 TAR Veneto Sez. III n. 5982 del 5 novembre 2010
TAR Veneto Sez. III n. 5982 del 5 novembre 2010
Rifiuti. Attività inquinanti e autorizzazione
Ai fini dell’impugnativa di un provvedimento che autorizza l’avvio di un’attività potenzialmente inquinante, il ricorrente non è tenuto a dimostrare che si è verificato un danno, in quanto tale questione attiene al merito, ed è invece sufficiente la prospettazione di temute ripercussioni sul territorio collocato nelle immediate vicinanze
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
N. 05982/2010 REG.SEN.
 N. 01643/2009 REG.RIC.
 Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto
 (Sezione Terza)
 ha pronunciato la presente
 SENTENZA
 sul ricorso numero di registro generale 1643 del 2009, integrato da motivi  aggiunti, proposto da:
 Andrea Alessandrini, Gialivio Antelmi, Mario Antigo, Onelio Aureto, Adriano  Busatto, Cinzia Calesella, Moreno Carraro, Maria Chirizzi, Stefano Colusso,  Paola Coticoni, Nicolino De Angelis, Luca De Benetti, Nazareno De Benetti,  Sabrina De Benetti, Claudio De Marchi, Orlando De Marchi, Casimiro Dovesi,  Francesca Dovesi, Luigi Durigon, Cinzia Falcon, Mario Favaro, Dario Ferretto,  Mario Franchin, Maria Franco, Simone Gastaldo, Ioselito Gobbo, Stefano Guerini,  Giorgio Libralato, Antonio Maglio, Patrizio Marcon, Luisa Marchioro, Adriano  Masini, Giuseppe Massaccesi, Luciano Mazzolin, Lia Mel, Maria Luisa Menegaldo,  Francesco Miolo, Alberto Pagin, Sole Papais, Roberta Pavin, Stefano Piu, Orazio  Pizziolo, Tommaso Ernesto Pizzo, Massimiliano Povelato, Vanni Raccanello,  Danillo Righetto, Massimo Saran, Alessandro Sartor, Livio Sartor, Mario Sartor,  Sergio Sartor, Gabriella Sciumbarruto, Bruna Simionato, Gino Spoladore, Edino  Tessarotto, Achille Tonon, Giovanni Tonon, Italo Tonon, Tiziana Tonon, Lorenzo  Torresan, Giorgio Tortato, Mauro Tosatto, Daniele Trevisan, Nadia Trevisan,  Giampaolo Vanin, Cristina Vettor, Stefano Vignola, Pamela Zaccarin, Franca  Zanatta, rappresentati e difesi dagli avv. Gianfranco Garancini e Luisa Padovan,  con domicilio eletto presso Torquato Tasso in Venezia – Mestre, via Verdi 5;
 contro
 Regione Veneto, in persona del Presidente pro tempore, rappresentata e difesa  dagli avv.ti Cecilia Ligabue ed Ezio Zanon, con domicilio eletto in Venezia,  Cannaregio, 23;
 Provincia di Treviso, non costituitasi in giudizio;
 Agenzia Regionale per la Prevenzione e Protezione Ambientale del Veneto, non  costituitasi in giudizio;
 
 nei confronti di
 
 Mestrinaro Spa, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata  e difesa dagli avv.ti Massimo Malvestito e Sebastiano Tonon, con domicilio  eletto presso lo studio di quest’ultimo in Venezia, San Marco, 3901;
 
 per l'annullamento
 
 A) quanto al ricorso originario:
 
 - della deliberazione della Giunta Regionale n. 882 del 7/4/2009, pubblicata sul  B.U.R. Veneto n. 35 del 28/4/2009, relativa alla procedura di V.I.A. e  autorizzazione ai sensi degli artt. 11 e 23 dell L.R. Veneto n. 10 del 1999 e  autorizzazione integrale ambientale ai sensi del D.L.gs. n. 59/2005 e della L.R.  Veneto n. 26/2007, nonché dei relativi pareri e pronunciamenti resi dalla  Commissione V.I.A. della Regione Veneto, anche integrata ai sensi dell'art. 23,  L.R. n. 10/1999 del 16/7/2008 e 10/12/2008, ed atti connessi, con domanda di  risarcimento danni;
 
 B) quanto ai motivi aggiunti:
 
 - della deliberazione della Giunta regionale n. 100 del 26 gennaio 2010,  pubblicata sul B.U.R. Veneto n. 19 del 2 marzo 2010, nonché relativo parere n.  276 del 20 gennaio 2010 reso dalla Commissione V.I.A., anche integrata ai sensi  dell’art. 23 L.R. 10/99, ed atti connessi.
 
 
 Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;
 Visti gli atti di costituzione in giudizio della Regione Veneto e della  controinteressata Mestrinaro Spa;
 Visti i motivi aggiunti;
 Viste le memorie difensive;
 Visti tutti gli atti della causa;
 
 Relatore nell'udienza pubblica del giorno 14 ottobre 2010 il dott. Stefano  Mielli e uditi per le parti i difensori L. Padovan, per la parte ricorrente, C.  Ligabue per la Regione del Veneto e M. Malvestio per la Mestrinaro s.p.a.;
 
 Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
 FATTO
 La controinteressata Società Mestrinaro Spa, che già opera nel settore del  recupero dei rifiuti inerti con un impianto nel Comune di Zero Branco, in data  24 novembre 2004, ha presentato alla Regione una domanda per l’avvio della  procedura di valutazione di impatto ambientale e contestuale approvazione di un  progetto finalizzato ad integrare, nell’ambito del medesimo sito, l’impianto già  esistente di lavorazione di inerti mediante frantumazione, con processi di  trattamento, recupero e inertizzazione di altri rifiuti speciali.
 
