Consiglio di Stato Sez. VI n. 5322 del 18 giugno 2025
Urbanistica.SCIA e potere di autotutela

Anche dopo la scadenza del termine per l'esercizio dei poteri inibitori degli effetti della SCIA, l'amministrazione competente conserva un potere residuale di autotutela, da intendere, però, come potere sui generis, che si differenzia dalla consueta autotutela decisoria proprio perché non implica un'attività di secondo grado insistente su un precedente provvedimento amministrativo; si tratta di un potere che non si attua mediante un provvedimento di secondo grado in senso tecnico, dato che esso non ha per oggetto una precedente manifestazione di volontà dell'amministrazione, ma incide sugli effetti prodotti ex lege dalla presentazione della SCIA ed eventualmente dal trascorrere di un determinato periodo di tempo, e che con l'autotutela classica condivide soltanto i presupposti e il procedimento; scaduto il termine per l'esercizio dei poteri inibitori, l'amministrazione può vietare lo svolgimento dell'attività e ordinare l'eliminazione degli effetti già prodotti solo se ricorrono in concreto i presupposti per l'autotutela; e, dunque, entro un ragionevole lasso di tempo, dopo aver valutato gli interessi in conflitto e sussistendone le ragioni di interesse pubblico. Alla luce di tale orientamento, ormai del tutto consolidato, l’intervento dell’amministrazione in casi siffatti assume quindi i connotati tipici del potere di autotutela laddove, come nel caso di specie, sia decorso il termine per il consolidamento del titolo. 

Pubblicato il 18/06/2025

N. 05322/2025REG.PROV.COLL.

N. 03288/2022 REG.RIC.

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REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 3288 del 2022, proposto dalla signora Luciana Pica, rappresentata e difesa dall’avvocato Toni De Simone, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia,

contro

Roma Capitale - Municipio IX Eur, non costituito in giudizio;
Roma Capitale, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Umberto Garofoli e Barbara Battistella, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

per la riforma

della sentenza in forma semplificata del T.a.r. per il Lazio, Sezione II-bis, n. 9998 del 28 settembre 2021, resa inter partes, concernente una declaratoria di inefficacia della SCIA per il recupero di un sottotetto ai fini abitativi.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio di Roma Capitale;

Visti tutti gli atti della causa;

Visto l’art. 87, comma 4-bis, c.p.a.;

Relatore all’udienza straordinaria di smaltimento dell’arretrato del giorno 7 maggio 2025 il consigliere Giovanni Sabbato e udito, per la parte appellante, l’avvocato Giovanni Malinconico in dichiarata delega dell’avv. Toni De Simone in collegamento da remoto attraverso videoconferenza, con l’utilizzo della piattaforma “Microsoft Teams”;

Vista l’istanza di passaggio in decisione senza discussione da remoto dell’avv. Umberto Garofoli;

Viste le conclusioni delle parti come da verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. Con ricorso n.7637/2021, proposto innanzi al T.a.r. per il Lazio, Sez. II-bis, la signora Luciana Pica aveva chiesto l’annullamento:

a) del provvedimento di inefficacia della S.C.I.A. in autotutela del 06 aprile 2021 prot. n. 34574 sito in via Italo Calvino n. 49;

b) della comunicazione di avvio del procedimento del 17 febbraio 2021 prot. n. 16179.

2. A sostegno del ricorso aveva dedotto quanto segue:

i) violazione dell’art. 23 del d.P.R. n. 380/2001 (per avvenuto consolidamento della SCIA) e del combinato disposto di cui all’art. 19 ed all’art. 21 nonies della l. n. 241/1990, eccesso di potere per sviamento della funzione in ragione dei principi vigenti ed immanenti nell’ordinamento in tema di autotutela amministrativa, in quanto l’Amministrazione non avrebbe potuto intervenire sulla fattispecie in questione successivamente alla scadenza del termine di 30 giorni dalla presentazione della segnalazione disponendo semplicemente l’archiviazione della SCIA “senza fare previo ricorso all’adozione di poteri in autotutela e senza motivazione in punto di interesse pubblico alla rimozione del titolo annullato e di necessaria comparazione tra interesse pubblico e interesse privato e di prevalenza del primo sul secondo”;

ii) violazione dell’art. 3 della l. Reg. Lazio n. 13/2009, poiché Roma Capitale avrebbe errato nel ritenere, alla luce delle modifiche da ultimo apportate dal legislatore regionale alla normativa de qua, che unità immobiliari, anche accessorie come il posto auto scoperto di proprietà della ricorrente, aventi destinazione diversa da quella residenziale o da quella turistico-ricettiva non fossero idonee a permettere il recupero dei sottotetti, se situati nello stesso edificio;

