Consiglio di Stato Sez. VI n. 4769 del 3 giugno 2025
Urbanistica.Silenzio-assenso sull'istanza di condono edilizio inerente ad opere abusive realizzate in area sottoposta a vincolo

Il silenzio-assenso sull'istanza di condono edilizio inerente ad opere abusive realizzate in area sottoposta a vincolo si perfeziona, ai sensi del combinato disposto di cui agli artt. 35 e 32, comma 1, l. n. 47/1985 , unicamente in presenza del parere favorevole dell'autorità preposta alla tutela del vincolo medesimo e non anche in caso di parere negativo. Il silenzio-assenso non si perfeziona, infatti, per il solo fatto dell'inutile decorso del termine perentorio a far data dalla presentazione della domanda di sanatoria, essendo necessario che sussistano tutti i presupposti sostanziali, soggettivi e oggettivi, ai quali è subordinato il rilascio del condono. In ogni caso, il condono non può intendersi rilasciato nel caso in cui sia decorso il termine di ventiquattro mesi, previsto dall' art. 35, comma 12, l. 47 del 1985, ciò in quanto, nel caso di abusi in area vincolata, il termine per la formazione del silenzio-assenso decorre solamente dall'emanazione del parere favorevole, secondo quanto previsto dall' art. 32 della citata legge 47/1985

Pubblicato il 03/06/2025

N. 04769/2025REG.PROV.COLL.

N. 09658/2020 REG.RIC.

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REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 9658 del 2020, proposto da
Eur Time S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Raffaele Izzo, Alessandro Vinci Orlando e Linda Cilia, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Raffaele Izzo in Roma, via Boezio n. 2;

contro

Roma Capitale, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Umberto Garofoli, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via del Tempio di Giove, n. 21;
Ministero della Cultura, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;

nei confronti

Parco Regionale dell'Appia Antica, non costituito in giudizio;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, Sezione Seconda, n. 4702/2020, resa tra le parti.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di Roma Capitale e del Ministero della Cultura;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 15 maggio 2025 il Cons. Giovanni Gallone e uditi per le parti gli avvocati Linda Cilia e Umberto Garofoli;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

1. Eur Time S.r.l. (di seguito anche solo Eur Time) è proprietaria di un complesso industriale della consistenza di circa 37.674 mq sito in Roma, via Appia Nuova 1608, km 16,600, e distinto in catasto al foglio 990, particella 184.

Trattasi, in particolare, del compendio aziendale già di proprietà della impresa individuale Lorenzini Natale, originariamente distinto in catasto al foglio 900, part. 218 di mq 12.342, part. 38 di mq. 552, part. 213 di mq 92, part. 214 di mq 48 (appartenenti al Catasto Terreni), part. 182 di mq 49 e part. 184 di mq 24.401 (appartenenti al Catasto Fabbricati).

La Eur Time è divenuta proprietaria dell’immobile in questione nel 2011 acquistandolo dalla TAT S.r.l., avente causa della Marino Appalti S.r.l. cui il complesso aziendale era stato trasferito dal Tribunale Fallimentare di Grosseto (dichiarazione di fallimento n. 3138 di Lorenzini Natale) con decreto del 29 ottobre 1998 registrato al n. 1713 del 4 novembre 1998.

Detto complesso industriale, che avrebbe cominciato a sorgere negli anni ’50 e sarebbe stato completato nel 1960 in assenza di titolo edilizio, comprende gli impianti di produzione di conglomerato bituminoso e cementizio, i relativi depositi inerti, uffici, officine, magazzini vari ed il deposito automezzi.

1.1 In data 30 settembre 1986 l’allora proprietario Lorenzini Natale ha presentato una domanda di sanatoria ex L. n. 47 del 1985 acquisita al prot. n. 33745 dell’XI Circoscrizione del Comune di Roma, nonché, in data 21 maggio 1987, al prot. n. 139479 del Comune di Roma, Ripartizione XV per la regolarizzazione della destinazione d’uso dell’immobile (“attività industriale o artigianale”) e per la sanatoria dei fabbricati insistenti sull’area oggi di proprietà della Eur Time (pratica n. 87/139479) e, in particolare, per la regolarizzazione delle strutture operative presenti nell’area (manufatti, laboratorio, officine, depositi, casa del custode, tettoia, ecc.) per una superficie complessiva pari a 1.012,75 mq, per l’allacciamento alla rete elettrica e per i parcheggi, per un totale di circa 23.000 mq di aree pertinenziali.

1.2 Alla data dell’acquisito della proprietà da parte di Eur Time S.r.l., il procedimento di condono avviato nel 1986 con la citata istanza non si era ancora concluso.

Con nota del 28 novembre 2013 la società ha quindi diffidato l’Ufficio Speciale Condoni Edilizi a definire il procedimento.

In risposta alla richiesta della società, con nota prot. 95604 del 31 dicembre 2013, l’amministrazione ha comunicato che “non risulta avviata ancora l’istruttoria della pratica in oggetto”.

Con successiva nota prot. n. 2090 del 14 gennaio 2014, Roma Capitale ha poi dichiarato che l’istanza di condono allo “stato attuale è in una fase iniziale di istruttoria” ed ha indicato il nominativo del Responsabile del procedimento.

Sennonché, con le successive note prot. n. 22107 del 19 febbraio 2014 e 35440 dell’11 marzo 2014, su ulteriore sollecito di parte, il Dirigente del Dipartimento Programmazione e Attuazione Urbanistica ha riferito quanto “trasmesso dal Responsabile del Procedimento” e “cioè che la domanda di condono n. 87/139479 è stata definita negativamente in ragione dell’articolo 62 della DCR n. 79/2010 relativa «all’istruttoria per l’approvazione del PTP 15/12 Valle della Caffarella, Appia Antica ed Acquedotti», che ritiene incompatibili con gli obiettivi di tutela le attività ed i manufatti di tipo industriale e artigianale (capannoni ed altro) oggetto dell’istanza di condono. Si informa inoltre che il preavviso di rigetto prot. n. QI 8812 del 29/01/2014 è stato inviato alla Eur Time srl in qualità di proprietaria dell’immobile”.

