Consiglio di Stato Sez. IV n. 6809 del 1 agosto 2025
Urbanistica. Differenze tra monetizzazione sostitutiva della cessione degli standard urbanistici e contributo di costruzione

L'istituto della monetizzazione differisce da quello relativo al contributo di costruzione, atteso che il primo, essendo un elemento essenziale della validità del titolo edilizio, attiene alla disciplina del territorio – e, dunque, può essere attratto nelle previsioni di cui all'art. 12, comma 3, del D.P.R. n. 380/2001, laddove subordina il rilascio del permesso di costruire all'esistenza di opere a standard o all'impegno alla loro realizzazione o alla cessione delle relative aree - mentre il contributo di costruzione opera sul piano dell'efficacia all'interno del rapporto paritetico fra Amministrazione e contribuente e si fonda sulla normativa di cui agli artt. 16 e ss. dello stesso Testo Unico dell'Edilizia. In altri termini, mentre il pagamento degli oneri di urbanizzazione si risolve in un contributo per la realizzazione delle opere stesse, senza che insorga un vincolo di scopo in relazione alla zona in cui è inserita l'area interessata all'imminente trasformazione edilizia, la monetizzazione sostitutiva della cessione degli standard afferisce al reperimento delle aree necessarie alla realizzazione delle opere di urbanizzazione secondaria all'interno della specifica zona di intervento; e ciò vale ad evidenziare la diversità ontologica della monetizzazione rispetto al contributo di concessione di talché, sotto il versante processuale, non si può utilizzare lo strumento dell'azione di accertamento (Legge n. 10/1977) (segnalazione M. GRISANTI).

N. 06809/2025REG.PROV.COLL.

N. 08551/2023 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 8551 del 2023, proposto da Laros s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Simone Porcu, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

Comune di San Donato Milanese, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Angela Sarli, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

nei confronti

Agenzia delle Entrate, non costituita in giudizio;

per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia (Sezione Seconda) n. 00844/2023.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di San Donato Milanese;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 12 giugno 2025 il Cons. Luigi Furno e uditi per le parti gli avvocati presenti come da verbale;


FATTO

1. Il Comune di San Donato Milanese, in data 14 ottobre 2009, adottava la delibera n. 35 di approvazione delle modalità di intervento per l’attuazione del “Piano Casa in Comune di San Donato Milanese”, così come previsto dalla L.R. n. 13/2009, rubricata “Azioni straordinarie per lo sviluppo e qualificazione del patrimonio edilizio e urbanistico della Lombardia”.

Tale delibera, al punto 2.3, escludeva dall’applicazione della L.R. n. 13/2009 le aree ubicate all’interno del tessuto urbanizzato e densamente abitato, prevedendo, tuttavia, la possibilità di interventi eccezionali qualora lo standard urbanistico generato a norma del piano regolatore generale venisse raggiunto con cessione o corresponsione della relativa monetizzazione, attraverso la stipula di una convenzione o di un atto unilaterale d’obbligo.

2. In tale quadro normativo, con nota del 15 luglio 2010, prot. n. 21236, la Dascal s.r.l. – dante causa dell’odierna appellante – proponeva al Comune uno schema di convenzione per la riconversione, in luogo del complesso industriale dismesso, di due fabbricati, da destinarsi a uso residenziale e da realizzare nell’area di sua proprietà, censita al catasto fabbricati al foglio 22, mappali 32, 223 e 225 sub. 501, per una superficie territoriale di 5.333 mq..

2.1. Con la delibera n. 30, del 28 luglio 2010, il Consiglio comunale approvava lo schema di convenzione urbanistica, divenuto poi definitivo con la sottoscrizione urbanistica avvenuta il successivo 26 novembre 2010.

In particolare, con tale convenzione, la Dascal si impegnava (i) a trasformare la volumetria esistente in volumetria residenziale, dopo le necessarie demolizioni dei fabbricati industriali esistenti (art. 2); (ii) a realizzare le opere di urbanizzazione primaria e secondaria (artt. 2 e 3); (iii) al pagamento del contributo del costo di costruzione, calcolato al momento del rilascio dei singoli titoli abilitativi (art. 4); (iv) alla cessione delle aree per urbanizzazioni primarie e secondarie (artt. 5 e 6); (v) alla la corresponsione del valore a titolo di monetizzazione delle aree a standard non cedute (art. 6), quantificato in euro 1.287.127,47, parti a euro 205,71/mq sulla base della perizia estimativa redatta del tecnico di parte, geometra Giuseppe Garbetta, il 14 luglio 2010 (di seguito solo “Perizia”); prevista (vi) alla messa a disposizione del Comune di due alloggi (art. 10).

