 Cass. Sez. III n. 16592 del 28 aprile 2011 (CC. 31 mar. 2011)
Cass. Sez. III n. 16592 del 28 aprile 2011 (CC. 31 mar. 2011)
Pres. Gentile Est. Ramacci Ric. Siracusa
Urbanistica. Costruzioni in soprasuoli percorsi dal fuoco 
L’articolo 10 della Legge 353\2000, laddove consente la realizzazione di edifici, strutture ed infrastrutture finalizzate ad insediamenti civili ed attività produttive nei soprassuoli percorsi dal fuoco nei casi in cui la realizzazione sia stata prevista in data antecedente all’incendio dagli strumenti urbanistici vigenti a tale data, si riferisce alla specifica localizzazione dell’area riservata all’intervento da parte dello strumento urbanistico e non anche alla previsione di zona, con la conseguenza che non rileva, ai fini della speciale deroga, la generica compatibilità dell’intervento con la destinazione dell’area, essendo al contrario richiesto che l’area medesima sia già riservata dallo strumento urbanistico alla realizzazione delle predette opere
REPUBBLICA ITALIANA
 IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
 LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
 Sez. III Penale
 Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
 Dott. Mario GENTILE                                          Presidente
 Dott. Amedeo FRANCO                                      Consigliere
 Dott. Guida I. MULLIRI                                        Consigliere
 Dott. Giulio SARNO                                            Consigliere
 Dott. Luca RAMACCI                                          Consigliere Est.
 
 ha pronunciato la seguente
 SENTENZA
 - sul ricorso proposto da: SIRACUSA Stefano nata a Catanzaro il 10/12/1965
 - avverso l'ordinanza emessa il 16/9/2010 dal Tribunale di Catanzaro Sentita la  relazione fatta dal Consigliere Dott. LUCA RAMACCI
 - Sentito Pubblico Ministero nella persona del Dott. Tindari Baglione che ha  concluso per il rigetto del ricorso
 - Uditi i difensori Avv.ti Adolfo Larussa e Raffaele Floresta del Foro di  Catanzaro i quali hanno concluso per l'accoglimento del ricorso
 SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
 Con ordinanza in data 16/09/2010, il Tribunale del Riesame di Catanzaro  rigettava il ricorso proposto da SI. St. confermando il decreto di perquisizione  e sequestro emesso dal Procuratore della Repubblica presso il medesimo Tribunale  e concernente i reati di cui agli articoli 110, 734 C.P., 44 lettera C) D.P.R.  n. 380/01 e 10, n.353/2000 ipotizzati con riferimento alla realizzazione in un  impianto destinato allo smaltimento ed al recupero di rifiuti da parte della  SIRIM srl, della quale il predetto SI. é legale rappresentante pro tempore.
 
 Avverso il provvedimento il predetto proponeva ricorso per cassazione.
 
 Con un primo motivo di ricorso deduceva la violazione dell'articolo 354 C.P.P. e  la conseguente nullità del sequestro, rilevando che la motivazione posta a  sostegno del provvedimento si riferiva non solo ai reati per i quali si stava  procedendo, ma anche al reato di falso in atto pubblico denunciato dalla polizia  giudiziaria in ordine al quale era necessario procedere ad ulteriori verifiche e  che tale reato era solo ipotizzato e comunque a lui non contestato, con la  conseguenza che il sequestro era stato disposto anche con riferimento a  fattispecie di reato riferibili ad altri soggetti ed a lui non contestate.
 
 Con un secondo motivo di ricorso deduceva violazione di legge e vizio di  motivazione, lamentando che, a fronte del rilascio di tutte le necessarie  autorizzazioni richieste dalla disciplina urbanistica, ambientale e  paesaggistica, i giudici del riesame, con indebita ingerenza nell'attività  amministrativa, avevano posto in dubbio la liceità del realizzando impianto  affermata da diverse e tecnicamente competenti autorità amministrative.
 
 Osservava, in particolare, come la positiva valutazione di compatibilità  ambientale assicurava la conformità dell'insediamento da realizzare alla vigente  disciplina urbanistica e paesaggistica e che errata risultava, inoltre, la  lettura data dal Tribunale dell'articolo 10 della Legge n. 353\2001 laddove  aveva ritenuto che lo stesso, nel consentire la realizzazione di edifici,  strutture ed infrastrutture finalizzate ad insediamenti civili ed attività  produttive nei soprassuoli percorsi dal fuoco nei casi in cui la realizzazione  sia stata prevista in data antecedente all'incendio dagli strumenti urbanistici  vigenti a tale data, sia riferito all'opera specifica e non anche ad una  generica tipologia.
 
