 TAR Campania (SA) Sez. II n. 13383 del 3 dicembre 2010
TAR Campania (SA) Sez. II n. 13383 del 3 dicembre 2010
Urbanistica. Impugnazione permesso di costruire
Ai fini della decorrenza dei termini per l’impugnazione di una concessione edilizia (oggi permesso di costruire), occorre che le opere rivelino , in modo certo ed univoco, le loro caratteristiche e, quindi, l’entità delle violazioni urbanistiche e della lesione eventualmente derivante dal provvedimento. Di conseguenza, in mancanza di altri ed inequivoci elementi probatori, il termine decorre con il completamento dei lavori, a meno che non venga provata una conoscenza anticipata o si deducano censure di assoluta inedificabilità dell’area o analoghe censure, nel qual caso risulta sufficiente la conoscenza dell’iniziativa in corso. Invero, l’effetto lesivo si atteggia diversamente ( e , come tale, viene percepito) a seconda che si contesti l’illegittimità del titolo edilizio per il solo fatto che esso sia stato rilasciato ( ad esempio, per contrasto con l’inedificabilità assoluta dell’area) ovvero per il contenuto specifico del progetto edilizio assentito, come nel caso in cui l’opera non rispetti le distanze dalle costruzioni Pertanto, la regola generale sopra esposta – secondo la quale, in assenza di univoci elementi probatori, il termine per ricorrere decorre dalla data di ultimazione dei lavori – deve essere temperata avendo riguardo al concreto svolgersi della situazione di fatto in relazione alla violazione urbanistica che si assume verificata.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
N. 13083/2010 REG.SEN.
 N. 01739/2009 REG.RIC.
 Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania
 sezione staccata di Salerno (Sezione Seconda)
 ha pronunciato la presente
 SENTENZA
 sul ricorso numero di registro generale 1739 del 2009, integrato da motivi  aggiunti, proposto da:
 Lucia Battipaglia, rappresentato e difeso dagli avv. Sabato Criscuolo ed Ennio  De Vita, con domicilio eletto presso i procuratori in Salerno, via Piave N. 1;
 contro
 Comune di Nocera Inferiore, rappresentato e difeso dall'avv. Francesco Accarino,  con domicilio eletto in Salerno, C.Vitt.Eman.58 c/o Avv. Polverino;
 
 nei confronti di
 
 Maurizio Malet, rappresentato e difeso dall'avv. Lorenzo Lentini, con domicilio  eletto presso il procuratore in Salerno, c.so Garibaldi, 103;
 
 per l'annullamento
 
 quanto al ricorso originario:
 
 del permesso di costruire di cui al provvedimento n. 19729- pratica edilizia  18/07 del 4-6-2007, a firma del Dirigente del Settore Territorio ed Ambiente del  Comune di Nocera Inferiore, con cui è stato assentito, in variante al p.d.c. n.  11244/06, l’intervento di ristrutturazione di un fabbricato con realizzazione di  un sottotetto termico in via Fucilari n. 57 del Comune di Nocera Inferiore;
 
 del permesso di costruire n. 11244/2006;
 
 quanto ai motivi aggiunti:
 
 del provvedimento n. 1786 del 17-9-2009, con il quale è stata assentita la  proroga dei permessi di costruire nn. 11244/2006 e 19729/07;
 di ogni altro atto presupposto, connesso e conseguenziale;
 
 per la condanna al risarcimento del danno ingiusto, con condanna alla  demolizione del manufatto.
 
 Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;
 Visti gli atti di costituzione in giudizio di Comune di Nocera Inferiore e di  Maurizio Malet;
 Viste le memorie difensive;
 Visti tutti gli atti della causa;
 
 Relatore nell'udienza pubblica del giorno 28 ottobre 2010 il dott. Francesco  Mele e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
 
 Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
 FATTO
 Con ricorso notificato il 19-10-2009, depositato il 23-10-2009, la signora  Battipaglia Lucia, nella qualità di comproprietaria di un’unità abitativa posta  al secondo piano di un fabbricato sito alla via Fucilari n. 67 del Comune di  Nocera Inferiore , impugnava dinanzi a questo tribunale amministrativo i  provvedimenti in epigrafe specificati, con i quali era stata assentita la  realizzazione di lavori di ristrutturazione edilizia con realizzazione di un  sottotetto e rifacimento facciate in un fabbricato sito alla medesima via  Fucilari , di proprietà del signor Maurizio Malet.
 
