Consiglio di Stato Sez. VI n. 5399 del 20 giugno 2025
Urbanistica.Opere incongrue
Una volta acclarato che il territorio comunale ha assunto una conformazione che rende incongrua la localizzazione dell’impianto industriale, e che impone scelte funzionali coerenti alla superiore esigenza di garantire un ordinato sviluppo territoriale, l’allegazione di un concorso dell’azione od omissione comunale nella determinazione di un simile stato di fatto non può evidentemente, ove se ne dimostri l’effettiva imputabilità sul piano eziologico, costituire causa d’illegittimità del provvedimento che di tale stato di fatto prende atto, facendo prevalere l’interesse del singolo proprietario rispetto a quello della collettività, sol perché la causazione di tutto ciò sarebbe imputabile all’azione (o all’inazione) amministrativa.
Pubblicato il 20/06/2025
N. 05399/2025REG.PROV.COLL.
N. 03210/2022 REG.RIC.
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REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 3210 del 2022, proposto da Infun For S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Vittorio Domenichelli e Guglielmo Aldo Giuffrè, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
Comune di Rovigo, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Giorgio Trovato, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via degli Scipioni, 288;
Regione del Veneto, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Chiara Drago, Giacomo Quarneti e Cristina Zampieri, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Marcello Cecchetti in Roma, piazza Barberini 12;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto (Sezione Seconda) n. 61/2022, resa tra le parti.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di Rovigo e della Regione Veneto;
Visti tutti gli atti della causa;
Visto l'art. 87, comma 4-bis, cod.proc.amm.;
Relatore all'udienza straordinaria del giorno 7 maggio 2025 il Cons. Giovanni Tulumello e viste le istanze di passaggio in decisione depositate dalla parte appellante e dalle parti appellate;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. La società appellante è proprietaria di una fonderia che svolge attività per la produzione di componenti meccanici destinati all’industria automobilistica, sita nel Comune di Rovigo, in prossimità della frazione residenziale di Borsea.
In tale qualità, con il ricorso al TAR Veneto nr. 1084/2012 R.G. ha chiesto l’annullamento della delibera di approvazione del PAT del Comune di Rovigo nella parte in cui ha individuato il compendio immobiliare della deducente quale “opera incongrua” ai sensi dell’art. E7 delle norme tecniche del PAT, domandando inoltre il risarcimento del danno. Con il ricorso nr. 538/2015 R.G. ha, altresì, impugnato la delibera nr. 43/2014 con la quale il Comune di Rovigo ha approvato la revisione del piano di zonizzazione acustica del territorio comunale senza accogliere le richieste della ricorrente, chiedendone l’annullamento e il risarcimento del danno. Con successivo ricorso per motivi aggiunti, presentato in entrambi i giudizi la ricorrente ha impugnato la nota del 19 aprile 2021 del Comune di Rovigo avente ad oggetto: “istanza di aggiornamento della posizione “Opera Incongrua” per l’impianto Infun For S.r.l. mediante Piano degli Interventi – riscontro”.
2. Il Tar Veneto, con sentenza n. 61 del 7 luglio 2022, previa riunione, ha respinto i ricorsi e dichiarato inammissibili i motivi aggiunti.
In particolare, quanto al ricorso nr. 1084/2012 R.G. il Giudice di primo grado rileva come la scelta di pianificazione del territorio compiuta dall’Amministrazione comunale sia stata dettata dal mutamento dell’assetto territoriale della zona che ha portato alla coabitazione della preesistente realtà industriale con un’area residenziale in espansione, nell’ambito della quale il complesso industriale della società appellante presenta profili di incompatibilità tali da giustificare la qualificazione di “area incongrua”.
Tale qualificazione, contenuta dal PAT risulta, a detta del Tar, adeguatamente giustificata e la disciplina ivi contenuta, in ordine agli interventi eseguibili, risulta legittima, in quanto transitoria rispetto alla definizione dei criteri di applicazione del credito edilizio da parte del Piano degli Interventi (PI).
2.1. Quanto ai motivi aggiunti il Tar Veneto ha ritenuto gli stessi inammissibili atteso che l’atto impugnato non ha natura provvedimentale.
2.2. In riferimento al ricorso nr. N. 538/2015 R.G. il Giudice di primo grado evidenzia come il limite di 5 dBA previsto l’art. 4 della L. 447/1995 per l’accostamento di aree classificate come III e IV trova applicazione solo con riferimento all’ipotesi di nuovo sviluppo insediativo e non a una situazione già consolidata.