 Aggiungeva, inoltre, che i giudici del riesame non avevano neppure tenuto in  considerazione che la presenza di un vincolo idrogeologico nell'area interessata  dall'intervento non consentiva di ritenere configurabile la violazione  paesaggistica.
 
 Con un terzo motivo di ricorso denunciava la violazione degli articoli 42 e 43  C.P., osservando che la presenza dei titoli abilitativi richiesti per  l'esecuzione dell'intervento denotavano l'assenza dell'elemento psicologico e la  conseguente illegittimità ed inutilità del sequestro.
 
 Insisteva, pertanto, per l'accoglimento del ricorso.
 
 All’udienza del 31 marzo 2011, avendo il ricorrente presentato due identici  ricorsi avverso identici provvedimenti, separatamente iscritti, veniva disposta  la riunione dei procedimenti.
 MOTIVI DELLA DECISIONE
 Il ricorso è infondato.
 
 Con riferimento alla motivazione del sequestro probatorio va ricordato, in primo  luogo, come le Sezioni Unite di questa Corte abbiano avuto modo di stabilire che  anche tale tipologia di sequestro deve essere sorretto, a pena di nullità, da  idonea motivazione circa il presupposto della finalità perseguita, in concreto,  per l'accertamento dei fatti (SS. UU. n. 5876, 13 febbraio 2004)
 Il Pubblico Ministero deve fornire il provvedimento con il quale dispone o  convalida il sequestro di adeguata motivazione in ordine al presupposto della  finalità perseguita, in concreto, per l'accertamento dei fatti (Sez. VI n.  21736, 29 maggio 2008).
 Con riferimento a tale motivazione (e considerati i principi fissati dalle SS.  UU. nella pronuncia in precedenza richiamata) si è ritenuto sufficientemente  argomentato il provvedimento nel quale il Pubblico Ministero richiami per  relationem, ai fini dell'individuazione del fatto per cui si procede e delle  ragioni del sequestro, gli atti redatti dalla polizia giudiziaria, senza  necessità di riprodurli ed è stata esclusa, in tale ipotesi, una eventuale  lesione del diritto di difesa, che risulta garantito dalla consegna del verbale  di sequestro e, comunque, dalla notifica del provvedimento del PM e dal  successivo deposito ex art. 324 comma sesto C.P.P. (Sez. V n. 7278, 28 febbraio  2006; Sez. V n. 2108, 8 giugno 2000).
 In definitiva, tranne nei casi in cui l'esigenza probatoria del "corpus  delicti" sia in "re ipsa" (v. Sez. IV n. 8662, 3 marzo 2010 relativa  ad un sequestro di stupefacenti) è necessario che il provvedimento di convalida  di sequestro probatorio effettuato dal Pubblico Ministero o il decreto di  sequestro probatorio dallo stesso emesso contengano, quantomeno, una  indicazione, ancorché essenziale e sintetica, delle esigenze probatorie che  giustificano il vincolo.
 Tali esigenze, peraltro, non presuppongono necessariamente che il rapporto di  pertinenza fra le cose sequestrate ed il reato per cui si procede debba essere  considerato in termini esclusivi di relazione immediata, poiché può assumere  rilievo e, conseguentemente, essere oggetto di ricerca ed apprensione ogni  elemento utile a ricostruire i fatti che, anche in forma indiretta, possono  contribuire al giudizio sul merito della contestazione (Sez. III n. 13641, 10  aprile 2002).
 
 Date tali premesse, deve osservarsi che, sul punto, nella impugnata ordinanza  non è ravvisabile la dedotta violazione di legge. 
 
 Invero, i giudici del riesame hanno dato compiutamente atto che il Pubblico  Ministero, nel procedere alla doverosa motivazione del provvedimento, ha  adeguatamente richiamato per relationem il contenuto degli atti del  procedimento indicando specificamente le finalità probatorie perseguite.
 
 Il provvedimento del Pubblico Ministero contiene inoltre un richiamo ad  ulteriori esigenze probatorie relative ad eventuali successivi sviluppi delle  indagini in merito ad ipotesi di falso in atto pubblico, già denunciate dalla  polizia giudiziaria operante ma non contestate agli indagati ritenendo  necessarie altre indagini.
 
