 TAR Lombardia (BS) Sez. I n. 4526 del 2 novembre 2010
TAR Lombardia (BS) Sez. I n. 4526 del 2 novembre 2010
Rifiuti. Indicazione carico presunto
La norma (di regolamento) che consente alle ditte di indicare anche il carico presunto non può essere interpretata nel senso della possibilità di indicare una cifra completamente sganciata da quella reale, pena la violazione della norma (di legge) che impone di riportare la quantità di rifiuti trasportata nel formulario di identificazione rifiuti.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
N. 04526/2010 REG.SEN.
 N. 01096/2008 REG.RIC.
 Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia
 
 sezione staccata di Brescia (Sezione Prima)
 
 ha pronunciato la presente
 SENTENZA
 sul ricorso numero di registro generale 1096 del 2008, proposto da:
 ESPOSITO SERVIZI ECOLOGICI SRL, rappresentata e difesa dagli avv. Daniela Di  Giovine, Luigi Ferrajoli, con domicilio eletto presso lo studio dell’avv.  Daniela Di Giovine in Brescia, via L. Gambara, 75 (Fax=030/45461);
 contro
 
PROVINCIA DI BERGAMO, rappresentata  e difesa dagli avv. Giorgio Vavassori, Bortolo Pasinelli, con domicilio eletto  presso lo studio dell’avv. Enrico Codignola in Brescia, via Romanino,16;
 
 per l'annullamento
 
 del provvedimento del dirigente del settore ambiente in data 7/8/2008, di  diffida a provvedere alla corretta compilazione dei formulari e a rispettare la  quantita’ di rifiuti trattati.
 
 e per il risarcimento del danno da ritardo nella conclusione del procedimento e  nell’emanazione della determinazione 26/9/2008.
 
 
 Visti il ricorso e i relativi allegati;
 Visto l'atto di costituzione in giudizio di Provincia di Bergamo;
 
 Relatore nell'udienza pubblica del giorno 13 ottobre 2010 il dott. Russo e uditi  per le parti i difensori come specificato nel verbale;
 
 Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
 FATTO
 La ditta ricorrente, che svolge l’attività di gestione di rifiuti in forza di  autorizzazione della Provincia di Bergamo del 28. 1. 2003 e ss.mm., impugna il  provvedimento del 7. 8. 2008 con cui la stessa Provincia, a seguito di processo  verbale di constatazione di una serie di asserite irregolarità nella gestione  dell’attività, ha deciso di diffidarla formalmente a rispettare alcune  particolari prescrizioni cui era stato subordinato l’esercizio dell’attività di  gestione di rifiuti e di invitarla a rispettarne delle altre.
 
 Era, in particolare, accaduto – come si preciserà meglio di seguito – che la  Provincia aveva constatato la movimentazione da parte della ditta ricorrente di  quantità di rifiuti di gran lunga superiori a quelli per cui era prevista  l’autorizzazione e la violazione di alcune prescrizioni formali sulla gestione  dell’attività di rifiuti (quale, in particolare, quella relativa alla  indicazione in ciascun trasporto della quantità di rifiuti che veniva  trasportata).
 
 Nello stesso ricorso la ditta ricorrente chiede, inoltre, il risarcimento del  danno (che le sarebbe derivato però non dall’emanazione del provvedimento  impugnato, ma dal tardivo rilascio da parte della Provincia di una  autorizzazione alla effettuazione di varianti all’attività di gestione  rilasciata soltanto il 26. 9. 2008, ma richiesta già il 20. 3. 2006, variante in  cui si chiedeva tra l’altro proprio di aumentare la quantità di rifiuti da  gestire).
 