Inoltre, a detta del Tar Veneto le motivazioni addotte dalla società ricorrente in riferimento all’illegittimità della classificazione acustica operata dal Comune risultano generiche e comunque inconferenti.
3. Avverso la suindicata sentenza la società Infun For Spa ha proposto appello.
3.1. Con il primo motivo l’odierna appellate censura la sentenza di primo grado nella parte in cui ha erroneamente ritenuto adeguatamente motivate le scelte del Comune in ordine alla qualificazione dell’area industriale della InFun come “area incongrua”, atteso che la situazione di incompatibilità tra il comparto industriale e la zona residenziale di Borsea sarebbe stato determinato proprio dalle incoerenti scelte di pianificazione territoriale del Comune di Rovigo. Inoltre, l’appellante rappresenta come la struttura industriale non risulti essere la più contigua all’area residenziale, e che la stessa sia perfettamente compatibile dal punto di vista ambientale con l’assetto del territorio in quanto provvista di apposita AIA.
3.2. Con il secondo motivo d’appello la società appellante assume che la disciplina impugnata contrasti con l’art. 36 della L.R. 11/2004 in quanto non spetterebbe al PAT individuare le opere incongrue bensì al PI. In aggiunta, l’Amministrazione non avrebbe fornito con il PAT indicazione circa il sito alternativo dove sarà possibile ricostruire l’impianto né le modalità di esercizio e la quantificazione del credito edilizio.
3.3. Con il terzo motivo, si censura la sentenza impugnata nella parte in cui non ha ravvisato l’illegittimità del PAT per violazione degli artt. 36 e 17 comma 2, lett. f), della L.R. 11/2004 in quanto contiene disposizioni di dettaglio la cui definizione dovrebbe essere affidata al PI quale strumento deputato alla definizione di disposizioni operative.
3.4. Quanto al quarto motivo, l’appellante deduce l’erroneità della sentenza impugnata nella parte in cui ha respinto il quarto motivo di ricorso con cui si censurava la norma impugnata in quanto priva di indicazioni circa l’entità e le modalità di esercizio del credito edilizio, tale per cui dal provvedimento non risulta possibile evincere la portata dell’interesse pubblico e la ragionevolezza della scelta operata dal Comune circa la prevalenza di quest’ultimo rispetto all’affidamento del privato nella prosecuzione dell’attività economica.
3.5. Con il quinto motivo d’appello si critica la sentenza impugnata nella parte in cui non ha accolto la censura avanzata dall’odierno appellante circa l’irragionevolezza della scelta operata dall’Amministrazione in sede di classificazione acustica delle aree interessate, per non aver previsto una zona cuscinetto di 100 metri anziché di 50, come effettivamente stabilito tra l’area industriale e l’area residenziale di Borsea.
3.6. Con il sesto motivo d’appello si deduce l’erroneità della pronuncia di primo grado per non aver accolto la tesi del ricorrente secondo cui la classificazione a zona III dell’area di Borsea non rispetterebbe l’effettivo stato dei luoghi, posto che la stessa risulta caratterizzata dalla presenza di una zona urbana ad inteso traffico veicolare e con alta densità di popolazione.
3.7. Con il settimo motivo d’appello viene impugnata la pronuncia del Tar nella parte in cui non ha ravvisato il difetto di istruttoria e di motivazione del provvedimento impugnato per non aver considerato la presenza di tre grandi strade ad intenso flusso veicolare ai fini della classificazione dell’area ex art. 3, comma 2, del DPCM 14/11/1997.
3.8. Infine, con l’ottavo motivo si sostiene che le scelte pianificatorie del Comune sarebbero state finalizzate all’estromissione della società appellante dal panorama industriale della zona nonostante il rispetto da parte dell’impianto di tutte le norme e i limiti previsti dalla normativa di settore.
4. Si sono costituite in giudizio la Regione Veneto e il Comune di Rovigo chiedendo il rigetto del gravame.
All’udienza straordinaria del 7 maggio 2025 il ricorso in appello è stato trattenuto in decisione.
