 Cass. Sez. III n. 46656 del 15 dicembre 2011 (Cc 9 nov. 2011)
Cass. Sez. III n. 46656 del 15 dicembre 2011 (Cc 9 nov. 2011)
Pres. De Maio Est. Ramacci Ric. D'Amato ed altro 
Urbanistica. Omessa demolizione e rimedi processuali
La omessa statuizione nella sentenza di condanna per reato urbanistico o paesaggistico in ordine, rispettivamente, alla demolizione delle opere abusive o alla rimessione in pristino dello stato dei luoghi, può essere emendata attraverso il ricorso alla procedura correttiva di cui all'articolo 130 C.P.P., trattandosi di sanzioni amministrative accessorie a contenuto predeterminato e competente, al riguardo, è il giudice che ha emesso la sentenza di condanna, ovvero il giudice della impugnazione, quando questa non sia inammissibile, e non anche il giudice della esecuzione, il quale non ha una competenza specifica in materia.
REPUBBLICA ITALIANA
 IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
 LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
 Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:        Camera di consiglio
 Dott. DE MAIO  Guido             - Presidente  - del 09/11/2011
 Dott. PETTI    Ciro              - Consigliere - SENTENZA
 Dott. GENTILE  Mario             - Consigliere - N. 1903
 Dott. RAMACCI  Luca         - rel. Consigliere - REGISTRO GENERALE
 Dott. ANDRONIO Alessandro Maria  - Consigliere - N. 42475/2010
 ha pronunciato la seguente: 
SENTENZA
 sul ricorso proposto da:
 1) D'AMATO VITO N. IL 20/06/1948;
 2) TRAPANI MARIA NIVEA N. IL 03/08/1953;
 avverso l'ordinanza n. 47/2006 TRIB. SEZ. DIST. di LENTINI, del  			13/08/2010;
 sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. LUCA RAMACCI;
 lette le conclusioni del PG annullamento senza rinvio dell'ordinanza  			impugnata limitatamente alla correzione dell'errore materiale.  			SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
 Con ordinanza in data 13 agosto 2010, il Tribunale di Siracusa -  			Sezione Distaccata di Lentini disponeva, ai sensi degli artt. 127,  			130 e 547 c.p.p., la correzione della sentenza emessa dal medesimo  			Tribunale in data 16 maggio 2007 e con la quale D'AMATO Vito e  			TRAPANI Maria Nieva erano stati condannati per violazione della  			disciplina urbanistica, stabilendo che nella menzionata decisione  			deve intendersi inserita la seguente disposizione "Visto il D.P.R. n.  			380 del 2001, art. 31, ordina la demolizione dell'immobile abusivo se  			non altrimenti eseguito".
 Avverso il provvedimento i predetti proponevano ricorso per  			cassazione.
 Con un unico motivo di ricorso deducevano la violazione degli artt.  			130 e 676 c.p.p., in quanto la correzione dell'errore materiale, che  			nella fattispecie riguardava una sentenza già passata in giudicato,  			non può essere disposta dal giudice dell'esecuzione perché non  			rientrante tra le sue competenze.
 Aggiungevano che la decisione non poteva essere corretta dallo stesso  			giudice che l'aveva emessa, ai sensi dell'art. 130 c.p.p., ostandovi  			il passaggio in giudicato.
 Precisavano, inoltre, che l'omessa disposizione dell'ordine di  			demolizione deve considerarsi quale vitium in iudicando e non anche  			quale errore materiale, con la conseguenza che lo stesso è  			rettificabile solo dal giudice dell'impugnazione in quanto  			specificamente investito da una parte processuale.  			Rilevavano, poi, che una specifica competenza in capo al giudice  			dell'esecuzione a procedere ai sensi dell'art. 130 c.p.p. non poteva  			ricavarsi in via interpretativa, poiché l'art. 676 c.p.p., in quanto  			derogatorio al principio generale della irrevocabilità delle  			sentenze e dei decreti penali definitivi di cui all'art. 648 c.p.p.  			(cd. giudicato formale), è di stretta interpretazione e non può  			essere applicato al di fuori delle materie in esso specificamente  			previste.
 Insistevano, pertanto, per l'accoglimento del ricorso.  			MOTIVI DELLA DECISIONE
 Il ricorso è fondato.
