 TAR Lombardia (BS) Sez. I n. 4884 del 20 dicembre 2010
TAR Lombardia (BS) Sez. I n. 4884 del 20 dicembre 2010
Rifiuti. Area inquinata e messa in sicurezza
L’evento di contaminazione repentino che giustifica l’adozione di una procedura di messa in sicurezza ex art. 240, lett. m), consiste anche nell’accertamento del perpetuarsi e dell’aggravarsi dell’inquinamento per effetto della permanenza delle matrici inquinate nell’area oggetto d’indagine.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
N. 04884/2010 REG.SEN.
 N. 01344/2009 REG.RIC.
 Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia
 
 sezione staccata di Brescia (Sezione Prima)
 
 sul ricorso numero di registro generale 1344 del 2009, proposto da:
 IES - ITALIANA ENERGIA E SERVIZI Spa, rappresentata e difesa dagli avv. Doris  Mansueto, Antonio Negrini, Marco Sella, con domicilio eletto presso lo studio  dell’avv. Antonio Negrini in Brescia, via Moretto,42/D (Fax=030/2899792);
 contro
 MINISTERO DELL'AMBIENTE E DELLA TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE, MINISTERO DEL  LAVORO E DELLE POLITICHE SOCIALI, MINISTERO DELLO SVILUPPO ECONOMICO, ISS, ENEA,  ISPESL, ISPRA, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Distrettuale Stato,  domiciliata per legge in Brescia, via S. Caterina, 6;
 
 REGIONE LOMBARDIA, rappresentato e difeso dagli avv. Antonella Forloni, Piera  Pujatti, con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Donatella Mento in  Brescia, via Cipro, 30;
 
 nei confronti di
 
 PROVINCIA DI MANTOVA, COMUNE DI MANTOVA, COMUNE DI VIRGILIO, COMUNE DI SAN  GIORGIO DI MANTOVA, ARPA LOMBARDIA ASL 307 DELLA PROVINCIA DI MANTOVA, AUTORITA'  DI BACINO DEL PO, AGENZIA INTERREGIONALE PER IL FIUME PO, PARCO DEL MINCIO,  SOGESID SPA, non costituiti in giudizio;
 
 per l'annullamento
 
 del decreto prot. 8495/QDV/DI/B in data 30/9/20098, di approvazione definitiva  di tutte le prescrizioni stabilite nel verbale della Conferenza dei Servizi  decisoria del 31/7/2009, relativa al sito di bonifica di interesse nazionale.
 
 
 Visti il ricorso e tutti gli atti della causa;
 
 Relatore nell'udienza pubblica del giorno 24 novembre 2010 il dott. Carmine  Russo e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
 
 Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
 FATTO
 Questo giudizio ha ad oggetto la procedura amministrativa di messa in sicurezza  di emergenza delle aree inquinate facenti parte del sito di interesse nazionale  dei Laghi di Mantova, un’area posta nella pianura alluvionale del fiume Mincio,  a sud est dell’abitato della città di Mantova.
 
 L’area interessata dall’inquinamento ha un’estensione di circa 10 kmq., ed è  stata perimetrata con d.m. 7. 2. 2003 emesso dal Ministero dell’Ambiente, per  essa è stata avviata la procedura di messa in sicurezza di emergenza,  propedeutica alla bonifica delle acque e dei suoli inquinati. Con l. 31. 7.  2002, n. 179 il sito dei Laghi di Mantova è stato dichiarato d’interesse  nazionale, e la competenza ad ordinare modi e termini della procedura di  bonifica è stata assunta dallo Stato.
 
 
 Il ricorso in esame è promosso in particolare dalla Ies s.p.a, un’azienda che  esercita attività di raffinazione petrolio su alcune aree di proprietà,  ricadenti nel sito oggetto di bonifica.
 
 L’area della Ies copre un totale di 105 ettari, in particolare la sola  raffineria ha una superficie di circa 40 ettari, i cui 4/5 sono occupati dal  parco serbatoi, composto da 117 serbatoi per una capacità complessiva di 800.000  mc.. All’interno della raffineria vengono lavorate ogni anno circa 2.600.000  tonnellate di petrolio (si sono tratti i dati dal documento 17 depositato dalla  ricorrente).
 
