 Cass. Sez. III n. 18815 del 12 maggio 2011 (Ud. 12 gen. 2011)
Cass. Sez. III n. 18815 del 12 maggio 2011 (Ud. 12 gen. 2011)
Pres. Lombardi  Est. Rosi Ric. Boccardo ed altro
Rifiuti. Ripristino
Il ripristino non è configurabile quale sanzione accessoria a quella penale, ma è, nella sostanza, un risarcimento in forma specifica che discende ex lege dalla condanna, con il limite previsto dalla legge (nove sia possibile) ed è anche diverso, quindi, dall’obbligo dl ripristino disciplinato ex art. 2058 c.c.
 
 REPUBBLICA ITALIANA
 IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
 LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
 Sez. III Penale
Composta dagli ill_mi Sigg.ri  Magistrati:
Dott. ALFREDO MARIA LOMBARDI - Presidente
Dott. MARIO GENTILE                                    - Consigliere
 Dott. RENATO GRILLO                                   - Consigliere 
 Dott. GIULIO SARNO                                      - Consigliere
 Dott. ELISABETTA ROSI                                 - Rel. Consigliere
 ha pronunciato la seguente
 SENTENZA
 sul ricorso proposto da:
 1) BOCCARDO GIAMPIERO N. IL 30/07/1956
 2) ZURINO FABRIZIO N. IL 31/05/1964
 avverso la sentenza n. 13651/2008 CORTE APPELLO di TORINO, del 20/11/2009
 visti gli atti, la sentenza e il ricorso
 udita in PUBBLICA UDIENZA del 12/01/2011 la relazione fatta dal Consigliere  Dott. ELISABETTA ROSI
 Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. Gioacchino Izzo che ha  concluso per l'annullamento con rinvio
 Udito, per la parte civile, l'Avv. //
 Udit i difensor Avv. //
 RITENUTO IN FATTO
 La Corte d'appello di Torino in parziale riforma della sentenza del Tribunale di  Alessandria, sezione distaccata di Novi Ligure, con sentenza depositata il 23  novembre 2009, ha dichiarato non doversi procedere per essere il reato estinto  per prescrizione nei confronti di Boccardo Giampiero e Zurino Fabrizio, imputati  del reato di cui all'art. 51 c.3 D.Igs. n. 22 dei 1998 (Zurino quale legale  rappresentante della ditta Edil Scavi snc, Boccardo quale proprietario del  terreno) per avere realizzato e gestito una discarica non autorizzata di rifiuti  provenienti da attività di demolizione, fatto accertato in Novi Ligure il 30  novembre 2004. I giudici di appello hanno peraltro confermato la condanna degli  stessi al risarcimento dei danni in favore della parte civile-Comune di Novi  Ligure, alla bonifica ed al ripristino dello stato dei luoghi.
 Gli imputati hanno proposto distinti ricorsi per cassazione di analogo  contenuto, chiedendo l'annullamento delle statuizioni civili della sentenza con  rinvio al giudice civile competente per valore in grado di appello, per i  seguenti motivi:
 1. Violazione di legge per avere la Corte d'appello di Torino erroneamente  qualificato l'ordine di ripristino dei luoghi del giudice di prime cure come  risarcimento del danno ambientale e non come sanzione accessoria alla condanna  penale, che avrebbe dovuto essere dichiarata estinta in conseguenza della  pronuncia di estinzione del reato per intervenuta prescrizione.
 2. Difetto di motivazione e violazione di legge, in riferimento all'art.18  L.349/1986, al d.lgs. 22/1997 e all'art. 2058 c.c. La sentenza impugnata avrebbe  omesso di motivare in ordine alla conferma della condanna al risarcimento dei  danni alla parte civile ed avrebbe erroneamente applicato le norme in tema di  risarcimento del danno ambientale. Il ripristino dello stato dei luoghi a spese  del responsabile era previsto, all'epoca dei fatti, dall'art. 18, c. 8,  L.349/1986 ed era da disporsi "ove possibile". Tale disposizione doveva essere  contemperata con quella del c.2 dell'art. 2058 c.c. e quindi occorreva una  valutazione comparativa dei diversi interessi e delle effettive possibilità  materiali, ecologiche ed economiche di esecuzione del ripristino.
