 TAR Lombardia (BS) Sez. I n. 3555 del 22 settembre 2010
TAR Lombardia (BS) Sez. I n. 3555 del 22 settembre 2010
Beni Ambientali. Divieto di sanatoria
Se non ci si ferma a un’interpretazione letterale dell’art. 167 commi 4 e 5 del Dlgs. 42/2004 e si integra la norma con il principio di proporzionalità, si può osservare come il divieto di sanatoria paesistica abbia in realtà la funzione di impedire all’amministrazione di trasformare ordinariamente, attraverso il giudizio di compatibilità paesistica, il danno ambientale in un equivalente monetario. Il fatto compiuto viene quindi sanzionato con la remissione in pristino in quanto potrebbe indurre l’amministrazione ad accettare un prezzo in cambio di una lesione al vincolo paesistico. Dove tuttavia non sussista alcun danno ambientale, o addirittura sia possibile ottenere un guadagno ambientale con l’assunzione da parte del trasgressore di specifiche obbligazioni nell’interesse del vincolo paesistico, non vi sono ragioni per escludere un’autorizzazione paesistica rilasciata in via successiva. La soluzione opposta sarebbe irragionevolmente gravosa per il privato e inutile (o controproducente) per l’interesse pubblico.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
N. 03555/2010 REG.SEN.
 N. 00256/2008 REG.RIC.
 Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia
 
 sezione staccata di Brescia (Sezione Prima)
 
 ha pronunciato la presente
 SENTENZA
 Sul ricorso numero di registro generale 256 del 2008, proposto da:
 ALIBENACO SRL, rappresentata e difesa dall'avv. Alberto Luppi, con domicilio  eletto presso il medesimo legale in Brescia, via Solferino 10;
 contro
 COMUNE DI SALÒ, rappresentato e difeso dall'avv. Mauro Ballerini, con domicilio  eletto presso il medesimo legale in Brescia, viale Stazione 37;
 
 per l'annullamento
 
 - dell’ordinanza del responsabile dell’Area Tecnica n. 18 del 29 gennaio 2008,  con la quale è stata ingiunta la demolizione della costruzione posta a fianco  del ristorante-pizzeria situato in piazza Vittorio Emanuele II;
 
 
 Visto il ricorso con i relativi allegati;
 Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Salò;
 Viste le memorie difensive;
 Visti gli atti della causa;
 
 Relatore nell'udienza pubblica del giorno 14 luglio 2010 il dott. Mauro Pedron;
 
 Uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
 
 Considerato quanto segue.
 FATTO e DIRITTO
 1. La ricorrente società Alibenaco srl è titolare del ristorante-pizzeria Tip  Tap situato in piazza Vittorio Emanuele II nel Comune di Salò. L’immobile è  classificato in zona A (centro storico) e ricade all’interno di un’area  sottoposta a vincolo paesistico (DM 8 aprile 1958).
 
 
 2. Con una DIA depositata il 31 ottobre 2001 la ricorrente ha esposto il  progetto di un intervento edilizio su una pedana esterna al ristorante definita  come “plateatico” (sull’area la ricorrente dichiarava di detenere un diritto di  superficie). L’intervento era descritto come “sostituzione [di] tenda a  copertura di plateatico”. La relazione tecnica precisava che sarebbe stata  completamente rifatta la struttura portante utilizzando profilati in ferro  disposti secondo una tipologia ad arcate circolari a tutto sesto. Come copertura  era prevista una tenda color avorio. Il manufatto di progetto aveva una  lunghezza di 17 metri, una larghezza di 5,31 metri e un’altezza massima di 3,70  metri, e doveva rimanere aperto su tre lati.
 
 
 3. Nel corso di un sopralluogo svolto in data 4 dicembre 2007 da due funzionari  del Comune in contraddittorio con il legale rappresentante della ricorrente è  stato accertato che al posto della struttura descritta nella DIA del 31 ottobre  2001 era stata realizzata una costruzione chiusa su tutti i lati, avente  dimensioni pari a 17x5,30 metri, con un’altezza interna compresa tra 2,60 e 3,90  metri. Le pareti sono in ferro con tamponamenti in vetro. La copertura è  costituita da una tenda con sottostante cartongesso. Il locale risulta  illuminato e riscaldato, e di fatto rappresenta un ampliamento del ristorante  adiacente.
 
