 Cass. Sez. III n. 34866 del 27 settembre 2010 (Ud. 22 apr. 2010)
Cass. Sez. III n. 34866 del 27 settembre 2010 (Ud. 22 apr. 2010)
Pres. De Maio Est. Fiale Ric. Vascellari ed altro
Beni ambientali. Delitto e contravvenzione 
Nella violazione paesaggistica il principio di offensività deve essere inteso, al riguardo, in termini non di concreto apprezzamento di un danno ambientale, bensì dell’attitudine della condotta a porre in pericolo il bene protetto. I caratteri distintivi, in senso di maggiore gravità, della nuova previsione penale dell’art. 181, comma l-bis, D.Lgs. n. 42/2004 (introdotta dalla legge 15.12.2004, n. 308) hanno inciso così pesantemente sulla struttura della fattispecie originaria dell’art, 181, 1° comma, da determinare un aggravamento quantitativo e qualitativo della pena, che è sfociato nella diversa qualificazione del reato da contravvenzione a delitto. Questo dato recide ogni collegamento con un reato-base di diversa natura ed è quindi da escludere la possibilità di qualificare come reato circostanziato la nuova fattispecie di cui all’art. 181, comma l-bis.
UDIENZA del 22.4.2010
SENTENZA N. 804
REG. GENERALE N. 43611/2009
 REPUBBLICA ITALIANA
 IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
 LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
 Sez. III Penale
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri  Magistrati:
 
 Dott. GUIDO DE MAIO                               Presidente
 Dott. AGOSTINO CORDOVA                      Consigliere
 Dott. CIRO PETTI                                      Consigliere
 Dott. ALDO FIALE                                     Rel. Consigliere
 Dott. SILVIO AMORESANO                       Consigliere
 ha pronunciato la seguente
 SENTENZA
 sul ricorso proposto da:
 1) VASCELLARI MARIO N. IL xx/xx/xxxxx
 2) SORARU' LUCIANO N. IL ad/xx/xxxx
 - avverso la sentenza n. 320/2008 CORTE APPELLO di TRENTO, del 24/06/2009
 - visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
 - udita in PUBBLICA UDIENZA del 22/04/2010 la relazione fatta dal Consigliere  Dott. ALDO FIALE;
 - Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. Francesco Salzano che ha  concluso per il rigetto del ricorso;
 - Udito, per la parte civile ”Mountain Wilderness Italia”, l’avv.to Giuseppe  Campanelli quale sostituto processuale dell’avv.to Sandro Canestrini, che ha  chiesto la conferma delle statuizioni civili.
- Uditi difensori Avv.ti Alessandro Melchionda e Sandro De Vecchi, i quali hanno chiesto l’accoglimento del ricorso.
 SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
 La Corte di Appello di Trento, con sentenza dei 24.6.2009, in parziale riforma  della sentenza 4.2.2008 del Tribunale di Trento - Sezione distaccata di Cavalese:
 a) ribadiva l'affermazione della responsabilità penale di Vascellari Mario e  Sorarù Luciano in ordine al reato di cui:
 - all'art. 181, comma 1 bis - lett. a), D.Lgs. n. 42/2004 [per avere - il  Vascellari nella qualità di presidente del consiglio di amministrazione della  s.p.a. "Funivie Tofana e Marmolada" ed il Sorarù quale capo servizio della  stessa s.p.a. - nel compiere lavori di ammodernamento del III tronco della  funivia fra Punta Serrata e Punta Rocca sul ghiacciaio della Marmolada,  realizzato in zona dichiarata di notevole interesse pubblico con D.M. 9.9.1956 e  riconosciuta quale sito di importanza comunitaria, in assenza  dell'autorizzazione dell'autorità preposta alla tutela del vincolo, una pista da  cantiere per il trasporto degli operai in quota, sviluppantesi in nove tornanti  - in Canazei, fino al 4.8.2005];
 b) con le già riconosciute circostanze attenuanti generiche, concedendo altresì  l'attenuante di cui all'art. 62, n. 6, cod. pen., determinava per ciascuno la  pena (interamente condonata) in mesi sei di reclusione, sostituita con quella  pecuniaria corrispondente di euro 6.840,00 di multa;
 c) confermava la concessione del beneficio della non-menzione della condanna;
 d) liquidava alla costituita parte civile "Mountain Wilderness Italia" i danni  patiti iure proprio nella somma di euro 25.000,00 e quelli patiti dalla  sostituita Provincia autonoma di Trento nella somma di euro 50.000,00.
 
