 Cons. Stato Sez. VI n. 2377 del 27 aprile 2010
Cons. Stato Sez. VI n. 2377 del 27 aprile 2010
Beni ambientali. Vincolo e degrado ambientale del sito
La qualificazione di rilevanza paesaggistico-ambientale di un sito non è determinata dal suo grado d'inquinamento - ché, allora, in tutti i casi di degrado ambientale sarebbe preclusa ogni ulteriore protezione del paesaggio riconosciuto meritevole di tutela - , l'imposizione del relativo vincolo servendo piuttosto a prevenire l'aggravamento della situazione e di perseguirne il possibile recupero.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
 
 N. 02377/2010 REG.DEC.
 N. 07371/2007 REG.RIC.
Il Consiglio di Stato
 
 in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)
 ha pronunciato la presente
 DECISIONE
 Sul ricorso numero di registro generale 7371 del 2007, proposto da:
 Fiorini Remo, rappresentato e difeso dall'avv. Cesare Costa, con  domicilio  eletto presso Enrico Brenciaglia in Roma, via Nizza 22;
 
 contro
 
 Ministero Per i Beni e Le Attivita' Culturali;
 
 nei confronti di
 
 Comune di Viterbo;
 
 per la riforma
 
 della sentenza del TAR LAZIO – Sede di ROMA -Sezione II Quater n.  05480/2007,  resa tra le parti, concernente CONCESSIONE EDILIZIA IN SANATORIA -  VINCOLO  PAESAGGISTICO.
 
 
 Visto il ricorso in appello con i relativi allegati;
 
 Viste le memorie difensive;
 
 Visti tutti gli atti della causa;
 
 Relatore nell'udienza pubblica del giorno 16 marzo 2010 il Consigliere  Fabio  Taormina e udito per parte appellante l’ avvocato Lubrano per delega  dell'Avv.  Costa;
 
 Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
 FATTO
 Con la decisione in epigrafe appellata il Tar ha respinto il ricorso di  primo  grado con il quale era stato chiesto dall’ odierna parte appellante  l'annullamento del decreto del Soprintendente per i Beni Architettonici e  per il  Paesaggio, per il Patrimonio storico, artistico e demoetnoantropologico  del  Lazio del 22.9.2003, recante l’ annullamento del provvedimento del  Comune di  Viterbo n. 89 del 9.7.2003 con cui si era espresso parere favorevole ai  sensi  degli artt. 32 della legge 47/85 e 39 della legge 724/94 relativamente  alla  domanda di sanatoria di un “fabbricato ad uso abitazione ” abusivamente  realizzato nello stesso Comune (ubicato in località Strada Orfana  –Bagnaia-, km.  6.700 in zona di rispetto stradale, distinto in catasto al foglio 148  particella  372).
 
 Nel mezzo introduttivo del giudizio di primo grado erano state sollevate  le  censure di eccesso di potere per difetto di motivazione ed illogicità  manifesta  (il provvedimento impugnato aveva annullato il parere comunale in quanto   immotivato, esperendo autonome indagini in violazione del principio di  leale  collaborazione, anziché limitarsi ad attendere la trasmissione delle  integrazioni documentali eventualmente necessarie); quella relativa alla   violazione dell’art. art. 82 comma 9 del D.P.R. 24 luglio 1977, di  incompetenza,  e di eccesso di potere per sviamento e difetto di motivazione lamentando  che il  Ministero, in violazione delle disposizioni predette, aveva effettuato  una  valutazione di merito in ordine alla compatibilità ambientale delle  opere da  sanare (neppure assistita da adeguata motivazione) sostituendosi a  quella  operata dal Comune.
 
 Si lamentava inoltre il vizio di violazione e falsa applicazione della  legge n.  241/90 e di eccesso di potere per sviamento e difetto di  motivazione:l’atto  impugnato non era assistito da adeguata motivazione, in particolare con  riferimento ai dati topografici ed agli strumenti di pianificazione  urbanistica  da cui si desume che l’area avrebbe dovuto rimanere inedificata, ed era  stata  omessa la comunicazione di avvio del procedimento prevista dall’art. 7  della  legge n. 241/90.
 
