Cass. Sez. III n. 22080 del 12 giugno 2025 (UP 15 mag 2025)
Pres. Ramacci Rel. Galanti Ric. Munafò
Rifiuti.Abbandono di rifiuti e posizione di garanzia del legale rappresentante di ente o impresa

La posizione di garanzia del legale rappresentante in materia di gestione dei rifiuti implica che egli sia responsabile di assicurare la corretta gestione dei rifiuti da parte dell'«azienda» nel suo complesso considerata e, pertanto, egli risponde degli illeciti ambientali commessi dai di lei dipendenti e perfino da estranei, ove ciò sia dovuto a culpa in vigilando.


PREMESSO IN FATTO 

1. Con sentenza del 15 luglio 2024, la Corte di appello di Messina, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Barcellona Pozzo di Gotto del 20/09/2023, condannava Giuseppe Munafò in ordine al reato di cui all’articolo 256, comma 2 (così riqualificata l’originaria imputazione di cui al successivo comma 3), d. lgs. 152/2006 e, per l’effetto, condannava lo stesso alla pena di mesi 5 di arresto ed euro 3.000,00 di ammenda.

2. Avverso tale sentenza propone ricorso l’imputato.
2.1. Con un primo motivo, lamenta violazione dell’articolo 606, comma 1, lettere b), c) ed e), in relazione agli artt. 125, 546 e 178 cod. proc. pen., in riferimento all’omesso rinvio per impedimento di uno dei due difensori.
2.2. Con un secondo motivo, lamenta violazione dell’articolo 606, comma 1, lettera b), c) ed e), in relazione agli artt. 125, 546, 192 e 193 cod. proc. pen., in riferimento alla mancanza di motivazione a petto delle doglianze difensive contenute nell’atto di gravame, e segnatamente la censura secondo cui non si era dimostrato che l‘area fosse accessibile solo alla famiglia Munafò e utilizzata solo dal suo nucleo familiare.
Si era anche evidenziata la temporaneità dell’accumulo di rifiuti nell’area, ivi depositati in attesa di essere smaltiti, circostanza coerente con l’attività svolta dalla società.
2.3. Con il terzo motivo, lamenta violazione dell’articolo 606, comma 1, lettera b), c) ed e), in relazione agli artt. 125, 546, in riferimento alla omessa motivazione sulla richiesta di applicazione dell’articolo 131-bis cod. pen., anche in relazione secondo cui l’area occupata dai materiali era piccola e l’imputato si era impegnato a rimuovere i materiali.

RITENUTO IN DIRITTO

1. Il ricorso è complessivamente infondato.

2. La prima doglianza è manifestamente infondata.
L’articolo 420-ter, comma 5, e 586, comma 5, cod. proc. pen., prevedono, rispettivamente per l’udienza preliminare e il dibattimento, che non vada disposto alcun rinvio allorquando, essendo l'imputato assistito da due difensori, sia presente in udienza, come avvenuto nel caso di specie, l'altro difensore (v. anche, prima della novella normativa, Sez. 2, n. 10064 del 19/12/2012, dep. 2013, Berlich, Rv. 254875 – 01; Sez. 6, n. 21344 del 03/04/2007, Novali, Rv. 236875 - 01). 
Non per nulla, in un caso simile al presente, questa Corte (Sez. 3, n. 37422 del 16/03/2017, Marini, Rv. 271239 – 01) ha ritenuto manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 420-ter, comma 5, cod. proc. pen., con riferimento all'art. 24 Cost., nella parte in cui consente il diniego del rinvio richiesto per motivi di salute da uno dei codifensori dell'imputato allorquando l'altro sia presente in udienza, ritenendo che la predetta disposizione processuale contemperi il diritto di difesa dell'imputato sancito dall'art. 24 della Costituzione con il principio, anch'esso di rango costituzionale (art. 111 Cost.), della ragionevole durata del processo.

