 TAR Veneto Sez. II sent. 453 del 11 febbraio 2010
TAR Veneto Sez. II sent. 453 del 11 febbraio 2010
 Urbanistica. Muro di contenimento
 
 In tema di distanze legali, il muro di contenimento di una scarpata o di  un terrapieno naturale non può considerarsi "costruzione" agli effetti  della disciplina di cui all'art. 873 c.c. per la parte che adempie alla  sua specifica funzione, e, quindi, dalle fondamenta al livello del fondo  superiore, qualunque sia l'altezza della parete naturale o della  scarpata o del terrapieno cui aderisce, impedendone lo smottamento; la  parte del muro che si innalza oltre il piano del fondo sovrastante,  invece, in quanto priva della funzione di conservazione dello stato dei  luoghi, è soggetta alla disciplina giuridica propria delle sue oggettive  caratteristiche di costruzione in senso tecnico giuridico, ed alla  medesima disciplina devono ritenersi soggetti, perché costruzioni nel  senso sopra specificato, il terrapieno ed il relativo muro di  contenimento elevati ad opera dell'uomo per creare un dislivello  artificiale o per accentuare il naturale dislivello esistente
REPUBBLICA ITALIANA
 
 IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
 
 
 
 N.  00453/2010 REG.SEN.
 N. 01208/2008 REG.RIC.
 N. 02495/2008 REG.RIC.
 
 
 Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto
 
 (Sezione Seconda)
 
 
 ha pronunciato la presente
 
 
 SENTENZA
 
 
 Sul ricorso numero di registro generale 1208 del 2008, proposto da  Giorgio Vaccari e Maria Grazia Totola, rappresentati e difesi dagli avv.  A. Domenico Sella, Elisa Lugoboni e Marco Cappelletto, con domicilio  eletto presso lo studio di quest’ultimo in Venezia, P.le Roma 521;
 
 contro
 
 il Comune di Costermano , in persona del Sindaco pro tempore, non  costituito in giudizio;
 
 nei confronti di
 
 Giuliano Laveder e Rita De Toffol, rappresentati e difesi dagli avv.  Erika Perbellini e Mauro Papandrea, con domicilio eletto presso lo  studio di quest’ultimo in Venezia-Mestre, viale Garibaldi, 89;
 Amministrazione per i Beni e le Attività Culturali, in persona del  Ministro pro tempore, non costituita in giudizio;
 
 
 Sul ricorso numero di registro generale 2495 del 2008, proposto da  Giuliano Laveder e Rita De Toffol, rappresentati e difesi dagli avv.  Erika Perbellini e Mauro Papandrea, con domicilio eletto presso lo  studio di quest’ultimo in Venezia-Mestre, viale Garibaldi, 89;;
 
 contro
 
 il Comune di Costermano , in persona del Sindaco pro tempore, non  costituito in giudizio;
 
 nei confronti di
 
 Giorgio Vaccari e Maria Grazia Totola, rappresentati e difesi dagli avv.  A. Domenico Sella, Elisa Lugoboni e Marco Cappelletto, con domicilio  eletto presso lo studio di quest’ultimo in Venezia, P.le Roma 521;
 Amministrazione per i Beni e le Attività Culturali, in persona del  Ministro pro tempore, non costituita in giudizio;
 
 per l'annullamento
 
 quanto al ricorso n. 1208 del 2008:
 
 del permesso di costruire n.9475 dell’11 aprile 2008 (n. prot. richiesta  1382, pratica U.T. n.1883- GPE 08P/1382- DOC.1) rilasciato dal Comune  di Costermano a Giuliano Laveder e Rita De Toffol, relativo alla  “realizzazione di terrazza scoperta e modifiche interne a fabbricato”  sito in loc. Pisson 16 di Costermano ed ivi catastalmente censito alla  sez. un., fg. 5, m.n. 545 e dei relativi progetti allegati nonché per  l’annullamento di ogni altro atto presupposto, connesso, conseguente,  anche non conosciuto, compreso il parere del Responsabile dell’Area  Tecnica n. 9475 del 5 marzo 2008;
 
 quanto al ricorso n. 2495 del 2008:
 
 dei provvedimenti prot.n. 5623 del 9 ottobre 2008; prot. n. 5623/e  dell’11 settembre 2008, dell’ordinanza n.5 del 5 maggio 2008 e di ogni  altro atto del procedimento presupposto, connesso ovvero consequenziale  nonché per il risarcimento dei danni cagionati ai ricorrenti;
 
