 Cass. Sez. III n. 5979 del 7 febbraio 2013 (Ud 13 dic. 2012)
Cass. Sez. III n. 5979 del 7 febbraio 2013 (Ud 13 dic. 2012)
Pres. Fiale Est. Andreazza Ric. Galeotti
Caccia e animali. Maltrattamento ed elementi costitutivi del reato 
1.Il dolo della condotta di maltrattamenti è generico laddove la condotta sia caratterizzata da assenza di necessità, assumere anche la forma di dolo eventuale laddove il soggetto agente, senza volerne direttamente la produzione, accetti consapevolmente il rischio, senza attivarsi per scongiurarne l'esito, che attraverso la propria prolungata omissione si verifichino le lesioni. Quanto all'evento lesioni individuato dalla norma, deve ritenersi non essere necessaria l'insorgenza di uno stato di vera e propria alterazione psicofisica dell'animale qualificabile come “malattia" posto che, a differenza di quanto specificato dall'art. 582 c.p., non è significativamente richiesta l'insorgenza di una “malattia nel corpo o nella mente". Del resto, una tale insorgenza, specie con riguardo alle condizioni psichiche, sarebbe anche di non facile verificabilità in un animale pur facendosi ricorso alle nozioni di scienza veterinaria.
2. La condotta consistente nel trasporto di cani, per un lungo viaggio, all'interno del bagagliaio di un'automobile non collegato con l'abitacolo, senza conseguente possibilità di movimento, integra,  in considerazione dello stato di sofferenza prodotto, il reato di cui all'art. 727 c.p. anche nella nuova formulazione di cui alla legge n. 189 del 2004.
3. Con riferimento al reato di cui all'art. 544ter cod. pen.  se  è necessario attribuire alla nozione di “comportamenti" un significato che, da un lato, deve essere raccordato alle caratteristiche etologiche della specie animale e dall'altro non si esaurisce in quello di “fatiche", la nozione di “insopportabilità” deve arrivare a ricomprendere nel proprio perimetro anche quelle condotte che siano insopportabili nel senso di una evidente e conclamata incompatibilità delle stesse con il “comportamento animale" della specie di riferimento come ricostruito dalle scienze naturali, in tal senso dovendo infatti intendersi il concetto di caratteristiche etologiche impiegato dalla norma (fattispecie concernente la coazione di un cane all'accoppiamento con una donna finalizzata alla realizzazione di un film pornografico).
  Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:         Udienza pubblica SENTENZA P.Q.M.REPUBBLICA ITALIANA
 IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
 LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE    
 SEZIONE TERZA 
 Dott. FIALE     Aldo              - Presidente  - del 13/12/2012
 Dott. MULLIRI   Guicla            - Consigliere - SENTENZA
 Dott. ROSI      Elisabetta        - Consigliere - N. 3156
 Dott. ANDREAZZA Gastone      - rel. Consigliere - REGISTRO GENERALE
 Dott. ANDRONIO  Alessandro Maria  - Consigliere - N. 14049/2012
 ha pronunciato la seguente: 
 sul ricorso proposto da:
 Galeotti Christian, n. a Bolzano il 01/05/1975;
 avverso la sentenza della Corte d'Appello di Trento, sez. dist. di  Bolzano, in data 07/04/2011;
 visti gli atti, il provvedimento denunziato e il ricorso;
 udita la relazione svolta dal consigliere Gastone Andreazza;
 udite le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto  Procuratore generale SPINACI Sante, che ha concluso per il rigetto;
 udite le conclusioni del Difensore di parte civile, Avv. De Pascalis,  che si è riportato alle conclusioni scritte.
 RITENUTO IN FATTO
 1. Con sentenza del 07/04/2011 la Corte d'Appello di Bolzano ha  confermato la sentenza del G.u.p. presso il Tribunale di Bolzano del  05/02/2010, di condanna, all'esito di giudizio abbreviato, di  Galeotti Christian alle pena di anni due di reclusione per varie  condotte riconducibili al reato di cui all'art. 544 ter c.p., in  relazione al maltrattamento di vari cani, nonché per i reati di cui  agli artt. 612, 594 e 494 c.p..
