 Cass. Sez. III n. 33162 del 31 luglio 2013 (Cc 26 feb. 2013)
Cass. Sez. III n. 33162 del 31 luglio 2013 (Cc 26 feb. 2013)
Pres. Mannino Est. Franco Ric. D'Alessandri ed altri
Urbanistica. Attività estrattiva e violazione della disciplina urbanistica
La mancanza o il venire meno della autorizzazione per l'autorità estrattiva non può configurare il reato di cui all’art. 44, lett. b), d.P.R.  6 giugno 2001, n. 380, che non non è astrattamente configurabile nemmeno sotto il profilo della difformità della attività rispetto alla autorizzazione estrattiva.
  Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:        Camera di consiglio SENTENZA P.Q.M.REPUBBLICA ITALIANA
 IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
 LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE    
 SEZIONE TERZA 
 Dott. MANNINO  Saverio F.        - Presidente  - del 26/02/2013
 Dott. FIALE    Aldo              - Consigliere - SENTENZA
 Dott. FRANCO   Amedeo       - est. Consigliere - N. 483
 Dott. MARINI   Luigi             - Consigliere - REGISTRO GENERALE
 Dott. ANDRONIO Alessandro        - Consigliere - N. 39991/2012
 ha pronunciato la seguente: 
 sul ricorso proposto da:
 D'Alessandri Luigi, nato a Montopoli di Sabina il 2.4.1931;
 D'Alessandri Angelo Amedeo, nato a Montopoli di Sabina il  2.8.1961;
 D'Alessandri Stefano, nato a San Giovanni Valdarno il 2.10.1965;
 avverso l'ordinanza emessa il 29 maggio 2012 dal tribunale del  riesame di Rieti;
 udita nella udienza in camera di consiglio del 26 febbraio 2013 la  relazione fatta dal Consigliere Dr. Amedeo Franco;
 udito il Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore  Generale Dott. Mazzotta Gabriele, che ha concluso per il rigetto del  ricorso;
 uditi i difensori avv. Giammarioli Paolo e Bonamici Marco.  SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
 Con l'ordinanza in epigrafe il tribunale del riesame di Rieti  confermò il decreto emesso il 3.5.2012 dal Gip del tribunale di  Rieti di sequestro preventivo di una cava e relative attrezzature  sita in parte nel comune di Poggio Mirteto e in parte nel comune di  Salisano, in relazione al reato di cui al D.P.R. n. 380 del 2001,  art. 44, lett. b), contestato perché non era stato rispettato  l'ordine del sindaco di cessazione della attività di coltivazione  per essere la relativa autorizzazione all'esercizio della cava  scaduta nel 2009 e perché l'attività era difforme da quanto  previsto dalla autorizzazione in quanto svolta su superficie maggiore  e con estrazione di una maggiore quantità di inerti.
 Osservò, tra l'altro, il tribunale del riesame che non rilevava se  il reato configurabile era quello di cui al D.P.R. n. 380 del 2001,  art. 44, lett. a), e non quello di cui al cit. D.P.R., art. 44, lett.  b), e che comunque nella specie era in astratto configurabile proprio  il reato di cui all'art. 44, lett. b), perché gli indagati non  avevano ottemperato all'ordine di sospensione emesso dal sindaco, il  quale aveva il potere di disporlo ancorché per l'esercizio della  cava non sia richiesto il permesso di costruire. Non rilevava poi che  il TAR avesse sospeso tale provvedimento del sindaco, perché per la  sequestrabilità era sufficiente la configurabilità in astratto del  reato. Nemmeno rilevava che la proroga della concessione fosse  necessitata perché era contestata la difformità dalla concessione.  Il tribunale rigettò poi anche l'istanza di dissequestro degli  impianti esterni.
 Gli indagati, a mezzo dell'avv. Paolo Giammarioli e dell'avv. Marco  Bonamici, propongono ricorso per cassazione deducendo:
 1) violazione del D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, lett. b) e  contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in  ordine alla astratta sussistenza del reato. Osservano che in materia  di cave non è applicabile la normativa edilizia urbanistica) e non  è ravvisabile la violazione del D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44,  lett. b). Semmai avrebbe potuto essere in astratto configurabile il  reato di cui all'art. 44, lett. a), qualora vi fosse stato (il che  non era) un contrasto con gli strumenti urbanistici, ma il tribunale  del riesame ha escluso questa ipotesi di reato ed ha ritenuto  configurabile proprio il reato di cui all'art. 44, lett. b), il quale  invece è inapplicabile alla ipotesi di attività di cava in assenza  del permesso di costruire che non è richiesto. Il tribunale ha  peraltro ritenuto applicabile questo reato alla ipotesi di  coltivazione della cava in difformità dalla autorizzazione  estrattiva, ma in tal modo ha assimilato questa autorizzazione al  permesso di costruire sotto il profilo della attività in  difformità, così operando una inammissibile applicazione analogica.  2) violazione del D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, lett. a), e omessa  motivazione sulla indicazione del fatto materiale integrante il  reato. Osservano che non è indicata alcuna prescrizione o  pianificazione dello strumento urbanistico generale che sarebbe stata  violata. Inoltre, l'attività di cava è svolta in zona agricola che  di per sè non è incompatibile.