 Avverso tale sentenza hanno proposto ricorso i difensori degli imputati, i quali  - sotto i profili della violazione di legge e del vizio di motivazione - hanno  eccepito:
 - la insussistenza del reato, in quanto non sarebbero stati eseguiti lavori che  "hanno modificato lo stato dei luoghi" in termini rilevanti per la disciplina di  tutela del paesaggio dettata dal D.Lgs. n. 42/2004;
 - la conformità dei lavori eseguiti a quelli previsti nell'atto di concessione  della gestione della funivia e soprattutto la loro inclusione fra quelli per i  quali la società "Funivie Tofana e Marmolada" era stata autorizzata dalla  Provincia di Belluno;
 - la incongruità del mancato riconoscimento della "buona fede" degli imputati,  implicante la insussistenza del dolo richiesto per il contestato delitto;
 - la erronea qualificazione della fattispecie di cui all'art. 181, comma 1bis -  lett. a), D.Lgs. n. 42/2004 quale delitto autonomo, con conseguente erronea  mancata applicazione dell'art. 69 cod. pen. nella valutazione di bilanciamento  delle riconosciute circostanze attenuanti;
 - la insussistenza della prova del danno non patrimoniale liquidato iure  proprio alla parte civile "Mountain Wilderness Italia", sia di quello  liquidato a favore della Provincia autonoma di Trento.
 
 Il difensore della parte civile ha trasmesso memoria in data 7.4.2010.
MOTIVI DELLA DECISIONE
 Il ricorso deve essere rigettato, perché infondato.
 
 1. Quanto al primo motivo di gravame, va ribadito l'orientamento costante di  questa Corte Suprema [vedi, tra le pronunzie meno remote, Cass., Sez. III:  29.11.2001, Zecca ed altro; 15.4.2002, P.G. in proc. Negri; 14.5.2002, Migliore_  4.10.2002. Debertol; 7/32003, Spinosa; 6/5/2003, Cassisa; 23.5.2003, P.M. in  proc. Invernici; 26.5.2003, Sargentini; 5.8.2003, Mori; 7.10.2003, Fierro;  3.6.2004, Coletta; 24.5.2005, Garofalo; 17.11.2005, Villa; 3.7.2007, Carusotto]  secondo il quale il reato di cui all'art. 181 del D.Lgs. 22.1.2004, n. 42 è  reato di pericolo e, pertanto, per la configurabilità dell'illecito, non è  necessario un effettivo pregiudizio per l'ambiente, potendo escludersi dal  novero delle condotte penalmente rilevanti soltanto quelle che si prospettano  inidonee, pure in astratto, a compromettere i valori del paesaggio e l'aspetto  esteriore degli edifici.
 