iii) violazione dell’art. 23 comma 1 del d.P.R. n. 380/2001, non potendo le ulteriori ragioni poste a fondamento della dichiarazione di inefficacia della SCIA, consistenti nel mancato deposito di alcuni documenti, tra i quali la documentazione fotografica dell’intervento e della prova del pagamento del contributo di costruzione, assurgere a presupposto necessario per la dichiarazione di inefficacia della SCIA;

iv) violazione degli artt. 31 e 38 del d.P.R. n. 380/2001, eccesso di potere per difetto di motivazione per l’illegittima adozione da parte dell’Amministrazione Comunale dell’ordine di ripristino dello stato dei luoghi, senza alcun ulteriore avviso o termine, né alcuna previa valutazione della concreta possibilità di rimuovere le opere realizzate in base al titolo annullato e della eventuale sostituzione della misura ripristinatoria con la sanzione pecuniaria;

3. Nella resistenza dell’Amministrazione, il Tribunale adìto ha così deciso il gravame al suo esame:

- ha respinto il ricorso perché infondato;

- ha compensato le spese di lite.

4. In particolare, il Tribunale ha ritenuto che:

- “non siano, in primo luogo, condivisibili le censure svolte dalla ricorrente in relazione alla pretesa inammissibilità di un intervento di Roma Capitale sulla SCIA successivamente alla scadenza del termine di 30 giorni dalla presentazione della segnalazione stessa, avendo l’Amministrazione Comunale correttamente fatto uso del suo potere di autotutela per incidere sul titolo edilizio eventualmente formatosi per effetto del deposito della segnalazione e del decorso del termine previsto dalla legge per il suo consolidamento”;

- “dinanzi all’accertamento di una trasformazione edilizia effettuata al di fuori delle possibilità offerte dalla normativa vigente, in base ad un titolo non validamente formatosi, l’Amministrazione era tenuta ad intervenire, esercitando il suo potere di disciplina del territorio e di repressione degli illeciti, nonché di rimozione degli effetti degli atti anche unilaterali posti in essere in violazione delle previsioni urbanistiche”;

- “l’estraneità originaria dell’intervento posto in essere dalla ricorrente rispetto alla fattispecie contemplata dalla l. Reg. Lazio n. 13/2009 renda, infine, inapplicabili al caso in questione gli artt. 31 e 38 del DPR n. 380/2001”.

5. Avverso tale pronuncia la Signora Luciana Pica ha interposto l’appello in trattazione, notificato il 28.03.2022 e depositato il 20.04.2022, lamentando, attraverso quattro motivi di gravame (pagine 2-22), quanto di seguito sintetizzato.

I) Avrebbe errato il Tribunale nel ritenere inesistenti i presupposti per il recupero del sottotetto a fini abitativi, identificando l’interesse pubblico con il ripristino della legalità violata. L’amministrazione comunale ha il potere di adottare provvedimenti motivati di divieto di prosecuzione dell’attività e di rimozione degli eventuali effetti dannosi della S.C.I.A. entro 30 giorni dalla presentazione. Se non interviene entro questo termine, il potere di controllo si consuma definitivamente, consolidando la situazione del dichiarante. Nel caso in esame, l’amministrazione ha comunicato l’avvio del procedimento per l’inefficacia della S.C.I.A. 67 giorni dopo la presentazione, quindi oltre il termine perentorio. Anche se il termine di 30 giorni è scaduto, l’Amministrazione può intervenire in autotutela ma deve rispettare i requisiti dell’art. 21-nonies della legge 241/90, che includono una motivazione adeguata e la valutazione degli interessi coinvolti. L’intervento in autotutela privo di motivazione è da reputare illegittimo, poiché i provvedimenti di autotutela sono manifestazioni dell'esercizio di una potestà discrezionale e richiedono una comparazione tra l’interesse pubblico e quello privato. Inoltre l’interesse pubblico all’annullamento deve essere concreto e attuale, diverso dal mero ripristino della legalità violata. Nel caso specifico, l’amministrazione non avrebbe motivato adeguatamente l’interesse pubblico alla base dell’annullamento, con conseguente illegittimità del provvedimento impugnato.