 Con riferimento alla specifica posizione di Zunino, è stato lamentato che la  Corte d'appello avrebbe omesso di valutare che egli non è il proprietario  dell'area e, senza la collaborazione del Boccardo, non potrebbe eseguire la  condanna al ripristino dei luoghi. Di conseguenza, nell'ipotesi in cui il  ripristino dei luoghi non fosse stato possibile, doveva farsi luogo al  risarcimento per esatto equivalente, ossia per l'esatto ammontare del danno  cagionato, da determinarsi con riguardo agli importi necessari per la riduzione  in pristino. Solo nell'ipotesi di non effettuata quantificazione del danno dalla  parte civile, il giudice avrebbe dovuto determinare l'importo in via equitativa,  tenendo conto di alcuni parametri di giudizio indicati dalla legge, quali la  gravità della colpa individuale del responsabile, il costo necessario per il  ripristino dello stato dei luoghi, il profitto conseguito dal trasgressore in  conseguenza del suo comportamento lesivo dei beni ambientali.
 In riferimento alla posizione di Bocccardo, è stato censurato che le sentenze di  merito lo avrebbero illegittimamente condannato alla bonifica ed al ripristino,  oltre che al pagamento di euro 3.000 a titolo di risarcimento, equiparando la  sua responsabilità, quale proprietario del fondo, a quella di chi ha smaltito  illecitamente.
 3. Violazione di legge per errata interpretazione dell'art. 578 c.p.p. Tale  norma prevede che il giudice di appello nel dichiarare estinto per amnistia o  prescrizione il reato per il quale in primo grado sia intervenuta condanna, è  tenuto a decidere l'impugnazione agli effetti delle disposizioni dei capi della  sentenza che concernono gli interessi civili e per tale decisione deve valutare  i motivi della impugnazione proposta, motivi che non sarebbero stati tenuti in  conto.
 CONSIDERATO IN DIRITTO
 I motivi di ricorso risultano infondati.
 1. Quanto al primo motivo di ricorso, risulta erronea la prospettazione del  ripristino quale sanzione accessoria a quella penale, da dichiararsi quindi  estinta in conseguenza della dichiarata prescrizione del reato.
 Il legislatore si è preoccupato da tempo di assicurare l'effettività della  tutela dell'ambiente stabilendo anche conseguenze di tipo diverso rispetto a  quelle penali tipiche, quali: la demolizione dei manufatti abusivi nel campo  edilizio, il ripristino della situazione dei luoghi paesaggisticamente protetti,  la confisca dei terreni abusivamente lottizzati, la confisca dell'area che sia  stata fatta oggetto di discarica abusiva, la bonifica dei siti inquinati da  rifiuti, il danno ambientale, la bonifica ed il ripristino ambientale dei siti  da acque inquinate. In pratica il legislatore, oltre ad avere previsto il danno  ambientale (già in forza dell'art. 18 legge 349/86), ha apprestato delle misure  riparatorie connesse a fatti penalmente rilevanti. Ad esempio, per quanto  attiene all'ordine di ripristino nella disciplina posta a protezione delle  bellezze naturali (previsto sin dalla legge n. 413 del 1985) contenuto nell'art.  163, comma 2, del decreto legislativo 29 ottobre 1999 n. 490, è stato chiarito  che esso non è una pena accessoria, ne' un effetto penale della condanna, ma è  assimilabile ad una vera e propria sanzione penale, alla cui ottemperanza può  pertanto essere subordinato il richiamato beneficio della sospensione  condizionale della pena (così Sez.3, n. 29667 del 9/8/2002, Arrostuto, Rv.  222115; per il carattere di sanzione specifica a carattere ripristinatorio, si  veda Sez. 3, n. 38739 del 5/10/2004, Brignone, Rv. 229612; invece a favore della  natura di sanzione amministrativa, Sez. 3, n. 2470 del 18/12/1998, PM in proc.  Roldo, Rv. 212481). Ugualmente, nel concedere la sospensione condizionale della  pena inflitta per il reato di esecuzione di lavori in assenza di concessione  edilizia o in difformità, il giudice può legittimamente subordinare detto  beneficio all'eliminazione delle conseguenze dannose del reato mediante  demolizione dell'opera eseguita, disposta in sede di condanna, e così negli  altri settori indicati.