 Con deliberazione della Giunta regionale n. 882 del 7 aprile 2009, preso atto  del parere favorevole n. 215 del 10 dicembre 2008 della commissione regionale  V.I.A. integrata, la Regione ha espresso giudizio favorevole di compatibilità  ambientale, rilasciando l’autorizzazione integrata ambientale per l’avvio dei  lavori di realizzazione dell’impianto ed approvando, con prescrizioni, il  progetto.
 
 Tale provvedimento è impugnato dai ricorrenti, che sono un gruppo di cittadini  residenti in località Bertoneria (in un raggio di 500 metri dai confini  dell’impianto), nelle vicinanze dell’impianto (nella frazione S. Alberto con  distanza dall’impianto superiore a 500 metri), o nel Comune (cfr. la tabella di  cui al doc. 1 allegato al ricorso), per le seguenti censure:
 
 I) violazione degli artt. 6 e 10, lett. b), della legge 7 agosto 1990, n. 241,  del principio di partecipazione, dell’art. 5, commi 7 e 8, del Dlgs. 18 febbraio  2005, n. 59, carenza di istruttoria, travisamento e mancata considerazione di  fatti presupposti, per l’omessa autonoma ripubblicazione dell’avviso di  presentazione del progetto nell’ambito della procedura di rilascio  dell’autorizzazione integrata ambientale;
 
 II) violazione dell’art. 10 delle norme tecniche di attuazione allegate al piano  regolatore, violazione del piano di assetto del territorio adottato con  deliberazione di Giunta comunale n. 32 del 15 aprile 2009, e dell’art. 9 della  legge regionale 26 marzo 1999, n. 10, per l’omessa adeguata considerazione della  disciplina urbanistica;
 
 III) violazione del regolamento CE n. 510/2006 del Consiglio del 20 marzo 2006,  del regolamento CE n. 1107/96 della Commissione del 12 giugno 1996, dell’art. 21  del Dlgs. 18 maggio 2001, n. 228, dell’elaborato E, punto 3.3.5. della  deliberazione del Consiglio regionale n. 59 del 22 novembre 2004, del piano di  gestione rifiuti urbani relativo alla Provincia di Treviso, approvato con  deliberazione del Consiglio regionale n. 62 del 22 novembre 2004, perché non si  è tenuto conto della classificazione del territorio comunale come non idoneo  alla localizzazione di impianti di smaltimento e recupero dei rifiuti, in  ragione della presenza di produzioni agricole di qualità e tipicità;
 
 IV) travisamento, contraddittorietà per mancanza e carenza di istruttoria,  sviamento, con riferimento: a) alla violazione dell’art. 4 del Dlgs. 18 febbraio  2005, n. 59; b) alla violazione del decreto del Ministro dell’ambiente 29  gennaio 2007; c) ulteriore carenza di istruttoria; d) contraddittorietà rispetto  alla deliberazione della Giunta regionale n. 1389 del 14 giugno 2005; e) carenza  di istruttoria sotto altro profilo alle problematiche legate all’incremento del  traffico; f) carenza di istruttoria sotto ulteriore profilo, relativamente alla  necessità di bonifica delle aree interessate.
 
 Si sono costituiti in giudizio la Regione Veneto e la controinteressata  Mestrinaro Spa, replicando ai motivi di ricorso e concludendo per la sua  reiezione.
 
 Relativamente ad altro ricorso r.g. n. 1420 del 2009, proposto dal Comune di  Zero Branco avverso i medesimi atti oggetto della presente controversia, con  ordinanza della Sezione n. 723 del 15 luglio 2009, è stata respinta la domanda  cautelare, accolta invece in appello, ai fini di un riesame, con ordinanza della  V Sezione del Consiglio di Stato n. 4962 del 29 settembre 2009.
 
 In quella sede il Consiglio di Stato ha ritenuto che la Regione non abbia  valutato con sufficiente completezza tutti gli elementi relativi alla  compatibilità urbanistica del progetto, e l’esistenza di una condanna in materia  ambientale a carico del legale rappresentante della Società richiedente  l’autorizzazione (elemento quest’ultimo non riconducibile a nessuno dei motivi  proposti con il ricorso).
 
 La Regione, con deliberazione di Giunta n. 100 del 26 gennaio 2010, fatte salve  le prescrizioni e raccomandazioni di cui ai provvedimenti precedenti, ha  reiterato i provvedimenti impugnati con il ricorso originario, ha espresso un  giudizio favorevole di compatibilità ambientale, ha rilasciato l’autorizzazione  integrata ambientale per l’avvio dei lavori di realizzazione dell’impianto, e ha  approvato nuovamente il progetto previa acquisizione di un nuovo parere  favorevole n. 276 del 20 gennaio 2010, della commissione di impatto ambientale.
 
 In tale parere è precisato che la condanna alla pena pecuniaria riportata dal  legale rappresentante della Società è ininfluente perché, priva di effetti  interdettivi, non rileva ai fini dell’iscrizione all’albo dei gestori  ambientali, e che, come indicato nella motivazione dei provvedimenti impugnati,  anche a seguito di una rinnovata istruttoria, è stata acquisita completa  cognizione dell’assetto urbanistico dell’area interessata dal progetto (cfr.  pagg. 4 e 5 del parere della commissione regionale di impatto ambientale)  oggetto di specifica valutazione anche da parte del responsabile della Direzione  Regionale urbanistica che ha espresso un apposito parere il 20 gennaio 2010.
 
