 Cass. Sez. III n. 17453 del 10 maggio 2012 (Ud. 17 apr. 2012)
Cass. Sez. III n. 17453 del 10 maggio 2012 (Ud. 17 apr. 2012)
Pres. Squassoni Est. Ramacci Ric. Busé
Rifiuti. Sottoprodotti e nozione di normale pratica industriale
Il concetto di “normale pratica industriale” non può comprendere attività comportanti trasformazioni radicali del materiale trattato che ne stravolgano l’originaria natura, nonché tutti gli interventi manipolativi del residuo diversi da quelli ordinariamente effettuati nel processo produttivo nel quale esso viene utilizzato.
REPUBBLICA ITALIANA
 IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
 LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
 Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:        Udienza pubblica
 Dott. SQUASSONI Claudia          - Presidente  - del 17/04/2012
 Dott. FIALE     Aldo             - Consigliere - SENTENZA
 Dott. GRILLO    Renato           - Consigliere - N. 1095
 Dott. MULLIRI   Guicla           - Consigliere - REGISTRO GENERALE
 Dott. RAMACCI   Luca        - rel. Consigliere - N. 43349/2011
 ha pronunciato la seguente: 
SENTENZA
 sul ricorso proposto da:
 1) BUSÈ ROBERTO N. IL 04/05/1952;
 avverso la sentenza n. 12/2011 CORTE APPELLO di BRESCIA, del  			05/07/2011;
 visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
 udita in PUBBLICA UDIENZA del 17/04/2012 la relazione fatta dal  			Consigliere Dott. LUCA RAMACCI;
 udito il P.G. in persona del Dott. DELEHAYE Enrico che ha concluso  			per annullamento della sentenza impugnata per prescrizione;
 udito il difensore avv. Pezzotta Andrea di Bergamo.
 RITENUTO IN FATTO
 1. La Corte d'Appello di Brescia, con sentenza del 5 luglio 2011, ha  			confermato la decisione con la quale, in data 12 luglio 2010, il  			Tribunale di Bergamo - Sezione Distaccata di elusione, aveva  			riconosciuto BUSÈ Roberto responsabile del reato di cui al D.Lgs.  			n. 152 del 2006, art. 256, comma 4 in quanto, nella sua qualità di  			direttore di stabilimento della Ponte Nossa s.p.a. e procuratore  			speciale della stessa società, effettuava attività di raccolta,  			recupero e smaltimento di rifiuti pericolosi senza osservare le  			prescrizioni dell'autorizzazione rilasciata dalla Regione Lombardia  			e, segnatamente, procedeva allo stoccaggio di circa 700 tonnellate di  			fumi di fonderia contenenti ottone in area non autorizzata (capannone  			dell'ex reparto "Poivox").
 Avverso tale pronuncia il predetto propone ricorso per cassazione.  			2. Con un primo motivo di ricorso deduce la violazione del D.Lgs. n.  			152 del 2006, artt. 184-bis e 256, osservando che quanto stoccato  			doveva qualificarsi quale sottoprodotto, presentando i requisiti di  			legge previsti per tale categoria di materiali, essendo gli stessi  			impiegati in un processo produttivo, finalizzato alla produzione di  			metalli non ferrosi e venendo acquistati presso le varie acciaierie  			fornitrici.
 Osservava che la Corte territoriale aveva escluso la collocazione  			delle polveri nel novero dei sottoprodotti in ragione della  			documentazione contabile in atti, ove si faceva espresso riferimento  			a rifiuti, ma che tale terminologia era utilizzata in quanto  			all'epoca di redazione dei documenti la nozione di "sottoprodotto"  			non era stata ancora definita con chiarezza dal legislatore. Inoltre  			i giudici del gravame non avevano tenuto conto delle modifiche  			apportate al D.Lgs. n. 152 del 2006 dal D.Lgs. n. 205 del 2010, in  			particolare con l'introduzione degli artt. 184-bis e 184-ter.  			3. Con un secondo motivo di ricorso deduce il vizio di motivazione,  			ritenendo che quella posta a sostegno della decisione impugnata sia  			affetta da manifesta illogicità nella parte in cui non considera che  			le decisioni significative in ordine agli acquisti delle partite di  			polvere erano addebitabili al presidente della società ed egli, come  			capo di stabilimento, non aveva alcuna autonomia decisionale, in  			quanto semplice dipendente.