 Con articolata prospettazione, lamentava: 1) Violazione di legge ( artt. 3 e 10  dpr n. 380/2001 in relazione alle NTA della variante di adeguamento del PRG al  PUT, in particolare degli artt. 12, 14 e 19, dell’art. 9 del dm n. 1444/1968;  della legge regionale n. 19/2001; della tabella dei tipi edilizi allegata alle  NTA del PRG); eccesso di potere per difetto del presupposto, erronea  istruttoria, arbitrarietà e sviamento; 2) Violazione di legge ( artt. 3 e 10 del  dpr n. 380/2001 in relazione alle citate NTA, del dm n. 1444/1968, della legge  reg. n. 19/2001); eccesso di potere per difetto di presupposto, di istruttoria e  per sviamento; 3) Violazione dell’art. 90 del dpr n. 380/2001; 4) Violazione di  legge, violazione del giusto procedimento ed eccesso di potere.
 
 Con successivo atto di motivi aggiunti, notificato in data 8-1-2010 e depositato  il 13-1-2010, gravava, altresì il provvedimento n. 1786 del 17-9-2009, con i  quali era stata concessa la proroga degli originari titoli abilitativi,  contestandone la illegittimità in via derivata e lamentando comunque  l’insussistenza dei presupposti normativamente previsti per la concessione della  proroga.
 
 Instauratosi il contraddittorio, si costituivano in giudizio il Comune di Nocera  Inferiore ed il controinteressato Maurizio Malet, rilevando l’inammissibilità,  l’irricevibilità e l’infondatezza del ricorso.
 
 La causa veniva discussa e trattenuta per la decisione all’udienza del  28-10-2010.
 DIRITTO
 Deve preliminarmente essere esaminata l’eccezione, sollevata dalle parti  resistenti, di irricevibilità del ricorso per tardività, assumendosi che la  ricorrente era a conoscenza dei titoli edificatori rilasciati e del loro  contenuto già in epoca ben anteriore ai sessanta giorni antecedenti la  proposizione del ricorso.
 
 L’eccezione è infondata alla luce dei principi regolatori della materia  affermati dalla giurisprudenza.
 
 Va premesso che l’onere della prova della avvenuta piena conoscenza dell’atto  impugnato incombe solo su chi eccepisce la tardività del ricorso  giurisdizionale, onere da assolversi mediante mezzi probatori univoci e chiari,  diretti ad accertare in modo sicuro ed inconfutabile che il gravame è stato  proposto dopo la scadenza del termine decadenziale (cfr. TAR Lombardia, Milano,  IV, 23-2-2010, n. 440).
 
 Al riguardo, non risultano sufficienti né la pubblicazione del titolo  abilitativo all’albo pretorio del Comune, né il mero inizio delle opere edilizie  ovvero l’apposizione di un cartello recante gli estremi e l’oggetto del titolo  abilitativo ( cfr. TAR Sardegna, Cagliari, II, 19-2-2010, n. 191; TAR Piemonte,  Torino, I, 26-3-2009, n. 795), atteso che tali elementi non contengono di per sé  informazioni sufficienti sul contenuto specifico del progetto edilizio  assentito, atte a farne immediatamente percepire l’effetto concretamente lesivo  per i terzi interessati.
 
 Pertanto, è stata affermata, quale regola generale, quella secondo cui, ai fini  della decorrenza dei termini per l’impugnazione di una concessione edilizia  (oggi permesso di costruire), occorre che le opere rivelino , in modo certo ed  univoco, le loro caratteristiche e, quindi, l’entità delle violazioni  urbanistiche e della lesione eventualmente derivante dal provvedimento (cfr.  Cons.Stato, IV, 23-7-2009, n. 4616).
 
 Di conseguenza, in mancanza di altri ed inequivoci elementi probatori, il  termine decorre con il completamento dei lavori, a meno che non venga provata  una conoscenza anticipata o si deducano censure di assoluta inedificabilità  dell’area o analoghe censure, nel qual caso risulta sufficiente la conoscenza  dell’iniziativa in corso (cfr. Cons.Stato, IV, 10-12-2007, n. 6342).
 