 2. Ha proposto ricorso per cassazione l'imputato deducendo con un  primo motivo inosservanza della legge penale e mancanza di  motivazione e lamentando la carenza del nesso di causalità e  dell'elemento soggettivo delle fattispecie di cui all'art. 544 ter  c.p.; segnatamente denuncia, con riferimento al capo a)  d'imputazione, la mancanza di un'analisi circa l'effettiva  riconducibilità all'imputato di qualsivoglia condotta che abbia  causato la situazione di fatto in cui gli animali versavano nonché  della sussistenza dell'elemento soggettivo poiché, essendo pacifico  che l'imputato non agì per crudeltà, mancherebbe la coscienza e  volontà di maltrattare gli animali; al più le condotte sarebbero  inquadrabili all'interno dell'art. 727 c.p., comma 2, incentrata  anche solo sulla mera colpa; contesta altresì che il decesso del  cane rottweiler, contestato come aggravante, sia riconducibile  probatoriamente alle modalità di custodia dello stesso.  Con un secondo motivo si duole, sempre in punto di violazione di  legge e difetto di motivazione circa la sussistenza del nesso di  causalità e dell'elemento soggettivo del reato, del fatto che, con  riguardo al capo c) d'imputazione, non sia stato considerato che le  lesioni e le patologie riportate dal cane di razza carlino siano  state dovute alla sua fuga e al suo girovagare in stato di libertà  nei boschi di Avigna, potendo al più lo smarrimento del cane da  parte dell'imputato essere ricondotto all'interno dell'art. 727 c.p..  Con un terzo motivo, analogamente, si duole della violazione di legge  e del difetto di motivazione circa la sussistenza del nesso di  causalità e dell'elemento soggettivo del reato anche con riguardo al  reato di cui al capo f) in particolare avendo la Corte, e prima  ancora il Tribunale, omesso di considerare l'effettivo stato di  salute dei cani ivi indicati, comunque tale da non giustificare  affatto il disposto sequestro, come risultante dalle visite cliniche  effettuate dai Dottori Lorenzi e Bregantini.
 Con un quarto motivo, con riguardo al reato di cui al capo m),  denuncia che la sentenza impugnata non abbia dato conto di come la  condotta di commercio di cuccioli di età inferiore a tre mesi possa  essere inquadrata nell'alveo di applicabilità del reato contestato,  tutt'al più riconducibile sub art. 727 c.p., e non essendo  l'imputato neppure stato a conoscenza delle modalità di trasporto  effettuate da Szocs.
 Con un quinto motivo, con riguardo ai capi d'imputazione sub e), g)  ed h), deduce che Galeotti era intimamente convinto di avere subito  un grave torto da parte delle autorità avendo pertanto perso il  controllo nei confronti di due veterinari e della rappresentante  della Lav. Nè le minacce ne' le ingiurie erano state sorrette  dall'effettiva intenzione di ledere onore e decoro altrui, con  conseguente riconoscimento della particolare tenuità del fatto  essendo i fatti di competenza del giudice di pace.
 Con un sesto motivo, con riguardo al capo d'imputazione sub k),  lamenta che i giudici di merito abbiano disatteso l'assunto secondo  cui la condotta ivi indicata non sarebbe prevista come reato  difettando in proposito l'elemento di tipicità dell'art. 544 ter  c.p..
 Con un settimo motivo lamenta che, con riferimento al reato di cui al  capo sub l) il giudice di primo grado, in ciò seguito da quello  d'appello, abbia concluso per la sussistenza in base alla semplice  contiguità di due connessioni ad Internet con due diversi nomi  (dapprima Galeotti e poi Gatto) e all'analisi del registro di  accesso ai servizi Internet nonostante esso presentasse una semplice  lista di nomi degli utilizzatori.
 In data 07/12/2012 la parte civile L.a.v. ha prodotto memoria con cui  ha chiesto il rigetto del ricorso.