 4. Con un terzo motivo di ricorso rileva che, avuto riguardo alla  			data di consumazione del reato (10 agosto 2006), doveva ritenersi  			spirato il termine massimo di prescrizione.
 Insiste, pertanto, per l'accoglimento del ricorso.  			CONSIDERATO IN DIRITTO
 5. Il ricorso è inammissibile perché basato su motivi  			manifestamente infondati.
 Va preliminarmente presa in considerazione la questione relativa alla  			corretta qualificazione dei materiali indicati nell'imputazione (fumi  			di fonderia contenenti ottone) che il ricorrente assume collocarsi  			nell'ambito dei sottoprodotti come ora definiti dal D.Lgs. n. 152 del  			2006, art. 184-bis.
 6. Come è noto, la nozione di "sottoprodotto" è complementare a  			quella di "rifiuto" ed è attualmente disciplinata dall'art. 184-bis,  			introdotto dal D.Lgs. n. 205 del 2010 e definita dall'art. 183, lett.  			qq) del medesimo D.Lgs., il quale si riferisce a "qualsiasi sostanza  			od oggetto che soddisfa le condizioni di cui all'art. 184-bis, comma  			1, o che rispetta i criteri stabiliti in base all'art. 184-bis, comma  			2".
 Si tratta di una categoria originariamente non contemplata dalla  			previgente disciplina sui rifiuti e che è stata introdotta dal  			D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 183, lett. p), poi modificato dal D.Lgs.  			n. 4 del 2008, in conformità a quanto sostenuto in alcune sentenze  			del giudice comunitario che facevano riferimento a tale tipologia di  			residui.
 L'art. 184-bis, stabilisce ora che è sottoprodotto e non rifiuto ai  			sensi dell'art. 183, comma 1, lett. a), qualsiasi sostanza od oggetto  			che soddisfi tutte le seguenti condizioni: la sostanza o l'oggetto  			devono trarre origine da un processo di produzione, di cui  			costituiscono parte integrante, e il cui scopo primario non è la  			loro produzione; deve essere certo che la sostanza o l'oggetto  			saranno utilizzati, nel corso dello stesso e/o di un successivo  			processo di produzione e/o di utilizzazione, da parte del produttore  			o di terzi; la sostanza o l'oggetto può essere utilizzato  			direttamente senza alcun ulteriore trattamento diverso dalla normale  			pratica industriale; l'ulteriore utilizzo è legale, ossia la  			sostanza o l'oggetto soddisfa, per l'utilizzo specifico, tutti i  			requisiti pertinenti riguardanti i prodotti e la protezione della  			salute e dell'ambiente e non porterà a impatti complessivi negativi  			sull'ambiente o la salute umana.
 Da tale definizione emerge chiaramente, come avveniva con la  			disposizione previgente, che il legislatore ha voluto specificare in  			modo dettagliato quali siano le condizioni perché un determinato  			residuo possa qualificarsi come sottoprodotto e dal tenore letterale  			della norma è altrettanto evidente che la sussistenza delle  			condizioni indicate debba essere contestuale e che, anche in mancanza  			di una sola di esse, il residuo rimarrà soggetto alle disposizioni  			sui rifiuti, come peraltro già osservato dalla giurisprudenza di  			questa Corte prima dell'introduzione dell'art. 184-bis (Sez. 3^,  			47085, 19 dicembre 2008).
