 Cass. Sez. III n. 9690 del 10 marzo 2011 (Ud. 24 feb. 2011)
Cass. Sez. III n. 9690 del 10 marzo 2011 (Ud. 24 feb. 2011)
Pres. Ferrua Est. Ramacci Ric. Turi
Beni ambientali. Boschi e radure
Il bosco è caratterizzato dalla presenza di vegetazione e da un’estensione minima, mentre per le radure e le altre superfici che interrompono il bosco, rientranti tra le “aree assimilate”, è previsto un limite massimo di estensione superato il quale viene meno l’assimilazione. E’ poi evidente che dette aree vengono, appunto, assimilate al bosco perché non posseggono le caratteristiche indicate nella definizione. Le radure, in particolare, presentano, evidentemente, l’assenza di vegetazione del tipo di quella che caratterizza il bosco altrimenti, come le altre aree indicate, non potrebbero interromperlo. 
Con riferimento specifico alle ipotesi contemplate dall’articolo 149 D.Lv. 42\04, la valutazione circa la non soggezione dell’intervento ad autorizzazione paesaggistica in base alla tipologia dei lavori non può essere lasciata ad una soggettiva interpretazione della normativa di settore da parte del privato che detti lavori intende eseguire, sottraendo ogni possibilità di controllo preventivo all’autorità amministrativa.
REPUBBLICA ITALIANA 
 IN NOME DEL POPOLO ITALIANO 
 
 LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE 
 SEZIONE TERZA PENALE
 
 Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: 
 
 Dott. FERRUA Giuliana                               - Presidente 
 Dott. PETTI Ciro                                         - Consigliere 
 Dott. LOMBARDI Alfredo Maria                    - Consigliere 
 Dott. MULLIRI Guicla I.                                - Consigliere 
 Dott. RAMACCI Luca                                  - est. Consigliere 
 ha pronunciato la seguente:
 SENTENZA
 sul ricorso proposto da:
 TU. Al. Gi. nato a (Omissis);
 avverso la sentenza emessa il 25 novembre 2009 dalla Corte d'Appello di Lecce;
 Sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. RAMACCI Luca;
 Udito Pubblico Ministero nella persona del Dott. PASSACANTANDO Guglielmo che ha  concluso per il rigetto del ricorso.
 Sentito il difensore Avv. Borgogno Roberto.
 SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
 La Corte d'Appello di Lecce, con sentenza in data 25 novembre 2009, confermava  la condanna inflitta a TU. Al. dal Tribunale di Lecce il 23 settembre 2008 per  violazione della Decreto Legislativo n. 42 del 2004, articoli 146 e 181 e  articolo 734 c.p. in relazione all'esecuzione, in assenza della prescritta  autorizzazione, di un intervento di "smacchiamento e taglio di piante di pino di  Aleppo per circa mq 3750" su area "suscettibile di essere qualificata come  boscata".
 
 Avverso tale decisione il TU. proponeva ricorso per cassazione.
 
 Con un primo motivo di ricorso deduceva violazione di legge e vizio di  motivazione contestando, in particolare, la natura di "area boschiva" della zona  oggetto dell'intervento trattandosi, al contrario, di radura non equiparabile a  bosco ai sensi del Decreto Legislativo n. 227 del 2001, articolo 2, il quale  uguaglia ai boschi le radure e tutte le superfici di estensione inferiore ai  2000 mq che interrompono la continuità del bosco, mentre l'area interessata  dall'intervento per cui é processo si sviluppava su una superficie di 4000 mq,  come documentato da fotografie satellitari e dal consulente della difesa.
 
 Aggiungeva, inoltre, che i lavori eseguiti consistevano nel diserbo e nella  pulizia dell'area, ove erano presenti erbe infestanti e sparsi elementi di  "gariga", estranei alla nozione legislativa di bosco e che la Corte territoriale  aveva errato nel calcolare la superficie dell'area medesima.
 
 Precisava, inoltre, che gli alberi tagliati erano in numero esiguo e che, sul  punto, la contestazione era generica in quanto il numero effettivo delle piante  tagliate non era indicato.
 