 
 Visti i ricorsi con i relativi allegati;
 
 Visto l'atto di costituzione in giudizio di Giuliano Laveder e Rita De  Toffol;
 
 Visto l'atto di costituzione in giudizio di Giorgio Vaccari e Maria  Grazia Totola;
 
 Viste le memorie difensive;
 
 Visti tutti gli atti della causa;
 
 Relatore nell'udienza pubblica del giorno 12 novembre 2009 la dott.ssa  Brunella Bruno e uditi per le parti i difensori come da verbale.;
 
 Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:
 
 
 FATTO
 
 
 Con ricorso iscritto al n. 1208/08 Giorgio Vaccari e Maria Grazia Totola  - proprietari nel Comune di Costermano, in località Pizzon, di un  immobile e della relativa area pertinenziale - hanno agito in giudizio  per l’annullamento del permesso di costruire n.9475 dell’11 aprile 2008  (n. prot. richiesta 1382, pratica U.T. n.1883- GPE 08P/1382- DOC.1)  rilasciato dal Comune di Costermano ai coniugi Giuliano Laveder e Rita  De Toffol, relativo alla “realizzazione di terrazza scoperta e modifiche  interne a fabbricato” e dei relativi progetti allegati nonché per  l’annullamento di ogni altro atto presupposto, connesso ovvero  conseguente, compreso il parere del Responsabile dell’Area Tecnica n.  9475 del 5 marzo 2008.
 
 L’immobile cui si riferisce il suddetto permesso di costruire confina  con quello dei coniugi Vaccari- Totola, costituendo parte di un unico  articolato complesso abitativo diviso in varie unità.
 
 Avverso il provvedimento gravato gli odierni ricorrenti hanno dedotto  una serie di censure che si appuntano, tra l’altro, sulla erronea  qualificazione dell’intervento come muro di contenimento, sulla  violazione delle distanze legali e delle norme urbanistiche ed edilizie  di P.R.G. e di attuazione nonché della normativa in materia  paesaggistica, trattandosi, peraltro, di opera da realizzare in un sito  di pregio e di interesse comunitario.
 
 Il Comune di Costermano non si è costituito in giudizio per resistere al  gravame mentre si sono costituiti i controinteressati.
 
 In data 5 maggio 2008, il Comune ha adottato una ordinanza con la quale  ha disposto la sospensione dei lavori avviati dai coniugi Laveder- De  Toffol, a motivo dell’asserita difformità degli stessi rispetto al  progetto assentito ed alle norme di P.R.G..
 
 Successivamente, in data 21 luglio 2008, Giuliano Laveder e Rita De  Toffol hanno presentato al Comune una domanda di variante.
 
 Tale istanza è stata riscontrata dall’Amministrazione comunale con due  provvedimenti, prot. n. 5623/e dell’11 settembre 2008 e n.5623 del 9  ottobre 2008, con i quali è stata comunicata ai coniugi Laveder- De  Toffol la sospensione, in via cautelativa, della pratica edilizia .
 
 Questi provvedimenti (ordinanza n.5 del 5 maggio 2008; provvedimento  prot. n. 5623 del 9 ottobre 2008 e provvedimento prot. n. 5623/e dell’11  settembre 2008) sono stati impugnati dal Laveder e dalla De Toffol con  ricorso iscritto al n. 2495/08.
 
 Il Comune non si è costituito in giudizio per resistere al gravame  mentre si sono costituiti i coniugi Giorgio Vaccari e Maria Grazia  Totola , in qualità di controinteressati.
 
 All’udienza del 12 novembre 2009 i ricorsi sono stati trattenuti per la  decisione.
 
 
 DIRITTO
 
 
 1.Preliminarmente il Collegio dispone la riunione dei giudizi per  deciderli con un’unica sentenza - come, peraltro, richiesto dai  difensori delle stesse parti - sussistendo connessione sia soggettiva  che oggettiva; i provvedimenti impugnati con il ricorso iscritto al n.  2495 del 2008, proposto dai coniugi Laveder e De Toffol si riferiscono a  provvedimenti inerenti all’intervento edilizio oggetto del permesso di  costruire impugnato dai coniugi Vaccari- Totola con il ricorso iscritto  al n. 2495 del 2008.
 