 7. Ciò premesso, risulta accertato in fatto dalla Corte del merito  			che, nella fattispecie, la Ponte Nossa s.p.a. acquista da diverse  			acciaierie, come comprovato dalla documentazione in atti,  			quantitativi di materiali descritti come "rifiuti solidi prodotti dal  			trattamento a secco dei fumi - cod. CER 100606 (contenuto in zinco  			60% min.) - caratteristiche pericolo H5-H10".
 Da tali materiali, sempre secondo quanto riportato dalla sentenza  			impugnata e non contestato in ricorso, la menzionata società intende  			ottenere un ricavo economico attraverso un processo di separazione  			delle singole componenti chimiche dei fumi di ottone ancora in fase  			di sperimentazione, tanto che, come dichiarato dall'imputato in sede  			di esame, l'operazione aveva determinato danni ai forni ed una  			condizione di pericolo per gli operai addetti che aveva consigliato  			la sospensione di detta attività e la collocazione dei materiali nel  			capannone descritto nell'imputazione.
 A fronte di tali dati fattuali sembra evidente il difetto delle  			condizioni di legge per l'applicazione della disciplina sui  			sottoprodotti invocata dal ricorrente perché, pur applicando la  			disciplina attualmente vigente richiamata in ricorso, certamente meno  			restrittiva di quella originariamente prevista dal D.Lgs. n. 152 del  			2006, mancano almeno due dei requisiti richiesti.
 Occorre peraltro ricordare, a tale proposito, che, come più volte  			affermato da questa Corte, l'applicazione di norme aventi natura  			eccezionale e derogatoria rispetto alla disciplina ordinaria in tema  			di rifiuti fa sì che l'onere della prova circa la sussistenza delle  			condizioni di legge debba essere assolto da colui che ne richiede  			l'applicazione (v. ad es. Sez. 3 n. 16727, 29 aprile 2011; Sez. 3 n.  			41836, 7 novembre 2008 in tema di sottoprodotti; Sez. 3 n. 15680, 23  			aprile 2010; Sez. 3 n. 21587, 17 marzo 2004; Sez. 3 n. 30647, 15  			giugno 2004 in tema di deposito temporaneo e, con riferimento alle  			terre e rocce da scavo, Sez. 3 n. 9794, 8 marzo 2007; Sez. 3 n.  			37280, 1 ottobre 2008; Sez. 3 n. 35138, 10 settembre 2009).  			Tale dimostrazione non risulta essere stata fornita dal ricorrente ai  			giudici del merito.
 In ogni caso, deve rilevarsi che, primo luogo, non risulta dimostrato  			che le polveri fossero utilizzate direttamente, senza alcun ulteriore  			trattamento diverso dalla normale pratica industriale, da parte della  			società che le acquistava.
 Invero, dalla descrizione delle operazioni riportata dai giudici del  			merito risulta evidente che i materiali acquistati non venivano  			utilizzati direttamente, poiché erano sottoposti ad una specifica  			procedura finalizzata alla separazione delle singole componenti e che  			tale trattamento non poteva ritenersi compreso nella "normale pratica  			industriale" consistendo, al contrario, come si dirà anche in  			seguito, in una vera e propria attività di recupero di rifiuti.  			Infatti, sebbene la delimitazione del concetto di "normale pratica  			industria/e" non sia agevolata dalla genericità della disposizione,  			certamente deve escludersi che possa ricomprendere attività  			comportanti trasformazioni radicali del materiale trattato che ne  			stravolgano l'originaria natura.