 Tale deliberazione è impugnata dai ricorrenti con motivi aggiunti per le  seguenti censure:
 
 I) violazione degli artt. 6 e 10, lett. b), della legge 7 agosto 1990, n. 241,  degli artt. 14 e 15 della legge regionale 26 marzo 1999, n. 10, dell’art. 5,  commi 7 e 8 del Dlgs. 18 febbraio 2005, n. 59, e dei principi di partecipazione,  pubblicità e trasparenza, nonché carenza di istruttoria, per l’omessa  ripubblicazione dell’avviso di deposito del progetto a seguito dell’ordinanza  cautelare del Consiglio di Stato n. 4962 del 29 settembre 2009;
 
 II) violazione dell’art. 10 delle norme tecniche di attuazione allegate al piano  regolatore, violazione del piano di assetto del territorio adottato con  deliberazione di Giunta comunale n. 32 del 15 aprile 2009, e dell’art. 9 della  legge regionale 26 marzo 1999, n. 10, difetto di motivazione, travisamento ed  elusione dell’ordinanza cautelare del Consiglio di Stato n. 4962 del 29  settembre 2009, per la non adeguata considerazione della disciplina urbanistica;
 
 III) travisamento, contraddittorietà per mancanza o insufficienza di istruttoria  e sviamento, per la previsione di una compensazione pecuniaria in favore del  Comune nella misura di € 20 per mq per la nuova superficie edificatoria e le  valutazioni sull’aumento del traffico veicolare, dell’inquinamento acustico, e  lo svolgimento di lavori notturni.
 
 La Regione Veneto e la controinteressata Mestrinaro Spa hanno eccepito  l’inammissibilità dei motivi aggiunti o, in via alternativa, l’improcedibilità  del ricorso originario, chiedendo nel merito la loro reiezione.
 
 Alla pubblica udienza del 14 ottobre 2010, in prossimità della quale tutte le  parti costituite hanno depositato memorie a sostegno delle proprie difese, la  causa è stata trattenuta in decisione.
 DIRITTO
 1. La Regione e la controinteressata Società Mestrinaro Spa eccepiscono  l’inammissibilità del ricorso per difetto di legittimazione ed interesse, in  quanto i ricorrenti non potrebbero limitarsi ad invocare la mera vicinanza  all’impianto, dovendo invece dare prova del concreto e sicuro pregiudizio che  ricevono nella propria sfera giuridica o per il fatto che la localizzazione  dell’impianto riduce il valore economico del fondo situato nelle vicinanza, o  perché le prescrizioni dettate dall’autorità competente in ordine alle modalità  di gestione dell’impianto sono inidonee a salvaguardare la salute di chi vive  nelle sue vicinanze.
 
 Questo ordine di idee non è condivisibile.
 
 Non è contestata la vicinanza delle abitazioni dei ricorrenti all’impianto, e  gli stessi (cfr. pagg. 46 e 47 del ricorso) lamentano, oltre a una diminuzione  del valore economico degli immobili situati nelle vicinanze dell’impianto, il  possibile danno alla salubrità dei luoghi, alla salute, all’integrità  dell’ambiente.
 
 La circostanza che la vicinanza di tale tipo di impianti produca delle  esternalità negative rispetto al territorio circostante, costituisce un dato di  comune esperienza. Nel caso all’esame lo stesso parere della commissione  regionale VIA integrata n. 882 del 7 aprile 2009 (cfr. pag. 21) lo sottolinea,  affermando che “non è possibile negare un impatto negativo dovuto alla presenza  dell’attività soprattutto per le abitazioni più prossime e situate a ridosso  delle arterie stradali utilizzate dai mezzi”.
 
 Pertanto il Collegio, condividendo l’indirizzo secondo cui, ai fini  dell’impugnativa di un provvedimento che autorizza l’avvio di un’attività  potenzialmente inquinante, il ricorrente non è tenuto a dimostrare che si è  verificato un danno, in quanto tale questione attiene al merito, ed è invece  sufficiente la prospettazione di temute ripercussioni sul territorio collocato  nelle immediate vicinanze (cfr. Tar Toscana Sez. II, 6 ottobre 2009 , n. 1505;  Consiglio di Stato, Sez. V, 28 novembre 2008 , n. 5910; Consiglio di Stato, Sez.  VI, 5 dicembre 2002, n. 6657; Consiglio di stato, Sez. V, 12 ottobre 1999 , n.  1445), ritiene che le eccezioni di difetto di legittimazione ed interesse  debbano essere respinte.
 
 1.1 La Regione e la controinteressata Società Mestrinaro Spa eccepiscono altresì  l’inammissibilità dei motivi aggiunti con cui è stata impugnata la deliberazione  della Giunta regionale n. 100 del 26 gennaio 2010, affermando che questa  costituirebbe un mero atto d’esecuzione dell’ordinanza cautelare del Consiglio  di Stato, Sez. V, n. 4962 del 29 settembre 2009, tutt’al più censurabile  attraverso il rimedio di cui all’art. 21, comma quattordicesimo, della legge 6  dicembre 1971, n. 1034 (oggi art. 59 del cod. proc. amm.).
 
 L’eccezione non può essere condivisa.
 
 La deliberazione della Giunta regionale n. 100 del 26 gennaio 2010, consegue sì  ad un'ordinanza cautelare, ma di tipo propulsivo (infatti l’ordinanza cautelare,  ritenendo espressamente che non fossero stati sufficientemente valutati tutti  gli elementi relativi alla compatibilità del progetto alle esigenze ambientali e  territoriali, ha accolto la domanda cautelare “ai fini di un motivato riesame da  parte dell’Amministrazione procedente alla luce delle circostanze sopra  riportate”), ed ha una portata ulteriore rispetto a questa in quanto, sebbene  posta in essere su impulso giurisdizionale, costituisce il riesercizio di un  potere amministrativo connotato da discrezionalità, svoltosi nell’ambito di un  rinnovato iter istruttorio e motivazionale, ed assume pertanto caratteri di  autonomia rispetto ad una mera esecuzione della pronuncia giurisdizionale.
 
 1.3 Con un’ulteriore eccezione la controinteressata Mestrinaro Spa sostiene che  il ricorso originario sarebbe divenuto interamente improcedibile per  sopravvenuta carenza di interesse, in quanto la deliberazione n. 100 del 26  gennaio 2010, dovrebbe intendersi come interamente sostitutiva della  deliberazione n. 882 del 7 aprile 2009.
 
