 Cass. Sez. III n. 16393 del 27 aprile 2010 (Cc 17 feb. 2010)
Cass. Sez. III n. 16393 del 27 aprile 2010 (Cc 17 feb. 2010)
Pres. Grassi Est. Fiale Ric. Cavallo
Urbanistica. Denuncia inizio attività (d.i.a.) e varianti
Non può ritenersi che una DIA successiva integri mera variante del progetto già approvato con il precedente permesso di costruire. Si configura “variante”, infatti, solo allorquando il progetto già approvato non risulti sostanzialmente e radicalmente mutato dal nuovo elaborato. Le varianti, inoltre, normalmente devono essere autorizzate con il medesimo procedimento prescritto per il rilascio del permesso di costruire e possono essere sottoposte a DIA soltanto qualora: a) non incidano sui parametri urbanistici e sulla volumetrie; b) non modifichino la destinazione d’uso e la categoria edilizia; c) non alterino la sagoma dell’edificio; d) non violino le eventuali prescrizioni contenute nel permesso di costruire (art. 22, 2° comma, del TU. n. 380/2001). Perfino la realizzazione di varianti siffatte (che possono definirsi “lievi”), comunque, in presenza di un vincolo paesaggistico-ambientale, è subordinata al preventivo rilascio dell’autorizzazione richiesta dal D.Lgs. n. 42/2004 come previsto dall'art. 22, 6° comma, del TU. n. 380/2001 (vicenda relativa a demolizione e ricostruzione denunziata come DIA ma con risultato finale dell'attività demolitorio-ricostruttiva non coincidente nella volumetria e nella sagoma con il manufatto precedente, sicché l’intervento eseguito è stato esattamente qualificato come “nuova costruzione”, assoggettata esclusivamente al permesso di costruire).
UDIENZA del 17.02.2010
SENTENZA N. 289
REG. GENERALE N. 30270/2009
 REPUBBLICA ITALIANA
 IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
 LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
 Sez. III Penale
Composta dagli  Ill.mi  Sigg.ri Magistrati:
Dott. ALDO  GRASSI                       - Presidente -
 Dott. CIRO PETTI                            - Consigliere -
 Dott. ALDO FIALE                           - Rel. Consigliere -
 Dott. SILVIO AMORESANO             - Consigliere -
 Dott. GIULIO SARNO                       - Consigliere -
 ha pronunciato la seguente
 SENTENZA
 sul ricorso proposto da:
 1) CAVALLO GERARDO N. IL xx/00/xxxx
 - avverso l'ordinanza n. 216/2009 TRIB. LIBERTA' di SALERNO, del  22/06/2009
 - sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ALDO FIALE;
- sentite le conclusioni del PG Dott. Giocchino Izzo il quale ha richiesto il rigetto del ricorso.
 FATTO E DIRITTO
 Il G.I.P. del Tribunale di Vallo della Lucania - con provvedimento del  24.7.2008  - disponeva il sequestro preventivo (tra l'altro) di un fabbricato in  corso di  realizzazione nel territorio del Comune di Pisciotta.
 Detto sequestro era stato disposto in relazione ai reati di cui agli  arti: 44,  lett. e), T.U. n. 380/2001; 181 D. Lgs. n. 42/2004; 734 cod. pen..; 64,  65, 71,  72, 93 e 95 T.U. n. 380/2001; 13 e 30 legge n. 394/1991, ipotizzati nei  confronti di Cavallo Gerardo, per avere eseguito, in zona assoggettata a  vincolo  paesaggistico - in totale difformità del permesso di costruire - opere  edili  consistite nella demolizione di un piccolo fabbricato rurale già  esistente e  ricostruzione di un nuovo fabbricato in cemento armato a due piani.