II) Avrebbe errato il T.a.r. nel reputare l’intervento oggetto della S.C.I.A., dichiarata inefficace, non conforme alla legge. L’art. 3 della Legge Regionale del Lazio n. 13 del 2009, modificato dalla L.R. 7/2018, permette il recupero a fini abitativi dei sottotetti esistenti, purché attigui o annessi ad unità immobiliari nello stesso edificio, o di un’altra unità immobiliare nello stesso edificio destinata a prima casa. La Sig.ra Pica Luciana, proprietaria di un sottotetto e di un posto auto nello stesso edificio, ha presentato la S.C.I.A. per il recupero del sottotetto. L’amministrazione ha ritenuto che un posto auto non soddisfacesse i requisiti, ma la normativa non specifica che l’unità immobiliare debba essere residenziale o turistico-ricettiva. Il giudice di primo grado ha interpretato restrittivamente la normativa, ma la legge non esclude unità immobiliari accessorie come i posti auto. La norma mira a recuperare sottotetti a fini abitativi, indipendentemente dalla destinazione d’uso dell’altra unità immobiliare. L'assunto secondo cui il termine “unità immobiliare” deve avere lo stesso significato in entrambe le ipotesi è illogico. Se il sottotetto è destinato a prima casa, non può essere considerato secondario rispetto all'unità preesistente; piuttosto, quest'ultima diventa accessoria rispetto al sottotetto. L’art. 1 della L.R. 13/2009 stabilisce che l’obiettivo della legge è limitare il consumo di nuovo territorio attraverso il recupero dei sottotetti a fini abitativi o turistico-ricettivi. Limitare il recupero dei sottotetti solo in presenza di unità immobiliari abitative contraddice questo obiettivo, poiché costringerebbe chi possiede unità non abitative a consumare nuovo suolo. La norma non esclude unità immobiliari non abitative, come posti auto, dal recupero dei sottotetti. L'unico limite è che il sottotetto deve essere destinato a fini abitativi o turistico-ricettivi, evitando speculazioni edilizie.

III) L’appellante ripropone l’ulteriore motivo di impugnazione non esaminato dal giudice di primo grado. L’art. 23, comma 1, del d.P.R. 380 del 2001 richiede che la S.C.I.A. sia accompagnata da una relazione di un progettista abilitato che attesti la conformità delle opere agli strumenti urbanistici e alle norme di sicurezza e igienico-sanitarie. Le ragioni addotte a sostegno dell’inefficacia in autotutela della S.C.I.A., come il mancato pagamento dei diritti di istruttoria e il contributo di costruzione e la classificazione catastale, sono infondate. Il contributo di costruzione è dovuto durante l’esecuzione dei lavori e pertanto non sarebbe una condizione di validità del titolo abilitativo. Analogamente, il mancato pagamento dei diritti di istruttoria non giustifica l’annullamento in autotutela della S.C.I.A., sottendendo una questione di natura tributaria. Le risultanze catastali, avendo valore meramente fiscale, non sono in grado di determinare abusi edilizi. Inoltre, sarebbero presenti tutte le dichiarazioni necessarie, inclusa la richiesta di monetizzazione per gli spazi a parcheggio, la dichiarazione di visibilità e adattabilità, l’installazione di fonti rinnovabili e la dichiarazione per la produzione di rifiuti. L’annullamento della S.C.I.A. per questi motivi sarebbe in violazione dell’art. 21-nonies della legge 241 del 1990.

IV) Con il quarto (ed ultimo) motivo, parte appellante osserva che il giudice di primo grado ha stabilito che gli artt. 31 e 38 del d.P.R. 380/2001 non sono applicabili se l’intervento non rientra nei presupposti di legge. Deduce che tuttavia l’intervento di recupero del sottotetto della Sig.ra Pica è conforme alla normativa regionale, quindi tali articoli sarebbero applicabili. L’Amministrazione avrebbe ordinato il ripristino dello stato dei luoghi senza rispettare l’art. 31 del d.P.R. 380/2001, che prevede un termine di 90 giorni per la demolizione. Inoltre, non avrebbe valutato la possibilità di rimuovere i vizi amministrativi o di effettuare la riduzione in pristino, come richiesto dall’art. 38 del d.P.R. 380/2001. La giurisprudenza ha stabilito che l’Amministrazione deve motivare adeguatamente la possibilità di convalida o demolizione, tenendo conto degli interessi implicati. In questo caso, l’amministrazione non ha effettuato tali valutazioni, rendendo il provvedimento illegittimo per violazione degli articoli 31 e 38 del D.P.R. 380/2001 e per difetto di motivazione.