 
 I motivi che sostengono il ricorso sono i seguenti:
 
 1. il provvedimento impugnato sarebbe illegittimo per violazione del combinato  dell’art. 193 d.lgs. 152/06 (che prevede che in sede di trasporto sia indicata  la quantità del rifiuto trasportato) e del d.m. 145/98 (che consente alla ditta  di indicare soltanto il peso presunto barrando la casella “peso da verificarsi a  destinazione”);
 
 2. il provvedimento impugnato sarebbe illegittimo per violazione dell’art. 208  d.lgs. 152/06, che prevede dei termini entro cui concludere il procedimento di  approvazione della domanda di gestione o di variante nella gestione di rifiuti;  la ditta ricorrente, infatti, avrebbe chiesto già il 24. 3. 2006 di elevare la  quantità di rifiuti massima trattabili a 55.000 tonnellate l’anno (dalle 30.000  tonnellate annue del decreto della Provincia di Bergamo del 28. 1. 2003, seguito  dai decreti del 12. 3. 2003 e 29. 12. 2006) ma la Provincia aveva provveduto su  tale istanza soltanto il 9. 10. 2008;
 
 3. nel terzo motivo, in realtà, si svolge non una domanda annullatoria ma si  chiede – per le ragioni esposte nel motivo precedente - il risarcimento del  danno derivato dalla impossibilità di trattare rifiuti per 25.000 tonnellate in  più nel biennio 2007/2008 ei si quantifica il danno in euro 145.370,25;
 
 4. nel quarto motivo si deduce che il provvedimento impugnato sarebbe  illegittimo anche per eccesso di potere per illogicità della motivazione in  relazione però alle ulteriori prescrizioni contenute nella parte finale dello  stesso (in particolare, in quanto la prescrizione a stoccare i rifiuti in aree  non individuate riguarderebbe soltanto i rifiuti da legna che sarebbero stati  spostati in conseguenza di un incendio; la prescrizione a piazzare  cartellonistica adeguata sui rischi sarebbe inutile perché un atale  cartellonistica già c’era; la prescrizione ad indicare il corretto codice CER  per i rifiuti provenienti da industria tessile indicati come fibra tessile  anziché come misti tessile/plastica sarebbe impossibile da rispettare perché i  rifiuti sarebbero entrati in impianto provenienti da un cassone chiuso; sarebbe,  inoltre, inutile la prescrizione a fornire un cronoprogramma per l’esecuzione  dei lavori conseguenti all’incendio, perchè l’operatività sarebbe già tornata  alla normalità dopo lo stesso, ed altre ancora).
 
 
 Si costituiva in giudizio la Provincia di Bergamo, che deduceva la sopravvenuta  carenza d’interesse (perché la ricorrente si è nelle more conformata alle  richieste della Provincia) e comunque l’infondatezza dei motivi di ricorso, ed  allegava nota di deposito documenti.
 
 
 Nel ricorso era formulata altresì istanza cautelare di sospensione del  provvedimento impugnato.
 
 Con ordinanza del 28. 11. 2008, n. 829 il Tribunale respingeva l’istanza con la  seguente motivazione: “evidenziato, ad un sommario esame: - che l’art. 193 del  D. Lgs. 152/2006 e la normativa di dettaglio paiono imporre in ogni caso  l’indicazione della quantità dei rifiuti trasportati, salva l’aggiuntiva  verifica a destinazione per casi peculiari di variazioni di peso (cfr. circolare  4/8/1998 punto 1 lett. t – doc. 18 ricorrente); - che la stima del peso – il cui  onere incombe all’impresa del settore che è tenuta ad attrezzarsi al riguardo –  deve essere sufficientemente precisa, mentre nella specie si sono rilevate  differenze tra peso dichiarato in partenza e peso rilevato a destinazione di  oltre il 40%; - che il superamento dei limiti di quantità di rifiuti trattabili  ai sensi del provvedimento autorizzativo è riferito all’anno 2006, e si limita a  prescrivere il rispetto di una puntuale clausola dell’atto che ha assentito lo  svolgimento dell’attività; Atteso: - che la richiesta risarcitoria potrà essere  esaminata nell’appropriata fase di merito; - che, con riferimento alle singole  prescrizioni, la Provincia ha affermato che le stesse assumono natura di  semplici inviti, distinti dalle diffide impartite per la compilazione dei  formulari e per la quantità dei rifiuti annui trattati; - che tale asserzione  sembra confermata dal tenore del provvedimento impugnato; - che quindi non  appare configurabile sul punto il periculum in mora, tenuto conto che la revoca  dell’autorizzazione è collegata dall’art. 208 comma 13 del D. Lgs. 152/2006  all’inosservanza delle prescrizioni impartite con atto di diffida”.
 
