 TAR Piemonte Sez. I n. 1302 del 1 marzo 2010
TAR Piemonte Sez. I n. 1302 del 1 marzo 2010
 Urbanistica. Nozione di imprenditore agricolo
 
 Si ritiene che il legislatore del 2001, continuando a far riferimento  alla nozione di imprenditore agricolo dettata dalla l. n. 153 del 1975,  che è legge adottata in attuazione di direttiva comunitaria  specificamente riferita all’agricoltura in senso stretto, abbia non  casualmente inteso dare seguito ad una distinzione concettuale  preesistente. Non è infatti precluso che l’ordinamento mantenga più  parallele nozioni di “impresa agricola” in ragione delle diverse  finalità per cui detta nozione viene definita; l’esenzione dal  contributo di costruzione si collega ragionevolmente al ritenuto minor  impatto sul carico urbanistico che ovviamente potrà assumere  caratteristiche del tutto differenti a seconda della natura più o meno  intensiva dell’attività, e conseguentemente dal maggior o minore impatto  ambientale che essa comporta, a prescindere dalla sua quale “attività  agricola” ai fini propri del diritto commerciale. La definizione ampia  di impresa agricola propria del diritto commerciale (incidente ad  esempio sulla assoggettabilità a fallimento o sulla tenuta delle  scritture contabili), infatti, non necessariamente risponde alle diverse  esigenze definitorie dell’attività in relazione al ritenuto rilievo  urbanistico.
 
N. 01302/2010 REG.SEN.
 N. 01241/2003 REG.RIC.
 
 REPUBBLICA ITALIANA
 
 IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
 
 
 Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte
 
 (Sezione Prima)
 
 
 ha pronunciato la presente
 
 
 SENTENZA
 
 
 Sul ricorso numero di registro generale 1241 del 2003, proposto da:
 Azienda Agricola Canali Cavour S.S., rappresentata e difesa dall'avv.to  Gianmario Parola, con domicilio eletto presso l’avv.to Angela Putignano  in Torino, via Massena, 79;
 
 
 contro
 
 
 Comune Centallo, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e  difeso dagli avv.ti Piero Golinelli, Gianni Martino, Eros Morra, con  domicilio eletto presso l’avv.to Gianni Martino in Torino, via Stefano  Clemente, 22;
 
 per l'annullamento
 
 previa sospensione dell'efficacia,
 
 dichiararsi, per le ragioni esposte in ricorso, che la concessione  edilizia n. 51/2001, pratica edilizia n. 23/2001 R.D., si configura  quale concessione edilizia gratuita ex art. 9 legge 28.1.1977 n. 10 e  per l'effetto dichiararsi tenuti e pertanto condannarsi i resistenti a  restituire alla ricorrente l'importo richiesto e versato a titolo di  oneri concessori, pari ad € 20.741,43 - o quell'altro importo veriore  ritenuto dal Tribunale Ill.mo, oltre interessi al tasso legale dalla  data dell'indebito versamento.
 
 
 Visto il ricorso con i relativi allegati;
 Visto l'atto di costituzione in giudizio di Comune Centallo;
 Viste le memorie difensive;
 Visti tutti gli atti della causa;
 
 Relatore nell'udienza pubblica del giorno 12 febbraio 2010 la dott.ssa  Paola Malanetto e uditi per le parti i difensori come specificato nel  verbale;
 
 Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:
 
 
 FATTO
 
 
 Parte ricorrente ha adito l’intestato TAR deducendo di svolgere attività  agricole, tra cui l’acquacoltura; entrambe i soci sono iscritti  all’albo degli imprenditori agricoli e la società stessa è iscritta alla  camera di commercio come impresa agricola. In data 15.3.2001 parte  ricorrente ha presentato domanda volta ad ottenere concessione edilizia  per l’ampliamento dell’allevamento esistente di materiale ittico. Veniva  quindi richiesto dal Comune il pagamento di £ 40.161.000 a titolo di  oneri di urbanizzazione primaria e secondaria dovuti per destinazioni  rurali speciali, che la ricorrente versava in data 7.9.2001 pur  contestandone la debenza.
 