1.3 Non avendo ricevuto formale comunicazione né del definitivo provvedimento di diniego del condono né del prodromico preavviso di rigetto, Eur Time, con nota del 7 marzo 2014, ha formulato alcune controdeduzioni ed ha invitato l’amministrazione a rideterminarsi.

2. A fronte della perdurante inerzia del Comune, con ricorso notificato in data 5 maggio 2014 e depositato in data 28 maggio 2014 innanzi il T.A.R. per il Lazio – sede di Roma, Eur Time ha impugnato, domandandone l’annullamento, i seguenti atti:

-la determinazione di cui alle note del 19 febbraio 2014, prot. n. 22107 e 11 marzo 2014, prot. n. 35440;

-il preavviso di rigetto prot. n. QI2212 del 29/01/2014;

-la nota del Dipartimento Programmazione e Attuazione Urbanistica Ufficio condono edilizio del 14 gennaio 2014, prot. n. 2090;

-tutti gli atti e le risultanze del procedimento istruttorio trasmesse dal Responsabile del procedimento tra cui la nota del Dipartimento Programmazione e Attuazione Urbanistica- Direzione edilizia U.O. condoni con la quale si comunica che “non risulta agli atti di questa direzione nomina del Responsabile del procedimento”;

-ogni altro atto presupposto, connesso o collegato a quelli impugnati.

Con il medesimo ricorso la società ha proposto domanda per il risarcimento dei danni asseritamente subiti in conseguenza della mancata conclusione, nonostante il lungo lasso di tempo trascorso (pari a circa 34 anni), nella definizione del procedimento.

2.1 A sostegno del ricorso di primo grado è stata dedotta un’unica censura rubricata “Violazione a falsa applicazione dell'articolo 21 septies, 10-bis e 3 legge 241/90. Violazione e falsa applicazione degli articoli Eccesso di potere per illogicità, ingiustizia manifesta, carenza e difetto di presupposti e di istruttoria, contraddittorietà. Violazione del principio di buon andamento. Sviamento”.

3. Successivamente alla notifica del suddetto ricorso, con nota prot. 6359 del 28 aprile 2014, il Dirigente del Dipartimento Programmazione e Attuazione Urbanistica, preso atto delle controdeduzioni rassegnate dalla Eur Time in ordine all’illegittimità delle suddette determinazioni anche per l’assenza di formale notifica del preavviso di rigetto, da un lato, ha evidenziato che “in data 31.12.2013 con prot. U.C.E. n. 95604 e in data 14.01.2014 con prot. U.C.E. n. 2090 […] la scrivente ha provveduto a comunicare il nominativo del responsabile del procedimento cui ad oggi compete la responsabilità dello svolgimento dell’attività istruttoria” e, dall’altro, ha esposto che avrebbe successivamente “provveduto a riadottare il preavviso di rigetto, in ordine ai vincoli che insistono sull’area”.

3.1 Avverso tale nota prot. 63594 del 28 aprile 2014 Eur Time ha proposto, sempre dinanzi al T.A.R per il Lazio – sede di Roma, ricorso per motivi aggiunti notificato in data 9 luglio 2014 e depositato il 17 luglio 2014, chiedendone l’annullamento.

La società ha, altresì, proposto l’azione di accertamento dell’avvenuta formazione del provvedimento tacito di accoglimento della domanda di condono e chiesto nuovamente la condanna dell’amministrazione al risarcimento dei danni.

A sostegno del ricorso è stata dedotta un’unica censura così rubricata: “Violazione e falsa applicazione della legge 47/1985 e della legge 241/1990. Eccesso di potere per illogicità, ingiustizia, manifesta, carenza e difetto di presupposti e di istruttoria, contraddittorietà. Violazione del principio di buon andamento. Sviamento”.

4. Con atto notificato il 10 settembre 2018 e depositato il 14 settembre 2018 Eur Time ha proposto, sulla scorta della documentazione acquisita dalla società in sede di accesso (e, segnatamente, della licenza prot. n. 3124 del 1985 rilasciata dall’Ufficio Urbanistica Edilizia Privata “per l’esercizio dell’attività relativa alla preparazione di conglomerato bituminoso e cementizio situato in Roma Via Appia Nuova Km 16+600”), ulteriori motivi aggiunti a sostegno delle domande già proposte.

5.Ad esito del giudizio di primo grado, con la sentenza indicata in epigrafe, il T.A.R. per il Lazio - sede di Roma, ha respinto il suddetto ricorso come integrato da motivi aggiunti proposti in corso di causa ritenendo, in particolare, che “l’atto prot. n. 19 febbraio 2014 deve essere qualificato in termini di determinazione conclusiva del procedimento avviato con la presentazione dell’istanza di condono”.

6. Ora, con ricorso notificato in data 3 dicembre 2020 e depositato in data 11 dicembre 2020, la società Eur Time S.r.l. ha proposto appello avverso la suddetta decisione chiedendone la riforma.