 
 Con il ricorso odierno la società ricorrente Ies s.p.a. impugna in particolare  il provvedimento del 30. 9. 2009 con cui il direttore generale del Ministero  dell’ambiente ha disposto di approvare tutte le prescrizioni stabilite dal  verbale di conferenza di servizi del 31. 7. 2009 relativo alla bonifica dei  laghi di Mantova e del polo chimico (con gli atti allegati e presupposti).
 
 
 Si costituivano in giudizio tramite l’Avvocatura dello Stato il Ministero  dell’Ambiente, il Ministero del Lavoro, il Ministero dello Sviluppo economico,  l’Istituto superiore di prevenzione e sicurezza sul lavoro, l’Istituto superiore  della sanità, l’E.N.E.A., l’I.S.P.R.A., che chiedevano dichiararsi  l’inammissibilità del ricorso e comunque l’infondatezza dei relativi motivi.
 
 Si costituiva, inoltre, la Regione Lombardia, che prendeva conclusioni conformi
 
 Nessuno si costituiva per le altre parti che la ricorrente aveva ritenuto di  convenire in giudizio.
 
 
 I motivi che sostengono il ricorso sono descritti di seguito:
 
 1. il provvedimento sarebbe illegittimo quanto alla decisione di procedere al  barrieramento fisico, sia perché la stessa sarebbe frutto della mera presa  d’atto dello studio di Sogesid in cui è stata prevista tale soluzione  progettuale senza una specifica approvazione della stessa da parte della  Conferenza, sia perchè non ci sarebbe stata una sufficiente istruttoria sulla  effettiva necessità di tale barrieramento;
 
 2. il provvedimento sarebbe illegittimo nella parte in cui dispone la revoca  della disposizione che consentiva alle aziende di procedere senza autorizzazione  per le opere di carattere indifferibile ed urgente comportanti limitata  movimentazione di terreno, la revoca sarebbe stata disposta infatti sul  presupposto che Polimeri Europa ha effettuato 22 di queste opere anche prive di  qualsiasi urgenza, ma del suddetto comportamento non dovrebbero rispondere tutte  le altre aziende presenti nel sito inquinato;
 
 3. il provvedimento sarebbe illegittimo nella parte in cui impone alla Ies di  provvedere alla revisione del progetto per la messa in sicurezza rivedendo  l’analisi di rischio sulla base dei risultati delle indagini di  caratterizzazione integrativa, adempimento cui la Ies non potrebbe ottemperare  mancando la validazione da parte dell’ARPA dei risultati della  caratterizzazione;
 
 4. il provvedimento sarebbe illegittimo nella parte in cui impone alla Ies la  rimozione dei sedimenti inquinati dal Cavo San Giorgio, in quanto soltanto in un  campione sarebbe stata riscontrata la presenza di benzene in misura superiore a  10 volte il limite stabilito dalla tabella allegata al dm 471/99, inoltre  secondo la ricorrente sarebbe una misura non compatibile con la mera messa in  sicurezza di emergenza e coinciderebbe di fatto con la bonifica, per di più non  si verserebbe in situazione che giustifichi la messa in sicurezza d’emergenza, e  - infine - non vi sarebbe ancora un dato univoco sulla caratterizzazione;
 
 5. il provvedimento conclusivo del Ministero sarebbe illegittimo a titolo di  illegittimità derivata dalle illegittimità presenti nella Conferenza e descritti  ai punti precedenti.
 
 
 Nel ricorso era formulata altresì istanza cautelare di sospensione del  provvedimento impugnato, che però veniva rinunciata all’udienza a ciò  appositamente fissata.
 
 
 Il ricorso veniva discusso nella pubblica udienza del 24. 11. 2010, all’esito  della quale veniva trattenuto in decisione.
 DIRITTO
 I. La maggior parte delle questioni proposte in questo ricorso sono state già  decise dal Tribunale in precedenti pronunce attinenti la stessa vicenda  dell’inquinamento dell’area dei Laghi di Mantova, e quindi - per facilitare la  lettura di questa sentenza - verranno decise nello stesso modo attraverso un  sintetico riferimento al precedente conforme, utilizzando la tecnica prevista  dall’art. 74, ultima parte, c.p.a.
 