 CONSIDERATO IN DIRITTO
 3. Va anzitutto premesso che le doglianze, sostanzialmente comuni ai  primi tre motivi di ricorso con riguardo ai capi a), b), c), d) e f),  volte a sostenere la violazione di legge e la mancanza di motivazione  con riguardo al nesso di causalità sussistente tra comportamento  dell'imputato (detenzione dei cani all'interno di gabbie sporche,  senza cibo ed acqua) e condizioni di salute riscontrate sugli animali  (riassuntivamente, per tutti, stato di grave denutrizione,  disidratazione, ipotrofia nonché debolezza e prostrazione e, in  specifici casi, lesioni cutanee e diarrea, tutte riconducibili al  concetto di lesioni per quanto si dirà oltre sub 4), sono infondate.  La sentenza del Gup, cui il provvedimento impugnato si è  preliminarmente espressamente richiamato, così consentendo a questa  Corte di valutare complessivamente il contenuto di quella (vedi nel  senso che allorché le sentenze di primo e secondo grado concordino  nell'analisi e nella valutazione degli elementi di prova posti a  fondamento delle rispettive decisioni, la struttura motivazionale  della sentenza di appello si salda con quella precedente per formare  un unico complesso corpo argomentativo, tra le altre, Sez. 1, n. 8868  del 26/06/2000, Sangiorgi, Rv.216906), ha infatti posto in rilievo  analiticamente, da pag. 8 a pag. 18, con motivazione puntuale ed  accurata riferita ad ognuna delle contestazioni indicate, gli esiti  dei vari accertamenti operati dai carabinieri di San Genesio o di  Laives nonché dei medici veterinari appartenenti al servizio  pubblico i quali ebbero a constatare, successivamente anche  relazionando, in occasione dei vari accessi eseguiti presso  l'allevamento/pensione gestito dall'imputato, le pessime condizioni  di detenzione e custodia degli animali nonché le precarie, ed in  taluni casi, gravi, condizioni di salute di questi, in particolare  venendo anche riscontrati esiti, come la disidratazione,  manifestamente riconducibili alla mancata somministrazione di acqua.  Il secondo motivo è poi, in particolare, inammissibile laddove, con  riferimento al capo e), riconducendo le patologie e gli eventi lesivi  (segnatamente, oltre a disidratazione e denutrizione, una gravissima  panoftalmite all'occhio destro, nonché poliuria, polidipsia e  diarrea profusa) nonché il decesso in data 06/01/2008, alla fuga  del cane e non invece alle modalità di detenzione da parte  dell'imputato, pretende di dare una diversa lettura dei dati  processuali rispetto a quella operata dai giudici di merito  introducendo però in tal modo questioni di fatto inammissibili nella  presente sede. Va infatti ricordato che, anche successivamente alla  modifica dell'art. 606 c.p.p., lett. e), introdotta dalla L. n. 46  del 2006 il sindacato della Corte di Cassazione continua a restare  quello di sola legittimità sì che continua ad esulare dai poteri  della stessa quello di una rilettura degli elementi di fatto posti a  fondamento della decisione anche laddove venga prospettata dal  ricorrente una diversa e più adeguata valutazione delle risultanze  processuali (per tutte, Sez.2, n. 23419 del 23/05/2007, P.G. in proc.  Vignaroli, Rv. 236893).
 In ogni caso già la sentenza di primo grado ha chiarito sul punto  che lo stato cachettico, di disidratazione e denutrizione, con  atrofia delle masse muscolari riscontrato nel cane dai veterinari non  era condizione riconducibile ad un breve periodo trascorso  all'addiaccio, bensì, evidentemente, alla detenzione dell'animale in  condizioni e con modalità di custodia non compatibili con la sua  natura, determinante uno stato di generale deperimento fisico.  4. Ciò posto, gli stessi motivi fin qui analizzati non appaiono  fondati neppure con riferimento alla qualificazione giuridica dei  fatti, che il ricorrente vorrebbe, in subordine rispetto alla  insussistenza degli stessi, ricondurre alla figura contravvenzionale  ex art. 727 c.p..