 Con un secondo motivo di ricorso deduceva la violazione di legge con riferimento  al Decreto Legislativo n. 42 del 2004, articolo 149 in relazione alla Legge  Regionale Puglia 12 maggio 1997, n. 15 ed al D.P.G.R. 4 aprile 2006, rilevando  che le opere seguite erano sottratte al regime autorizzatorio ai sensi del  Decreto Legislativo n. 42 del 2004, articolo 149, lettera c) in quanto  rientranti nel novero delle opere antincendio imposte dalla richiamata normativa  regionale e rese ancor più necessarie dal fatto che la zona interessata dai  lavori era fortemente antropizzata.
 
 Con un terzo motivo di ricorso deduceva il vizio di motivazione in relazione  alla contestazione della violazione di cui all'articolo 734 c.p..
 
 Osservava, sul punto, che risultava mancante la prova in ordine alla effettività  del danno, la quale non poteva risultare dalla semplice affermazione, contenuta  in sentenza, che il taglio della vegetazione aveva alterato il luogo, poiché per  la configurazione della contravvenzione é necessaria una lesione significativa  della bellezza naturale tale da turbarne il godimento estetico.
 
 Aggiungeva che il rilascio di un'autorizzazione per la realizzazione di alcuni  manufatti, che si sarebbero sovrapposti al fronte della pineta, evidenziava  l'esistenza di un intervento molto più invasivo ed implicava l'inoffensività in  concreto dell'intervento in contestazione.
 
 Con un quarto motivo di ricorso deduceva la violazione dell'articolo 181, comma  1 ter in relazione al Decreto Legislativo n. 42 del 2004, articoli 142,  146 e 181, in quanto l'autorizzazione rilasciata successivamente per  l'esecuzione di parcheggi, un punto di ristoro ed altri manufatti nell'area dove  sarebbe avvenuto il disboscamento implicherebbe, necessariamente, l'esecuzione  di lavori di diradamento della vegetazione presente e comporterebbe l'estinzione  del reato ai sensi del menzionato articolo 181, comma 1ter.
 
 Con un quinto motivo di ricorso denunciava la violazione di legge in riferimento  all'articolo 417 c.p.p. e Decreto Legislativo n. 42 del 2004, articolo 181,  comma 1 quinquies, lamentando che la genericità dell'imputazione avrebbe  impedito all'imputato di porre in essere quella condotta positiva dalla quale il  menzionato articolo 181, comma 1 quinquies fa derivare l'estinzione del  reato di cui al comma 1 della medesima disposizione.
 
 Insisteva, pertanto, per l'accoglimento del ricorso.
 MOTIVI DELLA DECISIONE
 Il ricorso é infondato.
 
 Con riferimento al primo motivo di ricorso occorre osservare che l'impugnato  provvedimento indica chiaramente che l'area interessata é ricompresa nel PUTT/P,  ove é classificata come "ambito territoriale esteso di valore rilevante B" e,  conseguentemente soggetta a vincolo paesaggistico.
 
 Come specificato dalla giurisprudenza di questa Corte (Sez. 3, n. 42916, 11  novembre 2009; Sez. 3, n. 41078, 6 novembre 2007), il Piano Urbanistico  Territoriale Tematico della regione Puglia (PUTT/P) é riconducibile alla  categoria dei piani urbanistico territoriali con specifica considerazione dei  valori paesistici e ambientali e, pertanto, costituisce un intervento di  pianificazione a carattere generale efficace su tutto il territorio regionale,  non limitato alle aree e ai beni elencati nel Decreto del Presidente della  Repubblica n. 616 del 1997, articolo 82, comma 5, ovvero alle aree già  sottoposte a uno specifico vincolo paesistico.
 
 Nel Titolo 1, articolo 2.01, comma 1.2 si individuano come aree di "valore  rilevante B" quelle ove "sussistano condizioni di compresenza di più beni  costitutivi con o senza prescrizioni vincolistiche preesistenti".
 
 Secondo il comma 2 del medesimo articolo, i terreni e gli immobili compresi  negli ambiti territoriali estesi di valore eccezionale, rilevante, distinguibile  e relativo, sono sottoposti a tutela diretta dal Piano e:
 
 1) non possono essere oggetto di lavori comportanti modificazioni del loro stato  fisico o del loro aspetto esteriore che per tali lavori sia stata rilasciata  l'autorizzazione paesaggistica di cui all'articolo5.01;
 
 2) non possono essere oggetto degli effetti di pianificazione di livello  territoriale e di livello comunale senza che per detti piani sia stato  rilasciato il parere paesaggistico di cui all'articolo 5.03;
 
 3) non possono essere oggetto di interventi di rilevante trasformazione, cosi  come definiti nell'articolo 4.01, senza che per gli stessi sia stata rilasciata  la attestazione di compatibilità paesaggistica di cui all'articolo 5.04.
 