 L’eccezione è fondata solo in parte, in quanto, come controdedotto dai  ricorrenti nella memoria del 27 settembre 2010, depositata in prossimità della  pubblica udienza, la deliberazione n. 100 del 26 gennaio 2010, integra e  sostituisce solo in parte, richiamandosi per il resto ad essi, i precedenti atti  della procedura (a pag. 4 del parere della Commissione V.I.A. n. 276 del 20  gennaio 2010, si legge infatti che “si è provveduto al riesame del progetto già  autorizzato con DGRV. n. 882 del 7 aprile 2009, pubblicata sul BUR Veneto n. 35  del 28 aprile 2009, nei termini di quanto richiesto dal Consiglio di Stato,  riconfermando in toto quanto già per gli altri aspetti esaminato nel parere n.  215 del 10/12/2008”; allo stesso modo, come si legge a pag. 9, viene espresso un  giudizio positivo di compatibilità ambientale “così come già espresso dalla  Commissione Regionale V.I.A. nel parere n. 215 del 10 dicembre 2008, fatto  proprio dalla Giunta Regionale del Veneto con DGRV n. 882 del 7 aprile 2009, con  l’integrazione dello stesso con la raccomandazione di cui all’allegato parere,  n. 276 del 20 gennaio 2010, allegato A al presente provvedimento, fatte salve  tutte le restanti prescrizioni e raccomandazioni di cui al citato parere n. 215  del 10 dicembre 2008, già approvato con DGRV n. 882 del 7.4.2009”).
 
 Ne discende che deve essere dichiarata la sopravvenuta carenza di interesse  limitatamente alle censure di cui al secondo motivo del ricorso originario, con  il quale i ricorrenti lamentano l’insufficiente considerazione della  compatibilità del progetto rispetto alle esigenze ambientali e territoriali,  poiché le valutazioni oggetto di quelle censure sono state sostituite dalle  nuove determinazioni contenute nella deliberazione n. 100 del 26 gennaio 2010,  sulla quale deve pertanto ritenersi trasferito, in parte qua, l’interesse degli  istanti.
 
 2. Con il primo motivo del ricorso originario i ricorrenti lamentano la  violazione dei principi di pubblicità, trasparenza e partecipazione, perché la  Regione non ha disposto che la controinteressata procedesse alla ripubblicazione  dell’avviso di presentazione del progetto, ai fini del perfezionamento della  procedura di rilascio dell’autorizzazione integrata ambientale.
 
 La censura va disattesa.
 
 Come noto uno dei maggiori problemi che si è posto a seguito del recepimento  della direttiva 96/61/CE relativa alla prevenzione e riduzione integrate  dell'inquinamento, è consistito nell’assicurare in via interpretativa, in  difetto di una chiara indicazione normativa, il coordinamento tra le procedure  di rilascio dell'autorizzazione integrata ambientale e del giudizio di  compatibilità ambientale, i cui procedimenti a livello istruttorio possono  intersecarsi con duplicazioni e disfunzioni.
 
 L’art. 10 del Dlgs. 3 aprile 2006, n. 152, come modificato dal Dlgs. 16 gennaio  2008, n. 4, ha disposto che “le regioni e le province autonome assicurano che,  per i progetti per i quali la valutazione d'impatto ambientale sia di loro  attribuzione e che ricadano nel campo di applicazione dell'allegato I del  decreto legislativo n. 59 del 2005, la procedura per il rilascio di  autorizzazione integrata ambientale sia coordinata nell'ambito del procedimento  di VIA”.
 
 La Regione Veneto con deliberazione di Giunta n. 1998 del 22 luglio 2008, in via  amministrativa, in attuazione a tale previsione normativa statale, ha demandato  al Segretario regionale dell’ambiente di prevedere forme di coordinamento tra le  due procedure, e questi vi ha provveduto con circolare del 31 ottobre 2008,  nella quale si afferma che per gli impianti per i quali è già stato espresso il  parere di compatibilità ambientale favorevole, nonché la relativa approvazione e  per i quali tuttavia non si è ancora conclusa la procedura di valutazione di  impatto ambientale “non si procede alla pubblicazione di nuovi avvisi in quanto  la fase di pubblicità prevista dall’art. 5 del Dlgs. 59/05 si intende già  assolta nell’ambito delle procedure di evidenza previste dalla normativa vigente  in materia di Via”.
 
 Orbene, in tal modo, come dedotto dalla parte ricorrente, si realizza una  compressione della facoltà, per il pubblico, di esprimere il proprio apporto  procedimentale rispetto alla specifica procedura dell’autorizzazione integrata  ambientale, ma ciò risulta esente da profili di illegittimità in quanto una tale  conclusione sembra trovare adeguata giustificazione sul piano della  ragionevolezza, e, rientrando tra le possibili varianti interpretative  attribuibili alla normativa statale, non si pone in contrasto con essa.
 
 Infatti vi è da considerare che la previsione ha carattere transitorio, in  quanto riguarda i soli progetti per i quali si è sostanzialmente ormai conclusa,  con l’approvazione, la procedura di valutazione di impatto ambientale, che  l’apporto procedimentale degli interessati è già stato ottenuto in occasione  della procedura di valutazione di impatto ambientale, e che il contesto  normativo entro cui si inserisce la determinazione è quello prescritto dall’art.  10, comma 2, del Dlgs. 3 aprile 2006, n. 152, per il quale deve essere “in ogni  caso essere disposta l'unicità della consultazione del pubblico per le due  procedure” (concetto oggi ribadito dall’art. 29 quater, comma 3, ultimo periodo,  del Dlgs. 3 aprile 2006, n. 152, come introdotto dal Dlgs. 29 giugno 2010, n.  128).
 
 La censura di cui al primo motivo deve pertanto essere respinta.
 