3. Il secondo motivo è inammissibile.
Come correttamente evidenziato dal Procuratore generale, infatti, le censure mosse si limitano a contestare la ricostruzione fattuale svolta ma non introducono argomenti volti a dimostrare la contraddittorietà o illogicità della motivazione o la sua assenza, limitandosi a ipotizzare una interpretazione alternativa della ricostruzione dei fatti, meramente ipotetica, senza che per essa si richiamino nel ricorso fatti e circostanze acquisite al processo e di cui la Corte territoriale non avrebbe tenuto conto senza alcuna motivazione o con ragionamento contraddittorio o manifestamente illogico.
3.1. Quanto alla prima doglianza, l’editto accusatorio, così come riqualificato, incolpa il Munafò nella sua qualità di socio accomandatario della società «Chiara sas», che utilizzava il fondo per lo svolgimento di attività florovivaistica: egli, in altre parole, risulta essere investito di una posizione di garanzia che gli imponeva non solo di non effettuare in prima persona attività di gestione dei rifiuti senza autorizzazione, ma di non consentire ad altri, che rientravano nella sua sfera di controllo, di fare altrettanto.
La posizione di garanzia del legale rappresentante in materia di gestione dei rifiuti implica, infatti, che egli sia responsabile di assicurare la corretta gestione dei rifiuti da parte dell'«azienda» nel suo complesso considerata e, pertanto, egli risponde degli illeciti ambientali commessi dai di lei dipendenti e perfino da estranei, ove ciò sia dovuto a culpa in vigilando.
Va in proposito rammentato che, secondo la piana giurisprudenza della Corte, «in materia ambientale, i titolari e i responsabili di enti ed imprese rispondono del reato di abbandono incontrollato di rifiuti non solo a titolo commissivo, ma anche sotto il profilo della omessa vigilanza sull’operato dei dipendenti che abbiano posto in essere la condotta di abbandono (Sez. 3, n. 40530 del 11/06/2014 – dep. 01/10/2014, Mangone, Rv. 261383 – 01; Sez. 3, n. 23971 del 25/05/2011, Graniero, Rv. 250485 – 01; Sez. 3, n. 45974 del 27/10/2011, Spagnuolo, Rv. 251340 – 01; più di recente: Sez. 3, n. 24080 del 29/05/2024, Putortì; Sez. 3, n. 2234 del 09/07/2021, dep. 2022, Losardo; Sez. 3, n. 32744 del 03/07/2023, Passiante, non massimate).
Il ricorrente, poi, neppure deduce (in ragione del principio della c.d. «vicinanza della prova») elementi in base ai quali escludere la riconducibilità alla propria attività di impresa dei rifiuti rinvenuti che, al contrario, nel secondo motivo riferisce essere coerenti con l’attività svolta, con conseguente genericità della censura.
Questa Corte ritiene pacificamente inammissibile per carenza d’interesse il ricorso per cassazione avverso la sentenza di secondo grado che non abbia preso in considerazione un motivo di appello generico, poiché i motivi generici restano viziati da inammissibilità originaria, quand'anche il giudice dell'impugnazione non abbia pronunciato in concreto tale sanzione (Sez. 5, n. 44201 del 29/09/2022, Testa, Rv. 283808 – 01).
La doglianza è quindi doppiamente inammissibile.
3.2. Quanto alla dedotta «temporaneità» del deposito, il Collegio evidenzia poi che l’articolo 185-bis del d. lgs. 152/2006 stabilisce che il c.d. «deposito temporaneo» deve essere effettuato nel rispetto delle seguenti condizioni:
a) nel luogo in cui i rifiuti sono prodotti (da intendersi quale l'intera area in cui si svolge l'attività che ha determinato la produzione dei rifiuti o, per gli imprenditori agricoli di cui all'articolo 2135 del codice civile, presso il sito che sia nella disponibilità giuridica della cooperativa agricola, ivi compresi i consorzi agrari, di cui gli stessi sono soci);
b) esclusivamente per i rifiuti soggetti a responsabilità estesa del produttore, anche di tipo volontario, il deposito preliminare alla raccolta può essere effettuato dai distributori presso i locali del proprio punto vendita;
c) per i rifiuti da costruzione e demolizione, nonché per le filiere di rifiuti per le quali vi sia una specifica disposizione di legge, il deposito preliminare alla raccolta può essere effettuato presso le aree di pertinenza dei punti di vendita dei relativi prodotti.
Esso è, inoltre, effettuato alle seguenti condizioni:
a) i rifiuti contenenti gli inquinanti organici persistenti di cui al regolamento (CE) 850/2004, e successive modificazioni, sono depositati nel rispetto delle norme tecniche che regolano lo stoccaggio e l'imballaggio dei rifiuti contenenti sostanze pericolose e gestiti conformemente al suddetto regolamento;
b) i rifiuti sono raccolti ed avviati alle operazioni di recupero o di smaltimento secondo una delle seguenti modalità alternative, a scelta del produttore dei rifiuti: con cadenza almeno trimestrale, indipendentemente dalle quantità in deposito; quando il quantitativo di rifiuti in deposito raggiunga complessivamente i 30 metri cubi di cui al massimo 10 metri cubi di rifiuti pericolosi. In ogni caso, allorché il quantitativo di rifiuti non superi il predetto limite all'anno, il deposito temporaneo non può avere durata superiore ad un anno;
c) i rifiuti sono raggruppati per categorie omogenee, nel rispetto delle relative norme tecniche, nonché, per i rifiuti pericolosi, nel rispetto delle norme che disciplinano il deposito delle sostanze pericolose in essi contenute;
d) nel rispetto delle norme che disciplinano l'imballaggio e l'etichettatura delle sostanze pericolose.
Ove effettuato alle condizioni di cui sopra, il deposito temporaneo non necessita di autorizzazione da parte dell'autorità competente.
La giurisprudenza ha chiarito (da ultimo: Sez. 3, n. 20841 del  09/05/2024, Michelini, n.m.; Sez. 3, n. 16183 del 28/02/2013, Lazzi, n.m.) che solo l’osservanza di «tutte» le condizioni previste dalla legge per il deposito temporaneo – e quindi anche lo smaltimento con cadenza almeno annuale - solleva il produttore dagli obblighi previsti dal regime autorizzatorio delle attività di gestione, tranne quelli di tenuta dei registri di carico e scarico e per il divieto di miscelazione previsto dall'art. 187, mentre, in difetto di tali condizioni - la sussistenza delle quali deve essere dimostrata dall'interessato, trattandosi di norma di favore (Sez. 3 n. 15680, 23 aprile 2010; Sez. 3 n. 30647, 15 giugno 2004; Sez. 3 n. 21587, 17 marzo 2004) - l'attività posta in essere deve qualificarsi come gestione non autorizzata, penalmente sanzionabile, o abbandono.
Anche in questo caso, la censura difensiva è totalmente generica (e pertanto inammissibile), non avendo il ricorrente dimostrato la sussistenza delle condizioni per poter ricondurre l’attività contestata al deposito temporaneo anziché alla gestione di rifiuti.