 2.In relazione a quest’ultimo ricorso, il Collegio, deve procedere,  prioritariamente, allo scrutinio dell’eccezione di inammissibilità per  difetto di legittimazione attiva e di interesse, sollevata dalla difesa  dei controinteressati.
 
 Più in particolare, la difesa dei coniugi Laveder - De Toffol fonda  l’eccezione sulla circostanza che i ricorrenti avrebbero prestato per  iscritto il consenso alla realizzazione dell’opera assentita con il  permesso di costruire gravato nonché, con specifico riferimento al  difetto di legittimazione, sulla circostanza che gli stessi non  potrebbero essere considerati confinanti nel senso proprio del termine,  in quanto non sono proprietari del terreno che confina con la terrazza  oggetto del titolo edilizio né possono accedervi.
 
 L’eccezione è infondata e deve essere disattesa.
 
 L’atto di assenso al quale fa riferimento la difesa dei  controinteressati non consente in alcun modo di escludere l’interesse ad  agire dei ricorrenti; per un verso si osserva che l’atto (v. all. 6  delle produzioni documentali della difesa dei coniugi Laveder - De  Toffol nel giudizio introdotto con il secondo dei ricorsi riuniti) si  riferisce, genericamente, alla realizzazione “di una terrazza scoperta  al confine con altra proprietà”, sicché non possono ritenersi inclusi i  più articolati e consistenti interventi eseguiti, per altro verso l’atto  è contestato dalla difesa dei ricorrenti - la quale ha, peraltro, fatto  riserva di agire anche in sede civile per l’accertamento  dell’invalidità dello stesso - in considerazione della sussistenza di un  vizio del consenso, della violazione dei doveri di correttezza e buona  fede e dell’oggetto limitato dell’atto di assenso.
 
 Oltre a ciò deve essere anche sottolineato che se un valido atto di  assenso può costituire, a certe condizioni, una deroga alle norme  civilistiche sulle distanze non può certamente esimere dal necessario  rispetto della normativa urbanistica ed edilizia.
 
 Le censure fatte valere dai ricorrenti, peraltro, non si riferiscono  solo alla violazione della normativa sulle distanze legali ma involgono  una serie di profili di illegittimità in relazione ai quali può  certamente ritenersi sussistente l’interesse ad agire dei ricorrenti.
 
 Ciò può essere apprezzato anche esaminando il profilo della  legittimazione attiva, condizione che risulta sussistente considerando  che l’immobile dei controinteressati confina con quello dei ricorrenti,  costituendo parte di un unico articolato complesso abitativo diviso in  varie unità.
 
 La legittimazione attiva emerge per tabulas dalla documentazione versata  in atti (all. 17 e 29 delle produzioni documentali di parte ricorrente  nonché reperti fotografici e progetti uniti al permesso di costruire),  evidenziandosi una situazione vieppiù significativa rispetto allo  stabile collegamento ed alla “vicinitas”, che pure vengono dalla  costante giurisprudenza ritenuti criteri sufficienti a fondare la  legittimazione alla proposizione del ricorso.
 
 Per indirizzo giurisprudenziale consolidato, infatti, il possesso del  titolo di legittimazione alla proposizione del ricorso per  l'annullamento di una concessione edilizia, che discende dalla c.d.  vicinitas, cioè da una situazione di stabile collegamento giuridico con  il terreno oggetto dell'intervento costruttivo autorizzato, esime da  qualsiasi indagine al fine di accertare, in concreto, se i lavori  assentiti dall'atto impugnato comportino o meno un effettivo pregiudizio  per il soggetto che propone l'impugnazione atteso che l'esistenza della  suddetta posizione legittimante abilita il soggetto ad agire per il  rispetto delle norme urbanistiche, che assuma violate, a prescindere da  qualsiasi esame sul tipo di lesione, che i lavori in concreto gli  potrebbero arrecare (cfr. ex multis, Cons. St. , sez. IV, 12 maggio  2009, n. 2908).
 
 Alla luce di quanto esposto, dunque, risultano dimostrati l’interesse ad  agire e la legittimazione dei coniugi Vaccari- Totola, con conseguente  ammissibilità del ricorso introduttivo del presente giudizio.
 
