 Cass. Sez. III n. 7216 del 25 febbraio 2011 (Ud. 17 nov. 2010)
Cass. Sez. III n. 7216 del 25 febbraio 2011 (Ud. 17 nov. 2010)
Pres. Ferrua Est. Rosi Ric. Zolesio + 1
Beni ambientali. Violazioni paesaggistiche e Costituzione
Sulla manifesta infondatezza di questioni di legittimità costituzionale in materia di violazioni paesaggistiche
REPUBBLICA ITALIANA
 IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
 LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
 Sez. III Penale
 Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: 
 
 Dott. GIULIANA FERRUA                                   - Presidente -
 Dott. CLAUDIA SQUASSONI                              - Consigliere -
 Dott. MARIO GENTILE                                       - Consigliere -
 Dott. ALDO FIALE                                             - Consigliere -
 Dott. ELISABETTA ROSI                                    - Consigliere Rel. - 
 
 ha pronunciato la seguente
 SENTENZA
 - sul ricorso proposto da:
 1) ZOLESIO ALESSANDRA N. IL 24/06/1963
 2) FANCIULLI MASSIMILIANO N. IL 15/03/1976
 - avverso la sentenza n. 2469/2009 CORTE APPELLO di FIRENZE, del 15/01/2010
 - visti gli atti, la sentenza e il ricorso
 - udita in PUBBLICA UDIENZA del 17/11/2010 la relazione fatta dal Consigliere  Dott. ELISABETTA ROSI
 - Udito il Procuratore Generale in persona del dott. Giocchino Izzo che ha  concluso per il rigetto del ricorso e la manifesta infondatezza di legittimità  costituzionale della questione
 - Udito il difensore B. L. che ha concluso per l'accoglimento del ricorso
 RITENUTO IN FATTO
 La Corte di Appello di Firenze con sentenza del 15 gennaio 2010, in parziale  riforma della sentenza del Tribunale di Grosseto, sezione distaccata di  Orbetello, aveva assolto Zolesio Alessandra (committente) e Fanciulli  Massimiliano (esecutore) dalla contravvenzione di cui all"art.44 lett.c) dpr  n.380/2001, confermando la decisione di condanna in riferimento al delitto di  cui all'art. 181 c. 1-bis, lett. a) del d.lgs. n. 42/2004, ed aveva  rideterminato la pena in mesi otto di reclusione, con revoca dell'ordine di  rimessione in pristino ed esclusione della subordinazione della sospensione  condizionale al suddetto adempimento, avuto riguardo alla abusiva realizzazione  di una muratura in pietra contro terra, lunga complessivamente m. 26,50, spessa  in media cm. 50 e con un'altezza di m 3,00, senza la prescritta autorizzazione  dell'Autorità preposta alla tutela del vincolo e senza permesso di costruire,  fatti accertati il 27/12/2006 in Monte Argentario, frazione di Porto Santo  Stefano, loc. Lupaiola, area dichiarata di notevole interesse pubblico con  decreto ministeriale del 21 febbraio 1958.
 
 Avverso la sentenza hanno proposto ricorso gli imputati chiedendone in via  principale l'annullamento per i seguenti motivi:
 
 1. Inosservanza dell'art. 181, c. 1-ter e 1-quater D. Lgs. 42/2004 -  Non_punibilità dei ricorrenti per il delitto di cui all'art. 181, c. 1-bis lett.  a) stante il conseguimento dell'accertamento di compatibilità paesaggistica  (art. 606, c. 1, lett, b, c.p.p.). Il ricorrenti hanno premesso in punto di  fatto che il comune di Monte Argentaria (ente territorialmente delegato allo  svolgimento delle funzioni per l'adozione dei provvedimenti autorizzatoci in  materia paesaggistica, giusta la L. Regionale Toscana 1/2005, artt. 87 ed 88),  previo conseguimento del parere favorevole della Sovrintendenza ai beni  ambientali e del paesaggio di Siena, ha accertato, ai sensi e per gli effetti di  cui agli artt. 167 e 181, c. 1-ter e 1-quater, la compatibilità paesaggistica  del manufatto. Su tale base i giudici di secondo grado avevano revocato l'ordine  di rimessione in pristino dello stato dei luoghi all'adempimento del quale era  subordinata la sospensione condizionale della pena ed avevano confermato la  condanna per il reato di cui all'art. 181 c. 1-bis lett. a), ritenendo che  l'art. 181 c. 1-ter limiti l'efficacia estintiva alla sola a fattispecie  contravvenzionale di cui al c. 1 dell'art. 181, senza alcun riferimento al  delitto di cui all'art. 181 c. 1-bis. A detta dei ricorrenti tali  interpretazione sarebbe errata alla luce di un'interpretazione sistematica delle  norme regolatrici della materia: l'accertamento di compatibilità paesaggistica  previsto dai c. 1-ter ed 1-quater dell'art. 181 D. Leg.vo 42/2004, dovrebbe  essere applicato a tutte le fattispecie incriminatrici contenute nella  disposizione, che sarebbero omogenee ed anzi omologhe, essendo formulate come  reati di pericolo con identica condotta.
 