L’area in esame veniva, successivamente, acquistata, con atto notarile rep. 1099/620 del 19 giugno 2013, dalla Laros s.r.l., che subentrava, ai sensi dell’art. 1, nelle obbligazioni scaturenti dalla convenzione predetta.

3. Tanto premesso, occorre ulteriormente precisare che, nelle aree cedute al Comune per la realizzazione di una pista ciclopedonale, era collocata una cabina Enel. Per tale ragione, in data 25 settembre 2014, la società Laros presentava al Comune una domanda di permuta delle aree, con la quale richiedeva una modifica convenzionale per motivi tecnici.

Con nota del 12 gennaio 2015, prot. n. 0000795, il Comune riscontrava la domanda comunicando: (i) l’avvio dell’istruttoria per “la verifica delle quantità minime proposte in permuta con le quantità minime previste dall’originaria convenzione già cedute”; (ii) di aver riscontrato alcune imprecisioni ed anomalie.

In effetti, con la successiva nota del 26 gennaio 2015, prot. n. 0003046, il Comune invitava la società a eseguire ulteriori e più approfonditi rilievi necessari e preliminari ad ogni eventuale atto di permuta, poiché aveva riscontrato una discrepanza nelle risultanze catastali tra la superficie reale e la superficie nominale dei mappali nn. 472 e 487, già oggetto di cessione con la convenzione predetta.

Infine, con nota prot. n. 3684, del 30 gennaio 2015, il Comune comunicava che non era possibile procedere ad alcuna variazione convenzionale finché non fossero “puntualmente definite le misure del compendio immobiliare e le misure delle aree standard previste in cessione al Comune di San Donato Milanese dalla succitata originaria convenzione, che non possono non avere una superficie inferiore a mq. 1.266”.

Ritenendo, quindi, che vi fosse un errore nella perizia del Geom. Garbetta, rispetto al calcolo dell’importo totale di monetizzazione indicato in convenzione, con determina n. 161, del 10 aprile 2015, il Comune incaricava l’Agenzia delle Entrate di provvedere alla “verifica di congruità del prezzo unitario di monetizzazione di aree standard non cedute nell’ambito della procedura di approvazione dello schema di convezione per l’attuazione del Piano Casa” relativamente all’area di che trattasi.

4. Seguivano diverse comunicazioni di posta elettronica con cui la società intimava al Comune di concludere l’atto di permuta a prescindere da dette verifiche.

Una volta ricevuta la perizia di stima da parte dell’Agenzia delle Entrate, con nota prot. n. 0036931, del 20 ottobre 2015, il Comune comunicava a Laros che l’importo della monetizzazione degli standard era stato erroneamente calcolato nella perizia di parte e che, nello specifico, il valore unitario della monetizzazione corretto sarebbe stato di euro 270,00/mq, anziché di euro 205,71/mq, con una differenza economica in favore del Comune di euro 402.262,53; tale differenza avrebbe dovuto essere corrisposta dalla società, prevedendosi una modifica della convenzione unitamente alla modifica richiesta dalla società medesima.

Con successiva nota del 30 novembre 2015, prot. n. 0041827, in risposta alle osservazioni della società, il Comune ribadiva poi l’errore di calcolo per cui si era proposta la rettifica e precisava che, data la rilevanza di detto riscontro, sarebbe stato necessario procedere alle variazioni convenzionali in ordine di importanza, ovverosia dando seguito alla stipula della permuta non appena sarebbe stato corretto il valore di monetizzazione delle aree.