6.1 A sostegno del gravame ha indicato i motivi così rubricati:

I) Violazione del principio del giusto processo e della sua ragionevole durata; violazione del principio della parità processuale delle parti e della leale collaborazione: art. 111 della Costituzione, art. 6 della CEDU e art. 2 c.p.a. Violazione e falsa applicazione dell’art. 84, comma 5, del D.L. 18/2020 convertito, con modificazioni, in L. 24 aprile 2020, n. 27 e del principio del contraddittorio. Nullità della sentenza per carenza di potere giurisdizionale: violazione del principio della separazione dei poteri dello Stato e dei limiti della giurisdizione amministrativa ex art. 7 c.p.a. e 34, comma 2, c.p.a.;

II) Incoerenza dell’approccio argomentativo della sentenza e del suo impianto motivazionale; contraddittorietà. Violazione del principio della parità processuale delle parti e della leale collaborazione (art. 111 della Costituzione, art. 6 della CEDU e art. 2 c.p.a.) e del principio dispositivo (art. 64 c.p.a.). Violazione del principio di corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato (art. 112 c.p.c.): ultrapetizione. Violazione e falsa applicazione degli artt. 35 e 43 c.p.a.. Violazione e falsa applicazione degli artt. 10 bis, 21 quinquies, 21 septies, 21 octies e 21 nonies della L. 241/1990. Violazione e falsa applicazione della L. 47/1985 e dell’art. 62 della DCR 79/2010. Riproposizione dei motivi di diritto spiegati in prime cure;

III) Violazione dell’art. 26 c.p.a. e degli artt. 91 e 92 c.p.c.;

IV) Violazione e falsa applicazione dell’art. 2 bis della L. 241/1990. Incoerenza dell’impianto motivazionale della sentenza ed erronea interpretazione degli atti e dei fati di causa. Omesso esame circa un fatto decisivo della controversia: motivazione insufficiente e contraddittoria. Riproposizione della domanda risarcitoria ex art. 101, comma 2 c.p.a..

7. In data 29 dicembre 2020 Roma Capitale si è costituita in giudizio per resistere avverso l’appello.

8. In data 7 ottobre 2024 parte appellante ha depositato una memoria difensiva.

8.1 Il 17 ottobre 2024 la stessa ha depositato anche memorie in replica.

9. In data 29 ottobre 2024 il Ministero per i beni e le attività culturali si è costituito in giudizio.

10. Ad esito dell’udienza pubblica del 7 novembre 2024 questa Sezione, ritenendo la causa non ancora matura per la decisione ha disposto, con ordinanza collegiale n. 9284 del 2024, il compimento approfondimenti istruttori volti, tra l’altro, a valutare la perdurante procedibilità del ricorso di primo grado a seguito dell’intervenuta adozione da parte di Roma Capitale - Dipartimento Programmazione e Attuazione Urbanistica - Ufficio di scopo Condono Edilizio delle determinazioni nr. 1352 del 2020 e 1659 del 2020 di rigetto dell'istanza di Condono prot. 87/139479 sot.0 del 21 maggio 1987 presentata dal Sig. Natale Lorenzini.

In particolare, ha ordinato a Roma Capitale - Dipartimento Programmazione e Attuazione Urbanistica - Ufficio di scopo Condono Edilizio:

- il deposito del “controllo tecnico predisposto con nota prot. QI 98654 del 14.09.2020 da parte del Servizio Tecnico di Coordinamento dell'Ufficio di Scopo Condono Edilizio sulle motivazioni poste alla base del presente provvedimento di reiezione” di cui si fa menzione nella determinazione dirigenziale n. rep. QI/1659/2020 n. prot. QI/127346/2020 del 5 novembre 2020;

- di esibire una dettagliata relazione di chiarimenti ex art. 63 comma 1 c.p.a. sulla vicenda dedotta in contenzioso che chiarisca, in particolare, se la determinazione dirigenziale n. rep. QI/1659/2020 n. prot. QI/127346/2020 del 5 novembre 2020 si riferisca agli immobili per cui è causa e, in caso positivo, in che rapporto si ponga con la precedente nota del 19 febbraio 2014, prot. n. 22107 gravata in prime cure anche specificando quale tipo di attività (anche eventualmente istruttoria o valutativa) è stata compiuta dopo l’adozione di tale nota del 19 febbraio 2014.

11. In data 3 gennaio 2025 Roma Capitale ha adempiuto all’ordine istruttorio depositando la documentazione richiesta.

12. Il 14 aprile 2025 parte appellante ha depositato memorie difensive.

13. All’udienza pubblica del 15 maggio 2025 la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

1. Con il primo motivo di appello si censura la sentenza impugnata nella parte in cui ha disposto “lo stralcio delle produzioni della difesa dell’amministrazione comunale, tardivamente prodotte in data 20 aprile 2020, evidenziando che, stante l’assenza di istanze di rimessioni in termini ex art. 84 del d.l. n. 18 del 2020 e la completezza degli elementi necessari ai fini del decidere, non si valutano sussistenti ragioni per un differimento ulteriore della trattazione della causa, avendo le parti ampiamente ribadito le rispettive posizioni, nel rispetto del diritto di difesa ed imponendosi la sollecita definizione del giudizio”.

Osserva parte appellante che nel disporre tale stralcio il T.A.R non solo avrebbe fatto cattivo governo dell’art. 84, comma 5, del D.L. n. 18/2020 violando il principio della parità delle parti e del contraddittorio ma avrebbe anche omesso di prendere in considerazione la relazione di Roma Capitale la quale assumerebbe un valore sostanzialmente confessorio. Nel dettaglio si deduce che in tale relazione del 17 aprile 2020 del Dipartimento Programmazione e Attuazione Urbanistica – Ufficio di Scopo Condono Edilizio si afferma, tra l’altro, che:

- “Dagli atti a disposizione di questo Ufficio si evince che il procedimento di condono edilizio interessato dal contenzioso in oggetto non è stato ancora definito”;

- “che le “determinazioni” di cui alle note del 19 febbraio 2014 prot. 22017 e dell’11 marzo 2014 prot. 35440” oggetto del ricorso introduttivo “risultano tracciate dal sistema informatico SICER e indicate per oggetto come note informative”;

- che prima di procedere all’eventuale reiezione dell’istanza “emergeva la necessità della previa acquisizione del parere della Soprintendenza”;

- che “la pratica dal sistema SICER risulta, quindi, a tutt’oggi non definita”.

Secondo parte appellante, quindi, con detta relazione erroneamente stralciata dal giudizio di primo grado dal T.A.R., la medesima amministrazione dalla quale promanavano le note (cautelativamente) impugnate con il ricorso introduttivo del giudizio, avrebbe ammesso di non aver ancora esercitato il proprio potere in ordine all’istanza di condono.

