 Cass. Sez. III n. 7949 del 19 febbraio 2013 (Ud 20 set. 2012)
Cass. Sez. III n. 7949 del 19 febbraio 2013 (Ud 20 set. 2012)
Pres. Squassoni Est. Grillo Ric. Pesenti
Caccia e animali. Esercizio della caccia con mezzi vietati e richiami vivi
Deve ritenersi penalmente rilevante qualsiasi condotta comportante l'esercizio della caccia con mezzi vietati, anche al di fuori delle ipotesi di cui ail'art. 21 lett. "r" (secondo cui è vietato “usare a fini di richiamo uccelli vivi accecati o muti/ati ovvero legati per le ali e richiami acustici a funzionamento meccanico, elettromagnetico o elettromeccanico, con o senza amplificazione del suono”), in quanto la nozione di "mezzi vietati" va intesa in senso ampio e comprende qualsiasi strumento da caccia vietato compresi i richiami in genere, tra i quali vanno inclusi i richiami vivi “non identificabili mediante anello inamovibile".
  Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:        Udienza pubblica SENTENZA P.Q.M.REPUBBLICA ITALIANA
 IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
 LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE    
 SEZIONE TERZA 
 Dott. SQUASSONI Claudia          - Presidente  - del 20/09/2012
 Dott. GRILLO    Renato      - rel. Consigliere - SENTENZA
 Dott. AMORESANO Silvio           - Consigliere - N. 2123
 Dott. MARINI    Luigi            - Consigliere - REGISTRO GENERALE
 Dott. ROSI      Elisabetta       - Consigliere - N. 46588/2011
 ha pronunciato la seguente: 
 sul ricorso proposto da:
 PESENTI GIAN CLAUDIO N. IL 18/08/1959;
 avverso la sentenza n. 1870/2010 TRIBUNALE di BERGAMO, del  20/10/2011;
 visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
 udita in PUBBLICA UDIENZA del 20/09/2012 la relazione fatta dal  Consigliere Dott. RENATO GRILLO;
 Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. LETTIERI Nicola  che ha concluso per il rigetto del ricorso.
 RITENUTO IN FATTO
 1.1 Con sentenza del 20 ottobre 2011 il Tribunale di Bergamo  dichiarava PESENTI Gian Claudio, imputato del reato p. e p.  dall'art. 81 cpv. cod. pen. e della L. n. 157 del 1992, artt. 3 e 18  "perché, con più azioni di un medesimo disegno criminoso,  esercitava l'uccellagione con mezzi vietati, avvalendosi dell'ausilio  di una rete a tramaglio dalle dimensioni di mt 20 x mt 2,50 e con  l'utilizzo di n. 4 richiami vivi (1 cesena, 2 tordi sasselli e un  tordo bottaccio), oltre a detenere n. 69 uccelli privi di anello di  identificazione" Fatto commesso in Brembilla il 12novembre 2009,  colpevole del detto reato, condannandolo alla pena - condizionalmente  sospesa - di Euro 1.500,00.
 1.2 Propone ricorso l'imputato a mezzo del proprio difensore  deducendo, con un primo motivo, violazione di legge per inosservanza  di norme processuali (art. 429 c.p.p., comma 1, lett. c) e art. 622  cod. proc. pen.), per avere il Tribunale giudicato e condannato il  PESENTI per due distinti reati, rispettivamente previsti dall'art.  30, lett. e) (uccellagione con mezzi vietati) e lett. h) (detenzione  di volatili privi di anello di identificazione), nonostante la  contestazione riguardasse una sola condotta (quella relativa alla  pratica della uccellagione), ma non quella relativa alla detenzione  di esemplari di volatili non identificati: inoltre rileva che tale  ultima condotta è in realtà penalmente irrilevante laddove si versi  in tema di esemplari cacciabili da utilizzare eventualmente come  richiamo.
 1.3 Con un secondo motivo il ricorrente denuncia analogo vizio  riferito alla legge penale e difetto assoluto di motivazione con  riguardo alle condotte per le quali è intervenuta la condanna,  rilevando, in particolare, che non costituendo la detenzione di  volatili privi di anello di identificazione reato, ma mero illecito  amministrativo, il Tribunale avrebbe fatto malgoverno della norma  penale e, in ogni caso, rilevando la manifesta illogicità della  decisione per non avere il Tribunale spiegato le ragioni della  condanna per tale tipo di condotta laddove ritenuta reato. Inoltre il  ricorrente deduce che, con riguardo alla condotta di uccellagione con  mezzi vietati, la norma da applicare era quella di cui alla lett. h)  dell'art. 30 e non lett. e) come disposto in sentenza, precisando che  la fattispecie (meno grave) delineata nella lett. h) della norma in  parola prevede la sola pena dell'ammenda.