6. L’appellante ha concluso chiedendo, in riforma dell’impugnata sentenza, l’accoglimento del ricorso di primo grado e quindi l’annullamento degli atti con lo stesso impugnati.

7. In data 20.04.2022 il Comune di Roma Capitale si è costituito in giudizio al fine di resistere, concludendo per il rigetto dell’avverso gravame.

8. In data 4.04.25 parte appellata ha depositato a sua volta memoria insistendo per il rigetto dell’avverso gravame, evidenziando che l’Amministrazione avrebbe correttamente utilizzato il proprio potere di autotutela per revocare una SCIA inidonea a produrre gli effetti previsti dalla legge.

9. La causa, chiamata per la discussione all’udienza telematica del 7 maggio 2025, è stata trattenuta in decisione.

10. L’appello, per le ragioni di cui infra, è da reputare del tutto infondato.

11. Non coglie nel segno il primo motivo, con cui si lamenta il mancato esercizio dei poteri di autotutela, essendosi nelle more consolidata la Scia presentata dall’appellante,

Per vero, come ribadito di recente da questo Consiglio, “Anche dopo la scadenza del termine per l'esercizio dei poteri inibitori degli effetti della SCIA, l'amministrazione competente conserva un potere residuale di autotutela, da intendere, però, come potere sui generis, che si differenzia dalla consueta autotutela decisoria proprio perché non implica un'attività di secondo grado insistente su un precedente provvedimento amministrativo; si tratta di un potere che non si attua mediante un provvedimento di secondo grado in senso tecnico, dato che esso non ha per oggetto una precedente manifestazione di volontà dell'amministrazione, ma incide sugli effetti prodotti ex lege dalla presentazione della SCIA ed eventualmente dal trascorrere di un determinato periodo di tempo, e che con l'autotutela classica condivide soltanto i presupposti e il procedimento; scaduto il termine per l'esercizio dei poteri inibitori, l'amministrazione può vietare lo svolgimento dell'attività e ordinare l'eliminazione degli effetti già prodotti solo se ricorrono in concreto i presupposti per l'autotutela; e, dunque, entro un ragionevole lasso di tempo, dopo aver valutato gli interessi in conflitto e sussistendone le ragioni di interesse pubblico” (cfr. Cons. Stato, sez. III, 29 aprile 2024, n.3896;  Cons. St., sez. VII, 27 settembre 2023, n. 8553; id., sez. II, 4 febbraio 2022, n. 782; id., sez. VI, 9 febbraio 2009, n. 717).

Alla luce di tale orientamento, ormai del tutto consolidato, l’intervento dell’amministrazione in casi siffatti assume quindi i connotati tipici del potere di autotutela laddove, come nel caso di specie, sia decorso il termine per il consolidamento del titolo.

Va tuttavia rilevato che il tenore del provvedimento impugnato in prime cure riflette tali coordinate redazionali tanto che veniva preceduto da apposita comunicazione dei motivi ostativi ex art. 10 bis della legge n. 241/90 e veniva espressamente qualificato quale atto di “autotutela” con espressa archiviazione d’ufficio della S.C.I.A. presentata dall’odierno appellante. Non emerge quindi la dedotta violazione della norma con conseguente infondatezza della censura.

12. Nemmeno può reputarsi fondato quanto dedotto col secondo motivo, col quale si deduce che i relativi presupposti sarebbero in realtà sussistenti, trattandosi di un consentito recupero a fini abitativi di un sottotetto, dovendosi in primo luogo ribadire la formulazione dell’art. 3 della L.R. 13/2009 recita: “Possono essere recuperati a fini abitativi e turistico ricettivi… i sottotetti esistenti… purchè attigui o comunque annessi ad unità immobiliari ubicate nel medesimo edificio ovvero i sottotetti di un’altra unità immobiliare esistente nello stesso edificio a condizione che siano destinati a prima casa”.

Non è dato pertanto estendere l’interpretazione di “unità immobiliare dotata del requisito dell’attiguità al sottotetto” fino a ricomprendere anche un posto auto scoperto essendo come tale privo di ogni rilevanza planovolumetrica.