 La collocazione all'interno dell'area interessata dal PUTT/P, pertanto,  consentiva di qualificare l'area come sottoposta a vincolo paesaggistico ed  assoggettata alla relativa disciplina e, avuto riguardo alla tipologia  dell'intervento, come si dirà in seguito, questo non rientrava tra quelli per i  quali, ai sensi dell'articolo 5.2, non é richiesta la preventiva autorizzazione  paesaggistica.
 
 La sussistenza del vincolo in base al PUTT/P renderebbe pertanto superflua ogni  ulteriore considerazione in ordine alla qualificazione dell'area come boscata o  meno, tuttavia, le argomentazioni poste a sostegno del primo motivo di ricorso  sono comunque prive di fondamento anche per quanto attiene la qualificazione  della zona oggetto dell'intervento come area boscata.
 
 Tale qualificazione é rilevante ai fini della disciplina paesaggistica in quanto  rientrante tra i beni soggetti a tutela in base alla legge perché rientranti tra  quelli individuati dall'articolo 142, comma 1 e, segnatamente, dalla lettera g)  che contempla "i territori coperti da foreste e da boschi, ancorché percorsi o  danneggiati dal fuoco, e quelli sottoposti a vincolo di rimboschimento, come  definiti dal Decreto Legislativo 18 maggio 2001, n. 227, articolo 2, commi 2 e  6".
 
 Il Decreto Legislativo n. 227 del 2001, articolo 2, commi 6 fornisce, a sua  volta, una definizione di bosco (terreni coperti da vegetazione forestale  arborea associata o meno a quella arbustiva di origine naturale o artificiale,  in qualsiasi stadio di sviluppo, i castagneti, le sugherete e la macchia  mediterranea, ed esclusi i giardini pubblici e privati, le alberature stradali,  i castagneti da frutto in attualità di coltura e gli impianti di frutticoltura e  d'arboricoltura da legno di cui al comma 5. Le suddette formazioni vegetali e i  terreni su cui essi sorgono devono avere estensione non inferiore a 2.000 metri  quadrati e larghezza media non inferiore a 20 metri e copertura non inferiore al  20 per cento, con misurazione effettuata dalla base esterna dei fusti) ed  assimila al bosco altre aree (fondi gravati dall'obbligo di rimboschimento per  le finalità di difesa idrogeologica del territorio, qualità dell'aria,  salvaguardia del patrimonio idrico, conservazione della biodiversità, protezione  del paesaggio e dell'ambiente in generale, nonché le radure e tutte le altre  superfici d'estensione inferiore a 2000 metri quadri che interrompono la  continuità del bosco).
 
 Ciò posto si osserva che il bosco, così come definito, é caratterizzato dalla  presenza di vegetazione e da un'estensione minima, mentre per le radure e le  altre superfici che interrompono il bosco, rientranti tra le "aree assimilate",  é previsto un limite massimo di estensione superato il quale viene meno  l'assimilazione.
 
 é poi evidente che dette aree vengono, appunto, assimilate al bosco perché non  posseggono le caratteristiche indicate nella definizione.
 
 Le radure, in particolare, presentano, evidentemente, l'assenza di vegetazione  del tipo di quella che caratterizza il bosco altrimenti, come le altre aree  indicate, non potrebbero interromperlo.
 
 Tale distinzione, peraltro, ha un senso evidente con riferimento alla tutela che  la legge intende assicurare ad aree di particolare pregio paesistico che non  sarebbe giustificata per superfici estranee, per caratteristiche, ai boschi ed  alle foreste.
 
 Date tali premesse, deve osservarsi come, dal provvedimento impugnato, emerga  che l'area interessata dall'intervento e sottoposta a sequestro abbia una  superficie di 3967 mq e fosse interessata dalla presenza di alberi (pino  d'Aleppo) e di vegetazione a macchia.
 