 Nel merito, si denunciava il vizio di eccesso di potere per illogicità  manifesta, difetto di motivazione e di istruttoria, ed erroneità dei  presupposti: non era condivisibile il giudizio di incompatibilità  ambientale  espresso dal Soprintendente, in quanto non considerava l’effettivo stato  dei  luoghi (ormai tutt’altro che integri, come rappresentato da relazione  peritale  di parte allegata al ricorso).
 
 Con la sentenza in epigrafe il Tar ha partitamente preso in esame le  censure  dedotte ed ha ritenuto infondato il gravame.
 
 Secondo i primi Giudici, la censura con la quale si lamentava che il  Soprintendente aveva svolto diretti accertamenti al fine di stabilire la   compatibilità del manufatto con il vincolo gravante sull’area (mentre,  secondo  la tesi dell’appellante avrebbe dovuto limitarsi a chiedere al Comune la  sola  integrazione dei documenti eventualmente mancanti) era infondata in  quanto  l’autorità tutoria nell’esercizio della attività di controllo ha il  potere di  ispezionare anche lo stato dei luoghi -ove necessario per verificare la  legittimità del nulla-osta comunale - non sussistendo alcun limite  normativamente imposto.
 
 Neppure, secondo il Tar, era esatto affermare che era stato  illegittimamente  esercitato un potere di riesame del merito dell’atto sottoposto a  controllo,  (così violando il principio di leale collaborazione tra l’organo  regionale o  comunale sub-delegato gestore del vincolo e l’autorità tutoria statale)  anziché  limitarsi ad un mero scrutinio di legittimità dello stesso: ciò perché  il  decreto della Soprintendenza era motivato con riguardo a numerose  emergenze  fattuali.
 
 Segnatamente, si era ivi evidenziato che l’area interessata  dall’intervento  edilizio era dichiarata di notevole interesse ex lege n.  1497/1939 ai  sensi dell’art. 146 lett. c) del d.lvo n. 490/99, ed il Comune non aveva   chiarito come e perché l’intervento sanato fosse stato giudicato  compatibile con  le esigenze di tutela ambientale; a seguito di verifica si era rilevato  che le  opere erano state realizzate nella fascia di rispetto di un corso  d’acqua in  zona vincolata che doveva esser mantenuta integra ed inedificata, ( il  manufatto  abusivo era stato realizzato nel 1993 in zona ancora abbastanza integra  con  conseguente incisione negativa della località protetta, alterando i  tratti  tipici dei terreni posti a rispetto dei corsi d’acqua); il parere  favorevole del  Comune si risolveva nell’apportare una modifica ai tratti caratteristici  della  località protetta ed apportava una modifica al vincolo paesaggistico.
 
 Ne conseguiva che era inesatto affermare che la Soprintendenza aveva  esercitato  un controllo di merito in ordine alla compatibilità dell’intervento in  questione  con il vincolo paesistico ( essendosi limitata ad evidenziare il  contrasto con  le specifiche prescrizioni del PTP che sanciscono un vincolo di  inedificabilità  a tutela dei fossi e dei corsi d’acqua).
 
 Secondo il Tar, poi, anche il terzo mezzo, (con cui si denunciava il  difetto  motivazionale dell’atto impugnato e l’omessa comunicazione di avvio del  procedimento) doveva essere disatteso.
 
 La determinazione comunale, non aveva tenuto conto dell’esistenza,  nell’area  interessata dalla costruzione, del vincolo assoluto di inedificabilità  imposto  delle norme tecniche di attuazione del vigente P.T.P; sotto altro  profilo,  risultando il provvedimento comunale adottato l’8.9.2003,  successivamente  all’entrata in vigore del D.M. 19.6.2002 n. 165 e non essendo stato  detto  decreto impugnato, non vi era alcun obbligo per la Soprintendenza di  comunicare  al ricorrente l’avvio del procedimento di secondo grado di cui al citato  art.  151, comma 4, del D.Lgs. n. 490/1999, volto alla verifica della  legittimità  dell’autorizzazione rilasciata dal Comune.
 