 La sentenza impugnata, condividendo sul punto la valutazione del  giudice di primo grado, ha ricondotto le condotte contestate ai capi  a), b), c), d), f), di cui si è già detto, all'interno del reato di  cui all'art. 544 ter c.p.. Tale disposizione, introdotta dalla L. 20  luglio 2004, n. 189, art. 1, comma 1, e rubricata "maltrattamento di  animali", prevede testualmente la condotta di chi "per crudeltà o  senza necessità cagiona una lesione ad un animale ovvero lo  sottopone a sevizie o a comportamenti o a fatiche o a lavori  insopportabili"; è dunque necessaria, per l'integrazione della  fattispecie, ed in doverosa osservanza del principio di tassatività  della norma penale, una condotta che volontariamente (stante anche la  connotazione del reato come delitto) cagioni una lesione all'animale  ovvero, tra le altre, volontariamente sottoponga lo stesso animale a  sevizie o comportamenti o lavori o fatiche insopportabili.  Il maltrattamento di animali, dapprima globalmente disciplinato come  contravvenzione dall'art. 727 c.p., è quindi divenuto, a seguito  della novella sopra ricordata, delitto mentre l'attuale norma  contenuta nell'art. 727 c.p., introdotta sempre dalla L. 1 agosto  2004, n. 189, art. 1, comma 3, contempla oggi, al comma 1, quale  fattispecie contravvenzionale, la condotta di abbandono di animali,  e, al comma 2, la condotta di chi detiene animali in condizioni  incompatibili con la loro natura e produttive di gravi sofferenze.  Si è già precisato, da questa Corte, che il nuovo delitto si  configura come reato a dolo specifico, nel caso in cui la condotta  lesiva dell'integrità e della vita dell'animale sia tenuta per  crudeltà, e a dolo generico quando essa sia tenuta, invece, come nel  caso in esame, senza necessità (cfr. Sez. 3, n. 26368 del  09/06/2011, Durigon, non massimata; Sez.3, n.44822 del 24/10/2007,  Borgia, Rv. 238455). Va aggiunto inoltre come l'art. 544 ter c.p.,  alla pari, del resto, di quanto previsto per l'art. 544 bis c.p., non  essendo ivi richiesto che la azione tipica si articoli attraverso  determinate modalità o mezzi, presenta i caratteri di reato a forma  libera, sostanzialmente plasmato sul modello dell'art. 582 c.p., sì  che è sufficiente che la azione sia causale rispetto all'evento  tipico, potendo così assumere rilevanza qualsiasi comportamento  umano, sia attivo che omissivo; in tale secondo caso, peraltro, è  necessario accertare, alla stregua di quanto previsto dall'art. 40  cpv. c.p., che sull'agente incomba l'obbligo giuridico di impedire,  in particolare per quanto concerne le fattispecie in oggetto,  l'evento costituito dalle lesioni.
 Ne deriva che ben può il dolo della condotta di maltrattamenti, che,  come detto, è generico laddove la condotta sia caratterizzata da  assenza di necessità, assumere anche la forma di dolo eventuale  laddove il soggetto agente, senza volerne direttamente la produzione,  accetti consapevolmente il rischio, senza attivarsi per scongiurarne  l'esito, che attraverso la propria prolungata omissione si  verifichino le lesioni in parola.
 Quanto all'evento lesioni individuato dalla norma, deve ritenersi non  essere necessaria l'insorgenza di uno stato di vera e propria  alterazione psicofisica dell'animale qualificabile come "malattia"  posto che, a differenza di quanto specificato dall'art. 582 c.p., non  è significativamente richiesta l'insorgenza di una "malattia nel  corpo o nella mente". Del resto, una tale insorgenza, specie con  riguardo alle condizioni psichiche, sarebbe anche di non facile  verificabilità in un animale pur facendosi ricorso alle nozioni di  scienza veterinaria.
 Nella specie, la sentenza di primo grado ha specificato, con una  considerazione valida per tutti gli addebiti sin qui esaminati, che  la scelta di custodire gli animali affidatigli da terzi senz'acqua e  cibo nonché privati delle elementari necessità di spazio e  movimento non poteva che essere consapevolmente attuata, dovendo  considerarsi che, per giungere a tale stato di disidratazione e  denutrizione e a tali precarie condizioni di salute, ì cani dovevano  avere subito siffatti trattamenti per un periodo prolungato.  Pertanto, correttamente le condotte ascritte a Galeotti nei  menzionati capi d'imputazione sono state ritenute integrare il  delitto laddove una prolungata, consapevole e volontaria protrazione  da parte dell'imputato di una situazione di custodia dei cani, già  caratterizzata da incuria, lungi dal tradursi in un comportamento  colposo, essenzialmente consistito nell'avere detenuto gli animali in  pessime condizioni, sia sotto il profilo dell'igiene, che  dell'alimentazione, che della mancata sottoposizione dei cani alle  cure necessarie, si è in realtà tradotta, a fronte degli evidenti,  progressivi segni, di peggioramento delle condizioni degli animali,  in una volontaria accettazione del rischio dell'evento malattie e,  per alcuni dei cani in oggetto, financo della morte, come in effetti  poi verificatasi.