 
 Il ricorso veniva discusso nel merito nella pubblica udienza del 13. 10. 2010,  all’esito della quale veniva trattenuto in decisione.
 DIRITTO
 I. Va preliminarmente sgombrato il campo dalle numerose questioni dedotte nel  quarto motivo di ricorso dove si sostiene la illegittimità della parte finale  del provvedimento impugnato che ha riguardato tutte le prescrizioni relative  alla vicenda dell’incendio da cui è stata interessata l’area di lavoro della  ditta.
 
 Negli scritti difensivi, infatti, la difesa della Provincia ha fatto notare che  si tratta di meri “inviti”, a differenza di quanto riportato nella prima parte  del provvedimento che contiene le “prescrizioni” sul corretto esercizio  dell’attività di rifiuti.
 
 Effettivamente, leggendo il provvedimento impugnato, si può constatare che la  dicitura riportata è quella dell’invito, e che la stessa si differenzia  sensibilmente anche nella forma dalle prescrizioni ben più incisive contenute  nella parte iniziale del provvedimento e su cui si sviluppa il primo motivo di  ricorso.
 
 Ne consegue che nella parte in cui attiene agli inviti contenuti nella parte  finale del provvedimento il ricorso è inammissibile per mancanza di lesività del  provvedimento impugnato ex art. 35, co. 1, lett. b) c.p.a..
 
 
 II. Così delimitato il campo di estensione del ricorso, va rilevato sul primo  motivo di ricorso – in cui si deduce che il provvedimento sarebbe illegittimo  per violazione del combinato dell’art. 193 d.lgs. 152/06 (che prevede che in  sede di trasporto sia indicata la quantità del rifiuto trasportato) e del d.m.  145/98 (che consente alla ditta di indicare soltanto il peso presunto barrando  la casella “peso da verificarsi a destinazione”) – che lo stesso è infondato.
 
 Era, infatti, accaduto che la Provincia aveva constatato lo sforamento dei  limiti massimi di rifiuti che venivano gestiti dalla ditta ricorrente e nel  contesto di tale rilievo si era accorta che la ditta indicava in modo molto  approssimativo le quantità di rifiuti che trasportava.
 
 La ditta ricorrente sostiene di non essere tenuta ad indicare il peso esatto, ma  di poter indicare anche solo il peso presunto.
 
 In realtà, il rapporto di servizio del 22. 2. 2008 (doc. 29) al punto D  evidenzia con chiarezza le macroscopiche differenze oggettivamente riscontrate  nel peso reale dei quantitativi trattati dalla ditta ricorrente rispetto al peso  presunto dichiarato (si pensi al carico 609428 che è stato dichiarato del peso  di 15.000 kg ed invece era di 20.900 lg, con uno scostamento di circa il 35% in  più; o del carico 679478 che è stato dichiarato del peso di 25.000 kg ed è stato  constatato del peso di 20.660 kg, con una differenza di circa il 25% in meno; o  il carico 609430 dichiarato del peso di 25.000 kg e constatato del peso di  33.280 kg, per uno scostamento del 30% in più) (la Provincia ha anche ricordato  che il tipo di rifiuti trattati dalla ditta ricorrente non subisce cali o  aumenti di peso in relazione alle condizioni ambientali).
 