 Del resto, come giustamente osservato in dottrina, richiamando anche  			dalla definizione del concetto di "trattamento" ricavabile dal D.Lgs.  			n. 36 del 2003, art. 2, comma 1, lett. h) "Attuazione della direttiva  			1999/31/CE relativa alle discariche di rifiuti" che si riferisce ai  			"processi fisici, termici, chimici o biologici, incluse le operazioni  			di cernita, che modificano le caratteristiche dei rifiuti, allo scopo  			di ridurne il volume o la natura pericolosa, di facilitarne il  			trasporto, di agevolare il recupero o di favorirne lo smaltimento in  			condizioni di sicurezza", tale attività comporta un mutamento  			strutturale e delle componenti chimico-fisiche della sostanza  			trattata, con la conseguenza che, se tale è il "trattamento", anche  			operazioni di minor impatto sul residuo, che altra dottrina definisce  			"minimali", individuabili in operazioni quali la cernita, la  			vagliatura, la frantumazione o la macinazione, ne determinano una  			modificazione dell'originaria consistenza, rientrando in tale  			concetto.
 Se dunque è questa la nozione di "trattamento" da considerare ai  			fini dell'individuazione della sussistenza dei requisiti di cui al  			D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 184-bis, occorre verificare quando detto  			trattamento possa ritenersi rientrante nella normale pratica  			industriale.
 8. Deve propendersi, ad avviso del Collegio, per un'interpretazione  			meno estensiva dell'ambito di operatività della disposizione in  			esame e tale da escludere dal novero della normale pratica  			industriale tutti gli interventi manipolativi del residuo diversi da  			quelli ordinariamente effettuati nel processo produttivo nel quale  			esso viene utilizzato.
 Tale lettura della norma, suggerita dalla dottrina e che considera  			conforme alla normale pratica industriale quelle operazioni che  			l'impresa normalmente effettua sulla materia prima che il  			sottoprodotto va a sostituire, sembra maggiormente rispondente ai  			criteri generali di tutela dell'ambiente cui si ispira la disciplina  			in tema di rifiuti, rispetto ad altre pur autorevoli opinioni che,  			ampliando eccessivamente il concetto, rendono molto più incerta la  			delimitazione dell'ambito di operatività della disposizione e più  			alto il rischio di una pratica applicazione che ne snaturi, di fatto,  			le finalità.
 Tale soluzione interpretativa, in ogni caso, non può prescindere da  			un puntuale accertamento in fatto da parte del giudice del merito, il  			quale dovrà necessariamente analizzare, come nella fattispecie ha  			fatto la Corte territoriale, tutti gli aspetti significativi della  			vicenda processuale che consentano di verificare la effettiva  			sussistenza dei presupposti di applicabilità della disciplina  			prevista per i sottoprodotti.
 Alla luce di tali considerazioni, è dunque certa nella fattispecie,  			in considerazione del trattamento subito dalle polveri, la mancanza  			di un fondamentale requisito richiesto dal D.Lgs. n. 152 del 2006,  			art. 184-bis.
 9. Come si è accennato in precedenza, manca inoltre l'ulteriore  			elemento dell'utilizzo legale del residuo richiesto dalla medesima  			disposizione, la quale richiede la sussistenza di tutti i requisiti  			riguardanti i prodotti e la protezione della salute e dell'ambiente  			nonché l'assenza di impatti complessivi negativi sull'ambiente o la  			salute umana.
 Tali condizioni erano certamente assenti nel caso in esame, non  			soltanto per la certificata pericolosità del residuo, ma anche per  			il fatto, pure accertato dai giudici del merito, che le operazioni di  			trattamento cui erano sottoposti i fumi erano state interrotte per i  			danni che avevano provocato sugli impianti e per il pericolo che  			comportavano per la salute dei lavoratori.
 Le emergenze fattuali risultanti dal giudizio di merito rendono  			dunque evidente, come si è accennato in precedenza, che l'attività  			svolta rientrava a pieno titolo nella nozione di "recupero definita  			dal D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 183, comma 1, lett. t) e che  			comprende qualsiasi operazione il cui principale risultato sia di  			permettere ai rifiuti di svolgere un ruolo utile, sostituendo altri  			materiali che sarebbero stati altrimenti utilizzati per assolvere una  			particolare funzione o di prepararli ad assolvere tale funzione,  			all'interno dell'impianto o nell'economia in generale". L'allegato C  			della Parte 4 del D.Lgs. riporta un elenco non esaustivo di  			operazioni di recupero.