 In ultimo, la denunciata parziale compromissione di un’area vincolata  non  giustificava il rilascio di provvedimenti atti a comportarne l’ulteriore   degrado, ma doveva richiedere, semmai, una maggiore attenzione da parte  dell’autorità preposta alla tutela del vincolo al fine di preservare gli  spazi  residui da un ulteriore “vulnus” ai valori ambientali tutelati:  anche  l’ultimo motivo di censura, pertanto, doveva essere disatteso.
 
 L’odierna parte appellante ha censurato la predetta sentenza chiedendone   l’annullamento in quanto viziata da errori di diritto ed illegittima  riproponendo i motivi di censura già contenuti nel ricorso di primo  grado.
 
 Il piccolo locale adibito a ricovero di attrezzi agricoli da questi  realizzato  era di modeste dimensioni; la Soprintendenza non avrebbe potuto  ispezionare il  sito, in presenza della completa e compiuta istruttoria svolta  dall’amministrazione comunale;erano state illegittimamente introdotte  nel  procedimento, ad opera della Soprintendenza, non ammissibili valutazioni  di  merito: ciò in base ad un atto connotato da motivazione non solo  insufficiente  ma, addirittura, meramente apparente, anche tenuto conto della  situazione  (ampiamente compromessa, sotto il profilo urbanistico ed ambientale)  dell’area.
 
 Essa ha puntualizzato e ribadito dette doglianze mercè il deposito di  una  articolata memoria datata 1.3.2010.
 
 Alla camera di consiglio del 9 ottobre 2007 fissata per l’esame  dell’istanza  cautelare di sospensione della esecutività della sentenza appellata la  Sezione  con l’ordinanza n. 5301/2007 ha parzialmente accolto l’appello  cautelare,  limitatamente alla riduzione in pristino del manufatto di cui trattasi  conseguente all’esecuzione del decreto impugnato in primo grado.
 DIRITTO
 La sentenza deve essere confermata previa declaratoria di infondatezza  dell’appello.
 
 L’azione amministrativa appare immune dai vizi di legittimità lamentati  dall’appellante ed esattamente il Tar ha dichiarato l’infondatezza del  ricorso  di primo grado.
 
 Il punto dal quale è necessario muovere (così invertendo la l’ordine di  trattazione delle censure contenute nel ricorso in appello) riposa nella   condivisibile affermazione, che costituisce jus receptum, e che riguarda  sia i  singoli beni che le aree protette, secondo cui “la qualificazione di  rilevanza  paesaggistico-ambientale di un sito non è determinata dal suo grado  d'inquinamento - ché, allora, in tutti i casi di degrado ambientale  sarebbe  preclusa ogni ulteriore protezione del paesaggio riconosciuto meritevole  di  tutela - , l'imposizione del relativo vincolo servendo piuttosto a  prevenire  l'aggravamento della situazione e di perseguirne il possibile recupero.  (Consiglio di Stato , sez. V, 27 marzo 2000, n. 1761: per l’analoga  affermazione  in materia di vincolo storico-artistico,secondo cui “lo stato di degrado  ed  abbandono in cui può versare un bene non preclude l'adozione della  misura di  vincolo ex art. 1 e 3 l. 1 giugno 1939 n. 1089, che è, anzi, indirizzata  ad  impedire ulteriore danno al bene di interesse storico ed ambientale ed a   favorire, anche avvalendosi di finanziamento pubblico, eventuali  interventi di  recupero.”, si veda: Consiglio di Stato , sez. VI, 02 novembre 2007, n.  5662).
 