Si aggiunge che ciò sarebbe stato confermato dal prosieguo del procedimento e, segnatamente, sia dalla nota prot. 56782/2020 con la quale, finanche dopo la pubblicazione della sentenza gravata, Roma Capitale ha continuato a dar conto della necessità di istruire ancora la pratica 87/139479, sia dalle più recenti determine dirigenziali prot. n. 1352 del 22.09.2020 e n. 1659 del 5.11.2020 (tutte depositate in giudizio da parte appellante) con le quali l’istanza di condono è stata formalmente respinta.

Si deduce, quindi, che la sentenza impugnata sarebbe nulla per carenza di potere giurisdizionale essendosi posta in violazione del principio della separazione dei poteri (artt. 7, comma 1, e 34, comma 2, c.p.a.), che esclude che il giudice possa sostituirsi all'amministrazione esercitando in giudizio il potere riservato alla medesima. Riserva avvalorata dal testo dell’art. 34, comma 2, c.p.a. in base al quale “in nessun caso” il giudice si può pronunciare in relazione a poteri amministrativi non ancora esercitati, e quindi in via preventiva, prima che l’amministrazione abbia provveduto.

2. Con il secondo motivo di appello si censura la sentenza impugnata sotto una pluralità di distinti profili.

Nel dettaglio, si deduce l’erroneità in rito della pronuncia:

- nella parte in cui ha ritenuto tardivamente proposto il secondo ricorso per motivi aggiunti in quanto “scaturito, secondo quanto esposto dalla ricorrente, dalle produzioni documentali delle amministrazioni resistenti in quanto, per regola generale, costantemente affermata dall’univoca giurisprudenza il che esime da citazioni specifiche), sussiste l’onere per gli interessati di attivarsi tempestivamente con gli strumenti all’uopo previsti dall’ordinamento (diritto di accesso) per l’acquisizione di documenti, secondo canoni di diligenza che impongono di agire a propria tutela senza ingiustificate dilazioni, scongiurando l’insorgere di una situazione di incertezza contraria ai principi ordinamentali”;

- nella parte in cui ha ritenuto improcedibile il ricorso per la mancata impugnazione “delle determinazioni assunte dalla Soprintendenza Speciale per i Beni Archeologici nel 2014 […] con le quali è stato ingiunto il ripristino dello stato dei luoghi relativamente a quanto abusivamente edificato, con riferimento anche al provvedimento demolitorio adottato dall’amministrazione comunale in data 1 febbraio 2010 (determinazione dirigenziale del Comune di Roma, n. 197)”.

Sotto il primo aspetto si osserva che la difesa di Eur Time non avrebbe mai affermato che la proposizione dei secondi motivi aggiunti sia dipesa dalla produzione di documentazione in giudizio da parte della P.A. ma, anzi, avrebbe dichiarato che la loro formulazione avvenuta proprio in conseguenza dell’esercizio del diritto di accesso in data 12 giugno 2018.

Sotto il secondo aspetto parte appellante deduce che le determinazioni assunte dalla Soprintendenza Speciale per i Beni Archeologici nel 2014 sarebbero atti estranei al presente giudizio (e finanche estranei al parallelo ricorso distinto al n. R.G. 2028/2015 proposto dinanzi al T.A.R. per il Lazio – sede di Roma) in quanto aventi ad oggetto opere diverse dai manufatti e dai fabbricati di cui all’istanza di condono di che trattasi (e, segnatamente ad interventi riferibili non imputabili ad Eur Time, bensì alla Società Pino Immobiliare 84 e posti in essere sul solo c.d. “lotto D”, corrispondente alla originaria particella 218 del foglio 990, peraltro non sottoposta al vincolo archeologico imposto D.M. dell’8.07.1989).

2.1 Parte appellante deduce anche l’erroneità nel merito della decisione di primo grado nella parte in cui afferma che:

- “nella fattispecie viene in rilievo il rigetto della domanda di sanatoria [di] opere abusive realizzate su una porzione di terreno in proprietà della ricorrente di più ampia consistenza, segnatamente 37.674 mq sita in Roma, Via Appia Nuova 1608, KM 16.600, sottoposta a plurimi vincoli di carattere paesaggistico ambientale ed anche archeologico”;

- “l’atto prot. n. [22107 del] 19 febbraio 2014 deve essere qualificato in termini di determinazione conclusiva del procedimento avviato con la presentazione dell’istanza di condono, essendo individuabili, pur nella sinteticità della determinazione, tutti gli elementi essenziali del provvedimento amministrativo, inclusa la sottoscrizione da parte del dirigente, i[l] quale ha richiamato, in tal modo facendo proprie, le valutazioni negative espresse dal responsabile del procedimento, recependone, dunque, le conclusioni”;

- “dalla stessa domanda di condono emerge che le opere sono state completate nel 1960, quando il vincolo paesaggistico ambientale […] era già esistente […] il Collegio rileva che già all’epoca insisteva sulle aree de quibus il vincolo il vincolo ai sensi della legge 1497 del 1939, come individuato dal d.m. 14.12.1953, pubblicato sulla GU n.290 del 18/12/1953, oltre che dalle numerose e pregresse previsioni alla base dell’approvazione del PTP 15/12, con deliberazione del Consiglio Regionale n. 70 del 2010”.

Osserva parte appellante che la sentenza sarebbe viziata:

- da ultrapetizione, per aver dato rilievo all’esistenza di vincoli di natura paesaggistico-ambientale non richiamati nell’atto impugnato;

- per aver ritenuto che la nota prot. n. 22107 del 19 febbraio 2014 constasse di tutti i necessari elementi per assumere natura provvedimentale.