 
 4. Preso atto del risultato del sopralluogo il responsabile dell’Area Tecnica  con ordinanza n. 18 del 29 gennaio 2008 ha ingiunto la demolizione e la  remissione in pristino nel termine di 30 giorni. Questa misura si basa  disgiuntamente sull’art. 31 del DPR 6 giugno 2001 n. 380 (opere eseguite in  totale difformità dal titolo edilizio) e sull’art. 167 comma 4 del Dlgs. 22  gennaio 2004 n. 42 (realizzazione di nuovo volume senza preventiva  autorizzazione paesistica).
 
 
 5. Contro la suddetta ordinanza la ricorrente ha presentato impugnazione con  atto notificato il 3 marzo 2008 e depositato il 12 marzo 2008. Le censure  possono essere sintetizzate come segue: (i) violazione dell’art. 31 del DPR  380/2001, in quanto il manufatto costituirebbe mera pertinenza del ristorante; (ii)  violazione dell’art. 34 del DPR 380/2001, in quanto verrebbe ordinata la  demolizione dell’intero manufatto e non delle sole parti difformi; (iii)  violazione dell’art. 37 del DPR 380/2001, in quanto il manufatto avrebbe natura  temporanea (stagionale) e dunque precaria, e come tale sarebbe sottoposto al  regime della DIA semplice.
 
 
 6. Il Comune si è costituito in giudizio chiedendo la reiezione del ricorso. In  via preliminare viene eccepita l’inammissibilità del ricorso in base alla  considerazione che non sono stati proposti motivi contro la parte del  provvedimento impugnato nella quale si fa riferimento alla mancanza di  autorizzazione paesistica preventiva.
 
 
 7. L’eccezione di inammissibilità non appare condivisibile. Se non ci si ferma a  un’interpretazione letterale dell’art. 167 commi 4 e 5 del Dlgs. 42/2004 e si  integra la norma con il principio di proporzionalità, si può osservare come il  divieto di sanatoria paesistica abbia in realtà la funzione di impedire  all’amministrazione di trasformare ordinariamente, attraverso il giudizio di  compatibilità paesistica, il danno ambientale in un equivalente monetario. Il  fatto compiuto viene quindi sanzionato con la remissione in pristino in quanto  potrebbe indurre l’amministrazione ad accettare un prezzo in cambio di una  lesione al vincolo paesistico. Dove tuttavia non sussista alcun danno  ambientale, o addirittura sia possibile ottenere un guadagno ambientale con  l’assunzione da parte del trasgressore di specifiche obbligazioni nell’interesse  del vincolo paesistico, non vi sono ragioni per escludere un’autorizzazione  paesistica rilasciata in via successiva (v. TAR Brescia Sez. I 19 marzo 2008 n.  317; TAR Brescia Sez. I 25 maggio 2010 n. 2139). La soluzione opposta sarebbe  irragionevolmente gravosa per il privato e inutile (o controproducente) per  l’interesse pubblico. Tornando al caso in esame occorre sottolineare che il  Comune si è limitato a contestare la mancanza di autorizzazione paesistica e  l’impossibilità della sanatoria, senza indicare un autonomo profilo di lesione  dell’interesse paesistico tutelato. Risulta quindi evidente che l’aspetto  decisivo della controversia è quello urbanistico (puntualmente trattato nei  motivi di ricorso): se la costruzione fosse regolarizzabile sul piano  urbanistico ne discenderebbe direttamente anche l’ammissibilità della sanatoria  paesistica, in quanto sarebbe contraria all’art. 167 commi 4 e 5 del Dlgs.  42/2004 come sopra interpretato l’imposizione della sanzione demolitoria per  opere che una volta demolite potrebbero essere ricostruite identiche.
 