5. La società ha quindi proposto ricorso dinanzi al T.a.r Lombardia.

5.1. In particolare, con il ricorso di primo grado, Laros Srl ha chiesto: (i) l’annullamento della nota del Dirigente dell’Area Territorio, Ambiente ed Attività Produttive p.g. 0036931 del 20 ottobre 2015, mediante il quale veniva richiesta la corresponsione di euro 402.262.53 a titolo di differenza di corrispettivo di monetizzazione, nonché di tutti gli atti presupposti e connessi; (ii) l’accertamento dell’illegittimità del silenzio inadempimento formatosi a seguito della mancata conclusione del procedimento relativo alla sottoscrizione dell’atto di permuta inerente la porzione di area occupata dalla cabina Enel; (iii) la condanna del Comune di San Donato Milanese al risarcimento in favore della società ricorrente del danno da ritardo.

6. Il T.a.r., con la decisione 4 aprile, n. 844 ha respinto il ricorso.

7. La società Laros ha proposto appello per i motivi riportati nella parte in diritto.

8. Si è costituito nel giudizio di appello il Comune di San Donato Milanese, chiedendo di dichiarare l’appello infondato.

9. All’udienza del 12 giugno 2025 la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

1.Con un primo mezzo di gravame, in via preliminare, l’appellante contesta il capo della decisione impugnata nel quale si è affermato che “la modifica convenzionale ‘proposta dal Comune’ (sarebbe meglio dire ‘imposta’), dalla quale è conseguita la richiesta di pagamento di oltre € 402.000,00, a carico della appellante, non configuri affatto ‘una decisione discrezionale né tantomeno arbitraria’, perché basata ‘sul riscontro oggettivo dell’errore di calcolo’ (consistente, come anticipato, nel fatto che ‘nella prima perizia (…) il valore unitario al metro cubo del costo medio di costruzione veniva impropriamente moltiplicato per la superficie lorda vendibile di pavimento’)”.

1.1. In senso contrario, l’appellante assume che l’errore riscontrato in sede peritale sarebbe, in realtà, un mero refuso del tutto emendabile, mentre il Comune avrebbe “illegittimamente strumentalizzato, per giustificare una esorbitante, quanto tardiva ed inammissibile richiesta economica”.

1.2. Sotto un secondo profilo, la parte appellante lamenta l’erroneità della decisione impugnata nella parte in cui non ha accolto il primo motivo del ricorso di primo grado con il quale era stata dedotta l’illegittimità della rideterminazione unilaterale del valore della monetizzazione a standard da parte dell’Amministrazione, in ragione del fatto che la materia in esame rientrerebbe nell’ambito della libertà negoziale delle parti. In particolare, ad avviso della società appellante, venendo in rilievo, nel caso in esame, una convenzione urbanistica, piuttosto che procedere alla rideterminazione di che trattasi in via unilaterale (e autoritativa), l’Amministrazione avrebbe dovuto instaurare una trattativa, tra le parti, finalizzata al raggiungimento di una “ revisione anche dell’obbligazione posta a carico della parte privata, attraverso una rinnovazione e un aggiornamento degli impegni originariamente assunti da quest’ultima”.

1.3. Infine, con un terzo sub motivo, non senza contraddizioni rispetto alle argomentazioni sviluppate a sostegno dei sub-motivi in precedenza esposti, la parte appellante lamenta l’erroneità della decisione impugnata nella parte in cui avrebbe trascurato di considerare che, in virtù della natura pubblicistica della monetizzazione a standard, la concreta determinazione del prezzo base, ai fini della sua “quantificazione”, in un ambito soggetto a lottizzazione, non sarebbe data unicamente da (uno o più) parametri economico-matematico fissi, ma costituirebbe, invece, l’esito di una valutazione ben più complessa, di matrice discrezionale, da operare sulla base di considerazioni anche di “opportunità politica”.

2. Il motivo, nella sua complessiva articolazione, non è fondato.

2.1. L’esame del merito della questione sollevata con il presente motivo di gravame presuppone una breve ricostruzione, sul piano sistematico, delle fattispecie relative al contributo di costruzione e alla monetizzazione delle aree a standard.

Mentre, infatti, il pagamento degli oneri di urbanizzazione si risolve in un contributo per la realizzazione delle opere stesse, senza che insorga un vincolo di scopo in relazione alla zona in cui è inserita l’area interessata alla imminente trasformazione edilizia, la monetizzazione sostitutiva della cessione degli standard afferisce al reperimento delle aree necessarie alla realizzazione delle opere di urbanizzazione secondaria all’interno della specifica zona di intervento.

E ciò vale ad evidenziare la diversità ontologica della monetizzazione rispetto al contributo di concessione.