 Il Cavallo presentava istanza di dissequestro, rigettata dal G.I.P. con  provvedimento del 17.4.2009, e, sull'appello proposto avverso tale  diniego, il  Tribunale di Salerno - con ordinanza del 22.6.2009 - respingeva il  gravame,  limitatamente all'immobile in oggetto, argomentando che:
 - I'intervento di demolizione del preesistente fabbricato rurale e di  contestuale ricostruzione era stato autorizzato a condizione che non  venissero  modificati la sagoma ed il volume; tali prescrizioni, però, non erano  state  rispettate ed erano state realizzate modifiche per le quali non  risultava  rilasciata, inoltre, la necessaria autorizzazione paesaggistica;
 - sussisteva il periculum in mora, trattandosi di opere in corso  di  esecuzione.
 Avverso l'anzidetta ordinanza del Tribunale ha proposto ricorso per  cassazione  il difensore dell'appellante, il quale - sotto i profili della  violazione di  legge e del vizio totale di motivazione - ha eccepito che:
 - le difformità esecutive dei lavori di ricostruzione sarebbero state  ritenute  effettivamente esistenti senza attuare il necessario raffronto tra le  conclusioni rispettivamente raggiunte dal consulente tecnico di ufficio e  dal  consulente di parte, apparendo del tutto ignorate le prospettazioni di  quest'ultimo;
 - l'art. 10, 1° comma, lett. c), del T.U. n. 380/2001 consentirebbe "la  realizzazione di quegli interventi che portino ad un organismo edilizio  in tutto  o in parte diverso dal precedente, previa demolizione dello stesso, e  che  comportino aumento di unità immobiliari, nonché modifiche del volume,  della  sagoma, dei prospetti e delle superfici", sicché, nella specie,  l'amministrazione comunale non avrebbe potuto, nel rilascio del permesso  di  costruire, imporre prescrizioni derogatorie a siffatto disposto  legislativo.  Nella sostanza, comunque, le riscontrate difformità dal progetto  consistono  nell'aggiunta, al piano seminterrato, di un locale tecnologico e di un  porticato, nonché nella ricostruzione del tetto con forma diversa da  quella  preesistente: interventi tutti che non integrano aumento di volumetria;
 - le anzidette opere difformi non altererebbero lo stato dei luoghi e  l'aspetto  esteriore dell'edificio rispetto alla progettazione originaria già  assentita  dalla Soprintendenza, per cui non sarebbe stato necessario un nuovo ed  ulteriore  intervento autorizzatorio di tale ufficio;
 - non sussisterebbe il periculum in mora, perché i lavori  dovrebbero  considerarsi "ultimati", con riferimento al rustico ed al completamento  della  copertura, e le difformità riscontrate non sarebbero suscettibili di  incidere  sul carico urbanistico.
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 Il ricorso deve essere rigettato, perché infondato.
 Va rilevato, in punto di fatto, secondo la ricostruzione operata dal  ricorrente,  che, in relazione al manufatto in oggetto, era stata dapprima rilasciato  un  permesso di costruire (n. 10/2007) per "ristrutturazione edilizia senza  modifiche di sagoma e di volume", a fronte di una istanza che aveva  invece  qualificato l'intervento come "risanamento e adeguamento  igienico-sanitario".
 Successivamente é stata presentata una DIA, che prevedeva la demolizione  del  manufatto preesistente e la sua integrale ricostruzione.
 E' stata riscontrata la esecuzione di lavori di ristrutturazione  edilizia in  seguito a demolizione integrale del fabbricato preesistente, nonché la  non-coincidenza nella volumetria e nella sagoma del manufatto di nuova  costruzione rispetto a quello demolito.
 2. In tale situazione di fatto deve ricordarsi che l'art. 10, 1° comma -  lett.  c), del T.U. n. 380/2001, come modificato dal D.Lgs. n. 301/2002,  assoggetta a  permesso di costruire quegli interventi di ristrutturazione edilizia  "che  portino ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal  precedente, che  comportino aumento di unità immobiliari, modifiche del volume, della  sagoma, dei  prospetti o delle superfici", ovvero si connettano a mutamenti di  destinazione  d'uso, limitatamente agli immobili compresi nelle zone omogenee A).
L'art. 22, 30 comma - lett.  a),  dello stesso T.U., come modificato dal D.Lgs. n. 301/2002, prevede,  però, che -  a scelta dell'interessato - tali interventi possono essere realizzati  anche in  base a semplice denunzia di inizio attività.