 Tali caratteristiche, oggetto di accertamento in fatto sottratto alla cognizione  di questa Corte, sono astrattamente riconducibili alla "vegetazione forestale  arborea associata a quella arbustiva di origine naturale o artificiale, in  qualsiasi stadio di sviluppo" che caratterizza il bosco così come definito dal  Decreto Legislativo n. 227 del 2001 e, pertanto, anche sotto tale profilo ben  poteva ritenersi sussistente il vincolo sull'area medesima che non poteva quindi  ascriversi alla nozione di "radura".
 
 Anche la presenza di "macchia mediterranea", che il menzionato Decreto  Legislativo ricomprende nella nozione di bosco indipendentemente, secondo il  dato letterale, dalla presenza della vegetazione forestale arborea di cui si é  appena detto, avrebbe caratterizzato l'area come vincolata.
 
 Come correttamente osservato dalla Corte territoriale, infatti, non spetta certo  al proprietario dell'area procedere ad una soggettiva valutazione delle  caratteristiche della vegetazione al fine di individuarne la riconducibilità  alla definizione di "macchia mediterranea" secondo i riferimenti contenuti nella  sentenza di questa Corte (Sez. 3, n. 1874, 23 gennaio 2007) richiamata dal  ricorrente.
 
 Peraltro la ricordata decisione si esprime chiaramente nel senso che la  formulazione letterale della definizione fa rientrare nella nozione di bosco  "sia la vegetazione arborea, sia la macchia mediterranea come tale,  indipendentemente dal suo carattere arboreo o arbustivo, sicché non si dovrebbe  più distinguere tra "macchia alta", di predominanza arborea, e "macchia bassa",  di natura arbustiva" aggiungendo di non condividere quella giurisprudenza (Sez.  3 n. 6011, 14 dicembre 2001 e n. 48118, 4 novembre 2011) che pur avendo  meritoriamente distinto "secondo criteri botanici, le nozioni di macchia alta,  macchia bassa e macchia rada o gariga" ha del tutto ignorato la definizione  contenuta nel menzionato Decreto Legislativo n. 227 del 2001.
 
 La distinzione effettuata appare, pertanto, superata dalla definizione normativa  e la decisione che il ricorrente richiama si limita ad osservare, in via del  tutto ipotetica, che in base alla distinzione operata dalla sentenza 6011/01  "...si potrebbe plausibilmente sostenere che dei tre tipi di macchia  individuati... solo la gariga, cioè la scarna coltre vegetale dei suoli più  poveri, resti estranea alla nozione legislativa di bosco".
 
 Si tratta, in definitiva, di una indicazione del tutto ipotetica e che  comporterebbe, in ogni caso, una verifica della oggettiva consistenza e  tipologia di vegetazione.
 
 é appena il caso di aggiungere che anche in questo caso, pur volendo qualificare  l'area come "macchia mediterranea", la presenza di vegetazione (e di alberi di  pino, circostanza non contestata dal ricorrente se non per il numero) ne  escluderebbe la natura di "radura".
 
 Anche il secondo motivo di ricorso é infondato.
 
 La difesa richiama il Decreto Legislativo n. 42 del 2004, articolo 149 che  espressamente esclude (lettera c)) dagli interventi soggetti ad autorizzazione  "il taglio colturale, la forestazione, la riforestazione, le opere di bonifica,  antincendio e di conservazione da eseguirsi nei boschi e nelle foreste indicati  dall'articolo 142, comma 1, lettera g), purché previsti ed autorizzati in base  alla normativa in materia ", quest'ultima individuata nella normativa regionale  richiamata.
 
 Va osservato, a tale proposito, che questa Corte ha precisato che la valutazione  del combinato disposto del Decreto Legislativo n. 42 del 2004, articoli 146 e  149 circa la necessità o meno dell'autorizzazione paesaggistica allo scopo di  verificare la sussistenza degli elementi costitutivi del reato di cui  all'articolo 181 del medesimo decreto é di competenza dell'autorità giudiziaria  penale e non subisce condizionamenti dall'eventuale difforme opinione  dell'autorità amministrativa (Sez. 3 n. 35401, 24 settembre 2007).
 