 Veniva quindi rilasciata la concessione edilizia n. 51/2001 in data 19  settembre 2001; con richiesta in data 19.12.2002 la ricorrente chiedeva  la restituzione degli oneri che riteneva indebitamente versati.
 
 Lamenta parte ricorrente la violazione e falsa applicazione dell’art. 9  della l. n. 10 del 1977 e del d.lgs. n. 228 del 2001 poiché la  previsione dell’art. 9 della l. n. 10/1977 la quale esenta  l’imprenditore agricolo dagli oneri concessori non può che essere letta  alla luce del nuovo art. 2135 c.c., come modificato dalla l. n. 228 del  2001, che ha ampliato la nozione di imprenditore agricolo estendendola  fino a ricomprendervi tutte le attività connesse alla coltivazione  vegetale e al ciclo biologico; contesta pertanto la tesi  dell’amministrazione che ha attribuito all’attività della ricorrente  carattere industriale assoggettandola a contributo. Evidenzia infine  parte ricorrente come la liquidazione dei contributi previsti dalla  legge n. 10 del 1977 sia attività non discrezionale né autoritativa,  sicchè la ripetizione del contributo può essere fatta valere nel termine  decennale di prescrizione, prescindendo tanto dall’impugnativa degli  atti di determinazione che dall’intervenuto pagamento.
 
 Si costituiva l’amministrazione resistente eccependo l’inammissibilità o  improcedibilità del ricorso in quanto le tesi dell’azionabilità  decennale dell’azione di ripetizione, a prescindere dall’impugnazione  dell’atto, si attagliano all’ipotesi della mancata impugnazione  dell’atto determinativo del contributo e non sarebbero applicabili al  caso di specie in cui la ricorrente ha espressamente formulato istanza  di restituzione degli oneri, istanza altrettanto espressamente e  motivatamente rigettata dall’amministrazione con provvedimento mai  impugnato.
 
 Nel merito evidenziava come il piano regolatore del Comune resistente  distinguesse, anche nell’ambito delle zone agricole, gli allevamenti  qualificati civili (non intensivi) da quelli qualificati industriali,  perché intensivi, prescrivendo il pagamento degli oneri per questi  ultimi nonché per quelli, pur qualificabili civili, di cui i titolari  non possano dimostrare di produrre e reimpiegare almeno il 33% del  fabbisogno aziendale per il mantenimento del bestiame.”
 
 Quanto in specifico agli allevamenti ittici l’art. 14 della l.r. n.  13/1990 ne distingue la natura civile o industriale a seconda della  densità di affollamento e degli scarichi finali; sotto questo profilo  l’allevamento di parte ricorrente presenta le caratteristiche di  allevamento di carattere industriale.
 
 Chiede pertanto la reiezione del ricorso.
 
 La causa è stata discussa e decisa all’udienza del 12.2.2010.
 
 
 DIRITTO
 
 
 Deve essere respinta l’eccezione preliminare mossa dal Comune  resistente, poiché pacificamente il computo degli oneri di  urbanizzazione non è attività autoritativa e la contestazione sulla  relativa corresponsione è proponibile nel termine di prescrizione  decennale a prescindere dall’impugnazione dei provvedimenti adottati; né  ovviamente la prospettiva muta per il semplice fatto che l’interessato,  prima di adire le vie giudiziarie, ha tentato di sollecitare  l’amministrazione a provvedere in autotutela, posto che ovviamente  l’oggetto della contestazione resta immutato nella sua sostanza.
 
 Quanto al merito si ritiene non fondata la tesi di parte ricorrente.
 