 La censura fondata sulla pregressa compromissione ambientale e  paesaggistica  dell’area ove insiste il manufatto abusivamente edificato è pertanto  infondata,  collidendo con il consolidato orientamento di questo Consiglio di Stato  reso sia  in sede consultiva (“in tema di condono per un'opera realizzata in zona  soggetta  a vincolo paesaggistico, la situazione di compromissione della bellezza  naturale  ad opera di preesistenti realizzazioni anziché impedire, maggiormente  richiede  per la legittimità dell'azione amministrativa che nuove opere non  deturpino  ulteriormente l’ambito protetto.” Consiglio di Stato , sez. II, 13  dicembre  2006, n. 10387) che giurisdizionale (“ogni eventuale situazione di  compromissione dell'ambiente ad opera di preesistenti realizzazioni, non  esime  l'amministrazione dall'assumere provvedimenti sanzionatori nei riguardi  delle  nuove costruzioni eseguite in contrasto con il vincolo paesaggistico ed  anzi  maggiormente richiede, per la legittimità dell'azione amministrativa,  che  ulteriori interventi non deturpino ulteriormente l'ambiente  protetto.”Consiglio  di Stato, sez. IV, 30 giugno 2005, n. 3547).
 
 Tali condivisibili principi consentono, da un canto, di ritenere  infondata  l’ultima censura contenuta nel ricorso in appello e, al contempo, di  valutare  finalisticamente l’azione amministrativa intrapresa dalla Soprintendenza  in  quanto armonicamente coordinata con i principi generali in materia.
 
 Posto poi che nel caso di specie la Soprintendenza ha verificato la non  compatibilità dell’intervento in questione con il vincolo paesistico  (evidenziando il contrasto con le specifiche prescrizioni del PTP che  sanciscono  un vincolo di inedificabilità a tutela dei fossi e dei corsi d’acqua) è  evidente  la infondatezza della doglianza mercè la quale si è lamentato l’indebito   esercizio di un controllo di merito (si veda, di recente, la  condivisibile  ricostruzione contenuta nella decisione del Consiglio di Stato, sez. VI,  23  febbraio 2009, n. 1050 in tema di ampiezza della valutazione  esercitabile dalle  Soprintendenze).
 
 Quanto alla doglianza relativa alla asserita assenza in capo alla  Soprintendenza  del potere di svolgere attività istruttoria, essa è tanto suggestiva  quanto  infondata (oltre ad essere assolutamente generica, richiamandosi ad un  asserito  vulnus del principio di “leale collaborazione” non corroborato dal  richiamo di  alcun referente normativo).
 
 Parte appellante sembra impropriamente richiamarsi ad un principio  giurisprudenziale reso in materia di termini di esercizio del potere  repressivo  (“l'art. 6 comma 6 bis, d.m. 13 giugno 1994 n. 495 e l'art. 159 comma 2,  d.lg.  22 gennaio 2004 n. 42 possono ritenersi ricognitivi del principio della  possibilità, da parte della Soprintendenza, di effettuare richieste  istruttorie,  idonee ad incidere sul termine perentorio di sessanta giorni: oltre  all'ipotesi  di documentazione non trasmessa ed utilizzata in sede di rilascio  dell'autorizzazione paesaggistica, tali richieste possono riguardare  anche  accertamenti, chiarimenti ed elementi integrativi di giudizio. I rischi  di  elusione del termine perentorio e di attribuzione alla Soprintendenza  del potere  di annullamento esercitabile senza termine certo, vengono evitati  attraverso il  contenimento temporale, risultante dalla lettura combinata delle due  disposizioni. Ciò non significa che ogni richiesta istruttoria sia  idonea ad  interrompere il termine perentorio, in quanto resta anche ferma la  possibilità  di dedurre in giudizio l'insussistenza dei descritti presupposti, in  base ai  quali la richiesta può essere ritenuta legittima.”- Consiglio di Stato ,  sez. VI,  26 novembre 2007, n. 6032 -)
 
 Da tale principio (e dalla consolidata prassi secondo cui le  Soprintendenze si  rivolgono agli enti che rilasciarono il provvedimento autorizzatorio per   ottenere gli eventuali chiarimenti reputati necessari) l’appellante fa  sostanzialmente discendere un corollario, eccentrico rispetto al  sistema,  secondo il quale alla Soprintendenza sarebbe precluso di svolgere alcun  accertamento istruttorio nell’ambito delle proprie competenze.
 
 Il vero è semmai il contrario: il potere di svolgere in proprio attività   istruttoria è connaturato ed endemico al potere di disporre.
 
 Ad esso può semmai derogarsi, richiedendo chiarimenti istruttori  all’autorità  che ha emesso il provvedimento oggetto di vaglio.
 