 Tale principio, che il Collegio condivide, va senz'altro ribadito rilevando, con  riferimento specifico alle ipotesi contemplate dal Decreto Legislativo n. 42 del  2004, articolo 149, che, in ogni caso, la valutazione circa la non soggezione  dell'intervento ad autorizzazione paesaggistica in base alla tipologia dei  lavori non può essere lasciata ad una soggettiva interpretazione detta normativa  di settore da parte del privato che detti lavori intende eseguire, sottraendo  ogni possibilità di controllo preventivo all'autorità amministrativa.
 
 Lo scopo della norma é infatti quello di evitare, per tale tipologia di  interventi lo specifico procedimento autorizzatorio normalmente previsto ma é di  tutta evidenza che vengono posti dei limiti precisi che tengono conto  dell'impatto dei lavori nelle lettera a) (i lavori non devono alterare lo stato  dei luoghi e l'aspetto esteriore degli edifici) e b) (gli interventi non devono  comportare l'alterazione permanente dello stato dei luoghi con costruzioni  edilizie ed altre opere civili e deve trattarsi di attività ed opere che non  alterino l'assetto idrogeologico del territorio) e della circostanza che i  lavori siano previsti ed autorizzati in base alla normativa in materia nella  lettera c).
 
 Nel caso di specie, la tipologia dell'intervento descritto nell'imputazione e  consistito nell'eliminazione della vegetazione e degli alberi presenti nell'area  sequestrata esclude che detti interventi possano essere qualificati come "opere  antincendio" che imponevano comunque, a norma del menzionato articolo 149, una  espressa previsione ed una preventiva autorizzazione.
 
 Di tali atti amministrativi non viene fatta menzione in ricorso se non con il  mero richiamo a disposizioni normative di carattere generale e ad una delibera  della Giunta Regionale della Puglia che riguarda genericamente un piano di  prevenzione e lotta agli incendi.
 
 Non vi era, dunque, alcun elemento oggettivo che la Corte territoriale avrebbe  potuto validamente considerare per escludere la necessità della preventiva  autorizzazione.
 
 La tipologia dell'intervento escludeva anche, come si é accennato in precedenza,  che esso potesse rientrare tra le opere indicate dall'articolo 5.2 del PUTT/P  che individua gli interventi esentati dall'autorizzazione paesaggistica.
 
 Anche in questo caso, tuttavia, l'esenzione sarebbe stata soggetta ad un  controllo da parte dell'autorità amministrativa e non rimessa all'arbitraria  decisione del soggetto interessato all'esecuzione dei lavori.
 
 Il comma 2 del citato articolo stabilisce, infatti, che "Il Sindaco rilascia la  autorizzazione-concessione edilizia per gli interventi esentati, previa  asseverazione del progettista delle opere che attesti la veridicità di quanto  descritto nel progetto stesso".
 
 Va peraltro incidentalmente rilevato come l'assunto difensivo, che indica i  lavori come imposti dalla Regione e finalizzati alla prevenzione degli incendi,  si ponga in contraddizione con quanto affermato nel quarto motivo di ricorso,  dove le opere di disboscamento sono indicate come finalizzate allo sgombero  dell'area per la costruzione di un parcheggio ed altre opere successivamente  realizzate.
 
 Anche sotto tale profilo, dunque, la decisione impugnata appare, immune da  censure.
 
 L'infondatezza del terzo motivo di ricorso é evidente.
 
 Va ricordato, con riferimento al vizio di motivazione, che la consolidata  giurisprudenza di questa Corte é orientata nel senso di ritenere che il  controllo sulla motivazione demandato al giudice di legittimità resta  circoscritto, in ragione della espressa previsione normativa, al solo  accertamento sulla congruità e coerenza dell'apparato argomentativo con  riferimento a tutti gli elementi acquisiti nel corso del processo e non può  risolversi in una diversa lettura degli elementi di fatto posti a fondamento  della decisione o l'autonoma scelta di nuovi e diversi criteri di giudizio in  ordine alla ricostruzione e valutazione dei fatti (si vedano ad esempio,  limitatamente alla pronunce successive alle modifiche apportate all'articolo 606  c.p.p. dalla Legge n. 46 del 2006, Sez. 6, n. 10951, 29 marzo 2006; Sez. 6, n.  14054, 20 aprile 2006; Sez. 6, n. 23528, Sez. 3, n. 12110, 19 marzo 2009).
 