2.2. Tale conclusione resta ferma anche dopo la sentenza del 30 agosto 2018 n. 12, con la quale l’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato ha avuto modo di precisare che gli atti con i quali la pubblica amministrazione determina e liquida il contributo di costruzione, previsto dall'art. 16 del d.P.R. n. 380 del 2001, non hanno natura autoritativa, non essendo espressione di una potestà pubblicistica, ma costituiscono l’esercizio di una facoltà connessa alla pretesa creditoria riconosciuta dalla legge al Comune per il rilascio del permesso di costruire, stante la sua onerosità, nell’ambito di un rapporto obbligatorio a carattere paritetico e soggetta, in quanto tale, al termine di prescrizione decennale.

L'istituto della monetizzazione differisce, infatti, da quello relativo al contributo di costruzione, atteso che il primo, essendo un elemento essenziale della validità del titolo edilizio, attiene alla disciplina del territorio – e, dunque, può essere attratto nelle previsioni di cui all'art. 12, comma 3, del D.P.R. n. 380/2001, laddove subordina il rilascio del permesso di costruire all'esistenza di opere a standard o all'impegno alla loro realizzazione o alla cessione delle relative aree - mentre il contributo di costruzione opera sul piano dell'efficacia all'interno del rapporto paritetico fra Amministrazione e contribuente e si fonda sulla normativa di cui agli artt. 16 e ss. dello stesso Testo Unico dell'Edilizia.

In altri termini, mentre il pagamento degli oneri di urbanizzazione si risolve in un contributo per la realizzazione delle opere stesse, senza che insorga un vincolo di scopo in relazione alla zona in cui è inserita l'area interessata all'imminente trasformazione edilizia, la monetizzazione sostitutiva della cessione degli standard afferisce al reperimento delle aree necessarie alla realizzazione delle opere di urbanizzazione secondaria all'interno della specifica zona di intervento; e ciò vale ad evidenziare la diversità ontologica della monetizzazione rispetto al contributo di concessione di talché, sotto il versante processuale, non si può utilizzare lo strumento dell'azione di accertamento (Legge n. 10/1977).

2.3. L’analisi dei precedenti più recenti della Sezione conferma le conclusioni qui esposte.

Questa Sezione ha, infatti, anche di recente, avuto modo di ribadire che “La monetizzazione sostitutiva della cessione degli standard urbanistici non ha la medesima natura giuridica del contributo di costruzione, atteso che non è una prestazione patrimoniale imposta ai sensi dell’art. 23 Cost.; inoltre, mentre il pagamento degli oneri di urbanizzazione si risolve in un contributo per la realizzazione delle opere stesse, senza che insorga un vincolo di scopo in relazione alla zona in cui è inserita l'area interessata all'imminente trasformazione edilizia, la monetizzazione sostitutiva della cessione degli standard afferisce al reperimento delle aree necessarie alla realizzazione delle opere di urbanizzazione secondaria all'interno della specifica zona di intervento. Pertanto, l’obbligo di corrispondere gli oneri di urbanizzazione non esclude che sia dovuta anche la cessione di aree a standard ….La monetizzazione sostitutiva della cessione degli standard urbanistici è un beneficio di carattere eccezionale – ammesso da previsioni di legge, di norma a livello regionale ed espressione di una valutazione discrezionale dell’amministrazione comunale – concepito come misura di favore di cui può giovarsi il richiedente un titolo edilizio che, in base allo strumento urbanistico, deve, per l’appunto, cedere o reperire nella zona in cui intende realizzare l’intervento costruttivo (o anche solo un mero cambio di destinazione d’uso senza opere) aree per la realizzazione di opere pubbliche (di regola parcheggi e verde pubblico), nel rispetto delle misure e secondo i criteri dettati dal d.m. n. 1444 del 1968” (Cons. Stato, Sez. IV, 17 maggio 2023, n. 4908).

Pertanto, “le disposizioni contenute nel titolo edilizio relative alla monetizzazione implicano un apprezzamento discrezionale da parte dell'amministrazione sicché sono attratte nell'ambito del regime impugnatorio dei provvedimenti amministrativi” (Cons. Stato, Sez. IV, 20 maggio 2024, n.4456).