5. Preliminarmente deve osservarsi che con memoria del 4 aprile 2025 il Comune di Rovigo ha eccepito in via preliminare l’inammissibilità del ricorso per sopravvenuto difetto di interesse atteso che, nelle more del presente giudizio d’appello, il Comune di Rovigo ha adottato con D.C.C. n. 83 del 20.11.2023 e successivamente approvato con D.C.C. n. 41 del 28.10.2024 una variante generale al Piano degli Interventi (PI) la quale:
- recepisce nei suoi elaborati cartografici le opere incongrue già individuate dal P.A.T.;
- introduce una specifica disciplina operativa per tali opere prevedendo in particolare che per i manufatti individuati quali opere incongrue “fino al permanere delle condizioni di incompatibilità sono consentiti solo gli interventi di manutenzione ordinaria e/o straordinaria e tutti gli interventi che venissero disposti dall’autorità competente al fine di garantire la pubblica incolumità, sicurezza e salubrità” (art. 94 NTO);
- definisce le modalità applicative per il riconoscimento dei crediti edilizi conseguenti agli interventi di demolizione di queste opere incongrue (art. 11 NTO).
Pertanto, l’eventuale annullamento delle previsioni del PAT in contestazione non sarebbe infatti idoneo a travolgere la disciplina impressa sull’area dalle norme sopravvenute del P.I.
5.1. Con memoria di replica del 16 aprile 2025 Infun For spa ha eccepito l’infondatezza dell’eccezione di sopravvenuto difetto d’interesse rilevando come il PAT costituisca un atto presupposto del PI, e quindi la caducazione del primo determinerebbe l’annullamento anche del successivo in virtù del nesso di presupposizione che intercorre tra i due atti.
5.2. Ad avviso del Collegio l’eccezione è infondata.
Il Piano Regolatore Comunale (PRC) è composto dal Piano Assetto Territoriale (PAT) e dal Piano degli Interventi (PI).
Tali strumenti pianificatori hanno distinte funzioni: il PAT, approvato dalla Giunta Provinciale, contiene le disposizioni strutturali e individua le scelte strategiche rispetto allo sviluppo del territorio, il PI, invece, è approvato dal Consiglio Comunale e contiene le disposizioni operative che danno attuazione alle disposizioni programmatorie del PAT.
In particolare, la disciplina normativa vigente all’epoca dei fatti prevedeva che spettasse al PAT l’individuazione delle opere incongrue e degli elementi di degrado, mentre al Piano degli Interventi la definizione delle azioni operative necessarie per l’eliminazione e/o mitigazione delle stesse.
Tra i due atti vi è quindi un rapporto di presupposizione, posto che il PI rappresenta lo strumento operativo rispetto alle strategie individuate a monte dal PAT.
Pertanto, l’appellante conserva il proprio interesse a ricorrere, posto che l’eventuale annullamento del PAT quale atto presupposto travolgerebbe anche le disposizioni contenute nel PI in ordine alla disciplina delle opere incongrue con efficacia caducante.
6. Il ricorso in appello è tuttavia infondato nel merito.
Quanto al primo motivo d’appello, come correttamente evidenziato dal Giudice di primo grado, la materia della pianificazione urbanistica è caratterizzata da un’ampia discrezionalità e le scelte in tal senso compiute dell’Amministrazione costituiscono apprezzamento di merito sottratto al sindacato di legittimità, se non nel caso di errori di fatto o da abnormi illogicità (ex plurimis Cons. St. Sez. II sent. n. 7787 del 25 ottobre 2024), che invero nella specie non ricorrono.
Le prospettazioni avanzate dall’appellante non risultano convincenti in quanto non emergono errori di fatto o illogicità nell’ambito delle scelte pianificatorie comunali atteso che la disciplina introdotta risponde ad un’esigenza di contemperare due distinte aree contigue, quella residenziale di Borsea, in forte espansione, e l’area industriale preesistente.
La scelta di inserire il complesso industriale dell’appellante nell’ambito delle opere incongrue è perfettamente coerente con il piano di riqualificazione dell’area predisposto dal Comune.
Non risulta dirimente nemmeno il riferimento al possesso della certificazione di conformità Aia atteso che quest’ultima non incide sulla compatibilità del sto rispetto alle scelte di pianificazione territoriale ma attesta solo la conformità rispetto ai parametri in materia ambientale.
7. L’appellante, in generale, argomenta la censura osservando che “sembra a questo patrocinio davvero intuitivo che un impianto industriale quale una fonderia non possa che “appartenere” al tessuto edilizio industriale nel quale esso risulta coerentemente inserito, tessuto classificato quale zona produttiva “D”; con la conseguenza che la qualificazione del compendio quale “opera incongrua” risulta erronea, non potendo di certo un impianto industriale, collocato in zona industriale, determinare “un deprezzamento e una discontinuità morfologica e tipologica” dell’area in cui risulta inserito”.