 Analogamente, in tema di rifiuti, la giurisprudenza di legittimità ha affermato  che la sospensione condizionale della pena può essere subordinata  all'adempimento di obblighi diversi da quelli specificamente indicati nell'art.  165 c.p., che richiedono un intervento di tipo riparatorio, volto pur sempre  alla eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose del reato. Peraltro il  D.Igs n. 22 del 1997 non conteneva una disposizione generale analoga a quella di  cui all'art. 60 D.Ig.vo 152/99 in tema di inquinamento delle acque, ma  unicamente una misura per le ipotesi della discarica abusiva e della bonifica  dei siti.
 L'art. 192 del D.Lgs. 152/2006 (cd. Testo Unico dell'ambiente), che al primo  comma vieta "l'abbandono e il deposito incontrollati di rifiuti sul suolo o nel  suolo", ha riprodotto nella sostanza il contenuto della precedente disposizione  di cui all'art. 14 D.Lgs. 22/97, senza peraltro apportare significative  innovazioni. L'art. 256 del T.0 .punisce una più generica "Attività di gestione  di rifiuti non autorizzata", ed altre di carattere amministrativo, descritte nel  comma 3, secondo il quale "chiunque viola i divieti di cui ai commi 1 e 2 è  tenuto a procedere alla rimozione, all'avvio a recupero o allo smaltimento dei  rifiuti ed al ripristino dello stato dei luoghi in solido con il proprietario e  con i titolari di diritti reali o personali di godimento sull'area, ai quali  tale violazione sia imputabile a titolo di dolo o colpa, in base agli  accertamenti effettuati, in contraddittorio con i soggetti interessati, dai  soggetti preposti al controllo. Il Sindaco dispone con ordinanza le operazioni a  tal fine necessarie ed il termine entro cui provvedere, decorso il quale procede  all'esecuzione in danno dei soggetti obbligati ed al recupero delle somme  anticipate." Tale meccanismo ricalca quello previsto all'art. 242, in relazione  alle bonifiche dei siti contaminati, che richiama la responsabilità solidale del  soggetto che controlla, di fatto, l'area dove i rifiuti sono abbandonati (cioè  il proprietario ovvero altri aventi diritto), a meno che non venga dimostrata la  sua completa estraneità alla vicenda illecita, nel corso di un contraddittorio  instaurato con l'amministrazione. In entrambi i casi è previsto l'intervento  sostitutivo della PA in danno dei responsabili, i quali dovranno rimborsare le  somme occorse per la rimozione e i necessari interventi di ripristino ambientale  sull'area inquinata. Tale sanzione avrebbe, secondo la giurisprudenza  amministrativa, natura amministrativa e carattere ripristinatorio, in quanto  avente per contenuto l'obbligo di rimozione, di recupero o di smaltimento e di  ripristino a carico del responsabile del fatto, in solido con il proprietario,  anche quando quest'ultimo non sia il responsabile dell'illecito abbandono.
 A parere di Questo Collegio, a prescindere o meno dalla condivisione  dell'indirizzo giurisprudenziale amministrativo appena menzionato, e quindi  dall'inquadramento nella categoria delle sanzioni di tipo amministrativo, il  ripristino non è configurabile quale sanzione accessoria a quella penale, ma è,  nella sostanza, un risarcimento in forma specifica che discende ex lege dalla condanna, con il limite previsto dalla legge ("ove sia possibile") ed è  anche diverso, quindi, dall'obbligo di ripristino disciplinato ex art. 2058 c.c.