 3.Il Collegio deve, a questo punto, procedere all’esame della prima  censura proposta avverso il provvedimento gravato con la quale la difesa  dei ricorrenti ha dedotto l’eccesso di potere sotto vari profili tra i  quali il travisamento dei presupposti di fatto e di diritto legittimanti  e l’erronea qualificazione dell’opera nonché la violazione della  normativa edilizia ed urbanistica.
 
 Più nel dettaglio, viene contestata la qualificazione dell’opera in  termini di muro di contenimento, evidenziandosi come dall’esame dello  stato preesistente dei luoghi e, in specie, dalla trascurabile pendenza  del terreno, sia possibile inferire l’assenza di un dislivello tale da  comportare una esigenza di contenimento, non sussistendo alcun pericolo  di frane e smottamenti.
 
 A sostegno di tale ricostruzione la difesa dei ricorrenti evidenzia, tra  l’altro, che la pendenza minimale del terreno risulta, peraltro,  “diluita” su una lunghezza di sei metri circa e che le aperture presenti  nel muro, necessarie ad assicurare l’areazione della cantina posta al  piano seminterrato, non sono compatibili con la pretesa funzione di  sostegno e contenimento del muro medesimo.
 
 Esclusa la qualificazione come muro di contenimento l’opera dovrebbe  essere ricompresa tra gli interventi di nuova costruzione, con  conseguente necessità, peraltro, dell’osservanza delle norme sulle  distanze legali.
 
 La stessa difesa sottolinea, ancora, che il livello e la pendenza dei  suoli è stato artificialmente creato dai controinteressati, come  desumibile da una dettagliata analisi delle caratteristiche dell’opera  e, soprattutto, dalla circostanza che immediatamente “a monte” del  manufatto si pone un viale lastricato su una superficie perfettamente  orizzontale e pianeggiante mentre, più a valle, la finestra della  cantina al di sotto della porta (cfr. progetto allegato al permesso di  costruire: “stato di fatto”- prospetto ovest) giace su un segmento già  pianeggiante, a circa due metri dal confine. Gli stessi  controinteressati non hanno fatto mai riferimento nel permesso di  costruire, nelle relazioni e nei progetti allegati, ad un muro di  contenimento ma, anzi, nell’istanza tesa ad ottenere il titolo edilizio,  si contempla espressamente un “intervento di nuova costruzione”. Ad  ulteriore conferma della ricostruzione operata, parte ricorrente ha  prodotto una perizia redatta da un consulente di fiducia nella quale  vengono evidenziati una serie di elementi (tra i quali struttura,  dimensioni, funzione, materiali utilizzati) comprovanti la natura di  struttura edilizia vera e propria dell’opera in contestazione  comportante, peraltro, la creazione di volumi nuovi e, in quanto tale,  non autorizzabile perché non compatibile con gli interventi consentiti  dalle norme di P.R.G. e dalla normativa urbanistica ed edilizia della  zona che esclude l’edificazione sulle aree -come quella sulla quale  insiste l’opera - destinate a verde vincolato ricomprese nel centro  storico. Analoghe considerazioni vengono sviluppate anche con  riferimento alla qualificazione risultante dal provvedimento gravato  della struttura edilizia composta da pilastri in cemento armato in  termini di “terrazza scoperta” e di “pergolato”, evidenziandosi la non  conformità con la normativa applicabile alla fattispecie.
 
 Il motivo di ricorso è fondato.
 
 Il Collegio evidenzia, in primo luogo, che l’esame della documentazione  in atti porta ad escludere la possibilità di qualificare l’opera in  contestazione in termini di muro di contenimento.
 