 3. Con il terzo motivo del ricorso originario i ricorrenti lamentano che non si  è tenuto conto della classificazione del territorio comunale come non idoneo  alla localizzazione di impianti di smaltimento e recupero dei rifiuti urbani, in  ragione della presenza di produzioni agricole di qualità e tipicità, e quindi la  violazione del regolamento CE n. 510/2006 del Consiglio del 20 marzo 2006, del  regolamento CE n. 1107/96 della Commissione del 12 giugno 1996, dell’art. 21 del  Dlgs. 18 maggio 2001, n. 228, dell’elaborato E, punto 3.3.5. della deliberazione  del Consiglio regionale n. 59 del 22 novembre 2004, del piano di gestione  rifiuti urbani relativo alla Provincia di Treviso, approvato con deliberazione  del Consiglio regionale n. 62 del 22 novembre 2004.
 
 La censura è infondata.
 
 La normativa invocata dalla parte ricorrente riguarda solamente i rifiuti urbani  e non i rifiuti speciali, e quindi non è applicabile alla fattispecie in esame  che concerne un impianto di recupero di rifiuti esclusivamente speciali, né  della stessa normativa sembra potersi fare un’applicazione analogica nelle more  dell’approvazione del diverso ed autonomo piano regionale di gestione dei  rifiuti speciali previsto dall’art. 10, della legge 26 marzo 1999, n. 10.
 
 Infatti la gestione dei rifiuti urbani e di quelli speciali coinvolge  problematiche ambientali diverse, e soggiace conseguentemente a regimi e  discipline considerevolmente differenziate anche per quanto riguarda la loro  pianificazione (il principio di libera circolazione - cfr. Corte Costituzionale  n. 10 del 2009 – ad esempio, trova applicazione solo per i rifiuti speciali  pericolosi o non pericolosi e non per i rifiuti urbani, per i quali vale invece  il divieto di smaltimento in territorio extraregionale, in quanto per i rifiuti  speciali “non è possibile preventivare in modo attendibile la dimensione  quantitativa e qualitativa del materiale da smaltire, cosa che,  conseguentemente, rende impossibile «individuare un ambito territoriale ottimale  che valga a garantire l'obiettivo della autosufficienza nello smaltimento»).
 
 In difetto dei presupposti per l’applicazione analogica ad un impianto di  recupero di rifiuti speciali dei limiti e divieti di localizzazione previsti  esclusivamente per gli impianti di smaltimento e recupero dei rifiuti urbani  dalla specifica pianificazione di settore, la censura di cui al terzo motivo del  ricorso originario deve pertanto essere respinta.
 
 4. Con il quarto motivo del ricorso originario i ricorrenti introducono in  realtà diverse censure, che devono essere considerate separatamente.
 
 Con la prima lamentano che i provvedimenti impugnati sarebbero illegittimi  perché, relativamente all’autorizzazione integrata ambientale, non hanno di  volta in volta evidenziato l’utilizzo delle migliori tecniche disponibili per la  riduzione delle emissioni e dell’impatto sull’ambiente.
 
 La doglianza è infondata e formulata in modo generico, posto che dalla lettura  del parere della commissione VIA n. 882 del 7 aprile 2009 (cfr. in particolare  il quadro di riferimento progettuale da pag. 24 a pag. 37) emerge che le scelte  progettuali sono motivate con la finalità di ridurre l’impatto sull’ambiente, e  i ricorrenti non assolvono all’onere, sugli stessi spettante, di fornire anche  una semplice allegazione circa il mancato utilizzo delle migliori tecniche  disponibili.
 
 La doglianza va pertanto respinta.
 
 4.1 Con una seconda censura, nell’ambito del medesimo motivo, i ricorrenti  lamentano che non risulta recepito l’obbligo del progettista di allegare il  piano di sicurezza e di controllo, previsto dagli artt. 22, comma 2, lett. d), e  26, comma 7, della legge regionale 21 gennaio 2000, n. 3, e a sostegno  dell’affermazione invocano la circostanza che le prescrizioni n. 11 e n. 12  impartite dal parere n. 199 del 16 luglio 2008, circa la necessità di integrare  il piano di sicurezza e il programma di controllo da predisporsi ai sensi della  deliberazione di Giunta regionale n. 1579 del 22 giugno 2001, sono state  eliminate dal parere n. 215 del 10 dicembre 2010, reso in sede di rilascio  dell’autorizzazione integrata ambientale, con la motivazione che il piano di  sicurezza e controllo doveva intendersi già esaminato contestualmente  all’approvazione del progetto. Ciò dimostrerebbe che di fatto un piano conforme  alle norme di legge non sarebbe mai stato esaminato.
 
 La censura deve essere respinta.
 
 In primo luogo deve osservarsi che il programma di controllo, ai sensi dell’art.  26 della legge regionale 21 gennaio 2000, n. 3, deve essere approvato solo nella  fase di autorizzazione all’esercizio dell’impianto (cui si riferisce l’art. 26),  e non per la fase - oggetto delle deliberazioni impugnate - di approvazione del  progetto.
 
 In secondo luogo, va considerato che la controinteressata risulta aver allegato  al progetto un apposito elaborato denominato “piano di sorveglianza e controllo”  (cfr. doc. 21 allegato al ricorso) che in sostanza (cfr. in particolare pagg. 58  e seguenti) indica le procedure da adottarsi in caso di incidente come  specificate dalla deliberazione di Giunta 22 giugno 2001, n. 1579, recante  “nuovi indirizzi in merito al Piano di sicurezza ed ai Programmi di Controlli  previsti dalla L.R. 21 gennaio 2000, n. 3”.
 
 Peraltro, come risulta dalla lettura della citata deliberazione di Giunta 22  giugno 2001, n. 1579, il piano da allegare al progetto non ha una valenza  definitiva ed immutabile, in quanto è successivamente integrabile (nella  deliberazione si sottolinea che la norma di legge “non estende, in linea  generale, agli impianti regolati dalla legge regionale l'applicazione della  normativa prevista dal D.Lgs. 17 agosto 1999, n. 334 in materia di pericoli di  incidenti rilevanti” e si afferma che “il Piano fa parte integrante del progetto  dell'impianto e deve essere presentato all'Autorità competente per  l'approvazione, fermo restando che lo stesso potrà subire opportune integrazioni  in sede di rilascio del certificato di prevenzione incendi”).
 