 2. Risulta infondato anche il secondo motivo di ricorso strettamente correlato  al tema già affrontato, con il quale è stata lamentata la mancata motivazione in  ordine alla conferma della condanna al risarcimento dei danni alla parte civile  e l'erronea applicazione delle norme in tema di risarcimento del danno  ambientale e dl ripristino dello stato dei luoghi previsto all'epoca dei fatti  dall'art. 18, c. 8, L. n.349/1986. Il giudice di primo grado aveva condannato  gli imputati in solido a risarcire i danni quantificati in via equitativa in  complessive 3 mila euro, apprezzando il danno all'immagine subito dal Comune  costituito parte civile. La Corte di appello ha confermato tale condanna,  l'ordine di confisca dell'area in sequestro, previa bonifica, e di ripristino  dello stato dei luoghi. Tali statuizioni risultano pienamente conformi alle  disposizioni vigenti all'epoca dei fatti (e previste dall'art. 18 legge 8.7.1986  n. 349 in tema di danno ambientale), secondo le quali "il giudice, ove non sia  possibile una precisa quantificazione del danno, ne determina l'ammontare in via  equitativa, tenendo comunque conto della gravità della colpa individuale, del  costo necessario per il ripristino, e del profitto conseguito dal trasgressore  in conseguenza del suo comportamento lesivo dei beni ambientali" (comma 6), e  inoltre "dispone, ove sia possibile, il ripristino dello stato dei luoghi a  spese del responsabile" (comma 8).
 Come è stato già affermato in giurisprudenza (così parte motiva di Sez. 3, n.  11870 del 12/3/2004, Giora ed altri) tale sistema rende possibile "un  risarcimento in forma specifica (ripristino dello stato dei luoghi) che non  esaurisce l'ammontare del danno. Infatti il danno può essere risarcito per  equivalente considerando in via equitativa più parametri: non soltanto il costo  monetario del ripristino, ma anche il profitto conseguito dal contravventore e  la gravità della sua colpa.
 In altri termini, la tutela risarcitoria è più ampia e non è alternativa alla  tutela riparatoria (ripristino), poiché quest'ultima non è (può non essere)  pienamente satisfattiva del danno arrecato ai soggetti portatori del diritto  fondamentale all'integrità dell'ambiente." (così anche nella giurisprudenza  civilistica, è stato stabilito che il risarcimento del danno informa specifica  non esaurisce in sè, di regola, tutte le possibili conseguenze dannose del fatto  lesivo - ed in particolare quelle prodottesi prima che la riduzione in pristino  sia materialmente eseguita ovvero quelle diverse residuate nonostante tale  riduzione in pristino (Cass. Civ., Sez. 2, n. 3802 del 11 aprile 1991, Scrocca  c. Scrocca, Rv. 471619).
 Anche la giurisprudenza penalistica ha confermato tale principio chiarendo che  in tema di smaltimento di rifiuti, l'ordine di ripristino dello stato dei luoghi  a spese del responsabile, a norma dell'art. 18, c.8, I. 8 luglio 1986, n. 349,  discende dalla legge ed è perfettamente compatibile con la condanna al  risarcimento del danno ambientale e a quello dei danni subiti dalla parte civile  in quanto si tratta di misure diverse, predisposte a tutela di beni diversi, che  possono essere congiuntamente applicate a carico di una stessa persona (cfr.  Sez. 3, n. 7567 del 27/6/1992, Abortivi, Rv. 190929).
 Questo Collegio ritiene pertanto che sia errato quanto sostenuto nel ricorso  circa il fatto che la condanna al risarcimento dei danni debba porsi in "alternatività"  con la condanna al ripristino.
 Destituita di fondamento risulta poi l'argomentazione avanzata dal ricorrente  Zunino circa la non eseguibilità della condanna al ripristino connessa al fatto  che lo stesso non è proprietario dell'area in quanto, già ex art. 14, c. 3,  d.lgs. n. 22 del 1997 ed ora in forza dell'art. 255 dlgs. n. 152 del 2006,  l'obbligo di rimozione e di ripristino viene posto a carico di "chiunque viola i  divieti di abbandono e di deposito incontrollato di rifiuti sul suolo" e  pertanto, sul responsabile della discarica, deposito incontrollato od immissione  abusiva di rifiuti in solido con il proprietario e con i titolari di diritti  reali o personali di godimento sull'area, ai quali tale violazione sia  imputabile a titolo di dolo o di colpa. Del pari infondata, per le ragioni  appena indicate, la speculare censura proposta dal Boccardo, collegata ad una  asserita illegittima equiparazione della sua responsabilità, quale proprietario  del fondo, rispetto a quella riconosciuta in capo alla ditta esecutrice  materiale delle condotte di deposito di rifiuti.