 E’ pacifico che l’art. 2135 c.c. ha visto mutata e ampliata la  definizione di imprenditore agricolo in seguito al d.lgs. n. 228 del  2001; vero è tuttavia altresì che la disciplina degli oneri concessori  dettata dapprima dall’art. 9 della l. n. 10 del 1977 è stata riprodotta  nell’art. 17 del d.p.r. n. 380 del 2001 e prevede l’esenzione dal  pagamento del contributo di concessione con riferimento all’imprenditore  agricolo come individuato dall’art. 12 della l. n. 153 del 1975 e non  dell’art. 2135 c.c. e ciò pur a fronte del pressocchè coevo ampliamento  della nozione di imprenditore agricolo introdotta proprio con la  modifica dell’art. 2135 c.c. Si ritiene che il legislatore del 2001,  continuando a far riferimento alla nozione di imprenditore agricolo  dettata dalla l. n. 153 del 1975, che è legge adottata in attuazione di  direttiva comunitaria specificamente riferita all’agricoltura in senso  stretto, abbia non casualmente inteso dare seguito ad una distinzione  concettuale preesistente. Non è infatti precluso che l’ordinamento  mantenga più parallele nozioni di “impresa agricola” in ragione delle  diverse finalità per cui detta nozione viene definita; l’esenzione dal  contributo di costruzione si collega ragionevolmente al ritenuto minor  impatto sul carico urbanistico che ovviamente potrà assumere  caratteristiche del tutto differenti a seconda della natura più o meno  intensiva dell’attività, e conseguentemente dal maggior o minore impatto  ambientale che essa comporta, a prescindere dalla sua quale “attività  agricola” ai fini propri del diritto commerciale. La definizione ampia  di impresa agricola propria del diritto commerciale (incidente ad  esempio sulla assoggettabilità a fallimento o sulla tenuta delle  scritture contabili), infatti, non necessariamente risponde alle diverse  esigenze definitorie dell’attività in relazione al ritenuto rilievo  urbanistico. Tanto è vero che il piano regolatore del Comune resistente  contempla una differenziata disciplina per le stalle in relazione alla  natura più o meno intensiva dell’allevamento ed alla disponibilità di  terreni per lo smaltimento dei liquami (evidentemente perché in  relazione a tali parametri l’attività incide più o meno sulle strutture  di urbanizzazione), e così ancora la legge regionale n. 13/1990 detta  specifici parametri definitori degli scarichi terminali proprio degli  allevamenti ittici, variabili in ragione della densità di affollamento e  della portata dell’acqua; alla luce di tali parametri la legge  regionale qualifica i connessi scarichi civili o industriali. Tale  normativa è stata invocata dal Comune per giustificare l’applicazione  degli oneri di urbanizzazione; pacifico essendo tra le parti che, alla  luce della suddetta normativa, l’allevamento ittico in questione si  qualifica industriale, e se è pur vero che la normativa regionale, come  evidenziato da parte ricorrente, ha a specifico oggetto la natura  industriale o civile degli scarichi e non gli oneri di urbanizzazione,  pare al collegio che il parametro per individuare la debenza o meno  degli oneri stessi, in linea di principio legato al carico urbanistico,  sia certamente e più ragionevolmente ricavabile proprio da disposizioni  che qualificano l’attività in ragione di elementi che al carico  urbanistico sono connessi (quali appunto il volume d’acqua utilizzato,  la natura degli scarichi, l’intensità dell’allevamento con conseguente  produzione di scarti da smaltire) che non rispetto a parametri dettati  nell’ambito della disciplina propria del diritto commerciale, certamente  ben più estranea alla problematica in questione.
 
 Ritenuto pertanto che non casualmente il legislatore del 2001, pur in  presenza di una pressocchè coeva riforma in senso estensivo del concetto  di imprenditore commerciale dettato dall’art. 2135 c.c., abbia  persistito nel richiamare una risalente normativa dettata in specifico  per l’agricoltura e non la rinnovata e generalizzata nozione di  imprenditore agricolo, e ritenuto altresì che il Comune resistente abbia  correttamente individuato parametri di raffronto che hanno reale  attinenza con la problematica del carico urbanistico, la domanda non può  trovare accoglimento.
 
 Stante l’opinabilità della questione sussistono giusti motivi per  compensare le spese di lite.
 
 
 P.Q.M.
 
 
 Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte – sezione prima –
 
 Respinge il ricorso.
 
 Compensa le spese di lite.
 
 Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità  amministrativa.
 
 Così deciso in Torino nella camera di consiglio del giorno 12 febbraio  2010 con l'intervento dei Magistrati:
 
 Franco Bianchi, Presidente
 Paolo Giovanni Nicolo' Lotti, Primo Referendario
 Paola Malanetto, Referendario, Estensore
 
 L'ESTENSORE
 
 IL PRESIDENTE
 
 
 DEPOSITATA IN SEGRETERIA
 Il 01/03/2010
 
                    