In conclusione, nell’istituto della monetizzazione prevale la ragione pubblicistica sottesa alla necessità di compensare la rinuncia consapevole alla realizzazione di spazi pubblici in cambio di somme di denaro che la pubblica amministrazione deve destinare alla realizzazione di ulteriori opere di urbanizzazione, mantenendo complessivamente inalterato il livello di dotazione di standard fissato dallo strumento urbanistico.

2.4. È sulla base di tali coordinante di fondo che devono essere esaminate le questioni specifiche sollevata con il primo mezzo di gravame.

Al riguardo, come di recente la Sezione ha avuto modo di chiarire (Cons. Stato, Sez. IV, 23 luglio 2025, n. 6568), il giudice, in base al principio iura novit curia, ha il potere di qualificare giuridicamente l'azione e di attribuire al provvedimento dedotto in giudizio un nomen iuris diverso da quello indicato dalle parti (dona mihi factum dabo tibi ius).

Da ciò discende il potere del giudice amministrativo di valutare gli atti sottoposti al suo giudizio sulla base di elementi sostanziali a prescindere dal relativo nomen iuris (cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 19 maggio 2023, n. 4987).

2.5. In applicazione di tale consolidato orientamento giurisprudenziale, reputa il Collegio che il provvedimento n. prot. n. 36931, del 20 ottobre 2015, nominalmente identificato quale provvedimento di rettifica, debba essere riqualificato come provvedimento di convalida, non essendo dubbia la possibilità per l’Amministrazione comunale di rideterminarsi sulla monetizzazione degli standard anche dopo la sottoscrizione di una convenzione con il richiedente un permesso di costruire, specie quando, come avvenuto nel caso in esame, la rideterminazione è fondata sul riscontro oggettivo di un errore di calcolo (il valore unitario al metro cubo del costo medio di costruzione è stato impropriamente moltiplicato per la superficie lorda vendibile di pavimento e non per il relativo volume).

2.6. Come questo Consiglio di Stato (cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 27 aprile 2021, n. 3385) ha già avuto modo di osservare, la convalida è espressione, nel contesto dei poteri di secondo grado, del principio di conservazione dei valori (atti ed effetti) giuridici, il quale, ricollegandosi ai più generali principi di buon andamento ed economia procedimentale, esprime la preferenza accordata dall'ordinamento all'opzione conservativa, rispetto a quella eliminatoria.

Tale principio, nel diritto pubblico, può essere declinato, altresì, come favor ordinamentale al mantenimento in vita degli effetti prodotti da un atto ove attualmente rispondenti all'interesse pubblico.

Sicché l'istituto della convalida rappresenterebbe l'unico rimedio a disposizione dell'amministrazione per conseguire la sanatoria del vizio di natura non sostanziale (non afferente, cioè, alla sostanza del potere esercitato [nell’accezione chiarita da questo Consiglio con la pronuncia Sez. VI, 27 aprile 2021 n. 3385, §. 8.1.]).

La potestà in oggetto è, dunque, da ritenersi “correlativa” (e alternativa) all'annullamento d'ufficio, come testimonia la comune collocazione sistematica di entrambi gli istituti all'interno dell'art. 21-nonies, l. n. 241/1990, il quale ha dotato la figura in esame di un più solido fondamento legale, superando per tabulas  le precedenti ricostruzioni che la ritenevano implicita nella capacità generale di autotutela (da ultimo, con riferimento al fondamento dei poteri di secondo grado, cfr. Corte costituzionale 2 luglio 2025, n. 88, la quale superando la tradizionale prospettiva che riteneva il potere di autotutela espressione dello stesso potere esercitato in primo grado, o di un potere implicito che da questo derivava, di cui condivideva il carattere di inesauribilità, ha autorevolmente ribadito l’importanza della stretta osservanza del principio di legalità in relazione ai poteri di secondo grado).

Il menzionato art. 21-nonies, l. n. 241/1990, delinea la convalida come un istituto di carattere generale, volto a rendere l’atto stabile a tutti gli effetti per i quali è preordinato, ogniqualvolta, così come accade nel caso in esame, il pubblico interesse ne richieda il consolidamento.

Sotto un ulteriore profilo, la collocazione della norma nel medesimo articolo dedicato all’annullamento d’ufficio, appare altresì espressiva di un principio di preferenza per la scelta amministrativa volta alla correzione e alla conservazione ‒ ove possibile ‒ di quanto precedentemente disposto, rispetto all’opzione eliminatoria.