 Solo all'esito di tale attività il residuo avrebbe dunque cessato di  			essere un rifiuto, sempre che risultassero sussistenti le ulteriori  			condizioni di cui al D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 183-ter.  			10. Va inoltre osservato che la natura di rifiuto dei materiali  			utilizzati risulta ulteriormente comprovato dalla formale  			qualificazione datane nella documentazione esaminata dai giudici del  			merito, dalla evidente intenzione di disfarsi delle polveri  			manifestata da coloro che le hanno cedute e dalla irrilevanza del  			fatto che per le stesse sia stato corrisposto un corrispettivo,  			essendo stato più volte evidenziato dalla giurisprudenza comunitaria  			che il fatto che una sostanza o un oggetto siano suscettibili di  			riutilizzazione economica non esclude necessariamente la loro natura  			di rifiuto (cfr, ad es. Corte Giustizia 28 marzo 1990, 25 giugno  			1997).
 Assume rilevo, infine, la circostanza che la Ponte Nossa s.p.a. abbia  			inteso richiedere, per lo svolgimento della sua attività,  			l'autorizzazione le cui prescrizioni sono state ritenute violate e  			che non sarebbe stata necessaria se le operazioni in precedenza  			descritte avessero riguardato materiali non rientranti nel novero dei  			rifiuti.
 Ne consegue la manifesta infondatezza del primo motivo di ricorso.  			11. A conclusioni analoghe deve pervenirsi con riferimento al secondo  			motivo di ricorso non presentando la sentenza impugnata quei  			requisiti di manifesta illogicità evidenziati in ricorso.  			Con accertamento in fatto del tutto coerente e scevro da cedimenti  			logici o manifeste contraddizioni e, in quanto tale, non sindacabile  			in questa sede di legittimità, la Corte territoriale ha accertato  			quali fossero, in concreto, i compiti ed i poteri attribuiti al  			ricorrente nella sua qualità di direttore di stabilimento e  			procuratore speciale, evidenziando le ragioni per le quali doveva a  			lui essere attribuita la decisione di stoccare le polveri in  			difformità da quanto autorizzato e riconosciuta una specifica  			posizione di garanzia rispetto alla regolarità del ciclo produttivo,  			analizzando anche i rapporti con il legale rappresentante della  			società, separatamente giudicato per gli stessi fatti con decreto  			penale non opposto.
 La sentenza supera dunque indenne, anche sul punto, il vaglio di  			legittimità cui è stata sottoposta.
 12. Il ricorso, conseguentemente, deve essere dichiarato  			inammissibile e alla declaratoria di inammissibilità - non potendosi  			escludere che essa sia ascrivibile a colpa del ricorrente (Corte  			Cost. 7-13 giugno 2000, n. 186) - consegue l'onere delle spese del  			procedimento, nonché quello del versamento, in favore della Cassa  			delle ammende, della somma, equitativamente fissata, di Euro  			1.000,00.
 L'inammissibilità del ricorso, dovuta alla manifesta infondatezza  			dei motivi, non consente il formarsi di un valido rapporto di  			impugnazione e preclude, pertanto, la possibilità di rilevare e  			dichiarare le cause di non punibilità a norma dell'art. 129 c.p.p.  			e, segnatamente, la prescrizione di cui al terzo motivo di ricorso  			(cfr. Sez. 4 n. 18641, 22 aprile 2004).
 P.Q.M.
 Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al  			pagamento delle spese del procedimento e della somma di Euro 1.000,00  			in favore della Cassa delle ammende.
 Così deciso in Roma, il 17 aprile 2012.
 Depositato in Cancelleria il 10 maggio 2012
 
                    