 Invero, l’effetto lesivo si atteggia diversamente ( e , come tale, viene  percepito) a seconda che si contesti l’illegittimità del titolo edilizio per il  solo fatto che esso sia stato rilasciato ( ad esempio, per contrasto con l’inedificabilità  assoluta dell’area) ovvero per il contenuto specifico del progetto edilizio  assentito, come nel caso in cui l’opera non rispetti le distanze dalle  costruzioni (cfr. TAR Liguria, Genova, I, 25-1-2010, n. 192).
 
 Pertanto, la regola generale sopra esposta – secondo la quale, in assenza di  univoci elementi probatori, il termine per ricorrere decorre dalla data di  ultimazione dei lavori – deve essere temperata avendo riguardo al concreto  svolgersi della situazione di fatto in relazione alla violazione urbanistica che  si assume verificata ( cfr. TAR Puglia, Bari, II, 4-6-2010, n. 2242).
 
 Venendo a questo punto all’esame della fattispecie concreta portata all’esame  del Collegio e facendo applicazione delle regole giurisprudenziali sopra  esposte, emerge in primo luogo che parte ricorrente contesta i titoli edilizi  non per il solo fatto che essi siano stati rilasciati, bensì per il loro  contenuto. In particolare, la lesione lamentata deriva dalla realizzazione del  sottotetto da parte del controinteressato e la sua legittimità viene contestata  sia sotto il profilo delle distanze sia in relazione alla peculiare connotazione  che l’intervento edilizio assumerebbe per effetto di esso, sub specie di  ristrutturazione edilizia, intervento non consentito dalla normativa urbanistica  vigente nel Comune per la zona territoriale omogenea di riferimento.
 
 Non rilevandosi contestazioni inerenti al rilascio del titolo edilizio in sé e,  dunque, ad una prospettata impossibilità di autorizzare tramite esso qualsiasi  forma di edificazione, risulta evidente che nella vicenda in esame, al fine  della individuazione del dies a quo di decorrenza del termine decadenziale di  impugnazione, non assumono rilievo né la pubblicazione all’albo pretorio, né  l’apposizione del cartello di cantiere né il mero avvio dei lavori edilizi.
 
 Trattandosi di contestazioni afferenti il contenuto del permesso di costruire, è  necessario, invece, fare riferimento alla regola generale in precedenza  richiamata, che attribuisce rilievo, ai fini della decorrenza dei termini per  l’impugnazione, al momento in cui le opere rivelino , in modo certo ed univoco,  le loro caratteristiche e, quindi, l’entità delle violazioni urbanistiche e  della lesione eventualmente derivante dal provvedimento.
 
 A tale canone è necessario ricorrere, giacchè le deduzioni probatorie  dell’amministrazione resistente e del controinteressato non si rivelano idonee a  dimostrare una conoscenza anticipata dei contenuti del progetto approvato.
 
 Parte ricorrente, invero, ha avuto accesso alla pratica edilizia di cui trattasi  solo il 3-9-2009 (istanza prot. n. 32886) ed il ricorso, notificato in data  19-10-2009, appare con riferimento ad essa pienamente tempestivo.
 
 Giacchè è la realizzazione del sottotetto a fondare le dedotte violazioni ( in  tema di distanze ed in relazione alla qualificazione dell’intervento in termini  di una non consentita ristrutturazione edilizia), assume, dunque, rilevanza il  momento in cui i lavori edilizi hanno inequivocabilmente evidenziato la  realizzazione di un sottotetto.
 
 Al riguardo, parte ricorrente assume in ricorso che le opere di sopraelevazione  sono state avviate “di recente”, in immediata prossimità temporale rispetto alla  presentazione della istanza di accesso del 3-9-2009, derivando da tale  affermazione la tempestività del ricorso.
 
 L’Amministrazione resistente ed il controinteressato non hanno, come da loro  onere probatorio, introdotto nel materiale di causa elementi pregnanti, tali da  collocare temporalmente l’avvio dei lavori di realizzazione del sottotetto in  sopraelevazione all’edificio preesistente in data anteriore, in modo da  dimostrare la conoscenza del contenuto lesivo del provvedimento abilitativo in  epoca antecedente a sessanta giorni rispetto alla proposizione del ricorso  giurisdizionale.
 
 Non vale in proposito la dichiarazione dell’impresa esecutrice dei lavori del  9-11-2009, nella quale si dà atto che “all’inizio dell’anno solare 2009 è stata  allestita l’impalcatura per l’esecuzione dei lavori di consolidamento alla  muratura perimetrale con un’altezza di circa mt. 1,80 al di sopra del livello  del solaio dell’ultimo piano esistente”.
 