 Nelle zone paesisticamente vincolate è inibita - in assenza dell'autorizzazione  già prevista dall'art. 7 della legge n. 1497 del 1939, le cui procedure di  rilascio sono state innovate dalla legge n, 431/1985 e sono attualmente  disciplinate dall'art. 146 del D.Lgs. n. 42/2004 - ogni modificazione  dell'assetto del territorio, attuata attraverso qualsiasi opera non soltanto  edilizia ma "di qualunque genere" (ad eccezione degli interventi consistenti:  nella manutenzione, ordinaria e straordinaria, nel consolidamento statico o  restauro conservativo, purché non alterino lo stato dei luoghi e l'aspetto  esteriore degli edifici; nell'esercizio dell'attività agro-silvo-pastorale, che  non comporti alterazione permanente dello stato dei luoghi con costruzioni  edilizie od altre opere civili e sempre che si tratti di attività ed opere che  non alterino l'assetto idrogeologico; nel taglio colturale, forestazione,  riforestazione, opere di bonifica, antincendio e di conservazione da eseguirsi  nei boschi e nelle foreste, purché previsti ed autorizzati in base alle norme  vigenti in materia).
 Il principio di offensività deve essere inteso, al riguardo, in termini non di  concreto apprezzamento di un danno ambientale, bensì dell'attitudine della  condotta a porre in pericolo il bene protetto.
 2. Nella situazione di fatto in concreto accertata dai giudici del merito ed a  fronte delle disposizioni normative vigenti, appare infondata la prospettazione  difensiva che vorrebbe escludere qualsiasi rilevante alterazione dello stato dei  luoghi; sussiste, al contrario, un'effettiva messa in pericolo del paesaggio,  oggettivamente insita nella minaccia ad esso portata e valutabile come tale ex  ante.
 
 Sono state realizzate, infatti, opere che ad evidenza avrebbero (ed in concreto  hanno) irreversibilmente modificato l'assetto ambientale e quello del  territorio.
 
 E' stata scavata nella neve una pista a nove tornanti, asportando sia la neve  caduta nell'ultima stagione invernale sia quella caduta negli anni precedenti  (c.d. "nevato" o "firn") e determinando in alcuni punti l'affioramento del  ghiacciaio sottostante, tanto da modificare sensibilmente l'assetto naturale dei  luoghi attraverso una frattura profonda del profilo della superficie innevata.
 
 Le censure concernenti asserite carenze argomentative sui singoli passaggi della  ricostruzione dei fatti e dell'attribuzione degli stessi alla persona  dell'imputato non sono proponibili nel giudizio di legittimità, quando la  struttura razionale della decisione sia sorretta, come nella specie, da logico e  coerente apparato argomentativo, esteso a tutti gli elementi offerti dal  processo, e il ricorrente si limiti sostanzialmente a sollecitare la rilettura  del quadro probatorio e, con essa, il riesame nel merito della sentenza  impugnata.
 3. I giudici del merito, con argomentazioni coerenti, hanno affermato la netta  distinzione tra la concessione amministrativa avente per oggetto l'utilizzazione  del ghiacciaio a fini di sfruttamento turistico e l'autorizzazione da rilasciare  ai sensi dell'art. 146 del D.Lgs. n. 42/2004, che ha per oggetto la valutazione  di sostenibilità paesaggistica delle opere necessarie per l'esercizio della  concessione.
 
 La concessione rilasciata alla s.p.a. "Funivie Tofana e Marmolada" per l'uso del  bene demaniale non legittimava anche la realizzazione di nuove opere su detto  bene senza una specifica autorizzazione e - come esattamente rilevato dalla  Corte territoriale - opinare in senso contrario "significa in ultima analisi  invocare l’ignoranza della legge penale”; ignoranza non giustificabile sia per  il livello culturale e professionale degli imputati, sia per le prescrizioni  esplicitamente inserite nell'atto concessorio.
 4. La fattispecie di cui all'art. 181, comma 1 bis, D.Lgs. n. 42/2004 è punita a  titolo di dolo generico.
 Quanto alla coscienza dell'antigiuridicità dell'azione, va rilevato che  presupposto della responsabilità penale è la conoscibilità, da parte del  soggetto agente, dell'effettivo contenuto precettivo della norma e, secondo la  sentenza n. 364/1988 della Corte Costituzionale (In relazione alla previsione  dell'art. 5 cod. pen.), va considerata quale limite alla responsabilità  personale soltanto l'oggettiva impossibilità di conoscenza del precetto (c.d.  ignoranza inevitabile, e quindi scusabile, della legge penale).
 
 Nella vicenda in esame gli imputati, se pure fosse stata ipotizzabile una  situazione di incertezza, avevano il dovere di informarsi preventivamente presso  gli organi competenti.
 
