 Cass. Sez. III n. 18503 del 11 maggio 2011 (Ud. 16 mar. 2011)
Cass. Sez. III n. 18503 del 11 maggio 2011 (Ud. 16 mar. 2011)
Pres. Ferrua Est. Sarno Ric. Burani
Rifiuti. Omessa comunicazione dell’accertamento di inquinamento storico
Il comma I dell’art. 257 sanziona penalmente due ipotesi distinte: l’omessa bonifica del sito inquinato e la mancata comunicazione dell’evento inquinante alle autorità competenti secondo le modalità indicate dall’art. 242. In entrambi i casi il destinatario del precetto è tuttavia lo stesso e, cioè, colui il quale cagiona l’inquinamento.
REPUBBLICA ITALIANA
 IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
 LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
 Sez. III Penale
 Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: 
 
 Dott. GIULIANA FERRUA                                 - Presidente
 Dott. MARIO GENTILE                                     - Consigliere 
 Dott. RENATO GRILLO                                    - Consigliere
 Dott. GIULIO SARNO                                       - Rel. Consigliere 
 Dott. LUCA RAMACCI                                      - Consigliere 
 
 ha pronunciato la seguente
 SENTENZA
 sul ricorso proposto da:
 
 1) BURANI EUGENIO N. IL 19/07/1959
 avverso la sentenza n. 7095/2009 TRIBUNALE di MILANO, del 24/02/2010
 visti gli atti, la sentenza e il ricorso
 udita in PUBBLICA UDIENZA del 16/03/2011 la relazione fatta dal Consigliere  Dott. GIULIO SARNO
 Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. Fraticelli Mario che ha  concluso per il rigetto del ricorso 
 Udito, per la parte civile, (omissis)
 Udit i difensor Avv. (omissis)
 SVOLGIMENTO DEL PROCESSO 
 Burani Eugenio propone ricorso per cassazione avverso la sentenza in epigrafe  con la quale il tribunale di Milano lo ha condannato alla pena di euro 10.000 di  ammenda ed al risarcimento del danno in favore della parte civile - provincia di  Milano - per il reato di cui all'articolo 257 commi 1 e 2 D.L.vo n.152/06 in  relazione all'articolo 242 perché, quale persona formalmente delegata per il  fondo pensione COMIT, ometteva di effettuare la comunicazione agli uffici  territorialmente competenti dell'accertamento di inquinamento storico della  predetta area provocato da sostanze pericolose, nella specie idrocarburi con  concentrazioni comunque superiore a 1000 mg/Kg.
 
 Deduce in questa sede il ricorrente l'inosservanza o erronea applicazione della  legge penale rilevando che erroneamente il giudice di merito ha ritenuto  configurabile il reato di omessa comunicazione a suo carico. Al riguardo fa  rilevare che l'articolo 257, nell'attuale formulazione, distingue l'obbligo di  bonifica dall'obbligo di comunicazione e, solo per il responsabile  dell'inquinamento sanziona penalmente, con la norma in questione, la condotta di  omessa bonifica e di omessa comunicazione.
 
 A carico di esso ricorrente, in quanto proprietario del terreno incolpevole  della contaminazione, non sarebbe, pertanto, configurabile alcun reato non  potendosi ammettere in sede penale l'analogia in malam partem e ciò in  quanto l'articolo 257 farebbe inequivocabilmente riferimento esclusivamente alla  persona che cagiona l'inquinamento richiamando anche espressamente l'articolo  242 dello stesso decreto legislativo anch'esso incentrato sull'autore della  condotta di inquinamento.
 
 Il ricorso è fondato.
 
 Recita l'art. 257 (bonifica dei siti) comma 1 del DLgs 152/06:
 1. Chiunque cagiona l'inquinamento del suolo, del sottosuolo, delle acque  superficiali o delle acque sotterranee con il superamento delle concentrazioni  soglia di rischio e' punito con la pena dell'arresto da sei mesi a un anno o con  l'ammenda da duemilaseicento euro a ventiseimila euro, se non provvede alla  bonifica in conformità al progetto approvato dall'autorità competente  nell'ambito del procedimento di cui agli articoli 242 e seguenti. In caso di  mancata effettuazione della comunicazione di cui all'articolo 242, il  trasgressore e' punito con la pena dell'arresto da tre mesi a un anno o con  l'ammenda da mille euro a ventiseimila euro.
 
 L'art. 242 (procedure operative ed amministrative), richiamato dall'art. 257, al  comma 1, stabilisce a sua volta che:
 1. Al verificarsi di un evento che sia potenzialmente in grado di contaminare il  sito, il responsabile dell'inquinamento mette in opera entro ventiquattro ore le  misure necessarie di prevenzione e ne dà immediata comunicazione ai sensi e con  le modalità di cui all'articolo 304, comma 2. La medesima procedura si applica  all'atto di individuazione di contaminazioni storiche che possano ancora  comportare rischi di aggravamento della situazione di contaminazione.
 