 2. Motivazione contraddittoria (art. 606, lett. e) c p.p.. I Giudici fiorentini  da un lato hanno ritenuto corretto l'accertamento di compatibilità paesaggistica  e dall'altro hanno confermato la condanna.
 
 3. In subordine, i ricorrenti hanno posto la questione di illegittimità  costituzionale, a loro avviso non manifestamente infondata, dell'art. 181 c.  1-ter D. Lgs. 42/2004, nella parte in cui non prevede che, conseguito  l'accertamento di compatibilità paesaggistica secondo il procedimento di cui al  successivo c.1-quater ed all'art. 167 c.5, dello stesso corpo normativo, non  siano applicabili sanzioni penali previste dalla fattispecie incriminatrice di  cui al c. 1-bis lett. a) della medesima norma, per la violazione degli artt. 3,  25, c.2 e 27, c. 3, Cost. chiedendo la rimessione degli atti alla Corte  Costituzionale. La nuova concezione di paesaggio introdotta dalla L. n. 431/1985  e successivamente recepita nel D. Lgs. n. 42/2004 imporrebbe la valutazione  unitaria e la tutela unitaria di tutte le sue componenti, tutela che ha come  valore essenziale la rimessione in pristino dello stato dei luoghi e non sarebbe  quindi corretto distinguere tra beni ed aree dichiarati di notevole interesse  pubblico (in base alle legislazioni previgenti al D. Lgs. n.42/2004) ed aree  sottoposte al vincolo per categoria, nel senso di attribuire ai primi una  rilevanza maggiore rispetto alle seconde: pertanto la limitazione  dell'operatività della clausola di non punibilità alle sole opere eseguite nelle  zone di cui all'art. 142 del d.lgs. sarebbe una scelta irragionevole.
 Oltre alla violazione dell'art. 3 Cost. sarebbe ravvisabile anche la violazione  degli artt. 25, c.2, e 27, c. 3 Cost. in quanto mantenere la criminalizzazione  nonostante il positivo accertamento di compatibilità paesaggistica dell'opera  realizzata si tradurrebbe nella previsione di una sanzione penale a fronte di  una condotta astrattamente priva di ogni offensività, in violazione anche del  principio della funzione rieducativa della pena.
 CONSIDERATO IN DIRITTO
 I motivi di ricorso non sono fondati.
 
 1. E' bene premettere che la disciplina in tema di tutela penale dell'ambiente e  del paesaggio si è sviluppata seguendo una linea coerente sin dall'emanazione  del D.L. 27 giugno 1985, n. 312 (art. 1-sexies) e successivamente del D.Lgs. 15  ottobre 1999, n. 490 (art. 163) e poi del D.Lgs. 22 gennaio 2004, n. 42 (art.  181), e con carattere di piena autonomia rispetto ai reati in materia edilizia.  Nelle zone paesisticamente vincolate è inibita - in assenza dell'autorizzazione  le cui procedure di rilascio sono disciplinate dall'art. 146 del D.Lgs. n. 42  del 2004 - ogni modificazione dell'assetto dei territorio, attuata sia  attraverso un'opera edilizia che mediante interventi "di qualunque genere" (ad  eccezione della manutenzione, ordinaria e straordinaria, del consolidamento  statico o restauro conservativo, purché non alterino lo stato dei luoghi e  l'aspetto esteriore degli edifici; dell'esercizio dell'attività agro-  silvo-pastorale, che non comporti alterazione permanente dello stato dei luoghi  con costruzioni edilizie od altre opere civili e sempre che si tratti di  attività ed opere che non alterino l'assetto idrogeologico; del taglio  colturale, forestazione, riforestazione, opere di bonifica, antincendio e di  conservazione da eseguirsi nei boschi e nelle foreste, purché previsti ed  autorizzati in base alle norme vigenti in materia).
 