 
 II. Si premette che la difesa della ricorrente ha sviluppato i primi quattro  motivi di ricorso sulla Conferenza di servizi, ed il quinto - a titolo di  illegittimità derivata - sul decreto direttoriale che recepisce i risultati  della conferenza.
 
 In realtà, l’impugnazione della Conferenza in sé e per sé è inammissibile in  quanto atto meramente endoprocedimentale (CdS, sez. VI - sentenza 9 novembre  2010 n. 7981: Alla determinazione conclusiva della conferenza dei servizi  decisoria di cui all’art. 14 e seguenti della legge 7 agosto 1990, n. 241 s.m.i.,  specie dopo la novella introdotta dalla legge 24 novembre 2000, n. 340, deve  essere riconosciuto un carattere meramente endoprocedimentale; è pertanto  inammissibile un ricorso proposto contro la determinazione conclusiva della  conferenza dei servizi decisoria in mancanza del provvedimento finale di  recepimento), e ciò che può essere impugnato è il decreto finale che recepisce  formalmente i risultati della stessa.
 
 Ne consegue che la impugnazione è inammissibile per i primi quattro motivi di  ricorso, mentre verrà esaminato soltanto il quinto, ma facendo di volta in volta  riferimento a ciascuno dei primi quattro motivi proposti.
 
 
 III. Il primo motivo di ricorso (richiamato nel quinto, come si spiegava appena  adesso) - in cui si deduce che il provvedimento sarebbe illegittimo quanto alla  decisione di procedere al barrieramento fisico, sia perché la stessa è frutto  della mera presa d’atto dello studio di Sogesid, in cui si è prevista tale  soluzione progettuale, senza una specifica approvazione della stessa; inoltre,  non ci sarebbe stata una sufficiente istruttoria sulla effettiva necessità di  tale barrieramento - fondato.
 
 E’ fondato, in particolare, il rilievo sulla insufficienza dell’istruttoria  svolta dall’amministrazione per fondare una soluzione tecnica così invasiva ed  impattante quale il completo barrieramento fisico dell’area inquinata.
 
 La questione è stata già affrontata in altri precedenti conformi. Si richiama  sul punto il precedente di questo Tribunale n. 1736/09, punto VIII, nonché la  sentenza del Consiglio di Stato n. 6455/09, punto 3.2., con la precisazione però  che sia la pronuncia del Tribunale che quella del Consiglio di Stato concludono  entrambe nel senso non dell’inammissibilità in astratto della misura come messa  in sicurezza di emergenza, ma soltanto della insufficienza di dati a sostegno  della stessa (il Consiglio di Stato impone anche un onere al Ministero di  spiegare perché il barrieramento idraulico che stanno conducendo le aziende è  insufficiente).
 
 Le conclusioni già prese dagli organi giurisdizionali vengono qui ribadite per  le stesse motivazioni indicate nei precedenti citati, e sembrano essere  corroborate anche dalle deduzioni della parte pubblica che evidenzia che la  versione attuale dello studio Sogesid - o comunque l’ultima versione esposta  dalle parti agli atti di causa - modifica parzialmente la prospettiva adottata  in precedenza dall’amministrazione, prevedendo il barrieramento fisico soltanto  da un lato, e non intorno a tutto il perimetro dell’area contaminata.
 
 La circostanza che anche la società incaricata dallo Stato di individuare la  migliore soluzione tecnologica per il contenimento dell’inquinamento abbia  scartato la ipotesi del barrieramento fisico integrale è ulteriore indica della  arbitrarietà della decisione a suo tempo presa nel provvedimento impugnato e  censurata nel motivo di ricorso in esame. e che quindi essa non esclude una  rivalutazione all’esito della caratterizzazione finale dell’area.
 
 Il motivo è pertanto accolto, impregiudicata ogni valutazione in un (eventuale)  futuro ricorso sulla correttezza della nuova (meno invasiva) soluzione proposta  dalla Sogesid.
 
 
 IV. Il secondo motivo di ricorso (anch’esso richiamato nel quinto) - in cui si  deduce che il provvedimento sarebbe illegittimo nella parte in cui dispone la  revoca della disposizione che consentiva alle aziende di procedere senza  autorizzazione per le opere di carattere indifferibile ed urgente comportanti  limitata movimentazione di terreno, la revoca sarebbe stata disposta sul  presupposto che Polimeri Europa ha effettuato 22 di queste opere anche prive di  qualsiasi urgenza, ma non ne dovrebbero rispondere tutte le altre - è infondato.
 