 L'esame delle due disposizioni consente immediatamente di percepire che il comma  1 dell'art. 257 sanziona penalmente due ipotesi distinte: l'omessa bonifica del  sito inquinato e la mancata comunicazione dell'evento inquinante alle autorità  competenti secondo le modalità indicate dall'art. 242.
 
 In entrambi i casi il destinatario del precetto è tuttavia lo stesso e, cioè,  colui il quale cagiona l'inquinamento.
 
 Ad avvalorare tale conclusione sta il rilievo che il comma 1 dell'art. 257 non  menziona altri soggetti e ciò benché l'art. 242 preveda che la procedura di  comunicazione debba trovare applicazione anche all'atto di individuazione di  contaminazioni storiche che possano ancora comportare rischi di aggravamento  della situazione di contaminazione.
 
 L'autonomia della posizione di colui il quale cagiona l'inquinamento rispetto a  quella di colui il quale accerti la sussistenza di contaminazioni sul suolo è  rimarcata dall'art. 245 che ha per oggetto gli obblighi di intervento e di  notifica da parte dei soggetti non responsabili della potenziale contaminazione.
 
 Prevede infatti tale ultima disposizione:
 1. Le procedure per gli interventi di messa in sicurezza, di bonifica e di  ripristino ambientale disciplinate dal presente titolo possono essere comunque  attivate su iniziativa degli interessati non responsabili.
 2. Fatti salvi gli obblighi del responsabile della potenziale contaminazione di  cui all'articolo 242, il proprietario o il gestore dell'area che rilevi il  superamento o il pericolo concreto e attuale del superamento delle  concentrazione soglia di contaminazione (CSC) deve darne comunicazione alla  regione, alla provincia ed al comune territorialmente competenti e attuare le  misure di prevenzione secondo la procedura di cui all'articolo 242. (omissis).
 
 Da quanto precede emerge che sotto il profilo formale l'obbligo di comunicazione  per gli "interessati non responsabili" risiede in realtà nell'art. 245 e non già  nell'art. 242 richiamato unicamente dall'art. 245 stesso per la disciplina degli  aspetti procedimentali.
 
 Per cui se il legislatore avesse voluto fare riferimento nell'art. 257 anche a  coloro che non hanno cagionato l'inquinamento, come correttamente rilevato dal  ricorrente, non solo avrebbe dovuto menzionare anche questi ultimi quali  soggetti attivi del reato, ma necessariamente avrebbe dovuto fare riferimento  all'art. 245 (e non 242) per individuare l'obbligo di comunicazione gravante su  questi ultimi.
 Il che non è.
 
 Il tribunale motiva la soluzione prescelta evidenziando in premessa il carattere  innovativo della nuova normativa in quanto nella vigenza del DLGS 22/97 il  proprietario del sito non era tenuto agli interventi di messa in sicurezza e di  bonifica di ripristino ambientale, nè aveva obblighi di comunicazione della  situazione di inquinamento che avesse rilevato.
 
 Fa altresì rilevare che le nuove disposizioni prevedono attraverso il richiamo  all'articolo 242 la medesima procedura da seguire sia per colui che ha cagionato  l'inquinamento che per colui che si sia limitato a rilevarlo e sostiene  l'irragionevolezza di sanzionare penalmente solo uno dei soggetti obbligati alla  comunicazione, escludendo al contempo l'analogia in malam partem.
 
 Il ragionamento, seppure fondato su premesse almeno in parte incontrovertibili,  non può essere condiviso nelle conclusioni.
 
 Si deve senz'altro concordare sulla circostanza che l'attuale normativa, a  differenza della precedente, ha individuato anche per il proprietario del  terreno che non abbia cagionato l'inquinamento, l'obbligo di comunicazione alle  autorità preposte nel caso in cui si avveda di tale situazione.
 
 In questo senso sembra in effetti orientata l'intera normativa di riferimento  ed, in particolare, il comma 2 dell'articolo 245 che, pure in apparente  contrasto con il comma 1 - secondo il quale le procedure per gli interventi di  messa in sicurezza, di bonifica e di ripristino ambientale possono essere  comunque attivate su iniziativa degli interessati - stabilisce che il  proprietario o il gestore dell'area che rilevi il superamento o il pericolo  concreto e attuale del superamento delle concentrazione soglia di contaminazione  (CSC) deve darne comunicazione alla regione ed agli altri enti menzionati.
 
 Ma il riconoscimento dell'obbligo di comunicazione non può condurre  all'automatica conclusione cui perviene il tribunale che ritiene applicabile  anche per il caso in esame la disposizione dell'articolo 257.
 
 Al riguardo occorre anzitutto ricordare che in linea con le disposizioni della  legge delega le sanzioni penali rappresentano solo uno dei rimedi previsti per  contrastare il danno ambientale.
 