 Anche la giurisprudenza di legittimità ha individuato nel corso del tempo alcune  linee guida interpretative. La posizione più rigorosa ritiene che gli illeciti  previsti costituiscono reati di pericolo, che si realizzano a seguito della  sottrazione delle opere al controllo preventivo delle autorità, senza che debba  accertarsi se sussista un'offesa rilevante ai beni paesaggistici; secondo tale  indirizzo tale offesa risulta sussistente anche quando dette autorità attestino  ex post la compatibilità ambientale dell'intervento (fra tutte, Sez.3, n. 16713,  dell'8/4/2004, Di Muzio, Rv. 227965 e n. 10463 del 17/3/2005, Di Cesare e altro,  Rv. 231247). Per altro orientamento il reato paesaggistico, ritenuto  concordemente quale reato di pericolo, si perfeziona quando viene messa in  pericolo l'integrità paesaggistico-ambientale, ritenuta esistente quando  l'agente abbia fatto un uso del bene diverso da quello cui esso è destinato od  abbia posto in essere interventi idonei anche solo astrattamente a mettere in  pericolo tale bene (per questa linea, tra le altre, Sez.3, n. 6180 del  29/5/2000, Faiola e altro, Rv. 216975 e n.2903 del. 22/1/2010, Soverini, Rv.  245908); in altre decisioni è stato affermato che il pericolo può dirsi  sussistente solo quando si sia realizzata una modificazione apprezzabile  dell'assetto ambientale, e quindi un'incidenza in senso fisico ed estetico,  rilevante anche sotto il profilo temporale, sulle caratteristiche del luogo  sottoposto alla speciale tutela ambientale (in tal senso, Sez. 3, n. 16036 dell'  11/5/2006, Senesi, Rv. 234329 e n. 5462 del 14/2/2005, Boscacci, Rv. 230845).
 
 2. La censura dei ricorrenti si è proprio incentrata sul mancato rispetto del  principio dell'offensività del reato: è stato sostenuto che pur essendo la  fattispecie incriminatrice del 181 comma 1-bis destinata a tutelare sia  l'ambiente sia, strumentalmente, l'interesse a che la pubblica amministrazione  preposta al controllo venga posta in condizioni di esercitare efficacemente e  tempestivamente la funzione di salvaguardia del bene ambientale, nel caso di  specie, il positivo accertamento di compatibilità paesaggistica dell'intervento  implicherebbe il riconoscimento che nel caso concreto non vi era alcuna  necessità di tutelare il bene primario.
 
 Tale censura non è fondata. Come correttamente asserito dai ricorrenti la  fattispecie di cui trattasi non si limita a tutelare l'ambiente, incriminando le  condotte che abbiano arrecato pregiudizio, ma anche in via prodromica,  sanzionando la messa in pericolo del bene ambiente, stabilendo la necessarietà  dei preventivi controlli sulle zone sottoposte a vincolo paesaggistico  attraverso il meccanismo procedimentale previsto. Sul principio di offensività  nel delitto di specie, la Corte Costituzionale, investita della questione di  legittimità costituzionale dell'originaria fattispecie di cui all'art.1-sexies sotto il profilo dell'asserito contrasto di detta norma con i principi  costituzionali di cui agli artt. 13, 25 e 27 Cost, nella parte in cui sottopone  a sanzione penale tutte le modifiche ed alterazioni, con opere non autorizzate,  di beni specificamente tutelati dal vincolo paesaggistico, senza valutare la  concreta incidenza dannosa per i beni tutelati, pur rigettando la questione, ha  tuttavia affermato (sentenza n. 247 del 1997) che "anche per i reati formali o  di pericolo presunto l'accertamento in concreto dell'offensività è devoluta al  giudice penale" configurandosi in ciò non un vizio di incostituzionalità, ma una  valutazione di merito dello stesso giudice.
 
 Per quanto attiene in particolare alla non punibilità conseguibile all'esito del  successivo riconoscimento della compatibilità paesaggistica dell'opera  realizzata, il principio generale per il quale l'autorizzazione paesaggistica  non può essere rilasciata in sanatoria successivamente alla realizzazione, anche  parziale, degli interventi è stato, è ben vero, derogato a seguito della legge  n. 308 del 2004 (con previsioni confluite per l'appunto in seguito nel D.Lgs. n.  42 del 2004, art. 181, commi 1-ter e quater e, successivamente, nell'art. 167,  commi 4 e 5 del codice dell'ambiente), prevedendo la possibilità di una  valutazione postuma della compatibilità paesaggistica di alcuni interventi  minori, all'esito della quale non si applicano le sanzioni penali stabilite per  il reato contravvenzionale contemplato dall'art. 181, comma 1 dei d.Lgs. n. 42  del 2004: si tratta, in particolare dei lavori, realizzati in assenza o  difformità dall'autorizzazione paesaggistica, che non abbiano determinato  creazione di superfici utili o volumi ovvero aumento di quelli legittimamente  realizzati; dell'impiego di materiali in difformità dall'autorizzazione  paesaggistica; dei lavori configurabili quali interventi di manutenzione  ordinaria o straordinaria, ai sensi dell'art. 3 del testo unico. La non  applicabilità delle sanzioni penali è subordinata all'accertamento della  compatibilità paesaggistica dell'intervento, secondo l'art 181, comma 1-quater,  introdotto proprio dalla L. 15 dicembre 2004, n. 308 (presentazione di specifica  domanda all'autorità preposta alla gestione del vincolo, la quale deve  pronunciarsi entro il termine perentorio di 180 giorni, previo parere vincolante  della Soprintendenza, da rendersi entro il termine, anch'esso perentorio, di 90  giorni. Cfr. Sez. 3, n. 15053 del 13/04/2007, Bugelli, Rv. 236337). In  conclusione, il reato può essere escluso solo in relazione ad interventi di  minima rilevanza e consistenza, non incidenti ovvero non idonei ad incidere  sull'integrità del bene ambiente.
 