 Occorre preliminarmente osservare che il provvedimento è comunque  			impugnabile, anche nel caso sia inquadrabile nell'ambito della  			procedura di correzione dell'errore materiale.
 Il Collegio, in adesione alla più recente giurisprudenza di questa  			Corte (Sez. 6^ n. 13590, 5 aprile 2011; Sez. 4^ n. 41618, 24 novembre  			2010; Sez. 1 n. 41571, 29 ottobre 2009; Sez. 1 29871, 17 luglio 2009;
 contra Sez. V n. 43989, 17 novembre 2009; Sez. 1^ n. 26673, 12 luglio  			2002; Sez. 1^ n. 23176, 17 giugno 2002), propende per una soluzione  			affermativa, in considerazione del fatto che il richiamo effettuato  			dall'art. 130 c.p.p., alla procedura camerale di cui all'art. 127  			c.p.p., il cui atto decisorio è espressamente ricorribile, non può  			intendersi effettuato con esclusivo riferimento alla procedura, nulla  			emergendo in tal senso dal tenore letterale della disposizione ed in  			quanto l'opzione ermeneutica appare in linea con la lettura che le  			osservazioni contenute in altra pronunzia delle Sezioni Unite (SS.UU.  			n. 17, 23 dicembre 1992, richiamata da Sez. 1^ 29871/09 cit.)  			suggeriscono.
 In tale pronuncia, infatti, si afferma che in un alcune disposizioni  			contenute nel codice di rito, tra le quali figura anche l'art. 130,  			"... non è contemplato in modo espresso il ricorso per cassazione,  			la cui esperibilità, ineludibile per evidenti ragioni di garanzia,  			deve essere desunta dall'espressione usata "a norma dell'art. 127"  			che è, di sicuro, diversa e più ampia, sotto il profilo lessicale,  			delle altre che in vario modo rinviano alle sole "forme" dello stesso  			articolo, così da comprendere anche il suddetto rimedio previsto dal  			comma 7 della citata disposizione ...".
 Ritenuta dunque la impugnabilità del provvedimento in esame, occorre  			rilevare se possa utilizzarsi la procedura di correzione dell'errore  			materiale quale rimedio all'omessa statuizione dell'ordine di  			demolizione del manufatto abusivo.
 Il Collegio propende per la decisione affermativa, con le  			precisazioni che seguono.
 Occorre premettere che, in argomento, risulta segnalato un contrasto  			di giurisprudenza (Ufficio del massimario, Rel. 3/11 del 27 gennaio  			2011), mentre è pacifica la natura di sanzione amministrativa di  			tipo ablatorio dell'ordine giudiziale di demolizione dell'immobile  			abusivo del quale deve pure escludersi la natura discrezionale (Sez.  			3^ n. 24087, 13 giugno 2008; Sez. 3^ n. 24265, 20 giugno 2007; Sez.  			3^ n. 37120, 13 ottobre 2005).
 A tale proposito va osservato che l'ambito di applicabilità della  			procedura di correzione dell'errore materiale, originariamente  			limitato dalla giurisprudenza delle Sezioni Unite di questa Corte ai  			soli casi di errori emendabili che non determinino una modificazione  			sostanziale della precedente decisione (SS.UU. n. 16102, 27 marzo  			2002; n. 19, 9 ottobre 1996; n. 8, 18 maggio 1994), può dirsi  			successivamente ampliato, essendosi affermato che "la omissione di  			una statuizione obbligatoria di natura accessoria e a contenuto  			predeterminato non determina nullità e non attiene a una componente  			essenziale dell'atto, onde ad essa può porsi rimedio con la  			procedura di correzione di cui all'art. 130 c.p.p." (SS.UU. n. 7945,  			31 gennaio 2008).
 Un primo orientamento, che ritiene emendabile attraverso la procedura  			disciplinata dall'art. 130 c.p.p. l'omessa statuizione dell'ordine  			giudiziale di demolizione, ne riconosceva l'applicabilità con  			riferimento alle sentenze di "patteggiamento" ai sensi dell'art. 444  			c.p.p. (Sez. 3^ n. 3752, 8 novembre 1995; Sez. 3^ n. 1530, 28 marzo  			1996) e veniva successivamente confermato (Sez. 3^ n. 758, 24  			febbraio 1999).