4. Il terzo motivo è infondato.
Questa Corte ritiene che «in tema di deposito incontrollato di rifiuti, ai fini del riconoscimento della causa di esclusione della punibilità di cui all'art. 131-bis cod. pen. non è sufficiente il riferimento al solo quantitativo di rifiuti depositato, ma deve valutarsi l'effettivo pericolo di danno all'ambiente o la sua compromissione in concreto conseguente alla specifica condotta» (Sez. 3, n. 5410 del 17/10/2019, dep. 2020, Crocetti, Rv. 278574 - 01) e che «ai fini del riconoscimento della causa di esclusione della punibilità di cui all'art. 131-bis cod. pen. non è sufficiente che il fatto sia occasionale, ma è necessario che l'offesa, per le modalità della condotta e per l'esiguità del danno o del pericolo, valutate ai sensi dell'art. 133, comma primo, sia ritenuta di particolare tenuità» (Sez. 3, n. 50782 del 26/09/2019, Bordoni, Rv. 277674 - 01).
Nel caso di specie, entrambe le sentenze di merito hanno posto in evidenza come, nella condotta dell’odierno ricorrente, non solo non fosse riscontrabile alcuno degli indici di “tenuità” sopra indicati, ma, addirittura, fossero da apprezzare elementi sintomatici di cospicuo disvalore dovuti alla eterogeneità dei rifiuti, peraltro solo attenuato dalla rimozione dei medesimi dopo l’accertamento del reato. 
Questa Corte ritiene che, in tema di «particolare tenuità del fatto», la motivazione (come avvenuto nel caso di specie) può risultare anche implicitamente dall'argomentazione con la quale il giudice d'appello abbia considerato gli indici di gravità oggettiva del reato e il grado di colpevolezza dell'imputato, alla stregua dell'art. 133 c.p., per stabilire la congruità del trattamento sanzionatorio irrogato dal giudice di primo grado (Sez. 4, n. 27595 del 11/05/2022, Omogiate, Rv. 283420 – 01; Sez. 5, n. 15658 del 14/12/2018, dep. 2019, Rv. 275635 - 02; Sez. 5, n. 39806 del 24/06/2015, Lembo, Rv. 265317 - 01).
Né, come correttamente evidenziato dal Procuratore generale, risulta una allegazione di fatti specifici da parte dell’imputato che possano essere letti in segno contrario, essendo il ricorrente tenuto ad allegare la sussistenza dei relativi presupposti mediante l'indicazione di elementi specifici (Sez. 3 n. 13657 del 16/02/2024, Strongone, Rv. 286101 – 02). 
Sotto tale versante, l’unico argomento speso dal ricorrente afferisce a una condotta post factum (la rimozione dei rifiuti) già valutata dalla Corte territoriale con la concessione delle attenuanti generiche. 
Il motivo, dunque, si limita all’asserzione di un preteso errore di diritto che, viceversa, non si rinviene alla luce delle considerazioni che precedono, con conseguente infondatezza della doglianza. 

5. L’ammissibilità del ricorso, in riferimento all’ultimo motivo, impone al Collegio la verifica della insussistenza di cause di estinzione del reato che, tuttavia, non si sono verificate, in quanto il reato viene contestato come commesso in data 22 luglio 2020, con conseguente termine di prescrizione massima che andrà a scadere con il giorno 22 luglio del corrente anno.

6. Il ricorso, in conclusione, deve essere dichiarato rigettato, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 15/05/2025.