 La legge 15 dicembre 2004, n. 308, recante la "Delega al Governo per il  riordino, il coordinamento e l'integrazione della legislazione in materia  ambientale e misure di diretta applicazione" all'art. 1 co. 9 lett. e) indicava  la necessità di procedere contestualmente in più direzioni e, cioè, conseguire  l'effettività delle sanzioni amministrative per danno ambientale mediante  l'adeguamento delle procedure di irrogazione e delle sanzioni medesime; rivedere  le procedure relative agli obblighi di ripristino, al fine di garantire  l'efficacia delle prescrizioni delle autorità competenti e il risarcimento del  danno; definire le modalità di quantificazione del danno; prevedere, oltre a  sanzioni a carico dei soggetti che danneggiano l'ambiente, anche meccanismi  premiali per coloro che assumono comportamenti ed effettuano investimenti per il  miglioramento della qualità dell'ambiente sul territorio nazionale.
 
 Il recepimento di tali principi ha portato alla formulazione dell'art. 311 comma  2 che, in particolare, prevede l'azione risarcitoria in forma specifica e per  equivalente patrimoniale nei confronti dello Stato per chiunque, realizzando un  fatto illecito, o omettendo attività o comportamenti doverosi, con violazione di  legge, di regolamento di provvedimento amministrativo, con negligenza,  imperizia, imprudenza, o violazione di norme tecniche, arrechi danno  all'ambiente, alterandolo, deteriorandolo o distruggendolo in tutto in parte.
 
 E, dunque, il mancato adempimento all'obbligo di comunicazione per colui che non  abbia cagionato l'inquinamento espone senz'altro l'autore della omissione alle  conseguenze indicate dalla disposizione citata.
 
 Il che vuoi dire che per l'omissione vi può essere comunque autonoma sanzione  indipendentemente dalla applicazione delle disposizioni penali.
 
 Né si può invocare l'irrazionalità dell'impianto normativo.
 
 Ed invero sul piano dei principi potrebbe semmai destare perplessità un sistema  che dovendo tra l'altro farsi carico di dare specifica attuazione al principio  "chi inquina paga" prevedesse la medesima tipologia di intervento sanzionatorio  per colui il quale si rende responsabile della condotta di inquinamento e che  ha, quindi, in prima persona l'obbligo di elidere le conseguenze di quanto da  lui stesso provocato e per colui che, invece, la situazione di inquinamento  abbia per così dire "subito" accertandola occasionalmente in tempi successivi  senza avervi dato comunque causa. Sarebbe poi tutta da verificare la  compatibilità della introduzione di una fattispecie di reato in precedenza mai  prevista (l'art. 51 bis del dLgs 22/97 si riferiva, infatti, solo a colui che  cagiona l'inquinamento) con i limiti imposti dalla legge 15 dicembre 2004, n.  308, recante la "Delega al Governo per il riordino, il coordinamento e  l'integrazione della legislazione in materia ambientale e misure di diretta  applicazione" in relazione alla disposizione dell'art. 1 co. 8 lett. i) secondo  cui:
 8. 1 decreti legislativi di cui al comma 1 si conformano, nel rispetto dei  principi e delle norme comunitarie e delle competenze per materia delle  amministrazioni statali, nonche' delle attribuzioni delle regioni e degli enti  locali, ....... e del principio di sussidiarietà, ai seguenti principi e criteri  direttivi generali:
 (omissis)
 i) garanzia di una più efficace tutela in materia ambientale anche mediante il  coordinamento e l'integrazione della disciplina del sistema sanzionatorio,  amministrativo e penale, fermi restando i limiti di pena e l'entità delle  sanzioni amministrative già stabiliti dalla legge;
 (omissis).
 In ogni caso si appalesa evidente rispetto alle conclusioni cui perviene il  tribunale la lesione del principio che fa divieto dell'analogia in malam  partern.
 
 Non sembra infatti in alcun modo possibile fare riferimento nel caso di specie  alla nozione di interpretazione estensiva per giustificare l'opzione  interpretativa del giudice di merito avuto riguardo alla disposizione dell'art.  257 co. 1.
 
 
 Nella specie non si tratta, infatti, di individuare diversi significati  letterali delle espressioni lessicali utilizzate dal legislatore o di dare  concretezza ad una casistica esemplificativa ma di procedere nel senso di una  vera e propria integrazione della norma penale con evidente vulnus per i  principi di legalità e tassatività.
 Peraltro questa Corte ha da tempo chiarito che con l'analogia, vietata in via di  principio, non va confusa l'interpretazione estensiva, che si ha quando l'ambito  di applicazione di una norma penale viene, per necessità logica e non per  similitudine di rapporti, esteso ad un caso, che non essendo ivi previsto, si  deve ritenere compreso nella norma stessa, risalendo all'intenzione del  legislatore, cui si riferisce l'art. 12 delle Disposizioni della legge in  generale. (Sez. 4, n. 11380 del 27/04/1990 Rv. 185084)
 Da quanto sopra deriva che la sentenza impugnata deve essere annullata senza  rinvio perché il fatto non sussiste.
 PQM
 La Corte Suprema di Cassazione
 Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il fatto non sussiste.
 Cosi deciso in Roma il 16.3.2011
 
 DEPOSITATA IN CANCELLERIA Il 11 MAG. 2011
 
                    