 3) Contraddittorietà, manifesta illogicità della motivazione e  mancanza di motivazione in relazione alla intervenuta sospensiva da  parte del TAR dell'ordine comunale di sospensione dei lavori in  riferimento alla deduzione che la proroga della autorizzazione era  nella specie un atto dovuto. Ora, la sospensione del provvedimento da  parte del giudice amministrativo incide proprio sulla astratta  configurabilità del reato.
 MOTIVI DELLA DECISIONE
 Il ricorso è fondato essendo l'ordinanza impugnata effettivamente  erronea sotto diversi profili.
 Innanzitutto, il tribunale del riesame ha affermato che il suo  giudizio sarebbe limitato alla verifica della compatibilità tra la  fattispecie concreta e quella legale, e per tale ragione ha ritenuto  non valutabile in sede di riesame la circostanza che il competente  TAR aveva disposto la sospensione dell'efficacia del provvedimento  comunale di sospensione della attività. Si tratta però di una tesi  che non può essere condivisa e che è stata disattesa innumerevoli  volte dalla recente giurisprudenza di questa Corte, la quale ha  invece affermato il principio che il tribunale del riesame, per  espletare il ruolo di garanzia che la legge gli demanda, non può  avere riguardo solo alla astratta configurabilità del reato, ma deve  prendere in considerazione e valutare, in modo puntuale e coerente,  tutte le risultanze processuali, e quindi non solo gli elementi  probatori offerti dalla pubblica accusa, ma anche le confutazioni e  gli elementi offerti dagli indagati che possano avere influenza sulla  configurabilità e sulla sussistenza del fumus del reato contestato  (cfr., ex plurimis, Sez. 1, 9 dicembre 2003, n. 1885/04, Cantoni, m.  227.498; Sez. 3, 16.3.2006 n. 17751; Sez. 2, 23 marzo 2006, Cappello,  m. 234197; Sez. 3, 8.11.2006, Pulcini; Sez. 3, 9 gennaio 2007,  Sgadari; Sez. 4, 29.1.2007, 10979, Veronese, m. 236193; Sez. 5,  15.7.2008, n. 37695, Cecchi, m. 241632; Sez. 1, 11.5.2007, n. 21736,  Citarella, m. 236474; Sez. 4, 21.5.2008, n. 23944, Di Fulvio, m.  240521; Sez. 2, 2.10.2008, n. 2808/09, Bedino, m. 242650; Sez. 3,  11.3.2010, D'Orazio; Sez. 3, 20.5.2010, Bindi; Sez. 3, 6.10.2010,  Kronenberg-Widmer; Sez. 3, 5.4.2011, n. 28221, Musone; Sez. 1,  6.7.2011, n. 33791, Aquino; Sez. 3, 25.9.2012, Marseglia; e  numerosissime altre).
 In ogni modo, almeno dalla ordinanza impugnata, non risultano  elementi per ipotizzare l'astratta ipotizzabilità del reato  contestato. Nella specie, il tribunale del riesame ha chiaramente  ritenuto che era configurabile non l'ipotesi di cui al D.P.R. n. 380  del 2001, art. 44, lett. a), bensì quella di cui all'art. 44, lett.  b), in riferimento alla continuazione della attività dopo  l'ordinanza di sospensione del sindaco ed alla asserita difformità  dalla originaria autorizzazione.