 La norma (di regolamento) che consente alle ditte di indicare anche il carico  presunto non può essere interpretata nel senso della possibilità di indicare una  cifra completamente sganciata da quella reale, pena la violazione della norma  (di legge) che impone di riportare la quantità di rifiuti trasportata nel  formulario di identificazione rifiuti.
 
 Ne consegue che nel caso in esame il comportamento tenuto dalla ditta ricorrente  era effettivamente passibile di censura, e quindi la prescrizione contenuta nel  provvedimento impugnato si rivelava giustificata.
 
 
 III. Non è fondato neanche il secondo motivo di ricorso in cui si deduce che il  provvedimento sarebbe illegittimo per violazione dell’art. 208 d.lgs. 152/06,  che prevede dei termini entro cui concludere il procedimento di approvazione  della domanda di gestione o di variante nella gestione di rifiuti; la ditta  ricorrente, infatti, aveva chiesto già il 24. 3. 2006 di elevare la quantità di  rifiuti massima trattabili a 55.000 tonnellate l’anno (dalle 30.000 tonnellate  annue del decreto della Provincia di Bergamo del 28. 1. 2003, seguito dai  decreti del 12. 3. 2003 e 29. 12. 2006) ma la Provincia aveva provveduto su tale  istanza soltanto il 9. 10. 2008.
 
 La successione degli eventi è, in particolare, la seguente:
 
 - la ditta è stata autorizzata a trattare 30.000 tonnellate annue di rifiuti dal  decreto della Provincia di Bergamo del 28. 1. 2003 e ss.mm.,
 
 - nel corso dell’anno 2006 la ditta ricorrente tratta rifiuti per 32.687,34  tonnellate (come risulta dal punto E del rapporto di servizio del 28. 2. 2008,  doc. 29 degli atti di causa),
 
 - nello stesso anno, e precisamente il 24. 3. 2006 la ditta ricorrente chiede di  elevare la quantità di rifiuti massima trattabili a 55.000 tonnellate l’anno,
 
 - nel corso dell’anno 2007 la ditta ricorrente tratta rifiuti per 31.340,55  tonnellate (nota del 8. 2. 2010, doc. 40 della Provincia), quindi comunque oltre  i limiti dell’autorizzazione in essere,
 
 - la Provincia concede l’autorizzazione ad elevare la quantità massima di  rifiuti trattabili con determina assunta il 22. 9. 2008, registrata il 26. 9.  2008 (doc. 26).
 
 Il motivo di ricorso si regge sulla personalissima idea della ricorrente che  l’(asserito) ritardo della Provincia nell’autorizzare l’aumento della quantità  massima di rifiuti trattabili l’avrebbe legittimata a farsi giustizia da sola ed  ad aumentarli senza attendere alcun atto autorizzativo.
 
 Ma questo argomento già non è proponibile in diritto, in quanto il ritardo nel  provvedere su una istanza di variante ad una autorizzazione non vizia in alcun  modo la attività amministrativa di controllo e sanzione del rispetto dei limiti  dell’autorizzazione originaria finchè questa vige.
 
 Inoltre, nel caso specifico del procedimento amministrativo oggetto di questo  giudizio è anche il caso di rimarcare che il co. 10 dell’art. 208 t.u. ambiente  prevede che “ove l'autorità competente non provveda a concludere il procedimento  di rilascio dell'autorizzazione unica entro i termini previsti al comma 8, si  applica il potere sostitutivo di cui all'articolo 5 del decreto legislativo 31  marzo 1998, n. 112”. Pertanto - anche a voler concedere un inadempimento  dell’amministrazione nel rispetto dei termini – tale inadempimento legittima la  impresa ricorrente soltanto ad attivare i poteri sostitutivi, ma non a violare  nelle more le prescrizioni dell’autorizzazione originaria.
 
 Nel caso in esame, la ditta ricorrente ha prima violato i limiti massimi  dell’autorizzazione, ed allora a quel punto ha chiesto di rientrare nella  regolarità chiedendo l’aumento della quantità massima di rifiuti trattabili;  questo – però - non la legittima a chiedere l’annullamento del provvedimento che  sulla constatazione oggettiva di tale violazione era fondato.
 