 La mera circostanza della installazione di un impalcato di maggiore altezza  rispetto rispetto a quella dell’edificio preesistente non rivela, in modo certo  ed univoco, la natura dell’opera edilizia oggetto di contestazione.
 
 L’impalcatura, infatti, non appartiene all’opera edilizia “sottotetto”, non  costituendone elemento costitutivo; essa, dunque, non rivela oggettivamente, da  sola, l’avvio di opere di realizzazione di tale manufatto edilizio o comunque di  una sopraelevazione. La valenza non univoca del suo montaggio ( e, pertanto, non  decisiva ai fini che qui ci interessano) è ulteriormente confermata dalla  circostanza che essa serviva anche alla “esecuzione dei lavori di consolidamento  alla muratura perimetrale”, opere di per sé non lesive, onde la sua  installazione ed anche la realizzazione delle stesse opere di consolidamento  della muratura non deponevano univocamente per la successiva costruzione di un  sottotetto.
 
 Sulla base delle considerazioni tutte sopra svolte, dunque, l’eccezione di  tardività del proposto ricorso deve essere rigettata, risultando il gravame  tempestivo.
 
 Non merita favorevole considerazione, a giudizio del Collegio, neppure  l’ulteriore eccezione di inammissibilità, formulata sulla considerazione che  parte ricorrente avrebbe gravato il solo permesso di costruire in variante e non  anche l’originario titolo n. 11244/2006.
 
 In disparte ogni considerazione sulla valenza sostitutiva dell’ultima  autorizzazione rispetto alla prima , basti in questa sede evidenziare, come  risulta dall’epigrafe del ricorso, che anche il permesso di costruire n.  11244/2006 è oggetto di impugnazione.
 
 Può a questo punto passarsi all’esame del merito del ricorso.
 
 Tale indagine presuppone la previa specificazione delle opere autorizzate con i  provvedimenti impugnati, al fine di darne un corretto inquadramento in termini  di tipologia dell’intervento edilizio ex articolo 3 del dpr n. 380/2001.
 
 L’esame della documentazione acquisita, ed, in particolare, delle relazioni  tecniche e dei grafici progettuali allegati dal sig. Malet alle domande di  permesso di costruire ( raffronto tra lo stato di fatto e lo stato di progetto),  evidenzia, quanto ai lavori da eseguirsi nella struttura preesistente, una  sostanziale conservazione delle originarie destinazioni d’uso. Invero, il piano  terra continua ad essere adibito a deposito ed a locale artigianale e  commerciale, mentre il piano primo mantiene la destinazione d’uso ad abitazione.  Si rileva in proposito una diversa articolazione interna degli spazi, ma questa  appare contenuta nell’ambito della sagoma originaria dell’edificio.
 
 Dalla relazione tecnica allegata alla domanda di variante si desume, poi, la  realizzazione di opere di consolidamento della struttura, da attuarsi “anche  mediante demolizione e ricostruzione di parti di essa. Queste vengono indicate (  cfr. relazione del progettista strutturale) nel consolidamento delle fondazioni,  nel consolidamento delle murature esistenti al piano terra mediante riempimento  delle nicchie presenti, nella realizzazione di cordoli verticali in c.a., nella  demolizione della parete in muratura prospiciente via Fucilari con creazione di  un telaio in c.a., nella demolizione e ricostruzione con tufi dell’ala nord ,  nel consolidamento di tutte le murature del primo piano con betoncino e rete  elettrosaldata, nella demolizione della scala interna e creazione di una nuova  scala, nella demolizione e ricostruzione del solaio di copertura del primo  piano.
 
 Anche questi ultimi interventi, costituendo sostanzialmente opere di rinnovo o  di parziale sostituzione di elementi strutturali dell’edificio, conservano  l’originaria consistenza dell’involucro edilizio preesistente.
 
 Il progettato intervento edilizio, peraltro, prevede anche opere aggiuntive  rispetto alla originaria consistenza dell’edificio.
 
 In particolare, viene prevista la realizzazione di un “tetto termico”, che viene  a collocarsi sulla preesistente copertura piana dell’edificio.
 
 Quest’ultimo, in particolare, nella sua originaria consistenza aveva un’altezza  di mt. 8,70 ed aveva una copertura piana a lastrico solare, sul quale era  presente, quale unica consistenza da essa emergente, un lucernario di ridotte  dimensioni.
 