 Deve però ricordarsi che, secondo la costante giurisprudenza di  questa Corte, "Per l'apertura e la coltivazione di una cava non è  richiesta la concessione edilizia del sindaco, ond'è che in materia  non è configurabile il reato di cui alla L. 28 febbraio 1985, n. 47,  art. 20, comma 1, lett. b)" (Sez. Un., 18.6.1993, n. 11, Antonelli,  m. 194494); "Per l'apertura e la coltivazione di una cava non è  richiesta la concessione edilizia del sindaco sicché non è  configurabile il reato di cui alla L. 28 febbraio 1985, n. 47, art.  20, comma 1, lett. b); ciò in considerazione del fatto che in  materia di cave e torbiere l'autorità comunale non ha potere di  controllo, ne' sotto forma di autorizzazione, ne' di concessione,  perché l'attività urbanistica è strettamente correlata agli  insediamenti sul territorio e, per quanto questi possano  diversificarsi, è certo che non è tale una attività estrattiva"  (Sez. 3, 1.7.1996, n. 2864, Scacco, m. 206288); "L'attività di  apertura e coltivazione di cava non richiede il preventivo rilascio  della concessione edilizia, non essendo subordinata al preventivo  controllo dell'autorità comunale, ma la stessa deve svolgersi nel  rispetto della pianificazione territoriale comunale, configurandosi,  in difetto, ovvero in caso di svolgimento della stessa in zona non  consentita, la violazione della L. 28 febbraio 1985, n. 47, art. 20,  lett. a)" (Sez. 3, 21.3.2002, n. 26140, Guida, m. 222415; Sez. 3,  1.12.1995, n. 460/96, Mazzocco, m. 203552); "L'attività di apertura  e coltivazione di cava, pur non essendo subordinata al potere di  controllo edilizio comunale, deve comunque svolgersi nel rispetto  della pianificazione territoriale comunale, potendosi configurare, in  difetto, la contravvenzione di cui al D.P.R. n. 380 del 2001, art.  44, lett. a)" (Sez. F., 26.8.2008, n. 39056, Iuliano, m. 241268).  La mancanza o il venire meno della autorizzazione, pertanto, non può  configurare l'ipotizzato reato di cui al D.P.R. n. 380 del 2001, art.  44, lett. b).
 Il reato non è astrattamente configurabile nemmeno sotto il profilo  della difformità della attività rispetto alla autorizzazione  estrattiva, giacché, così ritenendo, si darebbe luogo ad una  inammissibile applicazione analogica in malam partem di una norma  penale. In tal caso, infatti, mentre non sarebbe punibile ai sensi  della disposizione penale in questione l'ipotesi della assenza di  autorizzazione, rientrerebbe invece nell'ambito della disposizione  l'ipotesi della difformità della attività dalla autorizzazione, ma  in questo modo si opererebbe, in sostanza, una applicazione analogica  della norma penale, assimilando la autorizzazione estrattiva al  permesso di costruire, quanto meno sotto il profilo della attività  in difformità. In altre parole si applicherebbe in via analogica la  norma penale che punisce l'attività in difformità dal permesso di  costruire alla ipotesi di attività in difformità dalla  autorizzazione estrattiva, il che, oltre che inammissibile, sarebbe  peraltro anche manifestamente illogico, dal momento che è pacifico  che la norma in esame non potrebbe applicarsi per l'ipotesi di totale  mancanza di autorizzazione estrattiva.
 L'ordinanza impugnata ha anche in sostanza escluso la  configurabilità del reato di cui al D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44,  lett. a). In ogni modo, tale reato nella specie non è nemmeno in  astratto ipotizzabile dal momento che non è stata indicata alcuna  concreta prescrizione dello strumento urbanistico generale o della  pianificazione comunale che sarebbe stata violata, sicché manca la  stessa configurazione del fatto contestato in riferimento all'ipotesi  astratta. Del resto, l'ordinanza impugnata non ha ritenuto infondato  l'assunto difensivo secondo cui l'area oggetto del sequestro  preventivo ricade in zona agricola, sottozona E/1, nella quale,  secondo la normativa tecnica del PRG, non sussisterebbe alcun divieto  per tale tipo di attività, divieto invece previsto per la sottozona  E/4. Nella specie, inoltre, secondo l'assunto difensivo non  contraddetto dalla ordinanza impugnata, era previsto un obbligo di  ripristino e di recupero ambientale, per cui l'attività estrattiva  non sarebbe stata di per sè incompatibile in area agricola.  A ben vedere, quindi, l'unico effettivo elemento su cui si basano il  sequestro preventivo e l'ordinanza impugnata è costituito dalla  violazione all'ordine di sospensione della attività estrattiva  emesso dal sindaco, ordine che, secondo il tribunale del riesame,  sarebbe giustificato dal fatto che, avendo il sindaco poteri di  vigilanza sulla attività urbanistica in genere, lo stesso potrebbe  disporre la sospensione dei lavori anche ove non è richiesto come  titolo abilitativo il permesso di costruire. Va però osservato che  questo potere di sospensione nella materia delle cave trova la sua  specifica regolamentazione nella legislazione regionale (L.R. n. 17  del 2004). La difesa, inoltre, sostiene che la frase relativa alla  ipotesi di prosecuzione dei lavori nonostante l'ordine di  sospensione, contenuta