 Tale giustificazione completa adeguatamente la motivazione del provvedimento ed  è inequivoca nel suo contenuto: diversamente da quanto affermato in ricorso, il  riferimento riguarda reati la cui commissione risulta già accertata ma che  richiedono ulteriori verifiche per individuare i soggetti responsabili e  l'espletamento di tali verifiche rende necessario il vincolo probatorio.
 
 Tale modus operandi appare pienamente legittimo, anche in considerazione della  particolare complessità della vicenda che, come risulta dal tenore del  provvedimento impugnato e dal ricorso, comporta, ad esempio, l'analisi di  articolati procedimenti amministrativi all'esito dei quali sono stati rilasciati  i titoli abilitanti alla realizzazione dell'impianto e la verifica del regolare  svolgimento degli stessi che la ipotizzata sussistenza di falsi documentali  rende ancor più necessaria.
 
 I giudici del riesame hanno inoltre chiaramente delineato i limiti della loro  cognizione, attraverso il richiamo alla giurisprudenza di questa Corte.
 
 In effetti, si è avuto modo di affermare, in più occasioni, con riferimento al  sequestro probatorio, che il sindacato del giudice del riesame non può investire  la concreta fondatezza dell'accusa, ma è circoscritto alla verifica  dell'astratta possibilità di sussumere il fatto in una determinata ipotesi di  reato e al controllo circa la qualificazione dell'oggetto sequestrato come  corpus delitti e, quindi, all'esistenza di una relazione di immediatezza tra il  bene stesso e l'illecito penale (Sez. V n. 9258, 2 marzo 2009; Sez. II n. 34625,  27 settembre 2005; Sez. I n. 4274, 23 luglio 1997).
 Il Tribunale ha quindi correttamente proceduto alla valutazione della  legittimità del vincolo imposto con il provvedimento del Pubblico Ministero  entro tale ambito e, così facendo, ha proceduto ad una sommaria analisi delle  disposizioni applicabili nella fattispecie e della compatibilità tra queste e le  opere da realizzare.
 
 Tale doverosa verifica non determina alcuna ingerenza nell'attività  amministrativa, contrariamente a quanto affermato in ricorso attraverso  argomentazioni del tutto infondate che vorrebbero il giudice penale supinamente  acquiescente in presenza di qualsivoglia provvedimento amministrativo se non nel  caso in cui lo stesso non sia frutto di collusione tra soggetto privato e  funzionario che lo ha emesso.
 
 Si tratta, in verità, di una questione da tempo affrontata e risolta dalla  giurisprudenza di questa Corte, specie con riferimento alla disciplina  urbanistica, nei casi di interventi edilizi autorizzati con permesso di  costruire illegittimo, chiarendo quali siano i poteri del giudice penale in  presenza di vizi di legittimità del titolo abilitativo.
 
 All'esito di un articolato dibattito (e sulla scia della nota sentenza delle  Sezioni Unite n. 11635, 21 dicembre 1993) si è infatti giunti alla conclusione  che l'attività svolta dal giudice in presenza di un titolo abilitativo edilizio  illegittimo consiste nel valutare la sussistenza dell'elemento normativo della  fattispecie e non nel disapplicare l'atto amministrativo o effettuare comunque  valutazioni proprie della P.A..
 
 Si è così precisato che quando il giudice penale accerta profili di  illegittimità sostanziale del titolo abilitativo edilizio procede ad una  identificazione in concreto della fattispecie sanzionata e non pone in essere  alcuna "disapplicazione" né incide, con indebita ingerenza, sulla sfera  riservata alla P.A. poiché esercita un potere che trova fondamento e  giustificazione nella stessa previsione normativa incriminatrice (Sez. III n.  21487, 21 giugno 2006; v. anche Sez. III n. 40425, 12 dicembre 2006. Conf. Sez.  III n. 1894, 23 gennaio 2007; Sez. III n. 41620, 13 novembre 2007, Sez. III, n.  28225, 10 luglio 2008, Sez. III n. 35389, 16 settembre 2008, Sez. III n. 9177, 2  marzo 2009, Sez. III n. 14504, 2 aprile 2009, Sez. III n. 34809, 8 settembre  2009, Sez. III n.35391, 30 settembre 2010).
 