 La previsione progettuale, invece, trasforma la originaria copertura piana in un  sottotetto , definito “termico”, che copre l’intera area di copertura del  fabbricato e si eleva per un’altezza massima di mt. 2,20, elevando l’altezza del  fabbricato al colmo fino a mt. 10,90.
 
 Va, poi, evidenziato che il predetto sottotetto aggiunto, pur presentando una  struttura a falde inclinate non scende alla gronda ad altezza “zero” , ma ,  rispetto, alla altezza del colmo di mt. 2,20, presenta una altezza di poco  ridotta, risultando le falde caratterizzate da una pendenza del solo 5%.
 
 Dunque, la realizzazione del sottotetto, aggiunto alla preesistente copertura  piana, viene a modificare la originaria sagoma del fabbricato, il quale, nella  nuova consistenza, si caratterizza sostanzialmente per l’aggiunta di un piano (  sia pure con destinazione a “sottotetto termico”) prima mancante.
 
 Sulla base della sopra esposta descrizione delle opere, può dunque procedersi  alla qualificazione tecnico-giuridica delle stesse ai sensi dell’articolo 3 del  DPR n. 380/2001.
 
 In particolare, occorre stabilire se i predetti lavori configurino un’ipotesi di  “restauro e risanamento conservativo”, come sostenuto dal Comune e dal  controinteressato , ovvero una fattispecie di “ristrutturazione edilizia”, come  risulta dalla qualificazione stessa delle opere date in sede progettuale e di  rilascio dei titoli abilitativi ed affermato, nella presente sede, dal  ricorrente, che ne contesta la legittimità.
 
 Rileva il Tribunale che, dalla descrizione contenuta nelle lettere c) e d) del  comma 1 del citato art. 3 del testo unico dell’edilizia, i lavori attraverso i  quali realizzare un intervento di restauro conservativo ovvero di  ristrutturazione possono essere gli stessi.
 
 In entrambi i casi, infatti, è consentito il ripristino ed il rinnovo di  elementi costitutivi dell’edificio.
 
 La differenza tra le due tipologie di intervento edilizio sul preesistente si  coglie, in primo luogo , sul piano cd. “quantitativo”, relativamente alle  aggiunte che possono essere operate sulla consistenza originaria.
 
 Nel restauro conservativo è ammesso unicamente l’inserimento di elementi  “accessori”(ovvero l’eliminazione di elementi estranei all’organismo edilizio),  mentre la ristrutturazione edilizia consente l’inserimento di elementi “nuovi”,  a prescindere dal loro carattere di accessorietà.
 
 Di poi, la differenza tra le due forme di intervento edilizio si coglie sul  piano “qualitativo”, ovvero finalistico e funzionale, atteso che il risanamento  conservativo è volto a conservare l’organismo edilizio, mentre quello di  ristrutturazione edilizia è diretto a trasformare l’organismo edilizio.
 
 La finalità meramente conservativa dell’intervento di restauro e risanamento è  ulteriormente rafforzata dall’ulteriore limite imposto dalla norma, il quale  prevede che le opere debbano essere realizzate “nel rispetto degli elementi  tipologici, formali e strutturali dell’organismo stesso”.
 
 Sicchè la giurisprudenza ha avuto modo di affermare che la stessa attività di  ristrutturazione può attuarsi attraverso una serie di interventi che,  singolarmente considerati, ben potrebbero ricondursi agli altri tipi della  manutenzione straordinaria o del restauro conservativo; l’elemento  caratterizzante, però, è la connessione finalistica delle opere eseguite, che  non devono essere riguardate analiticamente, ma valutate nel loro complesso , al  fine di individuare se esse siano o meno rivolte al recupero edilizio dello  spazio attraverso la realizzazione di un edificio in tutto o in parte nuovo  (cfr. Cass. pen., III; 14-5-2008, n. 35897).
 
 E’ stato ancora chiarito (cfr. Cons. Stato, IV, 16-6-2008, n. 2981; V, n.  5273/2007) che sono qualificabili interventi di restauro e risanamento  conservativo gli interventi sistematici che, pur con rinnovo di elementi  costitutivi dell’edificio preesistente, ne conservano titpologia, forma e  struttura; per contro, rientrano nella nozione di ristrutturazione edilizia le  opere rivolte a creare un organismo in tutto o in parte diverso dal  preesistente.
 