 In effetti, risulta dalle sentenze di merito che, per tutti i cani  menzionati nei capi di imputazione sin qui considerati, sono stati  accertate condizioni, quanto meno, di disidratazione e denutrizione  (già rientranti, per quanto sopra detto, nel concetto di lesioni  impiegato dall'art. 544 ter c.p.) e, in alcuni di essi, anche  dermatiti, dissenteria, lesioni cutanee, ipotrofia ed altre più  gravi patologie sino all'evento morte, da ricondursi tutte, per  quanto già detto sopra sub 3, alla condotta omissiva dell'imputato.  Nè può dubitarsi che in capo all'imputato, cui, come emergente  dalle sentenze di merito, i cani erano stati appunto affidati in  qualità di titolare di attività di pensione e allevamento,  incombesse l'obbligo giuridico di impedire il verificarsi di detti  eventi.
 5. Erronea qualificazione giuridica ha invece operato la Corte  territoriale con riferimento al reato contestato al capo m), oggetto  di doglianza con il quarto motivo di ricorso. Premesso anzitutto che,  anche in tal caso, la sentenza di primo grado, richiamata da quella  impugnata, ha diffusamente riepilogato, alle pagine da 30 a 32, gli  elementi probatori che ricollegano l'imputato allo Szocs e alle  modalità, ben conosciute da Galeotti, di trasporto dei cuccioli  (segnatamente i contatti telefonici tra i due nei mesi di settembre  ed ottobre del 2008 e il contenuto di sommarie informazioni da parte  di terzi) sicché sono manifestamente infondate le censure volte a  lamentare una omessa motivazione sul punto, va però osservato che la  condotta contestata, consistita nell'operato trasporto dei tre  cuccioli all'interno di un bagagliaio di auto per un lungo viaggio, e  come tale pacificamente ritenuta dai giudici, è stata erroneamente  inquadrata all'interno del delitto di cui all'art. 544 ter c.p.,  quando invece, più correttamente, avrebbe dovuto essere fatta  rientrare nella contravvenzione ex art. 727 c.p.. La condotta  rimproverata all'imputato è infatti consistita nel'avere costretto i  diversi cuccioli di razza labrador a stare, per la durata del  trasporto dalla Romania all'Italia, rinchiusi all'interno del  bagagliaio dell'autovettura Volkswagen Passat senza che, d'altra  parte, risultino in alcun modo addebitate lesioni o sevizie inferte  agli animali.
 Già in precedenza questa Corte ha infatti affermato che la condotta  consistente nel trasporto di cani, per un lungo viaggio, all'interno  del bagagliaio di un'automobile non collegato con l'abitacolo, senza  conseguente possibilità di movimento, integra, appunto, in  considerazione dello stato di sofferenza prodotto, il reato di cui  all'art. 727 c.p., anche nella nuova formulazione di cui alla L. n.  189 del 2004 (Sez. 3, n. 28102 del 15/05/2009, Montanarella, non  massimata; con riferimento al previgente regime, Sez. 3, n. 24330 del  2004, Brao, Rv. 229429), mentre, d'altra parte, in nessun luogo la  sentenza di primo grado accenna a condotte o comportamenti di sevizie  che abbiano accompagnato il trasporto in contestazione.  6. Il quinto motivo, censurante le argomentazioni di affermazione  della responsabilità per i capi d'imputazione sub e), g) ed h), è  inammissibile; a fronte della motivazione, alle pagg. 18 - 20 della  sentenza di primo grado cui quella di appello si è richiamata, con  la quale si da atto, richiamando puntualmente gli elementi di prova  in atti (fondamentalmente gli atti di denuncia - querela delle  persone offese), del fatto che Galeotti ebbe a minacciare  Valzolgher Esterina, a minacciare ed ingiuriare Piffer Christian  e ad ingiuriare e minacciare Moser Judith, il ricorrente si limita  a prospettare una pretesa mancanza di volontà che, oltre ad essere  incompatibile con la versione dei fatti resa dalle persone offese e  riportata in motivazione, ed in contrasto con il dolo generico che  sorregge gli stessi e senza che ricorrano scriminanti di sorta, non  attinge alcuno dei vizi di cui all'art. 606 c.p.p., restando pertanto  estraneo all'orizzonte cognitivo di questa Corte.