 Pertanto, indipendentemente dalla questione, di per sé priva di ripercussioni di  carattere sostanziale, relativa all’espunzione, operata dal parere n. 215 del 10  dicembre 2008 con cui è stata rilasciata l’autorizzazione integrata ambientale,  delle prescrizioni n. 11 e n. 12 del parere n. 199 del 16 luglio 2008, reso  nell’ambito della procedura di valutazione di impatto ambientale, non risultano  violati gli artt. 22, comma 2, lett. d), e 26, comma 7, della legge regionale 21  gennaio 2000, n. 3, né risulta comprovata la sussistenza del dedotto difetto di  istruttoria.
 
 4.2 Con un’ulteriore censura i ricorrenti lamentano che sarebbe stata  volutamente esclusa dall’indicazione dei perimetri dell’impianto la parte  dell’area adibita a edificio direzionale ad uso uffici amministrativi, al fine  di consentire il rispetto della distanza di 150 metri dell’impianto dalle  abitazioni più vicine.
 
 La doglianza, di non chiara formulazione, muove da un’erronea premessa.
 
 Infatti l’art. 32, comma 2, della legge regionale 21 gennaio 2000, n. 3, dispone  che “le distanze di cui al comma 1 vanno misurate rispetto al perimetro  dell'area destinata ad essere occupata dai rifiuti”, ed è pertanto irrilevante  la distanza dell’edificio direzionale dalle abitazioni.
 
 4.3 I ricorrenti lamentano inoltre che non si è tenuto conto che con la  deliberazione n. 1389 del 14 giugno 2005, la Giunta regionale aveva autorizzato  la controinteressata all’utilizzo di un impianto di frantumazione, specificando  che avrebbe dovuto essere utilizzato in aree definite dal piano regolatore come  produttive, mentre gli atti impugnati ammettono l’utilizzo dell’impianto in area  agricola, e in ciò si rivelerebbe un’ingiustificata contraddittorietà tra atti  della Regione.
 
 La censura va respinta, perché il progetto è approvato in variante agli  strumenti urbanistici, ai sensi dell’art. 208, comma 6, del Dlgs. 3 aprile 2006,  n. 152, mediante l’attribuzione della destinazione produttiva a tutte le aree  interessate, cosicché non sussiste la contraddittorietà denunciata.
 
 4.4 Con la quinta della censure contenute nel quarto motivo del ricorso  originario, i ricorrenti si limitano in realtà a porre “una serie di  interrogativi”, assai stringati, relativi alla raccolta delle acque, alla  valutazione acustica, al trattamento delle acque, alla esistenza di eventuali  pronunciamenti dei vigili del fuoco circa il rischio incendi, e alle  controdeduzioni rispetto alle osservazioni presentate sul traffico.
 
 Così formulata la doglianza è inammissibile per genericità, in quanto non  consente di ricavare gli specifici elementi in base ai quali sarebbero  sussistenti i vizi dedotti (ex pluribus cfr. T.A.R. Marche, Sez. I, 10 novembre  2006, n. 1142).
 
 In ogni caso vi è da rilevare che si tratta di aspetti specificamente  considerati nel parere della commissione VIA n. 882 del 7 aprile 2009 (cfr. il  quadro di riferimento progettuale da pag. 24 a pag. 37) cui il Collegio non può  che rinviare.
 
 4.5 Con l’ultima delle censure i ricorrenti lamentano che non sarebbe stata  motivata la determinazione di non procedere alla bonifica delle aree.
 
 La circostanza esula dalla presente controversia.
 
 Infatti la deliberazione della Giunta regionale n. 882 del 7 aprile 2009 (cfr.  pag. 26 del parere allegato), si è limitata a prendere atto che il Comune di  Zero Branco con deliberazione di Giunta n. 39 del 29 febbraio 2008, che non è  oggetto di impugnazione, ha ritenuto di non procedere alla bonifica del sito, e  la relativa determinazione, contrariamente a quanto dedotto, non risulta  immotivata, in quanto giustificata con riferimento agli esiti del piano di  caratterizzazione, in base ai quali è risultata non necessaria,
 
 5. Con il primo dei motivi aggiunti i ricorrenti affermano che illegittimamente  la Regione, a seguito dell’ordinanza cautelare del Consiglio di Stato n. 4962  del 29 settembre 2009, si sarebbe limitata a rinnovare l’istruttoria senza  procedere ad una nuova pubblicazione dell’avviso di deposito del progetto,  finalizzato ad acquisire nuove osservazioni da parte del pubblico.
 
 La doglianza va respinta, perché l’ordinanza cautelare, di tipo propulsivo, ha  ritenuto che non fossero stati sufficientemente valutati gli elementi relativi  alla compatibilità del progetto alle esigenze ambientali e territoriali, ed ha  quindi disposto un riesame, nell’ambito del medesimo procedimento, senza  disporre che ne venisse avviato uno nuovo, e nel corso del procedimento già  svolto erano già stati assolti i necessari oneri di pubblicità.
 
 6. Con il secondo dei motivi aggiunti i ricorrenti, ripropongono sotto diversi  aspetti, l’illegittimità dei provvedimenti impugnati per questioni attinenti  l’assetto urbanistico delle aree, l’incompatibilità del progetto rispetto alle  destinazioni urbanistiche vigenti, e la sostanziale elusione del contenuto  dell’ordinanza cautelare n. 4962 del 29 settembre 2009, del Consiglio di Stato.
 
 In sostanza lamentano che non sarebbero stati valutati dalla Regione con  sufficiente completezza tutti gli elementi relativi alla compatibilità  urbanistica del progetto.
 
 Sul punto il Collegio osserva quanto segue.
 