nel D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, lett. b),  si riferisce chiaramente a chi esegua i lavori privo di un permesso  di costruire, o in difformità dello stesso o li prosegua anche  successivamente ad un ordine di sospensione, sempre evidentemente nel  caso in cui sia richiesto tale titolo abilitativo, Ciò in  applicazione della giurisprudenza dianzi riportata (cfr. Sez. Un.,  18.6.1993, n. 11, Antonelli, m. 194494) secondo cui l'attività di  apertura e di esercizio di coltivazione di cava deve essere  autorizzata dalla regione e non richiede la concessione edilizia (ora  il permesso di costruire). È vero peraltro che una risalente  pronuncia di questa Sezione, facendo riferimento al principio che "al  sindaco spettano poteri di vigilanza non solo in materia di illeciti  edilizi, ma sull'attività urbanistica in genere, intesa come assetto  e utilizzazione del territorio, ed in relazione ad essi può disporre  la sospensione dei lavori anche quando gli stessi non siano  sottoposti a concessione edilizia. La prosecuzione dei lavori  nonostante l'ordine di sospensione costituisce perciò, a prescindere  dalla ragione per cui l'ordine è stato impartito, violazione della  seconda parte della L. 28 febbraio 1985, n. 47, art. 20, lett. b)" lo  ha applicato, ritenendo sussistente il reato de quo, anche "in caso  di prosecuzione, nonostante l'ordine di sospensione, dell'attività  di coltivazione ci una cava, anche se tale attività, secondo  l'insegnamento delle Sezioni unite della Corte, non è soggetta a  concessione edilizia" (Sez. 3, 9.10,1997, n. 10881, Sabatini, m.  209641). Va però anche precisato che questa conclusione non risulta  essere stata più confermata in seguito, dal momento che anche Sez.  3, 3.7.2007, n. 37320, Pancaldo, m. 237385, la quale ha ribadito il  principio generale che l'ordine di sospensione può essere emesso dal  comune anche qualora l'attività edilizia non necessiti di permesso  di costruire, ha ritenuto configurabile il reato nel caso di  violazione di un ordine di sospensione riguardante "interventi  edilizi successivamente qualificati come di manutenzione  straordinaria, non soggetti a concessione edilizia", e quindi pur  sempre in relazione ad una attività edilizia, e non già anche in  caso di ordine comunale di sospensione di attività di coltivazione  di cava.
 Ritiene tuttavia il Collegio che non sia necessario in questa sede  risolvere tale questione perché, quand'anche potesse ritenersi in  ipotesi configurabile il reato di cui al D.P.R. n. 380 del 2001, art.  44, lett. b), nel caso di ordine comunale di sospensione di attività  di coltivazione di cava, il reato non sarebbe comunque ravvisabile  nel caso in esame. È pacifico difatti che nella specie l'efficacia  del provvedimento comunale è stata sospesa dal competente TAR con  ordinanza del 20.4.2012, sotto il profilo della necessità che la  amministrazione provvedesse in via preventiva sulla tuttora pendente  istanza di proroga della autorizzazione estrattiva, e quindi non  potesse adottare un provvedimento di cessazione della attività,  tanto più che gli interessati deducevano che ai sensi dell'art. 34  della L.R. n. 17 del 2004 la proroga stessa, poiché necessaria per  completare il piano di coltivazione e recupero ambientale, era un  atto dovuto.
 Erroneamente il tribunale del riesame ha ritenuto irrilevante la  sospensione di efficacia della delibera comunale per il motivo che  l'oggetto del suo giudizio sarebbe limitato alla verifica di  compatibilità tra la fattispecie concreta e quella legale. E  difatti, anche a prescindere dalla erroneità di questo assunto -  già dianzi rilevata - è evidente che la sospensione degli effetti  del provvedimento comunale incide proprio sulla fattispecie concreta  e sulla sua assumibilità in quella astratta legale (dato che il  tribunale ha ritenuto espressamente ipotizzabi-le il reato "per  essere stati i lavori proseguiti nonostante l'ordine di  sospensione"). In ogni caso, la statuizione del competente giudice  amministrativo esclude la presenza di una qualsiasi concreto ed  attuale periculum in mora, dato che, per effetto della stessa, la  prosecuzione della attività di cava è oggi legittima nell'ambito  del progetto approvato ed in corso.
 In conclusione, stante l'evidente assenza del fumus del reato  ipotizzato e del periculum in mora, l'ordinanza impugnata nonché il  decreto di sequestro preventivo emesso il 4.5.2012 dal Gip del  tribunale di Rieti devono essere annullati senza rinvio, con l'ordine  di restituzione di quanto in sequestro agli aventi diritto.
 LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
 Annulla senza rinvio l'ordinanza impugnata nonché il decreto di  			sequestro preventivo del Gip del tribunale di Rieti del 4.5.2012 e  			ordina la restituzione di quanto in sequestro agli aventi diritto.  			Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all'art. 626  			c.p.p..
 Così deciso in Roma, nella sede della Corte Suprema di Cassazione,  			il 26 febbraio 2013.
 Depositato in Cancelleria il 31 luglio 2013
 
                    