 Ciò posto, appare pertanto del tutto legittima l'analisi effettuata dal  Tribunale, entro i limiti della cognizione propria della fase incidentale del  riesame, sulla compatibilità dell'impianto da realizzare e le disposizioni dello  strumento urbanistico del comune interessato dall'intervento (articolo 48 delle  NTA del PRG di S. Flora) correttamente osservando come la localizzazione in zone  agricole di attività non compatibili con le zone A, B, C e D sia subordinata al  rispetto delle caratteristiche insediative della zona, al fatto che non siano  inquinanti e non comportino pregiudizio al paesaggio ed all'ambiente e si ponga  in evidente contrasto con la tipologia di intervento assentito che riguarda un  impianto destinato a discarica ed attività di gestione di rifiuti.
 
 Peraltro, in linea generale, deve osservarsi che la realizzazione di interventi  quale quello oggetto di esame da parte del Tribunale in area a destinazione  agricola non può non riguardare opere per le quali gli strumenti urbanistici non  prevedano una specifica localizzazione e che, per loro natura, non possono  essere ubicati altro che in zona agricola. Diversamente argomentando, verrebbe  vanificata la zonizzazione del territorio e l'individuazione delle diverse  destinazioni d'uso. Tale opzione ermeneutica pare peraltro condivisa anche dalla  giurisprudenza amministrativa (Cons. Stato Sez. V n. 7243, 1 ottobre 2010; Sez.  V n. 1557, 18 marzo 2002)
 
 Altrettanto corretta appare, inoltre, la lettura, da parte dei giudici del  riesame, dell'articolo 10 della Legge 21 novembre 2000, n. 353 "Legge quadro  sugli incendi boschivi" (erroneamente richiamata nel provvedimento impugnato con  l'indicazione "D.Lv. 227/2001").
 
 Le disposizioni in essa contenute sono, come è noto, finalizzate "alla  conservazione e alla difesa dagli incendi del patrimonio boschivo nazionale  quale bene insostituibile per la qualità della vita" (art. 1, comma 1). Tale  obiettivo, perseguito anche attraverso misure di "previsione, di prevenzione e  di lotta attiva contro gli incendi boschivi" e di `formazione, informazione ed  educazione ambientale" (art. 1, comma 2) giustifica anche i vincoli di  destinazione e le limitazioni d'uso fissati dall'art. 10 quale deterrente del  fenomeno degli incendi finalizzati alla successiva speculazione edilizia e per  la conseguente salvaguardia del patrimonio boschivo.
 
 Oggetto di valutazione, nel caso in esame, è il comma primo dell'articolo 10 che  cosi recita: "le zone boscate ed i pascoli i cui soprassuoli siano stati  percorsi dal fuoco non possono avere una destinazione diversa da quella  preesistente all'incendio per almeno quindici anni. E' comunque consentita la  costruzione di opere pubbliche necessarie alla salvaguardia della pubblica  incolumità e dell'ambiente. In tutti gli atti di compravendita di aree e  immobili situati nelle predette zone, stipulati entro quindici anni dagli eventi  previsti dal presente comma, deve essere espressamente richiamato il vincolo di  cui al primo periodo, pena la nullità dell'atto. Nei comuni sprovvisti di piano  regolatore e' vietata per dieci anni ogni edificazione su area boscata percorsa  dal fuoco. E' inoltre vietata per dieci anni, sui predetti soprassuoli, la  realizzazione di edifici nonché di strutture e infrastrutture finalizzate ad  insediamenti civili ed attività produttive, fatti salvi i casi in cui detta  realizzazione sia stata prevista in data precedente l'incendio dagli strumenti  urbanistici vigenti a tale data".
 
 Il tribunale osserva che la deroga prevista dall'ultima parte della disposizione  deve essere intesa nel senso che lo strumento urbanistico deve prevedere in  termini puntuali le opere da realizzare, non essendo sufficiente una indicazione  in termini generici, in quanto vanificherebbe lo scopo della norma.
 
 Tale lettura della norma, contestata in ricorso, appare condivisibile e conforme  a principi già affermati da questa Corte.
 
 Invero, in una recente pronuncia (Sez. III n. 7608, 25 febbraio 2010), si è  avuto modo di precisare che l'ipotesi di esclusione del divieto decennale di  inedificabilità deve essere affrontata e risolta tenendo presente che il  richiamo alla previsione della realizzazione delle infrastrutture, in data  precedente l'incendio, dagli strumenti urbanistici vigenti - non si riferisce ad  una previsione di zona, bensì ad una localizzazione di area.
 