 6.1 In fatto è necessario premettere che il progetto oggetto dei provvedimenti  consiste nell’integrazione, nell’ambito del medesimo sito, dell’impianto già  esistente di lavorazione di inerti mediante frantumazione, con processi di  trattamento, recupero e inertizzazione di altri rifiuti speciali, e prevede la  costruzione di tre nuovi edifici per 8.320 mq e di un’area pavimentata coperta  da tettoia di 1476 mq.
 
 L’impianto già esistente ricade in una zona impropria, difforme dalla  destinazione produttiva industriale di tipo D, e il progetto riguarda anche  delle porzioni ricadenti in zona agricola E2 ed E3, oltre che, per una ridotta  superficie, in area classificata come verde privato.
 
 Relativamente agli interventi edilizi sugli insediamenti produttivi in zona  impropria l’art. 30, terzo comma, della legge regionale 27 giugno 1985, n. 61 ha  demandato ai Comuni di individuare quegli insediamenti per i quali si renda  opportuno il trasferimento delle attività in aree idonee a destinazione  industriale e artigianale e quelli da confermare, e l’art. 126 (aggiunto dalla  legge regionale 5 marzo 1987, n. 11), ha demandato ai Comuni di adottare  un’apposita disciplina per disciplinare gli interventi edilizi ammissibili sugli  insediamenti localizzati in difformità delle destinazioni di piano.
 
 In attuazione di tale normativa il Comune di Zero Branco con l’art. 10 delle  norme tecniche di attuazione allegate al piano regolatore ha individuato le  attività produttive da confermare, da trasferire e da bloccare.
 
 Alcune attività, tra le quali quella svolta dalla ditta controinteressata, sono  state classificate come “da confermare” con previsioni puntuali.
 
 Le previsioni puntuali (cfr. art. 10, n. 1 cit.) hanno consentito la  realizzazione di un nuovo edificio per una superficie coperta pari al 100% di  quella esistente, e di questa facoltà si è avvalsa l’azienda nel 2002,  sottoscrivendo un atto unilaterale d’obbligo con il quale si è impegnata a non  variare la destinazione d’uso degli immobili per un periodo di dieci anni (cfr.  doc. 15 allegato al ricorso).
 
 6.2 I ricorrenti, con le censure proposte, lamentano che il progetto è in  contrasto con il piano regolatore e che la Regione non avrebbe tenuto  sufficientemente conto degli elementi relativi alla compatibilità urbanistica  del progetto.
 
 Tali doglianze non sono condivisibili.
 
 La circostanza che il progetto non sia compatibile con lo strumento urbanistico  vigente (oltre che non pienamente coerente con le previsioni del P.A.T. – piano  di assetto del territorio – in fase di adozione, il quale ricomprende il sito  entro un’ampia area qualificata come idonea ad interventi diretti alla  riqualificazione e riconversione, nel cui ambito vi sono individuate un’estesa  area di urbanizzazione consolidata con presenza di “attività economiche non  integrabili con la residenza”, ed un elemento di degrado: cfr. doc. 19 allegato  al ricorso), non può essere invocata al fine di sostenere l’illegittimità dei  provvedimenti impugnati, in quanto il legislatore statale con l’art. 208, comma  6, del Dlgs. 3 aprile 2006, n. 152 (che sul punto ripete quanto già previsto  dall’art. 27, comma 5, del Dlgs. 5 febbraio 1997, n. 22) e il legislatore  regionale (cfr. art. 23, comma 2, della legge regionale 26 marzo 1999, n. 10)  hanno previsto che l’approvazione dei progetti di impianti per il recupero dei  rifiuti “costituisce, ove occorra, variante allo strumento urbanistico e  comporta la dichiarazione di pubblica utilità, urgenza ed indifferibilità dei  lavori”, e quindi il possibile contrasto è già risolto in via preventiva dal  legislatore.
 
 6.3 Neppure è condivisibile la doglianza che non sarebbero stati valutati dalla  Regione con sufficiente completezza tutti gli elementi relativi alla  compatibilità urbanistica del progetto.
 
 L’assunto, ad un accurato esame della documentazione versata in atti, appare  privo di riscontri, in quanto già la deliberazione n. 882 del 7 aprile 2009,  alle pagine da 7 a 22, 41 e 42 dell’allegato parere della commissione di  valutazione di impatto ambientale, risulta aver esaminato gli strumenti di  programmazione urbanistica, paesaggistico – territoriale e ambientale vigenti  sul sito, e ha espressamente riconosciuto la necessità di estendere sull’intera  area di intervento la destinazione urbanistica di tipo produttivo applicando  proprio l’art. 208, comma 6, del Dlgs. 3 aprile 2006, n. 152; la deliberazione  n. 100 del 26 gennaio 2010 (cfr. pag. 4), adottata a seguito di un riesame  sollecitato in sede cautelare e formulata previa acquisizione di un parere della  Direzione regionale urbanistica, ha confermato la mancanza di elementi di  incertezza o fraintendimenti sulla destinazione delle aree, sottolineando che lo  stesso strumento urbanistico vigente ha classificato l’impianto come “da  confermare” con le previsioni puntuali di cui all’art. 10 delle norme tecniche  di attuazione, in base alle quali è stato consentito il raddoppio della  superficie coperta preesistente.
 
 In tale contesto, contrariamente a quanto affermano i ricorrenti nelle proprie  difese, la circostanza che, in base all’art. 10 delle norme tecniche di  attuazione, una volta realizzata la nuova superficie coperta ammessa, non sono  consentite ulteriori nuove edificazioni, non ha carattere ostativo, in quanto  anche tale previsione, facendo parte integrante del piano regolatore, può ben  essere oggetto di variazione per effetto dell’approvazione del progetto.
 