 La questione è stata già affrontata e respinta in altri ricorsi e viene decisa  nello stesso modo di questi. Infatti, un potere del Ministero dell’Ambiente di  sottoporre ad autorizzazione le opere ed i movimenti terra che avvengono nel  perimetro dell’area inquinata è previsto nella norma dell’art. 252 t.u. ambiente  relativa ai siti inquinati di interesse nazionale (quale quello che ci occupa).
 
 I co. 6, 7 e 8 della stessa norma (in cui si dispone che “6. L'autorizzazione  del progetto e dei relativi interventi sostituisce a tutti gli effetti le  autorizzazioni, le concessioni, i concerti, le intese, i nulla osta, i pareri e  gli assensi previsti dalla legislazione vigente, ivi compresi, tra l'altro,  quelli relativi alla realizzazione e all'esercizio degli impianti e delle  attrezzature necessarie alla loro attuazione. L'autorizzazione costituisce,  altresì, variante urbanistica e comporta dichiarazione di pubblica utilità,  urgenza ed indifferibilità dei lavori. 7. Se il progetto prevede la  realizzazione di opere sottoposte a procedura di valutazione di impatto  ambientale, l'approvazione del progetto di bonifica comprende anche tale  valutazione. 8. In attesa del perfezionamento del provvedimento di  autorizzazione di cui ai commi precedenti, completata l'istruttoria tecnica, il  Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare può autorizzare  in via provvisoria, su richiesta dell'interessato, ove ricorrano motivi  d'urgenza e fatta salva l'acquisizione della pronuncia positiva del giudizio di  compatibilità ambientale, ove prevista, l'avvio dei lavori per la realizzazione  dei relativi interventi di bonifica, secondo il progetto valutato positivamente,  con eventuali prescrizioni, dalla conferenza di servizi convocata dal Ministro  dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. L'autorizzazione  provvisoria produce gli effetti di cui all'articolo 242, comma 7) delineano un  sistema in cui sono concentrati in capo al Ministero dell’ambiente i poteri  autorizzatori per qualsiasi tipo di attività che modifichi gli impianti, le  attrezzature e le aree oggetto di bonifica. In tali poteri autorizzatori rientra  anche la possibilità utilizzata dal Ministero dell’Ambiente nel caso in esame di  sottoporre a preventiva autorizzazione anche i movimenti di terra.
 
 Senza dimenticare che il potere che è stato esercitato dal Ministero  dell’Ambiente nel caso in esame deriva anche dal potere di vigilanza e controllo  che spetta in via generale ad ogni autorità amministrativa cui la norma  attributiva del potere conferisca poteri di amministrazione attiva per  verificare l’adempimento delle prescrizioni dettate nell’esercizio dei poteri di  amministrazione attiva. Non va, infatti, dimenticato che la decisione  dell’amministrazione è stata originata da una segnalazione ricevuta dalla  Direzione per la qualità della vita che ha rilevato come Polimeri Europa avesse  presentato 22 comunicazioni di lavori indifferibili ed urgenti all’interno dello  stabilimento che avevano fatto dire alla predetta Direzione che la Polimeri  “stesse operando in pieno contrasto con la vigente normativa in materia di  bonifiche in quanto i predetti interventi non erano riconducibili ad opere di  sicurezza, di collegamento a reti pubbliche, né finalizzati al miglioramento  della sicurezza degli impianti, degli operatori e delle condizioni ambientali e  di lavoro”.
 
 L’odierna ricorrente nota che la circostanza che altra azienda si sia comportata  in modo da suscitare la reazione del Ministero non giustifica l’estensione della  responsabilità anche alla Ies, ma in realtà la sottoposizione ad autorizzazione  dei lavori che si devono svolgere all’interno dello stabilimento non è una  sanzione (cui sarebbe legittimo applicare i parametri della personalità della  responsabilità), in quanto l’autorizzazione è solo la rimozione di un ostacolo  all’esercizio di un diritto, non una sanzione.
 
 Ne consegue che tutto ciò che deve essere scrutinato è se il potere è  riconosciuto dalla norma, e se è stato esercitato correttamente dal Ministero, e  - avendo dato risposta positiva ad entrambe le questioni - il relativo motivo di  ricorso deve essere respinto.
 