 
 IV. Nel terzo motivo di ricorso occorre affrontare di nuovo, ma sotto altro  profilo, la questione dell’asserito ritardo nell’emanazione della variante  all’autorizzazione che ha aumentato la quantità massima di rifiuti trattabili.  Nel terzo motivo, infatti, la ditta ricorrente propone non una domanda di  annullamento (del provvedimento che ha constatato la violazione dei limiti  dell’autorizzazione in essere), ma una domanda di risarcimento (del danno  derivante dal ritardo nell’emissione della variante con cui sono stati aumentati  i quantitativi di rifiuti trattabili).
 
 Si tratta di una sorta di riconvenzionale, sia pure non in senso tecnico. La  ricorrente, infatti, non solo aggredisce il provvedimento con cui la Provincia  la aveva diffidata a gestire correttamente l’attività di gestione rifiuti, ma  contrattacca assumendo che era stata la Provincia – ritardando l’emanazione del  provvedimento che modificava i termini dell’autorizzazione alla gestione rifiuti  - a cagionarle un danno.
 
 Si può prescindere dalla questione della cumulabilità in un unico giudizio di un  petitum di annullamento con un petitum di risarcimento del danno derivante non  dall’annullamento del provvedimento impugnato, ma dal ritardo nell’emanazione di  altro provvedimento, perché la domanda di risarcimento è infondata nel merito.
 
 Il ragionamento della ditta ricorrente è fondato sui seguenti dati: la domanda  di variante all’autorizzazione è stata presentata il 24. 3. 2006; la Provincia  avrebbe provveduto soltanto il 9. 10. 2008; il termine previsto dalla legge per  la conclusione di questo procedimento amministrativo è di 150 gg.; quindi la  Provincia avrebbe maturato un ritardo di circa due anni nell’emanazione del  provvedimento impugnato obbligando la ditta ricorrente a mantenere in questo  periodo un giro d’affari più basso, che costituisce il presupposto della  richiesta di risarcimento.
 
 In realtà, i calcoli effettuati dalla ditta ricorrente sulla scansione dei  termini del procedimento amministrativo oggetto di censura non sono corretti,  perché non considerano:
 
 - che, per gli impianti sottoposti a V.I.A., la decorrenza del termine è sospesa  fino all’acquisizione della V.I.A.
 
 - che il termine può essere interrotto per una volta dall’amministrazione, per  necessità istruttorie.
 
 Più in particolare, nel caso in esame è avvenuto quanto segue.
 
 Occorre iniziare il ragionamento rilevando che l’art. 208, co. 8, del codice  dell’ambiente stabilisce che “l'istruttoria si conclude entro centocinquanta  giorni dalla presentazione della domanda di cui al comma 1 con il rilascio  dell'autorizzazione unica o con il diniego motivato della stessa”. La data della  domanda è, come detto, il 24. 3. 2006.
 
 Ma il co. 1, ultimo periodo, dello stesso art. 208 precisa però che “ove  l'impianto debba essere sottoposto alla procedura di valutazione di impatto  ambientale ai sensi della normativa vigente, alla domanda è altresì allegata la  comunicazione del progetto all'autorità competente ai predetti fini; i termini  di cui ai commi 3 e 8 restano sospesi fino all'acquisizione della pronuncia  sulla compatibilità ambientale ai sensi della parte seconda del presente  decreto”.
 
 Nel caso in esame si versa nell’ambito di applicazione di tale previsione in  quanto si tratta pacificamente di impianto sottoposto a V.I.A. come chiarito  immediatamente già nella comunicazione di avvio del procedimento del 6. 6. 2006  (doc. 9), e come d’altronde chiesto dalla parte stessa nella nota del 27. 3.  2006 (doc. 10).
 