Al di là del nomen dell’atto nel caso in esame adottato, la convalida del provvedimento amministrativo deve, dunque, ritenersi, da un punto di vista di teoria generale, più correttamente espressione di un potere di “sanatoria” dell'atto invalido , in quanto opera, quale proprio effetto tipico, il consolidamento degli effetti (precari, in quanto rimuovibili) prodotti dalla fattispecie dell'atto annullabile, mutandone il modello di operatività secondo una nuova fattispecie (sussidiaria e necessariamente complessa) di validità (in quanto tale, produttiva di effetti non rimuovibili mediante l'annullamento o l'auto-annullamento).

Sotto tale profilo, come rilevato dalla più recente giurisprudenza del Consiglio di Stato, “la convalida non determina una modificazione strutturale del provvedimento viziato (non configurabile neppure logicamente, essendosi la fattispecie stessa già integralmente conclusa), bensì il sorgere di una fattispecie complessa, derivante dalla «saldatura » con il provvedimento convalidato, fonte di una sintesi effettuale autonoma.

L’efficacia consolidativa degli effetti della convalida opera retroattivamente: il provvedimento di convalida, ricollegandosi all’atto convalidato, ne mantiene fermi gli effetti fin dal momento in cui esso venne adottato. La decorrenza ex tunc è connaturale alla funzione della convalida di eliminare gli effetti del vizio con un provvedimento nuovo ed autonomo. È questa la principale differenza rispetto alla rinnovazione dell’atto che invece non retroagisce per conservarne gli effetti fin dall’origine” (Cons. Stato, Sez. VI, 27 aprile 2021 n. 3385).

Ne discende che la convalida non costituisce un “nuovo” provvedimento valido sostitutivo del precedente invalidamente adottato, bensì un atto che, perfezionando la fattispecie dell'atto annullabile, ne previene l'annullamento, dotando in tal modo di stabilità gli effetti (precari) medio tempore prodottisi. 

La convalida, perciò, quanto ad effetti, presupposti e ambito di operatività, non può in alcun modo essere equiparata a un episodio di “rinnovazione” (o comunque in qualunque modo espressione) del potere originario.

Sul piano funzionale, la convalida è preordinata alla cura del pubblico interesse a dare stabilità e sicurezza a un atto invalido, in quanto la situazione, che da esso è derivata, ne richiede appunto il consolidamento.

2.7. In coerente applicazione di tali coordinate teoriche, e in armonia con la natura pubblicistica dell’istituto della monetizzazione delle aree a standard, il Comune ha provveduto ad emendare l’originario errore formale relativo al calcolo del costo medio di costruzione, posto che il valore unitario al metro cubo era stato impropriamente moltiplicato per la superficie lorda vendibile di pavimento e non per il relativo volume.

2.8. Parimenti infondato è il terzo sub-motivo con il quale la parte appellante assume che, in virtù della natura pubblicistica della monetizzazione a standard, la concreta determinazione del prezzo base, ai fini della sua “quantificazione”, in un ambito soggetto a lottizzazione, non è certo data unicamente da (uno o più) parametri economico-matematico fissi, ma costituisce, invece, l’esito di una valutazione ben più complessa, permeata da criteri di discrezionalità, cioè operata sulla base di considerazioni anche di “opportunità politica”.

Rileva il Collegio che la riconosciuta natura pubblicistica dell’istituto della monetizzazione a standard non implica necessariamente, come erroneamente ritiene la parte appellante, che l’Amministrazione debba esercitare sempre, in relazione ad esso, poteri discrezionali, anche quando, come avvenuto nel caso in esame, l’oggettività dei parametri di riferimento ha reso vincolato il nuovo conteggio operato da parte del Comune in un quadro, peraltro, in cui, era consentita a priori, mediante uno sforzo di ordinaria diligenza, la conoscibilità e verificabilità da parte della società appellante dell’errore contenuto nella perizia originaria.

Più in generale, va ricordato che, nonostante il dissenso di una parte della dottrina, il carattere vincolato dell’attività non contrasta con l’idea dell’esercizio di un potere autoritativo, essendo “un postulato privo di fondamento che al carattere vincolato del provvedimento corrispondano situazioni giuridiche qualificabili quali diritti soggettivi” (Corte costituzionale, sin dalla decisione 9 aprile 1998, n. 127).