Orbene, fermo restando che all’evidenza si tratta di un giudizio con cui la parte tende a sostituire la propria valutazione a quella dell’amministrazione, ciò che risulta dirimente nel senso dell’infondatezza è che in realtà la tesi della “congruità” non tiene conto della morfologia anche funzionale nel frattempo assunta dall’area.
La premessa maggiore del sillogismo argomentativo che sorregge l’intero gravame è dunque infondata per un duplice, dirimente ordine di ragioni.
In primo luogo, il potere di pianificazione urbanistica concerne l’ordinato assetto del territorio, e come tale ha un oggetto e una finalità diversi rispetto ai concorrenti poteri pure incidenti sull’uso del territorio, ma relativi ad interessi diversi (quale quello di natura ambientale).
In secondo luogo, la peculiarità della fattispecie in esame è data dal fatto che il territorio comunale in questione è stato interessato, in prospettiva diacronica, da un significativo mutamento morfologico e funzionale, in conseguenza del quale il Comune ha dovuto individuare un nuovo assetto urbanistico che tenesse conto della realtà contemporanea.
8. In tale attività, le scelte che l’appellante censura non solo non risultano manifestamente illogiche od irragionevoli, ma esse sono in qualche modo rese obbligate proprio dalla presa d’atto della ridetta evoluzione morfologica e funzionale del territorio.
Il che ha evidentemente frustrato le aspettative riposte dalla società ricorrente circa la destinazione del proprio fondo e del proprio immobile rispetto all’uso avviato prima di tale processo evolutivo: ma si tratta di un interesse recessivo rispetto a quello all’ordinato ed armonico sviluppo del territorio comunale in funzione degl’interessi collettivi come attualmente risultanti.
Conseguentemente, le censure dell’appellante risultano viziate dalla prospettiva della difesa di una posizione d’interesse unilaterale, certamente incisa dalle nuove scelte urbanistiche, senza però che ciò legittimi la deduzione dei vizi indicati nei motivi del ricorso di primo grado e del ricorso in appello.
In particolare, è bensì vero che il Comune dovrebbe regolare, mediante gli atti pianificatori, un corretto equilibrio fra gli usi già insediati ed i futuri assetti, ma nel caso in esame si è resa prioritaria un’esigenza di riqualificazione dell’area.
De resto, se sul piano eziologico (fermo restando quanto si dirà in argomento al punto successivo) tale esigenza sia riconducibile ad attività dell’amministrazione concretizzatasi in provvedimenti, questi ultimi si sarebbero evidentemente dovuti tempestivamente impugnare, posto che essi avevano – secondo la stessa prospettazione posta a fondamento del gravame - l’effetto di trasformare l’area in modo lesivo per gli interessi dell’attuale appellante.
Inoltre, come dedotto dall’amministrazione comunale, la normativa impugnata non prevede una modifica alla destinazione d’uso dell’area né un obbligo di trasferimento dell’impianto industriale ma unicamente l’introduzione di un regime transitorio che consenta interventi edilizi di restauro, risanamento conservativo e interventi finalizzati a ridurre l’impatto ambientale in attesa della definizione della disciplina di dettaglio da parte del PI.
9. Il ricorso in appello lamenta in più punti che “il disordinato sviluppo dell’abitato di Borsea nel corso del tempo” sarebbe “dipeso dalle (erronee) scelte localizzative dell’Amministrazione medesima”, e conseguentemente che il Comune appellato “non si fa alcuno scrupolo nel far ricadere su Infun For le conseguenze delle incoerenti scelte comunali, di cui l’azienda non porta evidentemente alcuna responsabilità”.
Un simile argomento difensivo non può evidentemente avere refluenza sul piano delle regole di validità, e dunque sul terreno della legittimità dei provvedimenti impugnati: qualche sia la causa dello sviluppo dell’assetto territoriale che ha imposto la contestata scelta pianificatoria, essa risulta logica e ragionevole rispetto all’esigenza di una pianificazione urbanistica funzionale ad un armonico assetto del territorio (per come esso oggi si presenta: quale che sia il fattore eziologico dello sviluppo).