 Ciò posto, ritiene il Collegio, alla luce delle considerazioni sopra esposte,  che gli interventi autorizzati nella consistenza originaria dell’edificio (primo  piano e piano terra) ben possono integrare, isolatamente considerati , la  fattispecie del “restauro e risanamento conservativo”.
 
 Quello che, invece, rende inquadrabile l’intervento per cui è causa nella  categoria della “ristrutturazione edilizia” è la realizzazione del sottotetto.
 
 Invero, questo costituisce un corpo aggiunto, non esistente nella originaria  consistenza dell’edificio, il quale aveva una copertura piana.
 
 La sua costruzione, a prescindere dalla sua destinazione, viene ad alterare la  sagoma e la forma dell’edificio originario e non consente di ritenere rispettato  il limite essenziale del “risanamento conservativo”, dalla norma individuato nel  “rispetto degli elementi tipologici, formali e strutturali dell’organismo”.
 
 Alla luce di quanto sopra esposto, emerge la fondatezza del ricorso sotto il  duplice profilo lamentato.
 
 Quanto alla questione delle distanze, va sottolineato che il sottotetto viene  realizzato ( e su tale circostanza non vi è contestazione tra le parti) ad una  distanza di circa cinque metri dall’abitazione della ricorrente.
 
 Vi è, al riguardo, violazione della normativa urbanistica del Comune di Nocera  Inferiore.
 
 L’articolo 12, III par., delle NTA della variante di adeguamento del PRG al PUT  (approvata co decreto del Presidente della Provincia n. 138/2006 e pubblicato  sul BURC n. 60 del 27-12-2006), relativo alla “distanza fra pareti di fabbricati  fronteggianti (Df), prevede, ai commi 3 e 4 , che “se le pareti che si  fronteggiano non sono finestrate, ovvero sono interessate da sole finestre di wc  o scale, è consentita una distanza minima comunque non inferiore a 10 metri. Le  distanze minime ammissibili per ciascuna zona sono quelle stabilite dal DM n.  1444/1968”.
 
 Volendo, poi, considerare la previsione originaria del PRG, si osserva che tale  strumento urbanistico, per la zona B1 residenziale (ove insiste il manufatto per  cui è causa), prescrive che il distacco minimo dagli edifici sia di mt. 12.
 
 Dunque, l’assenso alla realizzazione del sottotetto a distanza di circa cinque  metri dalla abitazione della ricorrente è certamente illegittima, in quanto  contrastante con la sopra richiamata disciplina normativa.
 
 Né rileva al riguardo la circostanza che nella specie trattasi di una  “sottotetto termico”.
 
 Questo, invero, in relazione a dimensioni e consistenza come sopra descritte (  copertura dell’intero piano, altezza al colmo di mt. 2,20, altezza di poco  inferiore alla gronda), configura certamente una costruzione rilevante ai fini  delle distanze da osservare rispetto alle proprietà finitime.
 
 Tanto in primo luogo in relazione al fatto che la prefata consistenza è idonea a  realizzare le cd. “intercapedini dannose” che giustificano la prescrizione di  distanze nei rapporti di vicinato.
 
 Di poi, anche perché nella specifica disciplina urbanistica vigente nel Comune  di Nocera Inferiore non è dato di rinvenire alcuna disposizione che sottragga  tale tipologia di manufatto dall’osservanza delle distanze.
 
 Non vale in proposito richiamare la disposizione contenuta nell’art. 13 delle  NTA della variante di adeguamento al PUT, atteso che l’esclusione da essa  contemplata si riferisce al computo della volumetria e non anche alla osservanza  delle distanze.
 
 Va , poi, rimarcato che il sottotetto viene realizzato in sopraelevazione  rispetto all’originario involucro del manufatto, che nella sua consistenza  originaria si connotava per una copertura piana, onde sotto questo profilo  costituisce una sopraelevazione e, come tale, una costruzione nuova.
 
 Di conseguenza, non appare al Collegio utilmente invocabile la giurisprudenza  richiamata dal
 
 controinteressato, secondo cui “ qualora, in relazione alle caratteristiche  costruttive ed alle complessive dimensioni interne ed esterne, la modificazione  del tetto abbia funzione esclusiva di copertura non comportando aumento di  volumetria dei piani sottostanti suscettibile di autonoma utilizzazione, l’opera  non integra una sopraelevazione del fabbricato e non può essere considerata  costruzione nuova, soggetta all’osservanza delle vigenti norme sulle distanze  legale (Cass. civ., II, n. 14932/2008)”.
 