Militano, del resto, a sostegno di questa conclusione alcuni inequivocabili indici ermeneutici.

In particolare, nel codice del processo amministrativo, l’art. 31, con riferimento all’azione contro il silenzio-inadempimento, afferma, al comma 3, che “Il giudice può pronunciare sulla fondatezza della pretesa dedotta in giudizio solo quando si tratta di attività vincolata”. In termini analoghi si esprime, in relazione alla disciplina della azione di condanna, il successivo articolo 34, il quale subordina la possibilità di ottenere il provvedimento preteso alle stesse condizioni dell’articolo 31 a cui espressamente rinvia.

In un analogo, e forse ancora più esplicito, ordine di idee, si esprime anche la legge fondamentale sul procedimento amministrativo, che, all’art. 21-octies, comma 2, disciplina i limiti al potere di annullamento del giudice amministrativo facendo esplicito riferimento agli atti vincolati.

Nell’ordinamento, dunque, come è stato autorevolmente rilevato in dottrina, vi è una chiara scelta nel senso della valorizzazione del potere in sé e quindi del riconoscimento della giurisdizione amministrativa anche in presenza di un atto vincolato.

Alla luce delle considerazioni che precedono, deve, dunque, essere respinto il primo motivo di appello.

3. Con un secondo mezzo di gravame la parte appellante lamenta l’erroneità della decisione impugnata nella parte in cui non ha accolto il secondo motivo del ricorso di primo grado con il quale era stato dedotto il vizio della mancata comunicazione di avvio del procedimento in relazione alla nuova stima del valore di monetizzazione e alla successiva rideterminazione.

4. Il motivo è infondato.

4.1. In via preliminare, occorre ricordare che la comunicazione di avvio del procedimento ha lo scopo di rendere edotto il relativo destinatario della pendenza del procedimento, affinché questi sia messo in condizione di prenderne parte.

Secondo un costante indirizzo interpretativo, le norme in materia di partecipazione al procedimento amministrativo devono essere interpretate in senso sostanziale, coordinando in modo ragionevole e sistematico i principi di legalità, imparzialità e buon andamento e i corollari di economicità e speditezza dell'azione amministrativa, con la conseguenza che neppure la mancata comunicazione di avvio del procedimento può determinare l'annullamento del provvedimento, quando, come avvenuto nel caso in esame, l'interessato sia venuto comunque a conoscenza aliunde dei fatti posti a fondamento del provvedimento sfavorevole ai suoi interessi (Cons. Stato, Sez. VI, 4 ottobre 2024 n. 8010; Sez. V, 02 febbraio 2022, n. 724; Sez. V, 22 luglio 2019, n. 5168).

4.2. In applicazione di tali principio, il Collegio rileva che, nel caso in esame, è stato comunque raggiunto lo scopo di rendere edotto il privato dell’avvio del procedimento amministrativo, avendo la società Laros partecipato all’istruttoria attraverso la presentazione di osservazioni e lo scambio formale (e informale) intercorso tra le parti nei mesi a seguire, di cui si è dato conto nella parte in fatto.

5. Con un terzo mezzo di gravame la parte appellante lamenta l’erroneità della decisione impugnata nella parte in cui non ha accolto il terzo motivo del ricorso di primo grado con il quale in era stato dedotto il vizio di disparità di trattamento rispetto ad altri comparti siti nel territorio comunale.

6. Il motivo è infondato.

6.1. In senso contrario occorre osservare che, secondo un costante orientamento giurisprudenziale (Cons. Stato, Sez. IV, 26 novembre 2024, n. 9492), il vizio di disparità di trattamento postula che l’amministrazione emani statuizioni o motivazioni a loro supporto) tra loro diverse nell’esercizio dello stesso potere, in relazione a fattispecie assolutamente identiche, senza fornire alcuna giustificazione.

Come chiarito da una consolidata giurisprudenza del Consiglio di Stato, l’onere di provare l’identità delle situazioni, nonché di identificare le aree che avrebbero goduto del trattamento diverso, grava sul ricorrente che deduce il vizio di disparità di trattamento (Cons. Stato n.476/1997; Cons. Stato n.145/99).