 Sono realizzabili, pertanto, in seguito a permesso di costruire ovvero  (a scelta  dell'interessato) previa denunzia di inizio attività interventi di  ristrutturazione edilizia che comportino integrazioni funzionali e  strutturali  dell'edificio esistente, pure con incrementi limitati di superficie e di  volume.
 Le "modifiche del volume" previste dall'art. 10 possono consistere,  però, in  diminuzioni o trasformazioni dei volumi preesistenti ed in incrementi  volumetrici modesti (tali da non configurare apprezzabili aumenti di  volumetria)  poiché, qualora si ammettesse la possibilità di un sostanziale  ampliamento  dell'edificio, verrebbe meno la linea di distinzione tra  "ristrutturazione  edilizia" e "nuova costruzione".
 L'art. 3, 1° comma, lett. d), del T.U. n. 380/2001, come modificato dal  D.Lgs.  n. 301/2002, ha esteso, inoltre, la nozione di "ristrutturazione  edilizia"  ricomprendendovi pure gli interventi ricostruttivi "consistenti nella  demolizione e ricostruzione con la stessa volumetria e sagoma di quello  preesistente, fatte salve le sole innovazioni necessarie per  l'adeguamento alla  normativa antisismica".
 Volumetria e sagoma, dunque, debbono rimanere identiche nei casi di  ristrutturazione attuata attraverso demolizione e ricostruzione, mentre  non si  pongono come limiti per gli interventi di ristrutturazione che non  comportino la  previa demolizione [vedi Cass., Sez. III: 26 ottobre 2007, Soldano; 18  marzo  2004, Calzoni. Vedi pure, in tal senso, C. Stato: Sez. IV, 18 marzo  2008, n.  1177; Sez. IV, 8 ottobre 2007, n. 5214; Sez. IV, 16 marzo 2007, n. 1276;  Sez. IV,  22 maggio 2006, n. 3006].
 Nella vicenda in esame, al contrario, la demolizione e ricostruzione é  stata  denunziata con DIA ma il risultato finale dell'attività  demolitorio-ricostruttiva non coincide, nella volumetria e nella sagoma  con il  manufatto prevedente, sicché l'intervento eseguito è stato esattamente  qualificato come "nuova costruzione", assoggettata esclusivamente al  permesso di  costruire.
 Né può ritenersi che la DIA successiva integri mera variante del  progetto già  approvato con il precedente permesso di costruire.
 Si configura "variante", infatti, solo allorquando il progetto già  approvato non  risulti sostanzialmente e radicalmente mutato dal nuovo elaborato.
 Le varianti, inoltre, normalmente devono essere autorizzate con il  medesimo  procedimento prescritto per il rilascio del permesso di costruire e  possono  essere sottoposte a DIA soltanto qualora: a) non incidano sui parametri  urbanistici e sulla volumetrie; b) non modifichino la destinazione d'uso  e la  categoria edilizia; c) non alterino la sagoma dell'edificio; d) non  violino le  eventuali prescrizioni contenute nel permesso di costruire (art. 22, 2°  comma,  del T.U. n. 380/2001).
 Nella specie, invece, viene introdotto quale elemento nuovo la  demolizione e,  nella riedificazione, sagoma e volumi risultano modificati.
 3. Perfino la realizzazione di varianti siffatte (che possono definirsi  "lievi"), comunque, in presenza di un vincolo paesaggistico-ambientale, è   subordinata al preventivo rilascio dell'autorizzazione richiesta dal  D.Lgs. n.  42/2004 (art. 22, 6° comma, del T.U. n. 380/2001).