 
 V. Nel terzo motivo di ricorso (richiamato nel quinto) la ricorrente deduce che  il provvedimento sarebbe illegittimo nella parte in cui impone alla Ies di  provvedere alla revisione del progetto per la messa in sicurezza rivedendo  l’analisi di rischio sulla base dei risultati delle indagini di  caratterizzazione integrativa, adempimento cui la Ies non potrebbe ottemperare  mancando la validazione da parte dell’ARPA dei risultati della  caratterizzazione.
 
 Questo motivo deve essere respinto.
 
 Su di esso, infatti, il Tribunale si è già espresso nella sentenza 1736/09 al  punto XII e nella sentenza 735/2010 al punto XVII.VII. Ne consegue che esso  viene respinto per le ragioni indicate nei due precedenti conformi.
 
 In particolare, nella pronuncia di questo Tribunale 12. 2. 2010, n. 735 è stato  evidenziato che quando “le misure imposte, altrimenti qualificabili in modo  diverso, si devono concretizzare (…) in attività di indagine, di raccolta e  studio di dati e di prelievo di campioni e in varie analisi e rilevazioni  tecniche con annesse attività amministrative semplici di mera certificazione” o  nella “diversa imposta necessità preventiva di redigere un piano di  caratterizzazione in attinenza ai siti di percorrenza lineare delle condotte di  gas e delle condotte elettriche” “appaiono più che ragionevoli e non invasive;  le stesse inoltre non sono né di carattere sanzionatorio, né di carattere  ripristinatorio”.
 
 Il Tribunale ha anche aggiunto nel seguito di quella stessa sentenza che esse  “dunque ben possono insistere anche in pacifica assenza di quella responsabilità  causale così come dedotto da Sol. Del resto le dette medesime prescrizioni (…)  possono essere, se concretizzate, anche più che utili per Sol stessa; appunto  perché sono proprio ed anche attività meramente prodromiche ad ogni altra misura  sia di sicurezza che di bonifica per suoli anche di interesse esclusivo di Sol  stessa”.
 
 Ne consegue che le relative censure devono essere respinte.
 
 
 VI. Nel quarto motivo di ricorso la ricorrente deduce che il provvedimento  sarebbe illegittimo nella parte in cui impone alla Ies la rimozione dei  sedimenti inquinati dal Cavo San Giorgio; secondo la ricorrente si tratterebbe  di una misura non compatibile con la mera messa in sicurezza di emergenza in  quanto coinciderebbe con la bonifica; non vi sarebbero inoltre i presupposti per  una messa in sicurezza d’emergenza non essendovi concentrazioni prossime a  livelli di esplosività o quantità significative di prodotto in fase separata sul  suolo; solo in un campione inoltre sarebbe stata riscontrata la presenza del  benzene in misura superiore ai 10 volte i limiti stabiliti dal parere I.S.S.;  non vi sarebbe da ultimo, a giudizio della ricorrente, un dato univoco sulla  caratterizzazione talchè sarebbe prematuro disporre la bonifica.
 
 La ricorrente evidenzia anche che la caratterizzazione del Canale San Giorgio  sarebbe avvenuta in realtà, su richiesta di ARPA, soltanto nel giugno del 2007  ed in occasione di un episodio del tutto fortuito di tracimazione delle acque  causate da intense precipitazioni meteoriche.
 
 
 Si ricorda preliminarmente che, come riportato anche in ricorso (pag. 20), nel  canale San Giorgio venivano recapitate le acque di scarico dello stabilimento  industriale prima dell’entrata in funzione dell’impianto di disoleazione.
 