 Né si configura un errore su norma extrapenale, che abbia cagionato un errore  sul fatto costituente il reato (ex art. 47, comma 3, cod. pen.), poiché gli  imputati - i quali ben potevano avere una esatta conoscenza del D.Lgs. n.  42/2004 e che tale corretta conoscenza erano comunque obbligati ad acquisire -  non hanno erroneamente creduto di realizzare un fatto diverso da quello vietato.
 
 Deve concludersi, pertanto, che non vi sono dubbi circa la diretta volizione del  comportamento illecito e non si rinvengono elementi idonei a configurare  l'errore sul precetto di cui all'art. 5 cod. pen. ovvero l'errore su norma  extrapenale ex art. 47, comma 3, dello stesso codice.
 5. I caratteri distintivi, in senso di maggiore gravità, della nuova previsione  penale dell'art. 181, comma 1 bis, D.Lgs. n. 42/2004 (introdotta dalla legge  15.12.2004, n. 308) hanno inciso così pesantemente sulla struttura della  fattispecie originaria dell'art. 181, 1° comma, da determinare un aggravamento  quantitativo e qualitativo della pena, che è sfociato nella diversa  qualificazione del reato da contravvenzione a delitto.
 
 Questo dato recide ogni collegamento con un reato-base di diversa natura ed è  quindi da escludere la possibilità di qualificare come reato circostanziato la  nuova fattispecie di citi all' art. 181, comma 1 bis.
 6. Quanto al risarcimento del danno riconosciuto alla parte civile, questa Corte  ribadisce che, costituendo l'ambiente naturale un bene pubblico di rango  costituzionale, la lesione di esso fa sorgere in capo alle pubbliche  amministrazioni preposte alla sua tutela il diritto al risarcimento anche del  danno non patrimoniale derivatone (vedi Cass. civ., sez. III: 10.10.2008, nn.  25010 e 25011).
 
 Tale diritto deve ritenersi configurabile anche per le associazioni di  protezione ambientale riconosciute ai sensi della legge 8.6.1986, n. 349, sia  come titolari di un diritto della personalità connesso al perseguimento delle  loro finalità statutarie, sia come enti esponenziali del diritto assoluto  dell'ambiente (vedi Cass. pen., sez. III, 16.9.2008, n. 35393).
 
 Il Collegio condivide, inoltre, l'orientamento giurisprudenziale secondo il  quale il danno non patrimoniale costituisce "danno-conseguenza" e non già  "danno-evento" (Cass., Sez. Unite civ., 11.11.2008, n. 26972), sicché esso non  si connette, come una specie di pena privata, al mero accertamento della  compressione formale del bene ambiente.
 
 Nella vicenda che ci occupa, però, la Corte territoriale non ha affermato che la  compromissione del bene ambiente costituisce di per sé danno non patrimoniale.  Ha tenuto in conto, invece, facendo legittimo ricorso alla c.d. "prova  presuntiva" (integrata da presunzioni logiche e fatti notori), l'effettivo  pregiudizio arrecato all'immagine dell'ente territoriale e dell'associazione  ambientalista.
 
 7. Al rigetto dei ricorso segue, a norma dell'art. 616 c.p.p., l'onere delle  spese del procedimento.
 
 I ricorrenti vanno altresì condannati, in solido, alla rifusione delle spese del  grado sostenute dalla parte civile, che vengono liquidate in complessivi  3.000,00 euro, oltre accessori di legge.
 P.Q.M.
 la Corte Suprema di Cassazione,
 visti gli artt. 607, 615 e 616 c.p.p.,
 rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
 
 Condanna altresì i ricorrenti, in solido, alla rifusione delle spese del grado  sostenute dalla parte civile e liquidate in complessivi 3.000,00 euro, oltre  accessori di legge.
 
 ROMA, 22.4.20 10
 
 DEPOSITATA IN CANCELLERIA 27 set. 2010
 
                    




