENTENZA
 - sul ricorso proposto da: COMINI GIANCARLO N. IL 27/09/1935
 - avverso la sentenza n. 4254/2009 CORTE APPELLO di FIRENZE, del 27/05/2010
 - visti gli atti, la sentenza e il ricorso
 - udita in PUBBLICA UDIENZA del 24/03/2011 la relazione fatta dal Consigliere  Dott. ELISABETTA ROSI
 - Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. Giovanni D’Angelo 
 - che ha concluso per il rigetto del ricorso
 - Udito, per la parte civile, l'Avv. //
 - Udito il difensore Avv. Paolo Palleschi del foro di Roma che ha concluso per  l’accoglimento del ricorso.
 RITENUTO IN FATTO
 La Corte di appello di Firenze, in data 27 maggio 2010, ha confermato la  sentenza del 18 dicembre 2008 del Tribunale di Prato, che ha condannato Comini  Giancarlo, alla pena di mesi tre di reclusione ed 800,00 euro di multa, per il  delitto di cui all'art. 127, c.1, lett. b) D.L.gs n. 490/99, perché deteneva al  fine di farne commercio, un dipinto su tela apparentemente riferibile a Massimo  Campigli, fatto commesso a Firenze e Prato fino al 30 settembre 2003.
 
 Avverso la sentenza ha proposto ricorso l'imputato chiedendone l'annullamento  per i seguenti motivi:
 1. Mancanza di motivazione in ordine alla sussistenza dell'ipotesi di cui  all'art. 49 c.p., per la grossolanità del falso;
 2. Illogicità e contraddittorietà della motivazione rispetto alla sussistenza  dell'elemento soggettivo del reato, posto che la sentenza di primo grado aveva  assolto il Comini per altre tre opere e contraddittoriamente non aveva  considerato il fatto che non risultava che il Comini avesse consegnato in contro  vendita le opere; la censura era stata già avanzata in appello, ma tali giudici  avevano ripetuto lo stesso error in iudicando del primo, travisando le  dichiarazioni del teste Brovarone.
 CONSIDERATO IN DIRITTO
 I motivi di ricorso non sono fondati.
 
 1. Questa Corte ha affermato il principio di diritto in base al quale, quando le  sentenze di primo e secondo grado concordino nell'analisi e nella valutazione  degli elementi di prova posti a fondamento delle rispettive decisioni, la  struttura motivazionale della sentenza di appello si salda con quella precedente  per formare un unico complessivo corpo argomentativo (Così, tra le altre, Sez.  2, n. 5606 dell'8/2/2007, Conversa e altro, Rv. 236181; Sez 1, n. 8868  dell'8/8/2000, Sangiorgi, Rv. 216906; Sez. 2, n. 11220 del 5/12/1997, Ambrosino,  Rv. 209145). Tale integrazione tra le due motivazioni si verifica allorché i  giudici di secondo grado abbiano esaminato le censure proposte dall'appellante  con criteri omogenei a quelli usati dal primo giudice e con frequenti  riferimenti alle determinazioni ivi prese ed ai passaggi logico-giuridici della  decisione e, a maggior ragione, quando i motivi di appello non abbiano  riguardato elementi nuovi, ma si siano limitati a prospettare circostanze già  esaminate ed ampiamente chiarite nella decisione di primo grado (Cfr. la parte  motiva della sentenza Sez. 3, n. 10163 del 12/3/2002, Lombardozzi, Rv. 221116).
 
 Nel caso di specie, i giudici di appello, che pure hanno fatto riferimento alle  esaustive argomentazioni sviluppate nel dettaglio nella sentenza di primo grado,  hanno fornito una valutazione autonoma dei motivi di appello sui punti  specificamente indicati. Essi hanno evidenziato che era stata accertata la  diretta riferibilità del reato al Comini: l'opera, raffigurante "Letizia con  cappello" (figura di donna a mezzo busto), con expertise contraffatto, era stata  recuperata personalmente dall'imputato (presso il quale era stata poi sottoposta  a sequestro) dalla Galleria Penanti di Firenze, alla quale era stata consegnata  per essere commercializzata a seguito dell'interessamento del Bravarone,  conoscente del titolare della Galleria, ed il Bravarone con la sua testimonianza  aveva confermato la circostanza, pur affermando di non conoscere il nome del  pratese che gli aveva chiesto il contatto con la Galleria. Del resto, come  sottolineato dai giudici di appello, l'avere frapposto una persona per prendere  contatti con la Galleria d'arte risultava una cautela comprensibile proprio per  la falsità dell'opera ed ha rappresentato per i giudici una conferma circa la  sussistenza dell'elemento psicologico in capo all'imputato, sia sotto l'aspetto  conoscitivo (della contraffazione del dipinto), che per quello che attiene al  profilo volitivo della condotta delittuosa (immissione nel mercato delle opere  d'arte).
 
 Infatti la fattispecie di cui all'art. 127 Dlgs 490/99 (ora trasfusa nell'art.  178, c.1, lett. b), del D.Lgs. n. 42 del 2004) è volta innanzitutto a tutelare  il mercato delle opere d'arte, e quindi il patrimonio artistico e culturale,  punendo la presenza e la circolazione in esso di "falsi", per cui è reato a  consumazione anticipata (in tal senso, Sez. 3, n. 19249 del 4/5/2006, Iacca, Rv.  234337).
 
 2. Del tutto infondato, poi, il motivo di ricorso con il quale il ricorrente  avanza la tesi del reato impossibile e del falso grossolano. I giudici di  merito, nel ricostruire la vicenda hanno dato atto sia del fatto che tale opera  fosse stata posta in vendita in una stimata Galleria d'arte, sia  dell'allegazione dell'expertise, che avrebbe dovuto supportare la vendita del  falso quale opera autentica. In materia di contraffazione di opere d'arte,  l'inidoneità della condotta, tale da rendere configurabile il reato impossibile,  sussiste solo quando, per la grossolanità della contraffazione, il falso risulti  così evidente da escludere la stessa possibilità, e non soltanto la probabilità,  che lo stesso venga riconosciuto come tale non già da un esperto d'arte, ma da  un aspirante compratore, magari neppure troppo esperto; nel caso di specie,  l'aver messo in commercio l'opera, consegnandola alla Galleria d'arte, munita di  falsa dichiarazione di expertise, esclude in radice il carattere grossolano  della falsificazione, in quanto tale attestazione correda la realizzazione  dell'esemplare contraffatto del dipinto e consente il sicuro affidamento, da  parte del futuro compratore, nell'autenticità dell'opera stessa.
 
 Ritiene in conclusione questa Corte che i giudici di appello abbiano  esaustivamente e correttamente motivato le ragioni in base alle quali sono  giunti alla conferma della pronuncia di primo grado e pertanto il ricorso deve  essere rigettato, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle  spese del procedimento.
 P.Q.M.
 Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese.
 
 Così deciso in Roma, il 24 marzo 2011.
 
 DEPOSITATA IN CANCELLERIA 7/07/2011
 
                    