 La differenza tra stato preesistente (ripetesi, connotato da copertura piana) e  le dimensioni dello stesso, pur nella qualificazione di “sottotetto termico”  sono elementi idonei ad escludere che, in relazione ad esso, non possa parlarsi  di costruzione rilevante ai fini delle distanze.
 
 Passando a questo punto all’esame dell’ulteriore profilo di illegittimità  lamentato da parte ricorrente, concernente la non realizzabilità di un  intervento di ristrutturazione edilizia nella zona B1, ritiene il Tribunale che  sia anch’esso sussistente.
 
 Come si è sopra visto, la realizzazione del sottotetto è l’elemento che  impedisce la configurazione dell’intervento edilizio assentito in termini di  restauro e risanamento conservativo e lo qualifica come ristrutturazione  edilizia.
 
 Tale ultima tipologia di intervento non è consentita nelle zone B1, atteso che  l’articolo 19 delle NTA dello strumento urbanistico, consente, per gli edifici  esistenti, “interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria, di risanamento  conservativo e di adeguamento alla vigente normativa antisismica, Il titolo IV  della l.r. n. 35/87 non consente interventi di demolizione e ricostruzione degli  edifici neanche a parità di volumi.
 
 Sulla base delle considerazioni tutte sopra svolte, pertanto, il ricorso è  fondato e deve essere accolto, disponendosi l’annullamento dei titoli edilizi  impugnati.
 
 Consegue, pure, in via derivata l’illegittimità e, dunque, l’annullamento del  rilasciato provvedimento di proroga.
 
 L’annullamento, in applicazione del principio dell’utile per inutile non  vitiatur, deve , peraltro , essere limitato al solo assenso alla realizzazione  del sottotetto e non anche alle altre opere interessanti l’immobile del  controinteressato nell’ambito della sua consistenza originaria (piano terra e  piano primo).
 
 Come si è in precedenza esposto, invero tali opere, considerate da sole ben  possono integrare la fattispecie del restauro e risanamento conservativo,  consentita dallo strumento urbanistico nella zona di riferimento. L’intervento  assentito va collocato nella categoria della ristrutturazione edilizia solo  avendo riguardo all’insieme sistematico di opere comprendenti anche la  realizzazione del sottotetto, atteso che tramite quest’ultima viene superato il  limite del rispetto dei preesistenti “elementi tipologici, formali e  strutturali”, proprio del restauro conservativo.
 
 Appare allora evidente che, depurati i titoli edilizi dall’abilitazione alla  realizzazione del sottotetto, essi rientrano nei canoni della legittimità,  riferendosi all’assentimento di un intervento di restauro e risanamento  conservativo.
 
 Infine, la domanda di risarcimento del danno deve essere respinta, atteso che  non è stata offerta in giudizio dimostrazione della quantificazione dello stesso  e che comunque l’eliminazione del pregiudizio lamentato consegue agli effetti  ripristinatori e conformativi della presente pronunzia demolitoria,  necessariamente conducenti alla demolizione delle opere per la parte realizzata  contra legem.
 
 Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
 P.Q.M.
 definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, integrato  da motivi aggiunti, lo accoglie nei sensi e nei limiti di cui in motivazione e,  per l’effetto, annulla i provvedimenti impugnati nella parte in cui autorizzano  la realizzazione del sottotetto.
 
 Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
 
 Condanna il Comune di Nocera Inferiore ed il sig. Malet Maurizio, ciascuno per  la metà, al pagamento, in favore della ricorrente, delle spese del presente  giudizio, che si liquidano in complessivi euro 2.750, di cui euro 750 per spese,  oltre IVA e CPA come per legge.
 
 Così deciso in Salerno nella camera di consiglio del giorno 28 ottobre 2010 con  l'intervento dei magistrati:
 
 Luigi Antonio Esposito, Presidente
 Francesco Mele, Consigliere, Estensore
 Francesco Gaudieri, Consigliere
 
 L'ESTENSORE
IL PRESIDENTE
 
 
 DEPOSITATA IN SEGRETERIA
 Il 03/12/2010
 
                    