 Del Canale San Giorgio dagli atti di causa si conosce quanto segue:
 
 - nel provvedimento impugnato a pag. 32 si ricorda che già la conferenza di  servizi istruttoria del 10. 11. 2008 aveva chiesto alla Ies di rimuovere i  sedimenti inquinati dal canale San Giorgio visto il superamento dei limiti  fissati dalla tabella 1 dell’allegato 5 al titolo V della parte IV del codice  dell’ambiente relativamente ai parametri dell’arsenico, del cadmio, del  mercurio, del piombo, dello stagno, dello zinco, degli idrocarburi, del  benzoantracene, del benzopirene, del benzofluorantene, del benzoperilene, del di  benzopirene, del dibenzoantracene, dell’indenopirene,
 
 - nel parere ARPA del 17. 6. 2008 a pag. 4 punto C si specifica che nell’ambito  dei controlli effettuati sono stati prelevati campioni di sedimento dal  prospiciente ramo del Canale san Giorgio per verificare l’eventuale  contaminazione correlata alla fuoriuscita di sostanze contaminanti dalle vasche  API della raffineria,
 
 - nel parere ISPRA del 7. 11. 2006 il ricercatore dell’istituto afferma che sono  state prelevate 16 carote dal canale San Giorgio e che i risultati analitici  evidenziano una contaminazione abbastanza diffusa a carico di metalli pesanti,  idrocarburi ed IPA in particolare per i metalli si evidenziano superamento delle  concentrazioni limite per arsenico, cadmio, mercurio, piombo, stagno, zinco, per  gli idrocarburi superamenti sia della colonna A che della colonna B che  raggiungono i 45.000 mg/kg per i C>12 e 860 mg/kg per i C<12, mentre per gli IPA  si hanno superamento dei valori limite per benzoantracene, benzopirene,  benzofluorantene, benzoperilene, dibenzopirene, dibenzoantracene, indenopirene,  ed a fronte di ciò si chiede che la società invii una documentazione riguardante  il piano di caratterizzazione condotto ed una relazione a commento dei risultati  ottenuti.
 
 
 Non è quindi - preliminarmente - esatto quanto afferma la ricorrente nel  ricorso, e cioè che la caratterizzazione del Canale San Giorgio sarebbe avvenuta  soltanto nel giugno del 2007 in occasione di un episodio del tutto occasionale  di tracimazione delle acque causate da intense precipitazioni meteoriche; il  canale San Giorgio in realtà è studiato quantomeno dal 2006 e già da tale data  si è a conoscenza del fatto che i sedimenti che esso contiene superano per  diversi parametri i limiti di riferimento previsti dal codice dell’ambiente.
 
 L’inquinamento diffuso del canale san Giorgio è riscontrato, pertanto, da 16  carotaggi e riguarda i parametri dell’arsenico, del cadmio, del mercurio, del  piombo, dello stagno, dello zinco, degli idrocarburi, del benzoantracene, del  benzopirene, del benzofluorantene, del benzoperilene, del di benzopirene, del  dibenzoantracene, dell’indenopirene.
 
 
 Ciò posto, e venendo all’esame delle censure in diritto:
 
 - non si può sostenere che la rimozione dei sedimenti inquinati dal canale San  Giorgio non sarebbe compatibile con la messa in sicurezza, in quanto realizzante  de facto una vera e propria bonifica. Questa affermazione non è corretta, in  quanto nel caso in esame l’asportazione dei sedimenti è misura assolutamente  insufficiente a realizzare la bonifica, essendo nel corso degli anni la  contaminazione penetrata nei suoli ed avendo la stessa raggiunto anche la falda;  la bonifica dell’area dello stabilimento della Ies non potrebbe mai risolversi,  pertanto, nella mera asportazione dei sedimenti dal canale San Giorgio e  contemplerà necessariamente ulteriori attività, molto più complesse, di  disinquinamento dei suoli e della falda, che saranno realizzate esse sì mediante  la bonifica, laddove la rimozione dei sedimenti inquinati è mera misura di messa  in sicurezza onde evitare ulteriori propagazioni della contaminazione; si  ricorda d’altronde che la lettera m) dell’art. 240 del codice dell’ambiente nel  definire le attività in cui può consistere la messa in sicurezza d’emergenza ha  previsto espressamente anche l’ipotesi che essa si risolva in un intervento  volto a 1) contenere la diffusione dell’inquinamento 2) impedire il contatto  delle matrici inquinanti, 3) rimuoverle; la rimozione della matrice inquinante è  pertanto normativamente compatibile con la messa in sicurezza d’emergenza;
 