 
 8. Con il primo motivo di ricorso si lamenta la violazione dell’art. 31 del DPR  380/2001. La ricorrente sostiene che il manufatto costituirebbe mera pertinenza  del ristorante e dunque, non essendo tecnicamente una nuova costruzione, non  sarebbe passibile di remissione in pristino.
 
 
 9. La tesi non appare condivisibile. Si osserva innanzitutto che la costruzione  realizzata dalla ricorrente non può ritenersi assentita in forza della DIA del  31 ottobre 2001, essendo diversa sia strutturalmente (chiusura su tutti lati),  sia per dimensioni (è più alta), sia per la potenziale stabilità nell’uso  (trattandosi di uno spazio sostanzialmente omologo agli altri locali del  ristorante l’utilizzazione può avvenire indipendentemente dalle condizioni  atmosferiche stagionali, secondo le scelte imprenditoriali del gestore).
 
 
 10. Fatta questa premessa si possono svolgere due considerazioni:
 
 (a) una costruzione come quella realizzata dalla ricorrente non rientra nel  concetto urbanistico di pertinenza ex art. 27 comma 1 lett. e-6 della LR 11  marzo 2005 n. 12 (v. anche l’art. 3 comma 1 lett. e-6 del DPR 380/2001). Sul  piano urbanistico le pertinenze sono una categoria di interventi individuata non  attraverso la nozione civilistica di cui all’art. 817 c.c. ma in ragione della  modesta rilevanza economica e del limitato peso per il territorio (v. CS Sez. IV  13 gennaio 2010 n. 41; TAR Brescia Sez. I 13 ottobre 2008 n. 1259). L’art. 27  comma 1 lett. e-6 della LR 12/2005 esclude che si possa definire pertinenza una  costruzione il cui volume sia superiore al 20% del volume dell'edificio  principale. Al di sotto di questa soglia le costruzioni collegate ad altri  edifici non sono automaticamente qualificabili come pertinenze. La predetta  norma regionale (come la corrispondente norma statale) richiede infatti che la  qualificazione delle pertinenze sia mediata dagli strumenti urbanistici comunali  e dai regolamenti edilizi. Dunque la deroga alle regole stabilite per le nuove  costruzioni è ammissibile solo quando la disciplina comunale contenga un  criterio idoneo a differenziare le pertinenze dal resto dell’attività  edificatoria. Nel caso in esame una simile previsione comunale non è indicata  dalla ricorrente. Vale quindi il criterio generale specificato sopra, ossia è  necessario verificare se la nuova costruzione abbia modesta rilevanza economica  e limitato peso per il territorio. Nessuno di questi parametri è soddisfatto: la  rilevanza economica è tutt’altro che modesta, trattandosi di un significativo  ampliamento dello spazio di somministrazione del ristorante, e anche il peso per  il territorio non può essere definito modesto, dal momento che la costruzione si  trova nel centro storico e in un ambito sottoposto a vincolo paesistico;
 
 (b) sussiste un’effettiva soluzione di continuità rispetto alla DIA del 31  ottobre 2001, che prevedeva una struttura leggera e soprattutto aperta (e meno  alta). Appare quindi corretta la qualificazione di abuso ai sensi dell’art. 31  del DPR 380/2001 per difformità totale e non per semplice difformità parziale. È  vero che alcune parti della struttura potrebbero essere conformi alla DIA, ma il  significato complessivo dell’opera è radicalmente diverso (attraverso la  chiusura del locale è stato ampliato il volume del ristorante).
 
 
 11. Con il secondo motivo di ricorso si lamenta la violazione dell’art. 34 del  DPR 380/2001. La ricorrente sostiene che non dovrebbe essere ordinata la  demolizione dell’intero manufatto ma solo delle parti difformi rispetto alla DIA  del 31 ottobre 2001.
 