 CONSIDERATO IN DIRITTO
 1. Il ricorso non è fondato.
 Con il primo motivo il ricorrente sostiene che la seconda delle  condotte indicate nel capo di accusa (detenzione di n. 69 uccelli  privi di anello di identificazione) non sarebbe stata contestata,  mancando qualsiasi descrizione o indicazione delle specie detenute e,  soprattutto, mancando qualsiasi dato di riferimento circa  l'appartenenza degli uccelli suddetti a specie cacciabili o meno. Da  qui la censura di violazione dell'art. 522 cod. proc. pen. per quella  parte della sentenza in cui è stata affermata la colpevolezza del  PESENTI per il reato di cui all'art. 30, lett. h) così come  ritenuto dal Tribunale, trattandosi di una condotta in realtà non  contestata.
 2. Osserva la Corte che la norma di riferimento è rappresentata  dalla L. n. 157 del 1992, art. 5 comma 7 a tenore del quale  nell'esercizio venatori ed in generale in tema di cattura di specie  volatili "è vietato l'uso di richiami che non siano identificabili  mediante anello inamovibile, numerato secondo le norme regionali che  disciplinano anche la procedura in materia". Tale condotta trova una  precisa collocazione sanzionatoria di natura penale nell'art. 30,  lett. h) della medesima legge, a tenore del quale è prevista  "l'ammenda fino a L. 3.000.000 per chi abbatte, cattura o detiene  specie di mammiferi o uccelli nei cui confronti la caccia non è  consentita o fringillidi in numero superiore a cinque o per chi  esercita la caccia con mezzi vietati. La stessa pena si applica a chi  esercita la caccia con l'ausilio di richiami vietati di cui all'art.  21, comma 1, lett. r). Nel caso di tale infrazione si applica  altresì la misura della confisca dei richiami". Trattasi di una  disposizione non depenalizzata che ingloba in sè più condotte unite  da un denominatore comune: l'esercizio della caccia o la cattura di  volatili con mezzi vietati.
 3. In proposito la giurisprudenza di questa Corte è orientata nel  senso di ritenere penalmente rilevante qualsiasi condotta comportante  l'esercizio della caccia con mezzi vietati, anche al di fuori delle  ipotesi di cui all'art. 21, lett. "r" (secondo cui è vietato "usare  a fini di richiamo uccelli vivi accecati o mutilati ovvero legati per  le ali e richiami acustici a funzionamento meccanico,  elettromagnetico o elettromeccanico, con o senza amplificazione del  suono"), in quanto la nozione di "mezzi vietati" va intesa in senso  ampio e comprende qualsiasi strumento da caccia vietato compresi i  richiami in genere, tra i quali vanno inclusi i richiami vivi "non  identificabili mediante anello inamovibile". (Cass. Sez. 3 4.7.1996  n. 8880, Zaghis, Rv. 206417; Cass. Sez. 3 28.4.2000 n. 7756,  Medaglia, Rv. 216985).
 3.1 Il tenore inequivoco dell'espressione contenuta nella L. n. 157  del 1992, art. 5, comma 7 permette di ritenere inclusa tra le  condotte penalmente rilevanti in modo indifferenziato tutte quelle  vietate dalla legge.
 4. Tanto precisato, è evidente che nel caso in esame la condotta  vietata - nei termini in cui è stata contestata - includeva oltre  alla condotta di uccellagione vera e propria con uso di mezzi vietati  (la rete a tramaglio e i richiami vivi), anche la condotta di  uccellagione mediante la detenzione di uccelli sprovvisti di anello  di identificazione dei quali il PESENTI si avvaleva a tale scopo:
 il che costituisce un mezzo vietato sanzionabile penalmente della L.  n. 157 del 1992, ex art. 30, lett. h).
 4.1 Ora è vero - come afferma il ricorrente - che la detenzione di  uccelli privi di anelli di identificazione, a sè considerata, può  integrare anche una semplice violazione amministrativa: ma laddove  l'autore del reato si avvalga dei volatili privi di tale segnale  incorre nel reato suddetto.
 4.2 Alla stregua dì tali considerazioni la decisione impugnata non  presenta alcuna incongruenza logica manifesta, avendo ricollegato la  responsabilità penale ad una condotta vietata dalla legge ed in  assenza di prova contraria gravante sull'imputato, ma mai offerta.  5. Con riferimento alla seconda censura riguardante la parte della  sentenza in cui è stata affermata la colpevolezza del PESENTI per  il reato di esercizio della uccellagione, la tesi difensiva, secondo  la quale nel caso di specie dovrebbe configurarsi l'ipotesi meno  grave dell'esercizio della caccia con mezzi vietati - disciplinata  dalla L. n. 157 del 1992, art. 30, lett. h) sanzionata con la sola  pena dell'ammenda - e non quella ritenuta in sentenza di cui allo  stesso art. 30, lett. e) non può essere condivisa.
 5.1 Tale tesi introduce il tema della differenza tra reato di  uccellagione e quello di esercizio della caccia con mezzi vietati e -  con riferimento al caso in esame - fa leva sulla circostanza che non  tutte le reti - ma solo quelle di grandi dimensioni - possono  integrare l'ipotesi della uccellagione.