 - si precisa anche, sempre con riferimento alla medesima deduzione difensiva,  che la lettera m) dell’art. 240 non limita in alcun modo la possibilità di  utilizzare la terza forma di messa in sicurezza di emergenza (ovvero, quella  tramite rimozione della matrice inquinante) al superamento di ben 10 volte i  valori limite; sul punto il parere dell’I.S.S., cui si richiama la difesa (ed i  cui presupposti sussisterebbero comunque nel caso in esame, in cui vi è  superamento del limite di 10 volte per il benzene), costituisce comunque una  interpolazione indebita della norma che finisce con il limitare le circostanze  in cui si può procedere alla messa in sicurezza, per di più individuando in modo  improprio in astratto, una volta per tutte, le situazioni in cui si può  ricorrere alla messa in sicurezza d’emergenza nella forma per rimozione, laddove  invece tali situazioni devono essere valutate in concreto dall’autorità  amministrativa nel singolo caso sottoposto di volta in volta alla sua  attenzione;
 
 - non si può, inoltre, sostenere che non sussistano a monte i presupposti per  una messa in sicurezza d’emergenza ai sensi delle lettere m) e t) dell’art. 240  del codice, in quanto le situazioni che ai sensi della lettera t) giustificano  la messa in sicurezza consistono nella possibilità che la contaminazione possa  creare effetti nocivi acuti alla salute (ed è noto che alcune delle sostanze che  sono state rinvenute in quantità superiori ai limiti nel canale San Giorgio sono  cancerogene), mentre - quanto al requisito della repentinità della  contaminazione di cui alla lettera m) della stessa norma - esso non può essere  inteso in modo paradossale nel senso che l’autorità amministrativa perda il  potere di disporre la messa in sicurezza quando, in presenza dell’accertamento  dell’inquinamento, abbia, come nel caso in esame, adottato un atteggiamento  maggiormente collaborativo limitandosi in un primo momento a sollecitare  l’azienda a collaborare nella caratterizzazione ulteriore del sito (come era  indicato nel parere ISPRA sopra citato) e solo in un secondo momento ad imporre  la soluzione della rimozione dei sedimenti inquinati. Deve, pertanto, ritenersi  che l’evento di contaminazione repentino che giustifica l’adozione di una  procedura di messa in sicurezza ex art. 240, lett. m), consiste anche  nell’accertamento del perpetuarsi e dell’aggravarsi dell’inquinamento per  effetto della permanenza delle matrici inquinate nell’area oggetto d’indagine;
 
 - non si può, da ultimo, sostenere che non si possa disporre la misura in esame  fino alla fine della caratterizzazione dell’area, posto che la difesa della  ricorrente fonda la sua tesi sul rilievo (già prima censurato) che essa si  risolverebbe in una vera e propria bonifica, ma, come si è già detto prima, ciò  non è esatto, e le mere misure di messa in sicurezza d’emergenza non richiedono  che sia prima completata la caratterizzazione.
 
 
 VII. La soccombenza della ricorrente sulla maggior parte delle questioni  proposte le impone l’onere delle spese, quantificato come in dispositivo (la  quantificazione tiene conto della circostanza che l’Avvocatura si è limitata a  prendere posizione soltanto su alcuni dei motivi di ricorso; la Regione  Lombardia si è costituita solo formalmente).
 P.Q.M.
 definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto:
 
 ACCOGLIE nei limiti della motivazione il solo motivo sub 5 in relazione al  motivo sub 1, e, per l’effetto, annulla il decreto 30. 9. 2009 nella sola parte  in cui dispone a carico della IES l’obbligo di procedere al barrieramento fisico  dell’area inquinata.
 
 RESPINGE il motivo sub 5 per tutto il resto.
 
 DICHIARA INAMMISSIBILE il ricorso quanto alla impugnazione del mero verbale  della Conferenza di servizi di cui ai motivi da 1 a 4.
 
 CONDANNA la ricorrente al pagamento in favore di ciascuna delle controparti  costituite delle spese di lite, che quantifica in euro 1.000 (oltre accessori,  se dovuti).
 
 Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
 
 Così deciso in Brescia nella camera di consiglio del giorno 24 novembre 2010 con  l'intervento dei magistrati:
 
 Giuseppe Petruzzelli, Presidente
 Sergio Conti, Consigliere
 Carmine Russo, Referendario, Estensore
 
 L'ESTENSORE
IL PRESIDENTE
 
 
 DEPOSITATA IN SEGRETERIA
 Il 20/12/2010
 
                    