 Più recentemente, un'altra articolata pronuncia (Sez. 3^ n. 10067, 2  			dicembre 2009) ha preso in esame la questione, in un caso in cui  			l'omissione del giudice riguardava l'ordine di riduzione in pristino  			dello stato dei luoghi, alla luce del principio nel frattempo  			espresso dalle Sezioni Unite (SS.UU. 7945/2009, cit), condividendo il  			quale veniva ammessa, in via generale, la possibilità di una  			integrazione successiva di statuizioni omesse nel caso in cui abbiano  			natura obbligatoria e contenuto predeterminato, individuando la  			competenza tanto del giudice che ha emesso il provvedimento, quanto  			di quello della impugnazione, nonché del giudice dell'esecuzione ma  			solo nel caso in cui questi abbia una specifica competenza in ordine  			alla statuizione omessa osservando, tuttavia, che il divieto di  			interpretazione analogica impedisce che rientrino tra le competenze  			del giudice dell'esecuzione quelle relative a sanzioni amministrative  			accessorie, quali l'ordine di demolizione delle opere abusive o  			l'ordine di remissione in pristino.
 Riconoscendo dunque la possibilità di ricorrere alla procedura di  			correzione dell'errore materiale, la richiamata decisione escludeva  			il ricorso ad una interpretazione analogica dell'art. 676 c.p.p. e,  			conseguentemente, la competenza del giudice dell'esecuzione ad  			ordinare, in caso di omessa statuizione nella sentenza di condanna,  			la demolizione del manufatto abusivo o la rimessione in pristino  			dello stato dei luoghi a spese del condannato.
 Alle medesime conclusioni perveniva altra successiva pronuncia (Sez.  			3^ n.32953, 28 aprile 2010).
 Il difforme orientamento trae invece origine da una prima decisione  			(Sez. 3^ n. 6301, 14 aprile 1992) che riconosceva all'ordine  			giudiziale di demolizione un'incidenza sulla sfera giuridico-  			patrimoniale del condannato e ne evidenziava la eventualità  			dell'applicazione in quanto conseguente all'inerzia della pubblica  			amministrazione, ritenendo così che la relativa omissione in  			sentenza, incidendo sul nucleo essenziale della decisione, si  			risolvesse in un "vitium in indicando", come tale non rettificabile.  			Ad analoghe conclusioni perveniva una successiva decisione (Sez. 1^  			n. 4455, 21 settembre 1998), mentre altrettanto non può dirsi con  			riferimento ad altra pronuncia (Sez. 3^ n. 21022, 24 febbraio 2004)  			nella quale il ricorso alla procedura in esame veniva ritenuta  			inapplicabile in quanto, nel caso concreto, il giudice di primo grado  			aveva espressamente escluso l'ordine di remissione in pristino dello  			stato dei luoghi con una specifica motivazione (ritenuta, peraltro,  			palesemente errata in fatto e in diritto) cosicché il ricorso  			all'art. 130 c.p.p. avrebbe comportato, attraverso la correzione, una  			modificazione essenziale del provvedimento.
 Altre decisioni si ponevano successivamente nella stessa posizione,  			richiamando i principi in precedenza menzionati (Sez. 3^ n. 33939, 4  			luglio 2006; Sez. 3^ n. 17380, 22 marzo 2007; Sez. 3^ 21894, 22 marzo  			2007; Sez. 3^ n. 4751, 13 dicembre 2007; Sez. 3^ n. 17858, 25 marzo  			2008) i quali, peraltro, erano stati efficacemente confutati dalle  			già citate decisioni di segno opposto richiamando l'obbligatorietà  			del provvedimento e la possibilità di risolvere in sede esecutiva  			eventuali incompatibilità con la situazione di fatto, ovvero con  			determinazioni assunte dalla autorità amministrativa ed osservando  			come la ritenuta incidenza dell'ordine di demolizione sulla sfera  			patrimoniale del condannato non possa assumere rilievo a fronte della  			doverosità dell'intervento ripristinatorio, correlata alla  			permanente tutela dell'assetto del territorio in conformità alla  			normazione ed alla pianificazione urbanistiche, riconoscendo, poi, la  			compatibilita della procedura correttiva (cost. Sez. 3^ 1530/96,  			cit.).