 Va ribadito, in proposito, l'orientamento costante di questa Corte  Suprema  [vedi, tra le pronunzie più recenti, Cass., Sez. III: 9.4.2009, n.  15227;  11.1.2006, n. 564; 21.12.2005, n. 467671 secondo il quale il reato di  cui  all'art. 181, comma 1, del D.Lgs. 22.1.2004, n. 42 (già art. 1 sexies  della  legge n. 431/1985 ed art. 163 del D.Lgs. n. 490/1999) è reato di  pericolo e,  pertanto, per la configurabilità dell'illecito, non è necessario un  effettivo  pregiudizio per l'ambiente, potendo escludersi dal novero delle condotte   penalmente rilevanti soltanto quelle che si prospettano inidonee, pure  in  astratto, a compromettere i valori del paesaggio e l'aspetto esteriore  degli  edifici.
 Il principio di offensività deve essere inteso, al riguardo, in termini  non di  concreto apprezzamento di un danno ambientale, bensì dell'attitudine  della  condotta a porre in pericolo il bene protetto.
 Nella fattispecie in esame le opere denunziate con la DIA appaiono ad  evidenza  oggettivamente non irrilevanti ed astrattamente idonee a compromettere  l'ambiente: sussiste, pertanto, un'effettiva messa in pericolo del  paesaggio,  oggettivamente insita nella minaccia ad esso portata e valutabile come  tale  ex ante, nonché una violazione dell'interesse dalla P.A. ad una  corretta  informazione preventiva ed all'esercizio di un efficace e sollecito  controllo.
 4. Le contrarie argomentazioni del consulente di parte, secondo i  contenuti ai  quali viene fatto riferimento in ricorso, non smentiscono con evidenza  immediata  l'impianto accusatorio e, nei procedimenti incidentali aventi ad oggetto   provvedimenti di sequestro, non é ipotizzabile una "plena cognitio"  del  Tribunale, al quale è conferita esclusivamente la competenza a conoscere  della  legittimità dell'esercizio della funzione processuale attribuita alla  misura ed  a verificare, quindi, la correttezza del perseguimento degli obiettivi  endoprocessuali che sono propri della stessa, con l'assenza di ogni  potere  conoscitivo circa il fondamento dell'accusa, potere questo riservato al  giudice  del procedimento principale.
 L'accertamento della sussistenza del fumus commissi delitti va  compiuto  sotto il profilo della congruità degli elementi rappresentati, che non  possono  essere censurati sul piano fattuale, ma che vanno valutati così come  esposti, al  fine di verificare se essi consentono - in una prospettiva di  ragionevole  probabilità - di sussumere l'ipotesi formulata in quella tipica.
 5. Quanto al periculum in mora, nella specie - risultando che i  lavori  non sono ultimati - razionalmente è stata ritenuta prevedibile la  prosecuzione  delle opere abusive, sicché la misura di cautela reale appare  legittimamente  adottata, ai sensi dell'art. 321, 1° comma, c.p.p., al fine di impedire  ed  evitare l'aggravamento o la protrazione di un reato tuttora in itinere.
 Va ricordato, in proposito, che, secondo la giurisprudenza costante di  questa  Corte, la permanenza del reato edilizio cessa soltanto con la  ultimazione  effettiva dei lavori, che deve farsi coincidere con I'ultimazione di  tutte te  opere del fabbricato, rifiniture, infissi ed impianti compresi (vedi,  tra le  pronunzie più recenti, Cass., Sez. III, 3.11.2009, n. 42179).
 Anche il reato attualmente previsto dall'art. 181, comma 1, del D.Lgs.  n.  42/2004, allorquando sia realizzato mediante una condotta che si protrae  nel  tempo (come si verifica per una costruzione edilizia), é permanente e si  consuma  con l'esaurimento totale dell'attività o con la cessazione della  condotta per  altro motivo (vedi Cass., Sez. III: 20.9.1994, n. 9983, Sale e 1.6.1994,  n.  6371, P.M. in proc. Bedogn).
 6. Al rigetto del ricorso segue, a norma dell'art. 616 c.p.p., l'onere  delle  spese del procedimento.
 P.Q.M.
 La Corte Suprema di Cassazione,
 visti gli artt. 127, 325, 607 e 616 c.p.p.,
 rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese  processuali.
 Così deciso in ROMA, nella camera di consiglio dei 17.2.2010
 
 DEPOSITATA IN CANCELLERIA il  27 APR. 2010
 
                    