Quanto al primo aspetto si deduce che il T.A.R. si sarebbe spinto sino ad affermare che la P.A. abbia posto alla base del proprio “diniego” il D.M. 14 dicembre 1953: decreto tuttavia non richiamato nelle note prot. 22107 del 19.02.2014 e 35440 dell’11.03.2014, e non citato nel preavviso di rigetto (comunque non notificato ad Eur Time e prodotto dall’amministrazione in prime cure solo in data 14.02.2020) quale causa ostativa al rilascio della concessione in sanatoria. Si osserva, in particolare, che con tale atto la P.A. si sarebbe limitata a riepilogare i vincoli gravanti sull’area (archeologico ex D.M. 23 febbraio 1953, paesaggistico ex D.M. 14 dicembre 1953 e 16 ottobre 1998, istituzione del Parco dell’Appia Antica), individuando però l’unico effettivo ostacolo al rilascio della concessione in sanatoria nell’esistenza dell’art. 62, comma 2, del P.T.P. 15/12 per il quale “Sono specificamente da ritenersi incompatibili con gli obiettivi della tutela i seguenti manufatti e modi d'uso del suolo: […] le attività ed i manufatti di tipo industriale ed artigianale (capannoni ed altro)”, al pari di quanto espresso nelle suindicate note prot. n. 22107/2014 e prot. n. 35440/2014. Si aggiunge, in proposito, che:

- il P.T.P. 15/12 è stato approvato con D.C.R. 70/2010 sicché si tratterebbe di un vincolo non esistente né al momento dell’ultimazione dell’impianto (avvenuta entro gli anni ‘60), né al momento della presentazione dell’istanza di condono (30 settembre 1986), né intervenuto nel termine di 24 mesi entro il quale la predetta istanza avrebbe dovuto essere istruita e riscontrata;

- l’area in questione, ricadente in zona N di P.R.G. (all’epoca dell’abuso non dotata di piano particolareggiato) sarebbe stata gravata da vincoli i quali, tuttavia o non sarebbero stati tali da incidere negativamente sull’esistenza degli impianti in questione (id est i D.M. 23/02/1953, 14/12/1953 e 11/02/1960) ovvero sarebbero sorti in epoca successiva sia al completamento dei manufatti oggetto dell’istanza di condono, sia alla presentazione della stessa; in particolare, con i D.M. 23/02/1953 e 14/12/1953 si sarebbe solo inteso assoggettare l’esecuzione di eventuali opere all’autorizzazione delle competenti Soprintendenze.

Ancora si deduce che sulla compatibilità dei manufatti, dei fabbricati e dei parcheggi per i quali è stata presentata l’istanza di condono, Roma Capitale si sarebbe già positivamente espressa – riconoscendone la conciliabilità con i vincoli archeologici e paesaggistici già al tempo esistenti (ivi compreso il D.M. del ’53 da ultimo richiamato) – concedendone l’uso con la licenza 3124/85.

Quanto al secondo aspetto si mette in evidenza che la nota prot. n. 22107 del 19 febbraio 2014 non potrebbe assume valore provvedimentale di diniego dell’istanza di condono in quanto sprovvista del necessario apparato motivazionale contenendo la stessa solo un mero richiamo del vincolo di incompatibilità posto dalla normativa sopravvenuta (art. 62 del P.T.P. 15/12) senza considerare se, nella fattispecie in esame, si fossero verificate o meno le condizioni previste dalla legge per la sanabilità dell’intervento. Sul punto si aggiunge che, anche a considerare la nota prot. n. 22107 del 19 febbraio 2014 quale provvedimento di diniego quest’ultimo sarebbe stato reso senza ottenimento di preventivo parere ex art. 32 della l. n. 47 del 1985 alla competente Soprintendenza.

2.2 Si censura poi la sentenza impugnata anche nella parte in cui ha affermato che “non può ritenersi integrato alcun silenzio assenso sull’istanza di condono, non essendo la stessa configurabile nel caso di richiesta di condono di manufatti realizzati in zona soggetta a vincolo” in quanto “la mancata allegazione dell'autorizzazione paesistica ai sensi dell'art. 7 della legge n. 1497 del 1939, ovvero, in chiave di sanatoria, dell'equivalente parere favorevole ai sensi dell'art. 32 della legge n. 47 del 1985, impedisce la formazione del silenzio assenso sia ai fini del rilascio della concessione edilizia ordinaria sia a fini della sanatoria ex art. 35 della legge n. 47 del 1985 citata. Nella specie, non trovando applicazione, ratione temporis, alcuna norma idonea a consentire la formazione per silentium dell'autorizzazione paesistica in sanatoria, non erano ravvisabili i presupposti per la formazione del silenzio assenso ai fini della concessione in sanatoria”.

Questa affermazione sarebbe in contraddizione con quanto statuito in precedenza in quanto il giudice di prime cure avrebbe, da un lato, respinto la tesi esposta dalla odierna appellante in merito all’intervenuta formazione del silenzio assenso sull’istanza di condono facendo perno sulla necessaria acquisizione del parere in questione e, dall’altra, avrebbe ritenuto di non valorizzare detta carenza in relazione alla dedotta illegittimità ed al denunciato difetto di istruttoria e di motivazione dei provvedimenti impugnati.

2.3 Sotto un quarto profilo si censura la sentenza impugnata nella parte in cui si afferma che, alla luce della “natura vincolata del procedimento”, “alcuna efficacia invalidante può riconnettersi alla omessa comunicazione dei motivi ostativi all’accoglimento dell’istanza, soccorrendo le previsioni dell’art. 21 octies della l. 241/1990, in quanto per le ragioni sopra esposte, la determinazione conclusiva non avrebbe comunque [potuto] essere diversa da quella in concreto adottata dall’amministrazione”.

Osserva parte appellante, da un lato, che, in ragione della mancata notifica dei motivi ostativi all’accoglimento dell’istanza, la società odierna appellante avrebbe potuto far rilevare solo in sede giurisdizionale il difetto del parere della competente Soprintendenza ai sensi dell’art. 32 L. 47/85; dall’altro lato, in assenza del parere di congruità ex art. 32 l. 47/85 non sarebbe possibile affermare che “la determinazione conclusiva non avrebbe comunque [potuto] essere diversa da quella in concreto adottata dall’amministrazione”.