 Non a caso, la giurisprudenza di primo grado che ha avuto modo di  pronunciarsi  sulla questione ha semmai posto in risalto l’aspetto specularmente  opposto a  quello postulato da parte appellante precisando che “in tema di rilascio  di  nullaosta paesaggistico (nella specie per rilascio di concessione in  sanatoria  di abusi edilizi effettuati in zone sottoposte a vincolo), l'attività di   verifica della correttezza del provvedimento regionale di conformità, di  cui  all'art. 7, l. 29 giugno 1939 n. 1497, effettuata sia dalla  soprintendenza sia  dall'autorità centrale - previa acquisizione di tutti gli atti necessari  a  consentire il pieno ed esaustivo apprezzamento dell'incidenza  dell'intervento  edilizio sull'assetto paesistico territoriale della zona e circostante -  non  implica, necessariamente, il compimento di effettivo sopralluogo ma può  limitarsi alla valutazione documentale della condotta procedimentale  tenuta  dall'ente territoriale -nella specie, la verifica da parte  dell'amministrazione  centrale ha rilevato la carenza sul piano della motivazione circa la  compromissione o meno del territorio-“.(T.A.R. Calabria Catanzaro, 09  novembre  1999, n. 1335).
 
 Quanto alla lamentata violazione degli artt. 7 e 8 della legge n.  241/90, in  quanto la Soprintendenza avrebbe omesso di comunicarle l'avvio del  procedimento  di riesame del nulla osta paesaggistico rilasciato dall'Autorità  comunale, essa  non sussiste.
 
 La censura infatti si appalesa priva di pregio, poiché per effetto  dell'art. 2  del D.M. 19 giugno 2002, n. 165, che ha abrogato l'art. 4 del D.M. 13  giugno  1994, n. 495, i procedimenti di riesame dei nulla osta paesaggistici ed  ambientali non devono essere preceduti dalla comunicazione di avvio ai  sensi  dell'art. 7 della legge n. 241/90 (cfr. ex multis, Consiglio di  Stato,  sez. VI, 3 marzo 2004, n. 1063).
 
 E ciò anche a non volere considerare (tanto più alla luce della  “novella” di cui  alla legge n. 15/2005 che ha innovato la lex generalis in materia  di  procedimento amministrativo di n. 241/1990) il consolidato orientamento  secondo  cui “l'obbligo di dare comunicazione dell'avvio del procedimento  previsto  dall'art. 7 l. n. 241 del 1990, non può essere applicato meccanicamente e   formalisticamente, essendo volto non soltanto ad assolvere ad una  funzione in  favore del destinatario dell'atto conclusivo, ma anche a formare  nell'amministrazione procedente una più completa e meditata volontà e  dovendosi,  comunque, ritenere che il vizio derivante dall'omissione di  comunicazione non  sussiste nei casi in cui lo scopo della partecipazione del privato sia  stato  comunque raggiunto o manchi. Dal che ne consegue che non può ritenersi  sussistente la violazione di tale obbligo nel caso in cui il soggetto  inciso  sfavorevolmente da un provvedimento non dimostri che, ove sarebbe stato  in grado  di fornire elementi di conoscenza e di giudizio tali da far determinare  in modo  diverso le scelte dell'amministrazione procedente -nella specie trattasi  di  mancato avviso di avvio di procedimento di annullamento da parte della  Soprintendenza ai beni ambientali ed architettonici del nulla osta  comunale per  la realizzazione di pontili mobili per approdi di imbarcazioni  turistiche in  località non individuata da variante a p.r.g. come "area portuale", e  che  pertanto si configurava come atto dovuto-.” (Consiglio di Stato , sez.  VI, 06  ottobre 2005, n. 5436).
 
 Ciò ovviamente, tenendo in considerazione la circostanza che il diniego  repressivo concerneva la sussistenza di una zona di rispetto, e che il  privato  interessato, odierno appellante, nessun utile contributo procedimentale  avrebbe  potuto apportare.
 