 Va peraltro rilevato che la quasi totalità delle decisioni appena  			menzionate risultano antecedenti alla pronuncia delle Sezioni Unite  			(n. 7945/08, cit.) che ha formulato i principi in base ai quali le  			più recenti pronunce di segno opposto ammettono il ricorso alla  			procedura di correzione dell'errore materiale.
 Delle due sentenze successive all'intervento del supremo organo  			nomofilattico una (n. 17858X08) tiene conto di quanto affermato in  			precedenza con altra decisione (n. 33939/06, cit.) riguardante il  			medesimo fatto e si sofferma sulla tassatività dell'elencazione  			delle "altre competenze" attribuite al giudice dell'esecuzione,  			mentre l'altra (n. 40861/10, cit.) si produce nel mero richiamo ad  			alcuni precedenti, rilevando peraltro un vizio ulteriore della  			decisione impugnata nella circostanza che, pur qualificandosi il  			provvedimento come correzione di errore materiale, non era stato  			assunto all'esito del prescritto rito camerale, bensì adottato de  			plano.
 Alla luce delle considerazioni dianzi esposte, deve rilevarsi come la  			questione sollevata non possa essere valutata prescindendo dal  			considerare il condivisibile indirizzo espresso dalle Sezioni Unite  			nella più volte menzionata sentenza n. 7945/08 ed opportunamente  			valorizzato, con articolate e puntuali argomentazioni, dalle  			decisioni n. 10067/09 e 32953U0, anch'esse in precedenza ricordate.  			La scelta interpretativa effettuata dalle citate sentenze, che appare  			peraltro connotata da maggiore ragionevolezza, pare superare il  			denunciato contrasto e deve essere preferita.
 La menzionata decisione delle Sezioni Unite, infatti, dopo attenta  			analisi della dottrina e giurisprudenza in tema di correzione  			dell'errore materiale -individuando, come tale, quello caratterizzato  			da una divergenza, evidente e occasionale, tra la volontà del  			giudice e la sua estrinsecazione nel provvedimento emendabile  			attraverso un'operazione di meccanico adeguamento sostitutivo o  			integrativo che prescinde da qualsivoglia verifica o interpretazione  			del processo formativo della volontà del giudice medesimo -  			riconosce l'applicabilità della speciale procedura anche ai casi si  			errore omissivo caratterizzato da una divergenza "tra l'espressione  			usata dal giudice e quanto egli, pur nell'assenza di dirette  			risultanze della sua volontà in tal senso, avrebbe comunque dovuto  			univocamente esprimere in forza di un obbligo normativo",  			giustificando tale assunto in base al fatto che l'art. 130 c.p.p.,  			non impone che il risultato della correzione da effettuare debba  			essere stato imprescindibilmente oggetto della effettiva volontà  			cosciente del giudice essendo richiesto, esclusivamente, che  			dall'errore non derivi la nullità dell'atto e che la sua rimozione  			non ne determini una modificazione essenziale, con la conseguenza che  			non può ritenersi inibita la correzione comportante l'applicazione  			automatica di quanto imposto dall'ordinamento, sempreché l'omissione  			non sia conseguenza di specifica deliberazione da parte del giudice.  			Le considerazioni svolte dalla Sezioni Unite giustificano, pertanto,  			l'utilizzazione della procedura correttiva disciplinata dall'art. 130  			c.p.p., anche alla omessa statuizione relativa a sanzioni  			amministrative accessorie di natura obbligatoria ed a contenuto  			predeterminato tra le quali rientrano, come si è già detto,  			l'ordine di demolizione del manufatto abusivo e quello di rimessione  			in pristino dello stato dei luoghi a spese del condannato i quali, in  			ragione della loro natura, escludono qualsivoglia margine di  			discrezionalità per il giudice.
 Parimenti condivisibili paiono, peraltro, al Collegio, le successive  			valutazioni formulate, stante il silenzio delle Sezioni Unite sul  			punto, su una eventuale competenza del giudice dell'esecuzione nella  			materia in esame e che la escludono rilevando come l'art. 676 c.p.p.,  			in quanto derogatorio al principio generale della irrevocabilità  			delle sentenze e dei decreti penali definitivi di cui all'art. 648  			c.p.p., sia di stretta interpretazione e non possa essere applicato  			al di fuori delle materie in esso specificamente previste (Sez. 3^  			nn. 10067/09 e 32953/10, cit.).