2.4 Sotto un quinto profilo, la sentenza impugnata parimente errata sarebbe ove ha ricondotto le opere oggetto dell’istanza di condono ad “una consistenza dichiarata […] pari a 1.000 mq, collocabili nella porzione di terreno contrassegnata con la lettera E (cfr. deduzioni amministrazioni e planimetrie di cui al sopra indicato all. 22 di parte ricorrente)”, rilevando altresì che “la domanda presentata era tutt’altro che completa di tutti gli elementi necessari alla compiuta identificazione delle opere, non recando alcuna descrizione delle stesse, essendo anche richiamate [nella sola nota del 28.04.2014 impugnata con motivi aggiunti] dichiarazioni sottoscritte dal Sig. Maurizio Pilastri, in ordine alla realizzazione di una copertura di una piscina entro il 31 dicembre 1993, con riferimento alla quale neppure in giudizio parte ricorrente ha esplicitato alcunché.”

Si deduce, in proposito, che:

- non corrisponderebbe a verità che oggetto della domanda di condono erano unicamente i manufatti insistenti sul lotto E atteso che, come chiarito dalla relazione di consulenza di parte depositata nel corso del giudizio di primo grado, l’istanza presentata dal Sig. Lorenzini avrebbe riguardato “la concessione in sanatoria per i circa 1000 mq netti di struttura, l’allacciamento alla rete elettrica, gli spazi per parcheggi e circa 23.000 mq di aree pertinenziali (sezione seconda – quadro g) del modello 47/D)”;

- il T.A.R. avrebbe valorizzato aspetti del tutto estranei alla presente vertenza quali le “dichiarazioni sottoscritte dal Sig. Maurizio Pilastri, in ordine alla realizzazione di una copertura di una piscina entro il 31 dicembre 1993, con riferimento alla quale neppure in giudizio parte ricorrente ha esplicitato alcunché” cui faceva riferimento la nota prot. 63594 del 28 aprile 2014; dichiarazioni che, in realtà, costituirebbero un mero refuso e proverrebbero in ogni caso da soggetto estraneo alla Eur Time e che riveste la qualità di Presidente del Consiglio di Amministrazione del Consorzio Appia Antica S.c.a.r.l. il quale, nel 2004, ha stipulato con Roma Capitale e con l’Ente Parco un Protocollo d’Intesa per la delocalizzazione delle attività ritenute incompatibili con le esigenze di tutela del Parco dell’Appia Antica.

2.5 Sotto un sesto profilo la sentenza sarebbe errata nella parte in cui ha ritenuto che la circostanza che l’immobile sia stato acquistato nell’ambito di una vendita all’incanto ad esito di procedura concorsuale non costituisce elemento rilevante ai fini della sanabilità dell’abuso comportando, per converso, la sola applicazione, ai sensi dell’art. 40 della L. n. 47/85, “di un più ampio termine di presentazione della domanda”.

Osserva parte appellante che nell’ambito della suddetta procedura fallimentare vi era stato un preventivo vaglio tecnico-giuridico da parte di un giudice che aveva dato corso alla vendita ritenendo il bene liberamente commerciabile a norma di legge. In seno alla procedura fallimentare nella quale è stato acquisito l’immobile, infatti, è stata redatta apposita relazione di stima nella quale, secondo i quesiti riportati a pag. 1, il C.T.U. era chiamato ad accertare “la conformità delle opere al progetto approvato e la eventuale condonabilità” delle stesse. Si aggiunge che quest’ultimo non ha escluso la condonabilità del manufatto e si è riferito all’istanza come “in corso di definizione”.

In ultimo la sentenza si appaleserebbe erronea nella parte in cui riconduce la nota del 7 dicembre 2018 ad esercizio del potere di autotutela (nello specifico al riesame del “provvedimento” di rigetto) atteso che, per quanto detto in precedenza l’amministrazione non avrebbe in realtà espresso, fino al 2020, la propria determinazione in merito alla conclusione della pratica di condono 87/139479.

3. Le suddette doglianze possono essere esaminate congiuntamente.

Va, anzitutto, disatteso il primo motivo di appello.

Il giudice di prime cure ha correttamente disposto lo stralcio delle produzioni della difesa dell’amministrazione comunale perché tardive.

Quanto depositato dalla difesa di Roma Capitale il 20 aprile 2020 (id est la nota Dip. PAU – Ufficio condono QI46638-2017 e relativi allegati) costituiva, infatti, un documento la cui produzione risultava comunque assoggettata, anche sotto la vigenza delle disposizioni processuali speciali legate all’epidemia da Covid-19, all’osservanza del termine perentorio ex art. 73 comma 1 c.p.a. di almeno quaranta giorni prima dell’udienza (fissata per il 29 aprile 2020). Per contro esso non poteva considerarsi, per il suo contenuto e provenienza, una nota scritta sostitutiva delle difese orali (il cui deposito era invece consentito ex art. 84, comma 5, del d.l. n. 18/2020 “sino a due giorni liberi prima della data fissata per la trattazione”).

A ciò va aggiunto, solo per completezza, che la tardività della suddetta produzione documentale è stata dichiarata in accoglimento dell’eccezione sollevata proprio dalla stessa odierna parte appellante nel corso del giudizio di primo grado con note d’udienza del 24 aprile 2020. Ne discende che, la presente censura è, quindi, oltre che infondata, anche inammissibile per violazione del divieto del venire contra factum proprium.