 In forza del co. 1 dell’art. 208, pertanto, il termine iniziale del procedimento  in esame non è il 24. 3. 2006, data della domanda, ma il 17. 9. 2007 (data in  cui la Provincia ha ricevuto dalla Regione Lombardia il decreto V.I.A.; il  decreto V.I.A. era stato emesso dalla Regione il 18. 5. 2007, ma è stato  ricevuto dalla Provincia di Bergamo soltanto il 17. 9. 2007, data che viene  indicata nel punto E della nota del 15. 11. 2007, doc. 12. Non potendo farsi  decorrere i termini del procedimento prima che l’ente pubblico competente ad  istruire e decidere la istanza di autorizzazione in variante sia messo a  conoscenza che è venuta meno la causa ostativa all’ulteriore decorso dello  stesso, il termine di inizio del procedimento deve conseguentemente essere  fissato a tale data di intervenuta conoscenza della emanazione della V.I.A.).
 
 Iniziato effettivamente a decorrere il termine procedimentale il 17. 9. 2007, la  successiva scansione dello stesso è regolata dalla norma dell’art. 208, co. 3,  che impone che “entro trenta giorni dal ricevimento della domanda di cui al  comma 1, la regione individua il responsabile del procedimento e convoca  apposita conferenza di servizi cui partecipano i responsabili degli uffici  regionali competenti e i rappresentanti delle Autorità d'ambito e degli enti  locali interessati. Alla conferenza è invitato a partecipare, con preavviso di  almeno venti giorni, anche il richiedente l'autorizzazione o un suo  rappresentante al fine di acquisire documenti, informazioni e chiarimenti”.
 
 Nel caso in esame, il decreto di convocazione della conferenza di servizi è  intervenuto, in realtà, soltanto il 15. 11. 2007, e quindi con un ritardo di 28  gg. rispetto alla scansione temporale prevista dalla norma attributiva del  potere (pur se la conferenza è stata convocata per il 12. 12. 2007, e quindi in  tempi estremamente solleciti, considerato il termine minimo che deve essere  garantito alle parti per preparare la stessa). In ogni caso, pur se non è stato  rispettato esattamente per tale adempimento il termine del co. 3 dell’art. 208,  ciò non può essere di per sé solo produttivo di danno trattandosi di un mero  termine endoprocedimentale di carattere sollecitatorio, posto che ciò che assume  rilevanza giuridica esterna è soltanto il termine di conclusione del  procedimento (ovvero, il termine di 150 gg. previsto dal co. 8 citato  all’inizio), e non il rispetto dei sottotermini delle singole sottofasi del  procedimento, (rispetto dei termini delle sottofasi che ha carattere  organizzatorio interno all’amministrazione, e cui non si estende la tutela  dell’art. 2 l. 241/90).
 
 La scansione successiva dei co. 4 e 6 dello stesso art. 208 prevede che la  Conferenza di servizi abbia 90 gg. per effettuare le proprie conclusioni e che  la Regione abbia poi 30 gg. per emettere il provvedimento. La Conferenza di  servizi si è effettivamente tenuta il 12. 12. 2007 ed all’esito della stessa il  ricorrente si è impegnato ad integrare la documentazione mancante entro 60 gg.  (il provvedimento con cui il responsabile del procedimento chiede alla parte la  documentazione indicata in Conferenza di servizi è del 20. 12. 2007, doc. 17).
 
 La norma, in effetti, riconosce che per necessità istruttorie possa essere  interrotto il termine di 150 gg. entro cui concludere il procedimento, in quanto  il co. 9 aggiunge che “i termini di cui al comma 8 sono interrotti, per una sola  volta, da eventuali richieste istruttorie fatte dal responsabile del  procedimento al soggetto interessato e ricominciano a decorrere dal ricevimento  degli elementi forniti dall'interessato”.
 