 5.2 Osserva al riguardo la Corte che tale tesi non appare persuasiva.  Ai fini della integrazione della condotta di uccellagione (ipotesi  normativamente regolata dall'art. 3 della legge sulla caccia, secondo  cui è vietata in tutto il territorio nazionale ogni forma di  uccellagione e di cattura di uccelli e di mammiferi selvatici,  nonché il prelievo di uova, nidi e piccoli nati e sanzionata  esplicitamente dalla lett. e) dell'art. 30 con la sanzione  alternativa dell'arresto o della ammenda), quel che rileva non è  tanto la dimensione (maggiore o minore) della rete, quanto l'uso del  mezzo adoperato (la rete).
 5.3 Tale sistema consente infatti la cattura indiscriminata di  volatili di ogni specie con la conseguente possibilità di arrecare  al patrimonio avicolo un danno ben maggiore di quello ricollegabile  alla normale cattura o abbattimento di uccelli che può avvenire con  metodologie diverse e ben discriminate, seppure anche queste non  consentite.
 5.4 Precisato che anche il procedimento di normale cattura della  preda con sistemi vietati integra comunque una condotta penalmente  rilevante (lett. h) dell'art. 30 citato), la cattura della fauna  avicola, quale che sia la finalità perseguita, se effettuata in modo  indiscriminato, come nel caso dell'uso delle reti, costituisce una  fattispecie più grave che deve dunque comportare una sanzione più  severa così come avviene con la previsione, espressamente dedicata  all'"uccellagione", contenuta nella lett. e) della norma sopra  richiamata.
 5.5 Pacifico, sul punto, l'orientamento di questa Corte, secondo il  quale la distinzione tra uccellagione ed altre forme di caccia va  fatta con riferimento al mezzo adoperato e non alla destinazione  delle prede catturate. Più in particolare, con l'espressione  "uccellagione" ci si intendere riferire a tutte quelle condotte  miranti alla cattura di uccelli con mezzi diversi dalle armi da  sparo, come reti, panie, etc. che, per la loro maggiore potenzialità  offensiva verso l'animale e per le indubbie sofferenze che per esso  comporta, vengono sanzionate in modo più grave e specifico rispetto  all'esercizio della caccia con mezzi vietati (tra i quali l'uso dei  richiami vivi - come accaduto nel caso di specie - ovvero di  apparecchiature elettromagnetiche o acustiche) (Cass. Sez, 3,  16.5.1996 n. 4918, Giusti, Rv. 205462; Cass. Sez. 3 16.3.2004 n.  19506, Marrucai, Rv. 228459; Cass. Sez. 3 1.2.2006 n. 6343, Fagoni,  Rv. 233316; Cass. Sez. 3A 21.3.2007 n. 17272, Del Pesce, Rv. 236497).  5.6 Trattasi - contrariamente a quanto affermato dalla difesa del  ricorrente - di orientamento uniforme e consolidato che poggia le sue  radici su una differenza ontologica tra due espressioni  ("uccellagione" ed "esercizio della caccia con mezzi vietati")  intrinsecamente diverse.
 6. L'uccellagione è, in sostanza, una pratica di caccia penalmente  sanzionata equiparabile ad una vera e propria forma di bracconaggio,  attuata con l'impiego di dispositivi fissi e finalizzata alla cattura  indiscriminata e di massa della selvaggina avicola.  6.1 L'esercizio della caccia con mezzi vietati afferisce ad un  concetto diverso che presuppone sì la caccia e cattura dell'animale,  ma intesa non in modo indiscriminato e comunque con sistemi che, in  quanto non consentiti, importano sanzioni di minore gravita per la  minore offensività insita in tali metodiche.
 6.2 Ora è evidente che nel caso in esame il Tribunale ha fatto  corretto uso della norma penale individuando nella predisposizione di  reti fisse (peraltro di notevoli dimensioni posto che si trattava di  una rete di ben 50 mq.) la condotta dell'uccellagione sanzionata ai  sensi della L. n. 157 del 1992, art. 21, lett. e) ricomprendendosi  poi nella condotta vietata anche l'utilizzazione di richiami vivi che  in realtà trovava la sua collocazione sanzionatoria nello stesso  art. 30, lett. h).
 6.3 Tale soluzione impedisce quindi di riportare la condotta di  utilizzo della rete nell'ambito della meno grave fattispecie di cui  all'art. 30, lett. h) che andava comunque applicata con riferimento  all'utilizzo di richiami vivi, peraltro non contestato dalla difesa  del ricorrente.
 7. Il ricorso va, quindi, rigettato. Segue la condanna del ricorrente  al pagamento delle spese processuali.
 Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese  			processuali.
 Così deciso in Roma, il 20 settembre 2012.
 Depositato in Cancelleria il 19 febbraio 2013
 
                    