 Nel caso di specie la sentenza impugnata ha dato conto dell'entità dell'opera  eseguita e del fatto che la stessa è risultata - sulla base delle foto prodotte  dalla stessa difesa dell'imputato - non irrilevante sotto il profilo oggettivo  (individuata quale «non modesta "quinta" muraria configurante e delimitante  un'area verde», «vistosamente grandeggiando nel contesto osservabile») e tale  opera risulta realizzata in area dichiarata di notevole interesse pubblico con  apposito provvedimento, costituito dal D.M. del 21/2/1958, relativo all'intero  territorio del comune di Monte Argentario, emanato quindi in epoca antecedente  alla realizzazione dei lavori. Pertanto i giudici, dandone congrua motivazione,  hanno valutato la stessa idonea a compromettere l'ambiente paesaggistico,  concludendo per la realizzazione di una effettiva messa in pericolo del  paesaggio, valutabile come tale anche ex ante, nonché di una violazione  dell'interesse dalla P.A. ad una corretta informazione preventiva ed  all'esercizio di un efficace e sollecito controllo.
 
 3. Per quanto attiene alla censura della mancata applicazione da parte dei  giudici di merito della condizione di esclusione della punibilità prevista dai  c. 1-ter ed 1- quater del D.Lgs n. 42 del 2004, in conseguenza dell'accertamento  di compatibilità paesaggistica, anche alla contestata incriminazione di cui  all'art. 181 c. 1-bis dello stesso decreto legislativo, la stessa è parimenti  infondata.
 Come affermato dalla Corte costituzionale con l'ordinanza n. 144 del 2007 (nel  corso del giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 181-quinquies del  d.Lgs n. 42 del 2004) proprio in considerazione della straordinaria importanza  della tutela "reale" dei beni paesaggistici ed ambientali, il legislatore ha  introdotto tale disposizione con lo scopo di incentivarla, riconoscendo valore  prevalente al ripristino del bene paesaggistico rispetto alla stessa pretesa  punitiva dello Stato, ma il giudice delle Leggi si è espresso nel senso della  impossibilità per la Corte costituzionale di operare una pronuncia additiva  della condizione di non punibilità, in quanto tesa ad estendere una disposizione  derogatoria ed eccezionale, estensione possibile solo quando sussista piena  identità di funzione fra le discipline poste a raffronto. I principi affermati  dalla Corte costituzionale rappresentano riferimenti essenziali in sede  interpretativa e non consentono, quindi, alcuna interpretazione estensiva delle  leggi che prevedono forme di condono, sia per i reati in materia urbanistica ed  edilizia ed ancor più per i casi in cui la violazione costituisce anche offesa  alla tutela delle aree soggette a vincoli di natura ambientale o paesaggistica.  Pertanto, qualora le disposizioni di legge si prestino ad interpretazioni non  uniformi, il giudice deve dare di quelle disposizioni una interpretazione che si  ponga in linea con l'assetto costituzionale (in tal senso si veda anche Sez. 3,  n.37243 del 1/10/2008, Fregapane, non mass.).
 
 I giudici di merito si sono uniformati a questi principi ed hanno ritenuto che  non vi fosse una ragione costituzionalmente fondata per applicare estensivamente  l'esclusione della punibilità prevista dalle disposizioni di cui ai commi 1-ter  ed 1-quater dell'art. 181. Di fatti le successive modifiche legislative  all'impianto originario del decreto legislativo n. 42 del 2004 (legge n. 308 del  2004 e decreto legislativo n. 157 del 2006), non hanno alterato l'originaria  diversificazione tra i beni tutelati ex art. 136 del codice Urbani, in quanto  dichiarati di notevole interesse pubblico con apposito provvedimento, e le aree  tutelate per legge, di cui all'art. 142 del medesimo testo, caratterizzate da  interesse paesaggistico: non possono perciò essere ritenute identiche le  discipline poste a raffronto.
 