 Prima di procedere all’analisi degli specifici elementi idonei ad  escludere, nella fattispecie in esame, la suddetta qualificazione, è  opportuno sottolineare che, per giurisprudenza ormai consolidata, in  tema di distanze legali, il muro di contenimento di una scarpata o di un  terrapieno naturale non può considerarsi "costruzione" agli effetti  della disciplina di cui all'art. 873 c.c. per la parte che adempie alla  sua specifica funzione, e, quindi, dalle fondamenta al livello del fondo  superiore, qualunque sia l'altezza della parete naturale o della  scarpata o del terrapieno cui aderisce, impedendone lo smottamento; la  parte del muro che si innalza oltre il piano del fondo sovrastante,  invece, in quanto priva della funzione di conservazione dello stato dei  luoghi, è soggetta alla disciplina giuridica propria delle sue oggettive  caratteristiche di costruzione in senso tecnico giuridico, ed alla  medesima disciplina devono ritenersi soggetti, perché costruzioni nel  senso sopra specificato, il terrapieno ed il relativo muro di  contenimento elevati ad opera dell'uomo per creare un dislivello  artificiale o per accentuare il naturale dislivello esistente (cfr., ex  multis, Cass. Civ., sez. II, 10 gennaio 2006, n. 145).
 
 Nella fattispecie in esame tanto l’esame degli elaborati progettuali  allegati all’istanza di permesso di costruire quanto i reperti  fotografici riferiti allo stato preesistente dei luoghi portano ad  escludere la sussistenza di un dislivello significativo del terreno,  emergendo esclusivamente una minima pendenza assolutamente inidonea a  determinare una esigenza di contenimento al fine di prevenire frane e  smottamenti del terreno.
 
 L’opera, inoltre, non risulta rispondente alle esigenze sottese alla  realizzazione di un muro di contenimento, sia per le caratteristiche  strutturali, trattandosi di struttura aperta concepita - come risulta,  peraltro, dalla stessa relazione tecnica dell’Arch. Laveder del 20  febbraio 2008, allegata alla domanda di permesso di costruire - per  consentire una “buona areazione della cantina posta al piano  seminterrato” sia per i materiali, essendo stato impiegato cemento  armato e non, come peraltro prescritto nel titolo edilizio, il muro in  sasso, possibilmente a secco.
 
 Il dislivello è stato artatamente creato dai controinteressati, con la  conseguenza che l’opera realizzata si sostanzia in una nuova costruzione  in relazione alla quale non è, peraltro, ammessa alcuna deroga alle  disposizioni sulle distanze legali.
 
 La qualificazione in termini di muro di contenimento, come correttamente  rilevata dalla difesa dei ricorrenti, non può essere utilizzata in modo  improprio al fine di legittimare interventi di diversa natura e di  produrre, nella sostanza, un effetto elusivo delle disposizioni  urbanistiche ed edilizie.
 
 A prescindere dalla circostanza che le prescrizioni contenute nel titolo  edilizio non sono state rispettate dai controinteressati - come,  peraltro, comprovato dalla presentazione di una domanda di permesso di  costruire in variante - dalla qualificazione dell’intervento quale nuova  costruzione (e non quale muro di contenimento) discende un evidente  contrasto con la normativa urbanistica ed edilizia applicabile alla  fattispecie.
 
 L’immobile oggetto dell’intervento ricade in ZTO A, centro storico,  sottoposta ad un elevato livello di protezione e, nello specifico,  l’opera viene a ricadere in area classificata a verde privato vincolato  (all. 22 e 23 delle produzioni documentali di parte ricorrente) per la  quale l’art. 1.10 delle N.T.A. al P.R.G. prevede l’inedificabilità , ad  eccezione di specifiche ipotesi che non ricorrono nella fattispecie  oggetto del presente giudizio.
 
 Né tanto meno è possibile considerare la copertura (come pure asserito,  con formulazione peraltro contraddittoria, nel parere reso dal  Responsabile dell’area tecnica, prot. n. 9475 del 5 marzo 2008, in all. 9  delle produzioni documentali di parte ricorrente) quale “pergolato  aperto”, trattandosi di struttura complessa, con pilastri in cemento  armato che, in considerazione delle caratteristiche costruttive, lascia  piuttosto preconizzare, secondo canoni di logica induttiva, lo sviluppo  di ulteriore attività edificatoria.
 
 In tale quadro deve essere anche esaminato l’ulteriore profilo, riferito  all’applicazione della normativa dettata in materia di protezione delle  bellezze naturali.
 
 L’immobile oggetto degli interventi in contestazione ricade, come sopra  evidenziato, in ZTO A centro storico e, specificamente, l’area  interessata dalle opere è inedificabile e destinata a verde privato  vincolato (all. 21, 23 e 30 delle produzioni documentali di parte  ricorrente), essendo inserita in un contesto particolarmente tutelato  sotto il profilo paesaggistico-ambientale, stante la sussistenza di  numerosi interventi dichiarativi di vincolo nelle immediate vicinanze.
 