In altre parole, una volta acclarato che il territorio comunale ha assunto una conformazione che rende incongrua la localizzazione dell’impianto industriale, e che impone scelte funzionali coerenti alla superiore esigenza di garantire un ordinato sviluppo territoriale, l’allegazione di un concorso dell’azione od omissione comunale nella determinazione di un simile stato di fatto non può evidentemente, ove se ne dimostri l’effettiva imputabilità sul piano eziologico, costituire causa d’illegittimità del provvedimento che di tale stato di fatto prende atto, facendo prevalere l’interesse del singolo proprietario rispetto a quello della collettività, sol perché la causazione di tutto ciò sarebbe imputabile all’azione (o all’inazione) amministrativa.
Nel caso in esame, infatti, non essendo le parti legate da un vincolo convenzionale (si veda in tal senso T.A.R. Lombardia, Milano, sentenza 17 marzo 2016, n. 517), la modifica unilaterale dell’assetto urbanistico mediante esercizio di poteri autoritativi non determina per ciò solo un profilo d’invalidità, nella parte in cui risulta lesiva dell’affidamento ingenerato nel proprietario circa gli usi possibili di un immobile già realizzato.
Una simile pretesa può al più, sussistendone le condizioni, rilevare sul piano delle regole di responsabilità: anche eventualmente implicando sul piano della riparazione un onere di cooperazione dell’amministrazione comunale nella ricerca, in sede di approntamento della disciplina di dettaglio, di una localizzazione alternativa al minor costo (detratta l’eventuale rendita riveniente da un possibile uso alternativo dell’immobile compatibile con il nuovo assetto).
10. Parimenti infondati – in conseguenza di quanto sopra ritenuto - sono il secondo, il terzo e il quarto motivo d’appello, che possono essere trattati congiuntamente.
Sul punto giova ricordare che la disciplina del PAT e del PI ha subito nel tempo diverse modifiche. Nella formulazione previgente, in vigore all’epoca dei fatti, l’art. 36 della L.R. n. 11/2004 attribuiva al PAT il compito di individuare le opere incongrue e al successivo PI la determinazione della disciplina di dettaglio applicabile.
Pertanto non risulta integrato alcun vizio di incompetenza posto che il Comune ha agito in perfetta aderenza al dettato normativo regionale individuando l’opera incongrua a mezzo del PAT e adottando successivamente la disciplina operativa con il PI che ha definito modalità ed entità del credito edilizio attribuito al privato per la ricostruzione dell’opera in altro sito.
Inoltre, la circostanza che il PAT abbia introdotto una disciplina transitoria in attesa dell’approvazione del PI non incide sulla legittimità dell’atto in quanto le disposizioni previste miravano all’individuazione degli interventi edilizi consentiti in attesa della definizione della disciplina di dettaglio da parte dello strumento urbanistico operativo.
11. I restanti motivi d’appello sono del pari infondati.
Ed invero, anche con riferimento alle scelte di classificazione acustica, come per gli altri atti di pianificazione del territorio, l’Amministrazione gode di ampia discrezionalità con tutte le conseguenze che ne discendono in ordine ai limiti del sindacato dell’esercizio del potere in tale materia che deve necessariamente essere limitato ai soli casi di illogicità, irrazionalità ovvero travisamenti sintomatici della sussistenza del vizio di eccesso di potere e, più in generale, quando viene violato il principio di ragionevolezza.
Nel caso di specie le circostanze rappresentate dall’appellante in ordine alla necessità di ampliare la “zona cuscinetto” tra l’area residenziale di Borsea e l’area industriale da 50 mt a 100 mt, la necessità di riclassificare l’area residenziale come zona IV alla luce della presenza di un’alta densità di popolazione e la presenza di tre strade ad alto flusso veicolare risultano, come accennato, funzionali alla prospettiva unilaterale della difesa dell’uso dell’immobile, ma non evidenziano obiettivi profili di illogicità od irragionevolezza delle scelte contestate.
Esse, inoltre, non risultano accompagnate da adeguati riscontri tecnici di misurazione dell’impatto acustico di tali elementi sull’area, non consentendo, anche per questo, di ritenere illogica e irragionevole la scelta del Comune.
Inoltre, l’eventuale valutazione del merito di tali scelte contrasterebbe con i limiti previsti in tema di sindacato giurisdizionale delle stesse.
12. Alle superiori considerazioni consegue il rigetto del gravame perché infondato.
La peculiarità della fattispecie giustifica la compensazione fra le parti delle spese del giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 7 maggio 2025 con l'intervento dei magistrati:
Fabio Franconiero, Presidente FF
Giovanni Tulumello, Consigliere, Estensore
Maria Grazia Vivarelli, Consigliere
Ugo De Carlo, Consigliere
Roberto Michele Palmieri, Consigliere