 Nel caso in esame la ditta ricorrente ha provveduto a fornire i documenti  richiesti con nota del 10. 4. 2008 (doc. 18), che inizia proprio con la frase  “in riferimento a quanto richiesto durante la conferenza di servizi del 12. 12.  2007 si trasmette in allegato ….” (già così la ditta ricorrente, pertanto, era  in ritardo di circa 2 mesi sul termine di 60 gg. assegnatogli dalla Conferenza  per produrre i documenti), e poi ha integrato la documentazione con la nota del  29. 4. 2008 (doc. 19) e con la ulteriore nota pervenuta in Provincia il 30. 6.  2008 (doc. 21).
 
 Pertanto il termine di 150 gg. - che si era interrotto con la richiesta  istruttoria del 12. 12. 2007 - riprende a decorrere soltanto dal 30. 6. 2008,  data in cui la ditta ricorrente ha ottemperato alle richieste istruttorie  dell’amministrazione.
 
 Circa tre mesi dopo, e cioè il 22. 9. 2008, il procedimento si è concluso con la  determina conclusiva recante l’autorizzazione in variante (doc. 26), registrata  quattro giorni dopo.
 
 
 Ne consegue, sommando i vari periodi sopra esposti, che:
 
 - il termine del procedimento amministrativo inizia a decorrere il 17. 9. 2007,
 
 - la decorrenza del termine si interrompe il 12. 12. 2007 (e cioè dopo 85 gg.),
 
 - il termine riprende a decorrere il 30. 6. 2008,
 
 - il termine scade il 3. 9. 2008 (al compimento del centocinquantesimo giorno  previsto dal codice dell’ambiente),
 
 - il procedimento si conclude in realtà soltanto il 22. 9. 2008 (con 19 gg. di  ritardo rispetto al termine previsto dalla norma attributiva di potere).
 
 
 Il ritardo di 19 gg., dovuto essenzialmente alla volontà della Provincia di  chiedere un chiarimento urgente alla Regione sul parere V.I.A. (doc. 24), non è  peraltro talmente apprezzabile in termini di danno da poter fondare una  richiesta risarcitoria, anche in considerazione del fatto che – se dal punto di  vista formale il termine del procedimento non è stato comunque rispettato – per  il risarcimento del danno rilevano non elementi formali, ma sostanziali, quali  la circostanza che il ritardo nell’emanazione del provvedimento impugnato è  stato quantitativamente imputabile più alla ricorrente (che ha ricevuto un  termine di 60 gg. per produrre integrazioni documentali, che sono giunte  soltanto dopo più di 6 mesi), che non alla Provincia che è stata morosa di soli  19 gg.. Ne consegue che il ricorrente non può poi imputare alla Provincia i  minori introiti commerciali dovuti ad un ritardo di soli 19 gg. nel concludere  il procedimento di variante.
 
 
 IV. Le spese seguono la soccombenza e vengono liquidate come da dispositivo.
 P.Q.M.
 Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia sezione staccata di  Brescia (Sezione Prima)
 
 definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto:
 
 RESPINGE il primo e secondo motivo di ricorso.
 
 DICHIARA INAMMISSIBILE ex art. 35, co. 1, lett. b, c.p.a. il quarto motivo di  ricorso.
 
 RESPINGE l’istanza di risarcimento del danno contenuta nel terzo motivo di  ricorso.
 
 CONDANNA la ricorrente al pagamento in favore dell’amministrazione resistente  delle spese di lite, che determina in euro 4.000, oltre i.v.a. e c.p.a. (se  dovute).
 
 Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
 
 Così deciso in Brescia nella camera di consiglio del giorno 13 ottobre 2010 con  l'intervento dei magistrati:
 
 Giuseppe Petruzzelli, Presidente
 Sergio Conti, Consigliere
 Carmine Russo, Referendario, Estensore
 
 L'ESTENSORE
IL PRESIDENTE
 
 
 DEPOSITATA IN SEGRETERIA
 Il 02/11/2010
 
                    