 Ciò risulta in maniera chiara dall’esame della cartografia riferita alle  zone significative (all. 23 delle produzioni documentali di parte  ricorrente) nonché dai decreti con i quali è stato dichiarato il  notevole interesse pubblico di una parte del territorio comunale, tra  cui anche la località Pizzone (all. 25, 26 e 27 delle produzioni  documentali di parte ricorrente).
 
 Vero è che l’art. 142 del dl lgs. n. 42 del 2004, confermando le  previgenti disposizioni di analogo contenuto, contempla, al secondo  comma, alcune eccezioni, escludendo l’operatività del vincolo legale per  tutte le aree che, alla data del 6 settembre 1985, si trovassero in  determinate condizioni e, tra queste, per quelle classificate dagli  strumenti urbanistici come zone A. Tali zone vengono definite dal D.M. 2  aprile 1968 come “le parti del territorio interessate da agglomerati  urbani che rivestono carattere storico, artistico o di particolare  pregio ambientale o da porzioni di essi, comprese le aree circostanti,  che possono considerarsi parte integrante, per tali caratteristiche,  degli agglomerati stessi”.
 
 Tuttavia tale esclusione trova la sua ratio nella circostanza che, per  queste zone, con gli strumenti urbanistici si è già autonomamente  proceduto ad una ricognizione degli elementi di rilevo storico,  paesistico ed ambientale ed alla individuazione del relativo regime  vincolistico.
 
 Erronea si palesa, dunque, l’affermazione della difesa dei  controinteressati tesa a sostenere che, nell’area interessata dagli  interventi, il livello di protezione sarebbe più basso.
 
 Il livello di protezione è quello che risulta dalla normativa  urbanistica ed edilizia comunale specificamente riferita a tale zona  che, per le aree destinate a verde privato vincolato, non consente  l’esecuzione degli interventi in contestazione.
 
 Ciò vale di per sé ad evidenziare l’illegittimità del provvedimento  gravato, anche a prescindere dalla circostanza, che, in occasione di una  precedente richiesta di titolo edilizio per apportare modifiche interne  all’immobile, i coniugi Laveder- De Toffol hanno richiesto ed ottenuto  l’autorizzazione ambientale; nel relativo verbale delle commissione  ambientale del 5 settembre 2996, n. 9043 si afferma espressamente che  “l’intervento ricade in zona di vincolo ambientale ed è obbligatorio  l’esame della richiesta da parte della CEC integrata da due esperti”  (all. 10/A delle produzioni documentali della difesa dei coniugi  Vaccari- Totola nel giudizio promosso con il secondo dei ricorsi  riuniti).
 
 4.Da quanto sopra esposto deriva anche la fondatezza del secondo motivo  di ricorso con il quale i ricorrenti deducono la violazione della  normativa sulle distanza legali; per un verso, infatti, le  caratteristiche dell’opera non consentono di escluderne la rilevanza in  termini di “costruzione” agli effetti della disciplina di cui all'art.  873 c.c. e, sotto altro profilo, l’atto di assenso, come evidenziato al  capo 2 della presente pronuncia, è inidoneo a fondare una deroga alla  disciplina sulle distanze legali, anche in considerazione della sua  genericità e, comunque, della non riferibilità all’intervento  concretamente posto in essere dai controinteressati.
 
 6.In relazione alle ulteriori censure dedotte avverso il provvedimento  gravato il Collegio ritiene di procedere ad assorbimento, non potendo  derivare ai ricorrenti alcuna utilità ulteriore rispetto a quella già  conseguita in esito alle considerazioni sopra svolte.
 
 7. Il Collegio deve, a questo punto, procedere all’esame del secondo dei  ricorsi riuniti con il quale i coniugi Laveder - De Toffol hanno  impugnato l’ordinanza n. 5 del 5 maggio 2008 con la quale è stata  disposta la sospensione dei lavori oggetto del permesso di costruire  n.9475 dell’11 aprile 2008 nonché i provvedimenti, prot.n. 5623 del 9  ottobre 2008 e prot. n. 5623/e dell’11 settembre 2008, con i quali  l’Amministrazione comunale, a riscontro della domanda di concessione  edilizia in variante dagli stessi presentata in data 21 luglio 2008, ha  comunicato la sospensione, in via cautelativa, della pratica edilizia .
 