 Per quanto attiene alla doglianza circa l'erroneità della condanna al  risarcimento dei danni alla parte civile, nel caso di specie il Comune, la  stessa è del pari infondata. La giurisprudenza di legittimità, sulla base  dell'art. 18 della legge n. 349 del 1986, aveva già affermato che nell'ambito  della gestione dei rifiuti è ipotizzabile anche per l'ente locale comunale un  danno sostanziale che lo renda portatore dell'interesse a costituirsi parte  civile, atteso che il danno ai terreni privati va tenuto distinto dal danno al  territorio ed all'ambiente (Sez.3, n. 29214 dell'11/7/2003, P.G. in proc.  Marino, Rv. 226154). Anche l'ente pubblico territoriale che, per effetto della  condotta illecita, abbia subito un danno patrimoniale risarcibile è quindi  legittimato a costituirsi parte civile ex art. 2043 c.c., essendo tale  legittimazione non incompatibile con quella che, ai sensi dell'art. 311, c.1,  D.Lgs. n. 152 del 2006, spetta al Ministro per l'ambiente (in al senso Sez. 3,  n. 755 dell'11/1/2010, Ciaroni, Rv. 246015).
 Nel caso di specie, il giudice di primo grado ha ritenuto apprezzabile il danno  all'immagine subito dall'ente locale e la Corte di appello ha confermato tale  valutazione richiamando espressamente le argomentazioni svolte dal primo giudice  (con riferimento alla pag. 7 della decisione); inoltre ha fatto espresso  richiamo alla specifica richiesta formulata, nelle conclusioni del giudizio di  primo grado, dalla parte civile di condannare gli imputati alla bonifica ed alla  rimessione in pristino dell'area.
 Quanto alla lamentata solidarietà anche nella condanna alla bonifica ed al  ripristino, deve essere ribadito che la norma contenuta nel comma 7 dell'art. 18  della legge 349 del 1986, secondo la quale nei casi di concorso nello stesso  evento di danno ciascuno risponde nei limiti della propria responsabilità  individuale, disciplina esclusivamente i rapporti interni di regresso tra i  condebitori, ponendosi come deroga al principio generale della responsabilità  solidale di cui all'art. 2055 cod. civ., senza nessuna trasformazione  dell'obbligazione solidale prevista per le obbligazioni risarcitorie da delitto  e da fatto illecito, in obbligazione parziaria (Cfr. Sez. 3, n. 11870 del  12/3/2004, Giora ed altri, Rv. 230101).
 Di conseguenza legittimamente, in capo ai ricorrenti ed in solido tra loro, deve  essere riconosciuto l'obbligo di ripristino dello stato dei luoghi anteriore  all'illecito.
 3. L'ultimo motivo di ricorso, collegato ad una presunta violazione dell'art.  578 c.p.p. è manifestamente infondato. E' stato precisato nella giurisprudenza  di legittimità che il giudice di appello, nel dichiarare estinto per  prescrizione il reato per il quale in primo grado è intervenuta condanna, è  tenuto a decidere sull'impugnazione agli effetti delle disposizioni dei capi  della sentenza che concernono gli interessi civili ed a tal fine "i motivi di  impugnazione proposti dall'imputato devono essere esaminati compiutamente, non  potendosi trovare conferma della condanna, anche solo generica, al risarcimento  del danno dalla mancanza di prova della innocenza degli imputati secondo quanto  previsto dall'art. 129, c.2. c.p.p. (Sez. 6, n. 3284 del 26/1/2010, Mosca, Rv.  245876).
 La Corte di appello di Torino si è attenuta a tale principio di diritto,  riesaminando la fondatezza della responsabilità dichiarata dal giudice di prime  cure alla luce delle censure formulate con i motivi di appello e motivando il  proprio convincimento di sussistenza del fatto illecito come contestato, dal  quale è derivata la conferma della responsabilità civile degli imputati e delle  statuizioni già stabilite nella sentenza di primo grado.
 In conclusione i motivi di ricorso sono da rigettare ed al rigetto consegue, ex  art. 616 c.p.p, la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
 PQM
 Rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 12 gennaio  2011.
 
 DEPOSITATA IN CANCELLERIA 12 MAG. 2011
 
                    