 Il riferimento riguarda l'articolo 7 della Legge 17 agosto 1942, n. 1150, il  quale indica i contenuti essenziali dello strumento urbanistico generale.
 
 Tali contenuti sono individuati, per quanto attiene alla localizzazione:
 - nella rete delle principali vie di comunicazione stradali, ferroviarie e  navigabili e dei relativi impianti;
 - nelle aree destinate a formare spazi di uso pubblico o sottoposte a speciali  servitù;
 - nelle aree da riservare ad edifici pubblici o di uso pubblico nonché ad opere  ed impianti di interesse collettivo o sociale
 Sono invece contenuti riferiti alla zonizzazione:
 - la divisione in zone del territorio comunale con la precisazione delle zone  destinate all'espansione dell'aggregato urbano e la determinazione dei vincoli e  dei caratteri da osservare in ciascuna zona;
 - i vincoli da osservare nelle zone a carattere storico, ambientale, paesistico;
 - le norme per l'attuazione del piano.
 Ad essi deve aggiungersi, inoltre, l'individuazione delle zone di recupero del  patrimonio edilizio esistente di cui tratta l'articolo 27 della Legge 5 agosto  1978, n. 457 recante "Norme per l'edilizia residenziale".
 Tale principio deve pertanto essere riaffermato nel senso che l'articolo 10  della Legge n. 353/2000, laddove consente la realizzazione di edifici, strutture  ed infrastrutture finalizzate ad insediamenti civili ed attività produttive nei  soprassuoli percorsi dal fuoco nei casi in cui la realizzazione sia stata  prevista in data antecedente all'incendio dagli strumenti urbanistici vigenti a  tale data, si riferisce alla specifica localizzazione dell'area riservata  all'intervento da parte dello strumento urbanistico e non anche alla previsione  di zona, con la conseguenza che non rileva, ai fini della speciale deroga, la  generica compatibilità dell'intervento con la destinazione dell'area, essendo al  contrario richiesto che l'area medesima sia già riservata dallo strumento  urbanistico alla realizzazione delle predette opere.
 
 Il provvedimento impugnato si presenta pertanto immune dalle censure mosse in  ricorso ed appare sorretto da argomentazioni del tutto coerenti e prive di  cedimenti logici che forniscono adeguata e puntuale risposta alle allegazioni  difensive.
 
 Del tutto infondata appare, inoltre, l'affermazione secondo la quale il  Tribunale avrebbe errato nel non considerare che la presenza di un vincolo  idrogeologico nell'area interessata dall'intervento non consentiva di ritenere  configurabile la violazione paesaggistica.
 
 Come emerge infatti dal ricorso e dal provvedimento impugnato, l'area in  questione è boscata.
 Tale sua natura comporta la sua collocazione nelle aree tutelate per legge, in  ragione di quanto disposto dall'articolo 142, comma primo, lettera g) D. L.vo n.  42/2004.
 
 In conclusione, il Tribunale nei limiti del procedimento incidentale di riesame,  ha proceduto ad una completa ed esaustiva analisi della vicenda con riferimento  ai presupposti per l'applicazione del sequestro facendo buon uso delle  disposizioni sostanziali e processuali applicati e della lettura offertane dalla  giurisprudenza di questa Corte.
 
 L'astratta configurabilità dei reati ipotizzati, idonea a sostenere il  sequestro, era inoltre pienamente sussistente, anche sotto il profilo  soggettivo, trattandosi di ipotesi contravvenzionali per le quali è sufficiente  la colpa.
 
 Ulteriori approfondimenti e valutazioni sul merito della imputazione sono  estranei al procedimento di riesame che riguarda peraltro, nella fattispecie, un  mezzo di ricerca della prova, con la conseguenza che non può richiedersi che  tale prova sia sussistente fin dall'atto di imposizione del vincolo.
 
 Il ricorso deve pertanto essere rigettato con le consequenziali statuizioni  indicate in dispositivo.
 P.Q.M.
 Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese  processuali.
 
 Cosi deciso in Roma il 31 marzo 2011
 
 DEPOSITATA IN CANCELLERIA Il 28 APR. 2011
 
                    