3.1 Quanto testè statuito non preclude tuttavia a questo giudice di rilevare ex officio (Cons. Stato, Ad. plen., 26 aprile 2018, n. 4), anche alla luce degli elementi acquisiti con l’ordinanza collegiale n. 9284 del 2024, la sopravvenuta improcedibilità, in parte qua, del ricorso di primo grado come integrato da motivi aggiunti proposti in corso di causa limitatamente alle proposte domande di annullamento ex art. 29 c.p.a. della determinazione di cui alle note del 19 febbraio 2014, prot. n. 22107 e 11 marzo 2014, prot. n. 35440 e della nota prot. 63594 del 28 aprile 2014 del Dirigente del Dipartimento Programmazione e Attuazione Urbanistica di Roma Capitale.

In disparte dalla circostanza se possa attribuirsi o meno valore reiettivo alle determinazioni del 2014, dalla documentazione versata in atti e dalla relazione di chiarimenti depositata il 3 gennaio 2025 è emerso che i provvedimenti gravati in prime cure hanno comunque formato oggetto di conferma c.d. “propria” da parte dell’amministrazione essendo stati sostituiti, nella definizione del rapporto amministrativo controverso (e, segnatamente nella reiezione dell’istanza prot. 87/139479), dalla determinazione dirigenziale n. 1659 del 2020 (la quale, peraltro, è stata oggetto di autonoma impugnazione da parte di Eur Time, attualmente pendente dinanzi al T.A.R. per il Lazio – sede di Roma).

La natura di conferma “propria” (e non di mera conferma – sulla distinzione si veda ex multis Cons. Stato, sez. V, 30/05/2016, n. 2275) discende, in particolare dalla circostanza che la stessa è stata adottata sulla scorta di un supplemento istruttorio procedimentale (il “controllo tecnico d.d. di reiezione” del 14 settembre 2020 – vd. allegato alla relazione di chiarimenti dell’amministrazione).

Tanto determina il venir meno dell’interesse di parte appellante a coltivare in questa sede le domande di annullamento ex art 29 c.p.a. spiccate in primo grado.

3.2 La rilevata sopravvenuta improcedibilità in parte qua del ricorso di primo grado (come integrato da motivi aggiunti proposti in corso di causa) rende improcedibili i profili di doglianza, in rito e nel merito, svolti a mezzo del secondo motivo di appello, che pertengono la tempestività e fondatezza delle domande di annullamento spiccate in primo grado.

3.3 Infondata nel merito è, poi, la doglianza relativa al rigetto della domanda, pure spiccata in prime cure, di accertamento del silenzio assenso asseritamente formatosi sull’istanza.

Sul punto è sufficiente osservare che, come di recente ribadito dalla giurisprudenza di questo Consiglio (Cons. Stato, sez. VII , 25/06/2024 , n. 5606), “Il silenzio-assenso sull'istanza di condono edilizio inerente ad opere abusive realizzate in area sottoposta a vincolo si perfeziona, ai sensi del combinato disposto di cui agli artt. 35 e 32, comma 1, l. n. 47/1985 , unicamente in presenza del parere favorevole dell'autorità preposta alla tutela del vincolo medesimo e non anche in caso di parere negativo. Il silenzio-assenso non si perfeziona, infatti, per il solo fatto dell'inutile decorso del termine perentorio a far data dalla presentazione della domanda di sanatoria, essendo necessario che sussistano tutti i presupposti sostanziali, soggettivi e oggettivi, ai quali è subordinato il rilascio del condono. In ogni caso, il condono non può intendersi rilasciato nel caso in cui sia decorso il termine di ventiquattro mesi, previsto dall' art. 35, comma 12, l. 47 del 1985, ciò in quanto, nel caso di abusi in area vincolata, il termine per la formazione del silenzio-assenso decorre solamente dall'emanazione del parere favorevole, secondo quanto previsto dall' art. 32 della citata legge 47/1985”.

Ebbene, nel caso di specie, come correttamente messo in evidenza dal primo giudice, non risulta essere stata allegata alla domanda di condono (né invero successivamente mai acquisito) il parere favorevole dell'autorità preposta alla tutela del vincolo. Sicché non ha mai iniziato a decorrere il termine per la formazione di titolo abilitativo tacito.

4. Con il terzo motivo di appello si censura la sentenza impugnata nella parte in cui ha condannato l’odierna appellante al pagamento delle spese processuali.

Si osserva che ferma l’ampia discrezionalità del giudice in materia, nel caso di specie, soprattutto alla luce del comportamento perplesso ed omissivo di Roma Capitale, sia sotto il profilo amministrativo che sotto il profilo processuale, il T.A.R. avrebbe dovuto quanto meno compensare le spese di giudizio. Nel dettaglio si deduce che l’amministrazione:

- avrebbe dapprima, con la nota prot. 63594/2014, confermato la pendenza del procedimento di condono, con la nota prot. 103386/2017 indirizzata all’Ente Parco sarebbe successivamente tornata sui propri passi, salvo poi nuovamente confermare la condizione di stallo nella quale si trovava l’istruttoria del procedimento con la nota prot. 202750/2018;

- successivamente, con memoria depositata in vista dell’udienza del 25.03.2020, in assenza di conferme da parte dei competenti uffici, l’Avvocatura Capitolina sarebbe tornata ad affermare che l’istanza presentata in data 30 settembre 1986 era stata respinta in conseguenza delle previsioni dell’art. 62 del PTP 15/12, per poi, in ultimo, nuovamente smentire tale conclusione con la relazione difensiva prodotta a ridosso dell’udienza di trattazione (il 20 aprile 2020) e con la successiva nota prot. 56782/2020.

4.1 Il motivo è fondato.

Il complessivo comportamento tenuto da Roma Capitale nella gestione della vicenda amministrativa che occupa, il ritardo nella sua definizione e la rilevata parziale sopravvenuta improcedibilità del ricorso di primo grado valgono a giustificare in questa sede (si veda infra al punto 7.) l’integrale compensazione delle spese di lite del doppio grado di giudizio.