 7. Il sesto motivo, volto ad invocare l'insussistenza del reato di  maltrattamenti per il fatto che nelle condotte in esso descritte non  potrebbe trovare collocazione quella, di cui al capo k)  d'imputazione, attribuita all'imputato, è infondato. Come già  detto, l'art. 544 ter c.p., prevede il fatto di colui che, tra  l'altro, sottoponga l'animale "a sevizie o comportamenti o a fatiche  o a lavori insopportabili per le sue caratteristiche etologiche".  L'analisi letterale di tale periodo comporta, a ben considerare, che  la nozione di "insopportabilità", lungi, ovviamente, dal potere  essere interpretata con riferimento a criteri di gradazione tipici  delle natura umana, vada invece rapportata, stante la stretta  connessione emergente, alle caratteristiche etologiche dell'animale  senza che si possa pretendere che la stessa debba necessariamente  conseguire a comportamenti che travalichino, sovrastandole ed  annullandole, le capacità "fisiche" dell'animale; se, infatti, così  fosse, si finirebbe, tra l'altro, per attribuire al concetto di  "comportamenti" un significato sostanzialmente coincidente con quello  di "fatiche" quando invece, come reso evidente dalla norma, il  legislatore ha utilizzato entrambi i concetti, attribuendo a ciascuno  un significato proprio ed autonomo.
 Se quindi è necessario attribuire alla nozione di "comportamenti" un  significato che, da un lato, deve essere raccordato alle  caratteristiche etologiche della specie animale e dall'altro non si  esaurisca in quello di "fatiche", la nozione di "insopportabilità"  deve arrivare a ricomprendere nel proprio perimetro anche quelle  condotte che, come quella descritta al capo k) dell'imputazione,  siano insopportabili nel senso di una evidente e conclamata  incompatibilità delle stesse con il "comportamento animale" della  specie di riferimento come ricostruito dalle scienze naturali, in tal  senso dovendo infatti intendersi il concetto di caratteristiche  etologiche impiegato dalla norma.
 Ed allora, se così è, non può non seguirne la corretta
 attribuzione alla condotta di specie, consistita nella coazione  all'accoppiamento con una donna finalizzata alla realizzazione di un  film pornografico, della qualificazione di "maltrattamenti", non  potendo esservi dubbio sulla assoluta contrarietà di una simile  condotta alle caratteristiche etologiche del cane.  Proprio la necessità di interpretare il concetto di comportamenti  insopportabili in connessione con i due profili sopra richiamati,  consente, dunque, di ricondurre all'interno della norma le pratiche  di "zooerastia" o "zoopornografia" senza necessità di una apposita,  specifica, previsione (come accade, ad esempio, nella legislazione  francese, ove l'art. 521 c.p., comma 1, contempla anche il fatto di  esercitare, nei confronti di un animale domestico, sevizie "di natura  sessuale").
 Una tale interpretazione si pone, peraltro, in sintonia con la ratio  della incriminazione che, come indicato dalla collocazione della  fattispecie all'interno del titolo 9^ bis, dedicato ai delitti contro  il sentimento per gli animali, consiste nella compassione suscitata  agli occhi dell'uomo dall'animale maltrattato, tanto più assumendo  disvalore, in un tale contesto, pratiche come quella in oggetto. Ne  consegue che il giudizio operato sul punto dal giudice di primo grado  e ripreso dalla Corte territoriale, allorquando ha argomentato su un  trattamento del cane assolutamente estraneo alle leggi della biologia  e della zoologia e, in quanto tale, insopportabile per le sue  caratteristiche etologiche, appare, alla luce dell'interpretazione  che della norma si deve dare, esente da censure.