 8. Quanto all’impugnazione dell’ordinanza n. 5 del 5 maggio 2008 il  Collegio - anche a prescindere dall’eccezione di tardività proposta  dalla difesa dei controinteressati - evidenzia, aderendo ad orientamento  giurisprudenziale ormai consolidato in materia (ex multis, T.A.R.  Campania Napoli, Sez. VII, 24 luglio 2008, n. 9321; T.A.R. Campania  Napoli, Sez. IV, 21 dicembre 2007, n. 16488), che, non vi è interesse  all'impugnazione giurisdizionale di un'ordinanza di sospensione dei  lavori abusivi divenuta inefficace per decorso del termine di 45 giorni  previsto dall'articolo 27, commi 3, del D.P.R. n. 380/2001. Al momento  della proposizione del presente gravame l'impugnata ordinanza di  sospensione dei lavori era già divenuta inefficace per effetto del  decorso del termine suddetto, sicché l’assenza di una lesione prodotta  dal provvedimento impugnato determina, conseguentemente,  l’inammissibilità del gravame per difetto di interesse.
 
 9 In relazione all’impugnazione dei provvedimenti, prot.n. 5623 del 9  ottobre 2008 e prot. n. 5623/e dell’11 settembre 2008, con i quali  l’Amministrazione comunale, a riscontro della domanda di concessione  edilizia in variante dagli stessi presentata in data 21 luglio 2008, ha  comunicato la sospensione, in via cautelativa, della pratica edilizia il  Collegio non può che rilevarne l’improcedibilità per sopravvenuta  carenza di interesse.
 
 Occorre evidenziare, infatti, che i ricorrenti hanno presentato una  domanda di permesso di costruire in variante al titolo edilizio n.9475  dell’11 aprile 2008, al fine di adeguare l’intervento alle prescrizioni  impartite dall’ufficio tecnico comunale che erano rimaste inadempiute.
 
 L’illegittimità del suddetto titolo edilizio ed il suo conseguente  annullamento determina il venir meno dell’interesse al ricorso.
 
 10 Quanto alla domanda risarcitoria il Collegio la dichiara  inammissibile in quanto generica e, comunque, infondata per carenza di  una situazione giuridica tutelabile, alla luce dell’annullamento del  permesso di costruire n.9475 dell’11 aprile 2008.
 
 12 Le spese processuali seguono la soccombenza e vengono determinate  nella misura di cui al dispositivo.
 
 
 P.Q.M.
 
 
 Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto, Seconda Sezione,  definitivamente pronunciando sui ricorsi in epigrafe indicati, previa  loro riunione:
 
 accoglie il ricorso n. 1208 del 2008 e per l’effetto annulla il  provvedimento impugnato;
 
 dichiara in parte inammissibile ed in parte improcedibile il ricorso n.  2495 del 2008 quanto alle domande di annullamento mentre dichiara  inammissibile la domanda risarcitoria.
 
 In relazione al ricorso n.1208 del 2008 condanna il Comune di Costermano  alla rifusione delle spese di giudizio in favore dei ricorrenti,  liquidandole complessivamente in euro 2.000,00 di cui € 200,00 per spese  anticipate ed il residuo per diritti ed onorari, oltre i.v.a. e c.p.a.
 
 In relazione al ricorso n. 2495 del 2008:
 
 condanna i ricorrenti alla rifusione delle spese di giudizio in favore  dei controinteressati, liquidandole complessivamente in euro 2.000,00 di  cui € 200,00 per spese anticipate ed il residuo per diritti ed onorari,  oltre i.v.a. e c.p.a;
 
 nulla sulle spese nei confronti del Comune.
 
 Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità  amministrativa.
 
 Così deciso in Venezia nella camera di consiglio del giorno 12 novembre  2009 con l'intervento dei Magistrati:
 
 Angelo De Zotti, Presidente
 
 Italo Franco, Consigliere
 
 Brunella Bruno, Referendario, Estensore
 
 
 L'ESTENSORE                                 IL PRESIDENTE
 
 DEPOSITATA IN SEGRETERIA
 Il 11/02/2010
 
                    