5. Con il quarto motivo di appello si censura la sentenza impugnata nella parte in cui la stessa ha respinto la domanda di risarcimento del danno da ritardo ex art. 2-bis della l. n. 241 del 1990 affermando che “la ricorrente non ha fornito alcuna prova del lamentato danno, non potendosi per tale intendere il prezzo pagato per l’acquisto della proprietà del complesso, sia in quanto, nel lungo arco temporale intercorso tra l’acquisto del diritto di proprietà e l’adozione della determinazione reiettiva della domanda di condono, la società non ha azionato le tutele previste dall’ordinamento per rimediare alla lamentata inerzia dell’ente, continuando a beneficiare della redditività dei beni nonostante la loro destinazione ad attività conclamatamente non compatibili con i plurimi vincoli insistenti sulle aree interessate”.

Secondo parte appellante detta statuizione sarebbe erronea in quanto:

- non potrebbero ormai più sussistere dubbi in merito all’allora (al momento della pubblicazione decisione) perdurante pendenza del procedimento teso al rilascio della concessione in sanatoria;

- in disparte da ciò sarebbe comunque decorso uno spropositato lasso di tempo intercorso tra la presentazione dell’istanza e la sua definizione (nell’ottobre 2020);

- il danno dedotto non consisterebbe, come ritenuto dal giudice di prime cure, nel “prezzo pagato per l’acquisto della proprietà del complesso” atteso che la parte ricorrente in primo grado, in vista dell’udienza di discussione, avrebbe proceduto ad una più specifica individuazione del pregiudizio patito e con memoria ex art. 73 c.p.a. (anche notificata alle altre parti del giudizio) avrebbe individuato il pregiudizio sofferto, anzitutto, nella sospensione del contratto di locazione con la No Problem Parking S.p.a., locataria di una porzione del terreno di proprietà Eur Time (contratto che avrebbe dovuto avere una durata di 9 anni a far data dal 1/09/2017, con un canone di locazione mensile pari a 6.500 euro + IVA, per un totale di 78.000 euro + IVA ogni anno, per complessivi euro 702.000,00 + IVA, oltre interessi e rivalutazione), oltre che nella mancata percezione della maggior somma dovuta a titolo di canone di locazione a far data dal 30.03.2018 fino al 30.09.2025 (quantificabile in complessivi euro 504.000,00, oltre interessi e rivalutazione, ovvero nella maggiore o minor somma ritenuta di giustizia) per aver dovuto, con scrittura privata reca la data del 30.03.2018, prima della scadenza naturale del contrato (id est il 30.09.2025), a causa del diniego dell’Ente Parco Regionale dell’Appia Antica all’esecuzione di interventi di manutenzione ordinaria” (diniego oggetto di impugnazione nel giudizio distinto al n. R.G. 2990/2018 e adottato in forza delle dichiarazione rese da Roma Capitale), ridurre il canone nei confronti della C.I.S.-Compagnia Italiana Strade, sua conduttrice per la porzione di terreno sulla quale insiste l’impianto di produzione di conglomerato bituminoso.

Si aggiunge che sussisterebbero anche tutti glia altri elementi costitutivi dell’illecito tra cui segnatamente la colpa dell’amministrazione avendo assunto un atteggiamento ondivago protrattosi per oltre 30 anni.

5.1 La doglianza non merita positivo apprezzamento.

In disparte da ogni considerazione in ordine alla sua ammissibilità (avendo parte appellante operato con l’atto di gravame una mutatio libelli rispetto al giudizio di prime cure in cui si era originariamente lamentato un danno da attività provvedimentale illegittima), la domanda di risarcimento del danno da ritardo è, allo stato, infondata avendo mancato parte appellante di dimostrare l’effettiva spettanza del bene della vita a cui aspira.

In proposito, è sufficiente rilevare che per ormai costante orientamento pretorio “Il risarcimento del danno da ritardo, relativo ad un interesse legittimo pretensivo, non è legato al mero ritardo ma è subordinato alla dimostrazione che l'aspirazione al provvedimento sia destinata ad esito favorevole e quindi alla dimostrazione della spettanza definitiva del bene della vita collegato a tale interesse” (ex multis Cons. Stato, sez. VII, 30/07/2024, n. 6854).

6. In conclusione, per le ragioni sopra esposte, va dichiarato, in parte, improcedibile il ricorso di primo grado, come integrato da motivi aggiunti proposti in corso di causa, limitatamente alle proposte domande di annullamento ex art. 29 c.p.a. della determinazione di cui alle note del 19 febbraio 2014, prot. n. 22107 e 11 marzo 2014, prot. n. 35440 e della nota prot. 63594 del 28 aprile 2014 del Dirigente del Dipartimento Programmazione e Attuazione Urbanistica di Roma Capitale.

Per l’effetto, va dichiarato in parte improcedibile, nei sensi e limiti di cui in motivazione, il secondo motivo di appello.

È, invece, da accogliere, in quanto fondato, il terzo motivo di appello relativo alla regolazione delle spese di lite.

Per il resto l’appello va respinto.

7. Alla luce delle ragioni sopra esposte con il terzo motivo di appello, del comportamento complessivo tenuto da Roma Capitale nella vicenda che occupa e della reciproca soccombenza, sussistono giustificati motivi per disporre la compensazione delle spese del doppio grado di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto:

- dichiara, in parte, nei sensi e limiti di cui in motivazione, improcedibile il ricorso di primo grado, come integrato da motivi aggiunti proposti in corso di causa, limitatamente alle proposte domande di annullamento e, per l’effetto, dichiara in parte improcedibile, nei sensi e limiti di cui in motivazione, il secondo motivo di appello;

- accoglie il terzo motivo di appello;

- respinge tutti i restanti motivi di appello.

Spese del doppio grado compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 15 maggio 2025 con l'intervento dei magistrati:

Giancarlo Montedoro, Presidente

Dario Simeoli, Consigliere

Roberto Caponigro, Consigliere

Giovanni Gallone, Consigliere, Estensore

Marco Poppi, Consigliere