 Tale corollario, discendente dalla incontestata sussistenza del vincolo  di  inedificabilità (del quale sarebbe spettato all’appellante dimostrare,  in  termini non meramente assertivi, l’inesistenza) consente in ultimo di  dichiarare  immeritevole di accoglimento la doglianza attinente all’asserita assenza  di  supporto motivazionale della delibera reiettiva.
 
 La essenza della statuizione amministrativa censurata riposa nella  interpretazione ed applicazione di norme di legge a contenuto precettivo   immediatamente vincolante.
 
 Parte appellante ha contestato la legittimità ed esattezza di tale  interpretazione; ma ciò appunto, costituisce l’essenza, il “proprium”  dell’accertamento giudiziale e non integra certo vizio motivazionale  dell’atto.
 
 Dal tenore del provvedimento impugnato l’appellante era perfettamente in  grado  di ricavare gli elementi essenziali del convincimento  dell’amministrazione  (circostanza, quest’ultima, effettivamente avvenuta): non ricorrono  certamente,  nel caso di specie, quei parametri (“il difetto di motivazione dell'atto   amministrativo impedisce di comprendere in base a quali dati specifici  sia stata  operata la scelta della pubblica amministrazione, nonché di verificarne  il  percorso logico seguito nell'applicare i criteri generali nel caso  concreto,  così contestando di fatto una determinazione assolutamente discrezionale  e non  controllabile e violando non solo l'obbligo di motivare i provvedimenti  amministrativi, indicando, ai sensi dell'art. 3 l. 7 agosto 1990 n. 241,  i  presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che li hanno determinati in   relazione alle risultanze dell'istruttoria, ma anche i principi di  imparzialità  e buon andamento, di cui all'art. 97 cost. “-Consiglio di Stato , sez.  IV, 04  settembre 1996, n. 1009-) enucleati dalla giurisprudenza perché possa  essere  ritenuto sussistente sì grave vizio dell’azione amministrativa.
 
 Il vero è che l’intera impostazione del ricorso in appello non tiene  conto di  due principi-cardine enucleati dalla giurisprudenza e che costituiscono jus  receptum.
 
 Il primo di essi, in tema di poteri e competenze dell’organo statale, è  quello  per cui “dall'art. 159 comma 1 d.lg. n. 42 del 2004, emerge chiaramente  la  scelta operata dal legislatore, nel senso di configurare il procedimento  di  conformità paesaggistica in sanatoria in termini "dualistici",  distinguendo in  esso un momento iniziale di ordine autorizzatorio, di competenza  dell'ente  territoriale delegato, ed un momento successivo di verifica  dell'autorizzazione  rilasciata, appartenente alla competenza dell'Autorità statale, con  conseguente  autonomia del procedimento innanzi quest'ultima e connesse prerogative  di  partecipazione, attribuite specificamente al soggetto interessato, e  rinnovate,  rispetto a quelle della precedente fase svoltasi a seguito della sua  domanda di  autorizzazione innanzi all'ente territoriale delegato.”(Consiglio di  Stato ,  sez. VI, 02 novembre 2007, n. 5682).
 
 Il secondo portato dell’esperienza giurisprudenziale, anch’esso di  risalente  ispirazione, in tema di ampiezza e portata del vincolo imposto  sull’area, si è  spinto ad affermare che è ininfluente l’epoca (antecedente o successiva  alla  commissione dell’abuso) in cui sorse il vincolo, purchè il medesimo  risulti  apposto alla data in cui deve essere valutata la domanda di sanatoria  (ex multis,  Consiglio di Stato , sez. IV, 19 marzo 2009, n. 1646).
 
 Né rileva la mancata conoscenza da parte dell’autore dell’abuso della  sussistenza del vincolo pregresso all’epoca della commissione  dell’illecito (in  termini: Consiglio di Stato , sez. VI, 02 febbraio 2009, n. 537).
 
 Sarebbe spettato all’amministrazione dell’ente locale fornire analitica  dimostrazione, fornita di consistente supporto motivazionale, del  perché, pur a  fronte del vincolo in oggetto, l’immobile si potesse ritenere meritevole  del  provvedimento di sanatoria (e quale fosse l’interesse, prevalente sul  vincolo  apposto, da salvaguardare). Il provvedimento repressivo impugnato non  indulge in  valutazioni di merito ma, fa corretto uso dei superiori principi, con  statuizione immune da vizi di straripamento.
 