 Peraltro emerge anche che vi è stata consapevolezza da parte della Regione della  necessità di una capacità edificatoria superiore a quella ammessa dal piano  regolatore, attestata dalla prescrizione n. 19 del parere n. 215 del 10 dicembre  2008, approvato con deliberazione n. 882 del 7 aprile 2009, con cui è stata  imposta una specifica compensazione economica per la possibilità edificatoria  aggiuntiva, e dalla documentazione versata in atti non risulta che il giudizio  di compatibilità del progetto con l’assetto del territorio, nel caso di specie  possa dirsi inficiato da elementi di irragionevolezza, illogicità o errori di  fatto (si tratta di un impianto già esistente, giudicato urbanisticamente  compatibile in passato dal Comune, servito da infrastrutture viarie, confinante  con una zona agricola e per il quale risultano rispettate le distanze dalle  abitazioni legislativamente prefissate).
 
 In tale contesto il giudizio di compatibilità urbanistica costituisce una  questione che attiene al merito delle valutazioni discrezionali proprie  dell’Amministrazione, ed il legislatore statale con l’art. 208, comma 6, del  Dlgs. 3 aprile 2006, n. 152, ha preventivamente dettato la regola di  composizione del possibile dissenso tra la Regione e il Comune, facendo  prevalere la volontà dell’ente di maggiori dimensioni, secondo un paradigma  utilizzato dal legislatore ogniqualvolta vengono in gioco interessi di carattere  sovracomunale (si pensi, ad esempio, alla procedura prevista dall’art. 81 del  Dlgs. 24 luglio 1977, n. 616; alla realizzazione delle infrastrutture e degli  insediamenti produttivi strategici di cui al Dlgs. 20 agosto 2002, n. 190;  all’attuale disciplina di soluzione dei dissensi espressi nell’ambito della  conferenza di servizi di cui agli artt. 14 e ss. della legge 7 agosto 1990, n.  241, ecc.).
 
 Pertanto le censure incentrate sui profili di carattere urbanistico devono  essere respinte.
 
 7. Con il terzo dei motivi aggiunti i ricorrenti contestano, perché a proprio  giudizio immotivato, il contenuto della prescrizione n. 19, con la quale è stato  imposto il versamento della somma di € 20 per ogni mq di nuova superficie  edificata, affermando che tale previsione sarebbe inidonea a compensare lo  squilibrio urbanistico provocato dall’ampliamento.
 
 La doglianza, in mancanza di contestazioni puntuali, si rivela priva di  fondamento, perché detta somma non è imposta per compensare un generico  squilibrio urbanistico, ma costituisce la quota di oneri di concessione  spettanti al Comune ai sensi dell’art. 24, comma 3, della legge regionale 21  gennaio 2000, n. 3, in base al quale “per la realizzazione degli impianti di  gestione dei rifiuti gli oneri di concessione sono dovuti nella misura prevista  per gli impianti industriali in relazione alla zona di ubicazione. Ai fini del  computo degli oneri di urbanizzazione le zone F sono assimilate alle zone D”.
 
 Con un’ulteriore censura, nell’ambito del medesimo motivo, i ricorrenti  lamentano il difetto di presupposti, la contraddittorietà, e la mancanza di  istruttoria, perché la commissione VIA non avrebbe risposto alle osservazioni  del Comune relative alle problematiche dell’aumento del traffico veicolare,  dell’inquinamento acustico, e dello svolgimento di lavori notturni.
 
 Le doglianze devono essere respinte.
 
 Infatti come emerge dalla lettura del parere della Commissione VIA n. 276 del 20  gennaio 2010, allegato alla deliberazione n. 100 del 26 gennaio 2010, e in  particolare dalle pagine da 5 a 7, gli elementi di criticità oggetto delle  osservazioni del Comune sono stati considerati, osservando:
 
 - quanto al traffico veicolare, che la gran parte del tragitto si svolge su  strade ad intensa circolazione (strade regionali e provinciali), per la quale  l’aggravio di traffico, rispetto ai volumi ordinari, non è apprezzabile, mentre  per il tratto più prossimo è stata formulata la prescrizione n. 20 , in base  alla quale è stato disposto che “in considerazione dell’aumento del traffico di  mezzi pesanti da e verso l’impianto, venga adeguata la viabilità di  avvicinamento. Tali fasi di cantiere e le connotazioni di dettaglio della  medesima dovranno essere concordate con l’amministrazione comunale”, “sulla base  della convenzione sottoscritta tra il Comune di Zero Branco e la Ditta  Mestrinaro Spa in data 29.12.2008”;
 
 - quanto alle emissioni di rumori, previa un’analisi della classificazione  acustica del territorio, che sono “rispettati tutti i limiti di zonizzazione: le  attività avverranno di norma al coperto. Il frantoio ha una posizione studiata  con la previsione di impatto acustico”, e “i macchinari per la movimentazione  dei rifiuti (ruspa, muletto) saranno dotati di silenziatori ad elevata  efficienza”;
 
 - quanto alle lavorazioni notturne effettuate in passato, che le stesse non sono  in alcun modo riconducibili né correlabili al progetto sottoposto al progetto  assoggettato a valutazione di impatto ambientale dell’impianto di trattamento e  recupero rifiuti, ma ai lavori di sistemazione delle piste dell’aeroporto di  Treviso.
 
 In definitiva pertanto, il ricorso originario ed i motivi aggiunti, unitamente  alla domanda di risarcimento danni di cui non ricorrono i presupposti, devono  essere respinti.
 
 Le peculiarità della controversia e la complessità e relativa novità di alcune  delle questioni trattate giustificano l’integrale compensazione delle spese di  giudizio tra le parti.
 P.Q.M.
 definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, sulla  domanda di risarcimento danni e relativi motivi aggiunti, li respinge.
 
 Spese compensate.
 
 Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
 
 Così deciso in Venezia nella camera di consiglio del giorno 14 ottobre 2010 con  l'intervento dei magistrati:
 
 Giuseppe Di Nunzio, Presidente
 Marco Buricelli, Consigliere
 Stefano Mielli, Primo Referendario, Estensore
 
 L'ESTENSORE
IL PRESIDENTE
 
 
 DEPOSITATA IN SEGRETERIA
 Il 05/11/2010
 
                    