 Nè a conclusioni diverse potrebbe giungersi per effetto della  necessità della ricorrenza, nella struttura delle norma, del  requisito, alternativamente, della non necessità o della crudeltà.  Escluso che, nella specie, ricorra tale seconda situazione, questa  Corte ha già affermato che nel concetto di necessità che esclude la  configurabilità della contravvenzione di cui all'art. 727 c.p., ante  novellam del 2004 e dei delitti di cui agli attuali all'art. 544 bis  c.p. e ss., è compreso lo stato di necessità di cui all'art. 54  c.p., e ogni altra situazione che induca all'uccisione o al  maltrattamento dell'animale per evitare un pericolo imminente o per  impedire l'aggravamento di un danno alla persona o ai beni ritenuto  altrimenti inevitabile (Sez. 3, n. 26368 del 09/06/2011, Durigon, non  massimata; Sez. 3, n.44822 del 24/10/2007, Borgia, Rv. 238456);
 peraltro, anche a non voler fare stretto riferimento alla scriminante  in parola, è comunque richiesto che il comportamento attuato nei  confronti dell'animale sia, se non imposto, quanto meno legittimato  da norme che tutelino beni giuridici di valore non inferiore a quello  tutelato dalla norma in oggetto e che, dunque, la coscienza sociale  giustifichi nel fine, in considerazione di un interesse umano  rilevante per la cui apprezzabilità occorre rapportarsi non solo a  norme giuridiche ma anche morali e culturali. Nella specie, al  contrario, il fine perseguito dal soggetto agente, ovvero la  realizzazione di film pornografici, non rientra ictu oculi in tale  orizzonte.
 8. Il settimo motivo è invece fondato. Il ricorrente aveva, con  l'atto di appello, mosso specifici rilievi alla sentenza di primo  grado con cui si era affermata la responsabilità penale per il reato  continuato di sostituzione di persona fondata, essenzialmente, sul  fatto che si era accertato che la sessione di navigazione di tale  Gatto Massimo (ovvero di colui il cui nome, secondo la  contestazione, l'imputato si sarebbe attribuito) presso l'Internet  Cafe Bolzano S.a.S. era iniziata in data 18/03/2008 proprio  nell'esatto momento in cui terminava quella di Galeotti; in  particolare l'appellante aveva sostenuto l'inconferenza di tale  argomentazione, non dimostrando la stessa che, successivamente alla  sessione del Galeotti, fosse stato proprio costui a proseguirla  sotto il falso nome di Gatto.
 La Corte si è invece limitata ad affermare, a pag.8, che gli  elementi fattuali evidenziati nella sentenza impugnata non lasciano  dubbi sulla sussistenza del reato, senza null'altro aggiungere e  senza così confrontarsi specificamente con le doglianze  dell'appellante. È infatti viziata da difetto di motivazione la  sentenza di appello che, in presenza di specifiche censure su uno o  più punti della decisione impugnata, motivi "per relationem",  limitandosi a richiamare quest'ultima e senza farsi carico di  argomentare sull'inconsistenza ovvero sulla non pertinenza delle  relative censure (da ultimo, tra le tante, Sez.3, n. 24252 del  13/05/2010, O., Rv. 247287; Sez. 6, n. 35346 del 12/06/2008,  Bonarrigo e altri, Rv. 241188).
 9. Conclusivamente, dunque, la sentenza impugnata va annullata senza  rinvio quanto al reato contestato al capo m) d'imputazione, da  riqualificare, per quanto detto sopra sub 5, in quello di cui  all'art. 727 c.p., e con rinvio per nuovo giudizio relativamente al  reato di cui all'art. 494 c.p., di cui al capo l); all'esito del  giudizio il giudice del rinvio provvederà, inoltre, in ogni caso, a  nuova determinazione della pena derivante dalla qualificazione  giuridica operata da questa Corte relativamente al reato di cui al  capo m). Infine l'imputato va condannato alla rifusione delle spese  di patrocinio per il presente grado sopportate dalla costituita parte  civile L.a.v., liquidate in complessivi Euro 1.500,00 oltre accessori  di legge. Infatti il parziale accoglimento dell'impugnazione  dell'imputato non elimina la condanna di quest'ultimo alla rifusione  delle spese sostenute dalla parte civile nel giudizio di  impugnazione, salvo che il giudice non ritenga, per giusti motivi, di  disporne la compensazione (Sez.5, n. 46453 del 21/10/2008, Colombo e  altro, Rv. 242611).
 Annulla la sentenza impugnata senza rinvio limitatamente al reato di  			cui al capo m) di imputazione che qualifica come violazione dell'art.  			727 c.p., e con rinvio ad altra sezione della Corte d'Appello di  			Trento limitatamente al capo l) ed alla determinazione della pena.  			Rigetta il ricorso nel resto. Condanna il ricorrente alla rifusione  			delle spese del grado in favore della costituita parte civile che  			liquida in complessivi Euro 1.500,00 oltre accessori di legge.  			Così deciso in Roma, il 13 dicembre 2012.
 Depositato in Cancelleria il 7 febbraio 2013
 
                    