 In conclusione, il provvedimento impugnato si appalesa legittimamente  adottato  nell'esercizio del potere di annullamento conferito al Soprintendente ed   adeguatamente motivato, essendo a tal fine sufficiente il riferimento al   rilevato contrasto con le prescrizioni in materia di vincolo da zona di  rispetto  ed alla carenza di motivazione del nulla osta comunale. Quest'ultimo  vizio,  peraltro, è stato ritenuto dalla giurisprudenza, con riferimento ai  provvedimenti in esame, come particolarmente grave e di per sé  sufficiente a  giustificare l'annullamento del nulla osta comunale. In considerazione  della  tendenziale irreversibiltà dell'alterazione dello stato dei luoghi,  infatti,  un'adeguata gestione dei vincoli paesistici impone che l'autorizzazione  paesistica sia congruamente motivata, esponendo le ragioni di effettiva  compatibilità degli abusi realizzati con gli specifici valori paesistici  dei  luoghi, con la conseguenza che il difetto di motivazione  dell'autorizzazione  giustifica per ciò solo il suo annullamento in sede di controllo  (Consiglio di  Stato, Sez. V n. 4552/2005; Sez. VI, 8 agosto 2000, n. 4345; Sez. VI, 9  aprile  1998, n. 460; Sez. IV, 4 dicembre 1998, n. 1734; Sez. VI, 9 aprile 1998,  n. 460;  Sez. VI, 20 giugno 1997, n. 952; Sez. VI, 30 dicembre 1995, n. 1415;  Sez. VI, 12  maggio 1994, n. 771).
 
 In particolare, l’azione amministrativa appare essersi conformata ai  principi  autorevolmente affermati secondo i quali “con riferimento alle  valutazioni che  il Ministero per i beni e le attività culturali può formulare ex art.  82, comma  9, d.lg. 24 luglio 1977 n. 616 (così come da ultimo trasfuso nell'art.  151,  comma 4, secondo periodo, d.lg. 29 ottobre 1999 n. 490) in sede di  gestione dei  valori paesistici e ambientali "ad estrema difesa del vincolo", va  richiamata la  incontestata giurisprudenza per la quale l'autorizzazione paesistica può  essere  annullata per qualsiasi vizio di incompetenza, violazione di legge ed  eccesso di  potere (per sviamento, insufficiente motivazione, difetto di  istruttoria,  illogicità manifesta): in particolare, in considerazione della  tendenziale  irreversibilità dell'alterazione dello stato dei luoghi, l'atto che  esamina la  domanda di autorizzazione deve essere coerente col piano paesistico (ove   emanato), si deve basare su una idonea istruttoria e su una adeguata  motivazione  (da cui devono risultare le ragioni poste a base della affermata  prevalenza di  un interesse diverso da quello tutelato in via primaria) e deve tenere  conto del  principio di leale cooperazione che in materia domina i rapporti tra il  Ministero e le regioni. “.(Consiglio di Stato Adunanza Plenaria, 14  dicembre  2001, n. 9).
 
 La sentenza impugnata, conclusivamente, resiste alle censure di cui  all’appello  che deve essere, pertanto, respinto.
 
 Nessuna statuizione è dovuta sulle spese di giudizio, stante la mancata  costituzione in giudizio delle appellate amministrazioni.
 P.Q.M.
 Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione sesta,  definitivamente  pronunciando sul ricorso in appello in epigrafe lo respinge e per  l’effetto  conferma l’appellata sentenza.
 
 Nulla per le spese.
 
 Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'autorità  amministrativa.
 
 Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 16 marzo 2010  con  l'intervento dei Signori:
 
 Giovanni Ruoppolo, Presidente
 
 Paolo Buonvino, Consigliere
 
 Rosanna De Nictolis, Consigliere
 
 Roberto Garofoli, Consigliere
 
 Fabio Taormina, Consigliere, Estensore
 
                    