6.2. Nel caso di che trattasi, manca, infatti, financo un principio di prova in ordine alla perfetta identità di situazioni.

7. Con un quarto mezzo di gravame la parte appellante lamenta l’erroneità della decisione impugnata nella parte in cui ha respinto la domanda proposta in primo grado di per contestare il silenzio-inadempimento serbato dal Comune in relazione alla domanda di permuta dei terreni occupati dalla cabina Enel, e per chiedere il conseguente risarcimento del danno.

8. Il motivo è infondato non trovando corrispondenza nelle risultanze probatorie in atti.

Il Collegio rileva, infatti, che, diversamente da quanto ritenuto dalla parte appellante, l’Amministrazione non ha omesso di esaminare la domanda di permuta dei terreni occupati dalla cabina Enel, come comprovato dalla nota prot. n.3684, del 30 gennaio 2015, prodotta dal Comune nel giudizio di primo grado in data 5 gennaio 2017, tramite la quale il Comune ha adeguatamente rappresentato le ragioni ostative all’accoglimento della domanda di permuta formulata dalla Laros.

9. Dal complesso delle osservazioni che precedono discende anche l’assenza di responsabilità da parte delle amministrazioni resistenti.

9.1. Sul punto invero è sufficiente richiamare la recente decisione della Adunanza Plenaria n. 7/2021, che, nel solco della storica sentenza delle Sezioni Unite numero 500 del 1999, ha ribadito la riconducibilità della responsabilità dell’amministrazione per l’illegittimo esercizio dell’attività amministrativa o per il mancato esercizio di quella doverosa al paradigma della responsabilità da fatto illecito.

Secondo i principi ribaditi da quest’ultimo autorevole arresto giurisprudenziale, elemento centrale nella fattispecie di responsabilità da omesso esercizio del potere è l’ingiustizia del danno, da dimostrare in giudizio, diversamente da quanto avviene per la responsabilità da inadempimento contrattuale, in cui la valutazione sull’ingiustizia del danno è assorbita dalla violazione della regola contrattuale.

Declinato nel settore relativo al «risarcimento del danno per lesione di interessi legittimi», di cui all’art. 7, comma 4, cod. proc. amm., il requisito dell’ingiustizia del danno implica che il risarcimento potrà essere riconosciuto se l’esercizio illegittimo del potere amministrativo, o il suo omesso esercizio, abbia leso un bene della vita del privato, che quest’ultimo avrebbe avuto titolo per mantenere o ottenere, secondo la dicotomia “interessi legittimi oppositivi - pretensivi”.

Infatti, diversamente da quanto avviene nel settore della responsabilità contrattuale, il cui aspetto programmatico è costituito dal rapporto giuridico regolato bilateralmente dalle parti mediante l’incontro delle loro volontà concretizzato con la stipula del contratto-fatto storico, il rapporto amministrativo si caratterizza per l’esercizio unilaterale del potere nell’interesse pubblico, idoneo, se difforme dal paradigma legale e in presenza degli altri elementi costitutivi dell’illecito, a ingenerare la responsabilità aquiliana dell’amministrazione.

Alla stregua di tali condivisibili coordinate interpretative, manca - nel caso all’esame del Collegio - il presupposto dell’ingiustizia del danno, non ravvisandosi, per le ragioni suesposte, un illegittimo omesso esercizio del potere amministrativo da parte della del Comune da cui sia conseguita una lesione della posizione giuridica soggettiva della parte appellante.

Da ciò logicamente discende l’assorbimento delle questioni attinenti alla colpa della Pubblica Amministrazione e al quantum risarcitorio (in quanto relative alla sfera del c.d. “danno – conseguenza”).

10. In conclusione, per le ragioni esposte, l’appello deve essere respinto, con conseguente conferma della sentenza appellata, sia pure sulla base di una diversa motivazione.

11. La parziale novità delle questioni esaminate giustifica l’integrale compensazione delle spese di questo grado di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quarta, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge nei sensi di cui in motivazione.

Compensa tra le parti integralmente le spese di questo grado di giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 12 giugno 2025 con l'intervento dei magistrati:

Michele Conforti, Presidente FF

Emanuela Loria, Consigliere

Luigi Furno, Consigliere, Estensore

Ofelia Fratamico, Consigliere

Rosario Carrano, Consigliere