Invero pur non essendo contenuta nel d.P.R. n. 380/2001 un’espressa definizione di “unità immobiliare”, la medesima nozione è presente nell’art. 3, comma 10, delle Norme Tecniche di Attuazione (N.T.A), il quale stabilisce che per unità immobiliare “si intende un insieme di vani tra loro collegati, ad uso abitativo o non abitativo, ivi compresi gli spazi accessori coperti e scoperti, dotato di autonomia e unitarietà̀ spaziale, funzionale e distributiva, fatte salve eventuali pertinenze esterne e l’accesso dalla strada, da altro spazio pubblico o da spazio comune situato all’interno dell’unità edilizia a cui l’unità immobiliare appartiene”. Il caso di specie non rientra nella latitudine applicativa di tale previsione normativa, di guisa che, essendo carenti i requisiti di legge, ben poteva l’Amministrazione revocare in autotutela la scia.

Sul punto peraltro si registra un preciso orientamento giurisprudenziale (A.P. 11/2015 e Tar Catania, Sez. IV, n. 1980/2019) secondo cui “La segnalazione certificata d’inizio attività non è un provvedimento amministrativo a formazione tacita e non dà luogo in ogni caso ad un titolo costitutivo, ma è un atto privato volto a comunicare all'amministrazione l'intenzione di intraprendere un'attività direttamente ammessa dalla legge. Il Comune, a fronte di tale segnalazione, deve verificare l'eventuale mancanza di uno dei presupposti normativamente previsti per l'esecuzione dei lavori edilizi esercitando il potere inibitorio entro il termine perentorio di legge, decorso il quale restano comunque impregiudicati, sia il potere di autotutela (annullamento d'ufficio o revoca) sia, ai sensi dell' art. 21 della legge n. 241/1990, le attribuzioni di vigilanza, prevenzione e controllo, previste dalla disciplina in materia di repressione degli abusi edilizi e non soggette a limiti temporali.”

13. Viene quindi in esame il terzo motivo di gravame, col quale si deduce l’insussistenza delle ulteriori ragioni poste a fondamento del provvedimento impugnato in prime cure.

Per vero, la rilevata infondatezza dei primi due motivi di gravame, come tali inidonei ad inficiare il sostrato motivazionale dell’atto imperniato sulla rilevata insussistente volumetria utile deve indurre a reputare anche in questa sede tale vizio assorbito siccome ininfluente ai fini della soluzione della controversia. Si deve infatti rilevare il difetto di ogni attitudine patologica di tale censura, siccome non in grado comunque di inficiare la pronuncia di prime cure, in quanto i profili evidenziati da parte appellante non hanno avuto alcuna decisiva ricaduta sul quadro motivazionale che connota l’atto impugnato in prime cure, essendo imperniato sulla insussistenza, in radicibus, di una effettiva consistenza in termini di superficie e volumetria suscettibile di essere utilizzata.

14. Va quindi scrutinato il quarto ed ultimo motivo, col quale si deduce che l’Amministrazione avrebbe dovuto verificare la possibilità di una convalida e di procedere in concreto alla demolizione. Sarebbe quindi incorsa nella violazione dell’art. 38 del d.P.R. n. 380 del 2001 oltre che nel difetto di motivazione.

Il motivo è da reputare infondato, risultando meritevole di conferma quanto sul punto opinato dal t.a.r. nel senso che osta all’applicazione di tale disciplina quanto posto a fondamento del provvedimento impugnato imperniato sulla riconducibilità dell’intervento del permesso di costruire a fronte della S.C.I.A. a tal uopo presentata dall’appellante. La vicenda non rientra, quindi, nell’alveo applicativo dell’evocato art. 38 del testo unico edilizia, riguardando questo li caso specifico in cui l’abusività delle opere consegue all’annullamento del permesso di costruire, nel caso di specie mai rilasciato. Da tanto deriva l’infondatezza anche di quanto dedotto a proposito del lamentato difetto di motivazione.

15. Tanto premesso, l’appello deve essere respinto.

16. Le spese di grado, secondo il canone della soccombenza, sono da porre a carico di parte appellante nella misura stabilita in dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto (n.r.g. 3288/2022), lo respinge.

Condanna parte appellante al rimborso, in favore di Roma Capitale, delle spese del presente grado di giudizio nell’importo di € 3.000,00 (tremila/00) oltre IVA, CPA ed accessori di legge se dovuti.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso nella camera di consiglio del 7 maggio 2025, tenuta da remoto ai sensi dell’art. 17, comma 6, del d.l. 9 giugno 2021, n. 80, convertito con modificazioni dalla legge 6 agosto 2021, n. 113 con l’intervento dei magistrati:

Giordano Lamberti, Presidente FF

Giovanni Sabbato, Consigliere, Estensore

Davide Ponte, Consigliere

Carmelina Addesso, Consigliere

Annamaria Fasano, Consigliere