 Va conseguentemente ribadito il principio secondo il quale la omessa  			statuizione nella sentenza di condanna per reato urbanistico o  			paesaggistico in ordine, rispettivamente, alla demolizione delle  			opere abusive o alla rimessione in pristino dello stato dei luoghi,  			può essere emendata attraverso il ricorso alla procedura correttiva  			di cui all'art. 130 c.p.p., trattandosi di sanzioni amministrative  			accessorie a contenuto predeterminato e competente, al riguardo, è  			il giudice che ha emesso la sentenza di condanna, ovvero il giudice  			della impugnazione, quando questa non sia inammissibile, e non anche  			il giudice della esecuzione, il quale non ha una competenza specifica  			in materia.
 Ciò posto resta da individuare la reale natura del provvedimento  			impugnato e, a tale scopo, è necessario chiarire lo svolgimento  			della vicenda processuale.
 Il Tribunale, come pure illustrato in ricorso, è stato investito  			dalla difesa dei ricorrenti della decisione in merito al dissequestro  			dell'immobile con istanza in data 4 maggio 2010 (allegata al  			ricorso), nella quale si evidenziava che la restituzione del bene era  			giustificata dalla definizione del relativo procedimento conseguente  			al passaggio in giudicato, in data 11 ottobre 2007, della sentenza  			con la quale i ricorrenti erano stati condannati per violazione delle  			disposizioni del T.U. dell'edilizia.
 Il giudice, rilevata l'omessa disposizione della demolizione dei  			manufatti abusivi, rigettava l'istanza e, ritenuta applicabile la  			procedura di correzione dell'errore materiale di cui all'art. 130  			c.p.p., fissava altra udienza per la trattazione in camera di  			consiglio, disponendo gli avvisi di rito.
 All'esito dell'udienza camerale, il giudice riservava la decisione  			emettendo successivamente il provvedimento ora impugnato nel quale,  			richiamati i principi generali e la giurisprudenza di questa Corte in  			materia di correzione dell'errore materiale, affermava la propria  			competenza sul presupposto che la sentenza era stata emessa dal  			medesimo giudice, non era stata impugnata e non rilevava la  			sopravvenuta esecutività del provvedimento da correggere.  			Il giudice, dunque, non ha inteso assumere espressamente le proprie  			determinazioni con riferimento alle disposizioni in materia di  			esecuzione, come emerge non solo dalla totale assenza di riferimenti  			alle disposizioni di cui agli artt. 648 e ss. c.p.p., ma anche dal  			tenore del provvedimento impugnato, ne' riferimenti di tal genere  			figurano nell'istanza di dissequestro.
 Egli ha inoltre formalmente distinto il procedimento conseguente alla  			istanza di dissequestro, che ha motivatamente rigettato, dal  			successivo procedimento ex art. 130 c.p.p., per il quale ha fissato  			separata udienza in camera di consiglio ai sensi dell'art. 127  			c.p.p., pur provvedendo, in quella sede, alla restituzione dei beni  			sequestrati decidendo su una ulteriore richiesta formulata con  			memoria difensiva.
 Considerato il descritto iter procedimentale, obiettivamente poco  			lineare, occorre tuttavia rilevare che, nonostante la qualificazione  			attribuita al provvedimento dal giudice, dal testo emerge chiaramente  			che egli è stato investito della questione concernente la  			restituzione dei beni in sequestro quale giudice dell'esecuzione ed  			in tale veste ha sostanzialmente agito decidendo anche sulla  			restituzione.
 Ne consegue che non avrebbe potuto, per le ragioni dianzi esposte,  			ordinare la demolizione del manufatto abusivo riparando alla  			omissione intervenuta in sede di cognizione poiché tale attività  			non rientra tra le competenze specifiche e tassativamente individuate  			del giudice dell'esecuzione.
 Il provvedimento impugnato deve pertanto essere annullato con le  			consequenziali statuizioni indicate in dispositivo.  			P.Q.M.
 Annulla senza rinvio il provvedimento impugnato limitatamente  			all'ordine di demolizione che elimina.
 Così deciso in Roma, il 9 novembre 2011.
 Depositato in Cancelleria il 15 dicembre 2011
 
                    