 
 12. La tesi non appare condivisibile. In realtà il Comune ha ordinato alla  ricorrente di procedere sia alla demolizione sia alla remissione in pristino, il  che significa precisamente che è richiesta la demolizione materiale delle sole  parti non conformi alla DIA del 31 ottobre 2001. Rimane quindi fermo il titolo  autorizzatorio costituito da tale DIA: la demolizione è lo strumento per  ricondurre il manufatto entro i limiti ivi stabiliti. Tuttavia, poiché non si  tratta di difformità parziale ma di un’opera completamente diversa, come si è  visto sopra al punto 10-b, non valgono le regole dell’art. 34 comma 2 del DPR  380/2001. Pertanto se la demolizione delle parti difformi dalla DIA non può  avvenire senza la rimozione delle parti conformi non si applica l’istituto della  regolarizzazione dell’immobile abusivo mediante il versamento di un importo a  titolo di sanzione sostitutiva, ma sarà necessario rimuovere e poi riposizionare  le parti conformi.
 
 
 13. Con il terzo motivo di ricorso si lamenta la violazione dell’art. 37 del DPR  380/2001. La ricorrente sostiene che il manufatto avrebbe natura temporanea  (stagionale) e dunque precaria, e come tale sarebbe sottoposto al regime della  DIA semplice e sottratto alle sanzioni demolitorie.
 
 
 14. La tesi non appare condivisibile. In realtà al manufatto non può essere  riconosciuto carattere precario, essendo equiparabile agli altri locali del  ristorante. Potrebbe certamente esservi un uso stagionale, nel senso che la  somministrazione all’interno di questo spazio potrebbe essere limitata a una  parte dell’anno. L’individuazione del periodo di utilizzazione è però legata  alle scelte imprenditoriali del gestore, in quanto le caratteristiche della  struttura, e in particolare il tamponamento delle pareti e presenza  dell’impianto elettrico e di riscaldamento, consentono di per sé un impiego in  qualsiasi stagione e dunque continuativo.
 
 
 15. Anche ammettendo la possibilità di individuare un criterio oggettivo per  concentrare l’utilizzazione della struttura in un solo periodo dell’anno, questa  circostanza non basterebbe da sola a escludere l’applicabilità delle regole  sulle nuove costruzioni. Come si è visto sopra al punto 10-a, il manufatto  abusivo ha una consistenza superiore a quella delle mere pertinenze. Se anche  fosse qualificabile come opera stagionale non potrebbe comunque essere  considerato un’opera stagionale di minimo impatto edilizio. Dimostrare il minimo  impatto edilizio sembra, in via interpretativa, l’unico mezzo a disposizione del  proprietario per conseguire la permanenza ininterrotta della struttura nel sito  prescelto (evitando quindi l’onere di rimozione e reinstallazione), sul  presupposto che le opere inidonee a provocare disturbo sotto il profilo edilizio  non sono intercettate dai divieti di edificazione posti dalla disciplina  comunale (v. TAR Brescia Sez. I 26 febbraio 2010 n. 985; TAR Brescia Sez. I 1  luglio 2010 n. 2407). Nel caso in esame tuttavia l’opera ha dimensioni e  funzione del tutto equiparabili a quelle di un normale ampliamento volumetrico,  e dunque non è possibile eludere il divieto di nuove costruzioni e di  ampliamenti in centro storico. In altri termini è riscontrabile la presenza di  un “un organismo edilizio o parte di esso con specifica rilevanza ed  autonomamente utilizzabile” secondo la definizione dell’art. 31 comma 1 del DPR  380/2001.
 
 
 16. In conclusione il ricorso deve essere respinto. La complessità di alcune  questioni consente l’integrale compensazione delle spese tra le parti.
 P.Q.M.
 il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia Sezione staccata di  Brescia, Sezione I, definitivamente pronunciando, respinge il ricorso.
 
 Le spese sono integralmente compensate tra le parti.
 
 Così deciso in Brescia nella camera di consiglio del giorno 14 luglio 2010 con  l'intervento dei Magistrati:
 
 Giuseppe Petruzzelli, Presidente
 Mario Mosconi, Consigliere
 Mauro Pedron, Primo Referendario, Estensore
 
 L'ESTENSORE
IL PRESIDENTE
 
 
 DEPOSITATA IN SEGRETERIA
 Il 22/09/2010
 
                    