 4. Anche in relazione al secondo motivo di ricorso, non si ravvisa alcuna  contraddittorietà nella motivazione fornita dai giudici della corte di appello  fiorentina, che hanno riferito dell'accertamento di compatibilità paesaggistica  ottenuta con provvedimento dirigenziale del comune di Monte Argentario in data  27 ottobre 2009, quale elemento dal quale è conseguita la revoca della sanzione  amministrativa dell'ordine di rimessione in pristino, ma non anche, per le  ragioni enunciate, la declaratoria di non doversi procedere in ordine al reato  ambientale, ed hanno pertanto confermato la condanna dei ricorrenti per il reato  di cui all'art. 181, c.1-bis del D.Lgs n. 42 del 2004. La riforma della  decisione di primo grado, con conseguente assoluzione per la violazione edilizia  di cui all'art. 44, lett. c) del D.P.R. 380 del 2001, risulta, di contro,  motivata sul piano della incertezza probatoria per mancanza di accertamenti sul  punto, quanto alla circostanza se l'intervento pertinenziale di cui è processo  sia o meno da annoverare fra gli "interventi di nuova costruzione", ai sensi  dell'art. 10, c.1, lett. a) del D.p.r. 380 del 2001.
 
 5. Non è neppure accoglibile l'eccezione proposta, in via subordinata, dai  ricorrenti volta a sollecitare una pronuncia di non manifesta infondatezza della  questione di legittimità costituzionale dell'art.181, c.1-ter del D.Lsg n. 42  del 2004, laddove non prevede che, conseguito l'accertamento di compatibilità  paesaggistica secondo il procedimento di cui al comma 1-quater e all'art. 167,  c.5, non siano applicabili le sanzioni penali previste dal comma 1-bis lett.a)  della stessa disposizione, per violazione degli artt. 3, 25, c.2 e 27, c.3 della  Costituzione.
 Va premesso che il c.d. delitto paesaggistico di cui all'art. 181, c. 1-bis,  come affermato anche dalla dottrina, rappresenta una figura autonoma di reato e  non un'ipotesi di reato circostanziato del reato base di cui al comma 1 del  medesimo articolo. Di fatti il legislatore ha ritenuto di sanzionare più  severamente quelle condotte che sono state ritenute maggiormente offensive, del  bene tutelato dell'integrità ambientale, consistenti o in lavori di qualsiasi  genere eseguiti su immobili o aree tutelate già in precedenza con apposito  provvedimento di dichiarazione di notevole interesse pubblico, ovvero in lavori  di consistente entità (come determinata con i parametri richiamati dalla lettera  b) del citato comma) che ricadono su immobile o aree tutelate per legge ai sensi  dell'art. 142 dello stesso corpus normativo.
 Occorre poi richiamare i principi stabiliti dalla Corte costituzionale in base  ai quali la discrezionalità in materia di disciplina delle condizioni di  estinzione del reato o della pena spetta in via esclusiva al legislatore e -  quindi - l'estensione di una condizione di non punibilità, quale quella di cui  si tratta, attraverso una pronuncia del Giudice delle Leggi è possibile solo  quando risulti piena identità fra le discipline poste a raffronto.
 Questo Collegio rileva, invece, che la diversificazione tra le situazioni poste  a raffronto non appare violare alcuno dei parametri costituzionali evocati,  trattandosi per l'appunto di situazioni non omogenee, in relazione alle quali  non risulta irragionevole una disciplina normativa diversa (in un caso, lavori  realizzati in aree o immobili tutelati in via specifica ed individualizzata, e  nell'altro, lavori realizzati in aree tutelate per legge, con richiamo generale  alla categoria ex art. 142 del Digs n. 42 del 2004). La questione di legittimità  costituzionale risulta pertanto manifestamente infondata.
 
 I ricorsi devono pertanto essere rigettati ed i ricorrenti devono essere  condannati, ai sensi del disposto di cui all'art. 616 c.p.p., al pagamento delle  spese processuali.
 P.Q.M.
 dichiara manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale;  rigetta i ricorsi e condanna ciascun ricorrente al pagamento delle spese  processuali.
 
 Così deciso in Roma, il 17 novembre 2010.
 
 DEPOSITATO IN CANCELLERIA 25 Feb. 2011
 
                    