 Ciò premesso, va ricordato che la natura di reato di danno determina, per la  configurabilità della contravvenzione di cui all'articolo 734 c.p., la necessità  di una effettiva distruzione o alterazione delle bellezze naturali dei luoghi  protetti.
 
 Tale evento può essere determinato attraverso qualsiasi condotta attiva od  omissiva in considerazione della natura di reato a forma libera.
 
 L'alterazione che tale condotta comporta non deve, tuttavia, essere  necessariamente grave e irreparabile, non incidendo sulla configurabilità del  reato, in tale ultimo caso, la circostanza che l'intervento eseguito consenta il  successivo ripristino dello stato dei luoghi preesistente attraverso la  rimozione dell'opera o in altro modo.
 
 Le Sezioni Unite di questa Corte hanno anche precisato che la configurabilità  del reato non é esclusa dalla preesistenza di altri interventi, ben potendo  un'opera abusiva seguire ad altre e concorrere all'alterazione dell'originaria  conformazione del paesaggio (SS.UU. n. 72, 10 gennaio 1994) sempre che il  giudice motivi adeguatamente in ordine al verificarsi della permanente  menomazione della situazione di bellezza naturale attribuita al sito (Sez. 3, n.  46992, 9 novembre 2004).
 
 Alla luce delle considerazioni appena espresse, si osserva che i giudici  dell'appello abbiano compiutamente adempiuto agli obblighi motivazionali loro  imposti dando conto della circostanza che l'intervento, oggettivamente  considerato, era idoneo a determinare una permanente alterazione dell'area  soggetta a speciale protezione in quanto inserita nel PUTT/P.
 
 Non era dunque necessario dimostrare, come preteso in ricorso, che l'alterazione  dei luoghi fosse tale da suscitare "determinate percezioni sensoriali negative",  ben potendo la semplice descrizione della consistenza e delle modalità  dell'intervento e la indicazione del contesto generale nel quale esso si colloca  rendere esaurientemente conto della sussistenza del danno concreto che  l'articolo 734 c.p. richiede, tanto più quando la valutazione degli effetti  negativi dei lavori eseguiti sia stata in precedenza analizzata nel dettaglio  con riferimento al concorrente reato sanzionato dal Decreto Legislativo n. 42  del 1940, articolo 181.
 
 Anche il quarto motivo di ricorso é infondato.
 
 Come chiaramente indicato nel provvedimento impugnato, l'intervento di  disboscamento é stato eseguito in assenza della preventiva autorizzazione  dell'ente preposto alla tutela del vincolo.
 
 Detta autorizzazione precede, dunque, l'intervento e presuppone una preventiva  valutazione dell'incidenza dello stesso sull'assetto paesaggistico.
 
 Deve essere pertanto espressa, non ammette equipollenti e deve avere ad oggetto  gli interventi che si intende realizzare.
 
 Eventuali autorizzazioni successive non possono riconoscere implicitamente la  compatibilità paesaggistica dell'intervento già eseguito, poiché l'accertamento  di compatibilità paesaggistica presuppone uno specifico procedimento  amministrativo.
 
 L'articolo 181, comma 1 quater prevede, infatti che il proprietario,  possessore o detentore a qualsiasi titolo dell'immobile o dell'area interessati  dagli interventi di cui al comma 1-ter presenti apposita domanda all'autorità  preposta alla gestione del vincolo ai fini dell'accertamento della compatibilità  paesaggistica degli interventi medesimi.
 
 L'autorità competente si pronuncia sulla domanda entro il termine perentorio di  centottanta giorni, previo parere vincolante della soprintendenza da rendersi  entro il termine perentorio di novanta giorni.
 
 Si tratta, dunque, di un procedimento autonomamente disciplinato, finalizzato al  rilascio dello specifico accertamento della compatibilità paesaggistica e tale  accertamento non ammette equipollenti.
 
 Infondato é, infine, anche il quinto motivo di ricorso.
 
 Introdotto dalla "legge delega ambientale" n. 308 del 2004, l'articolo 181,  comma 1 quinquies prevede una forma di estinzione del reato paesaggistico  conseguente alla spontanea rimessione in pristino delle aree o degli immobili  soggetti a vincoli paesaggistici, da parte del trasgressore, prima che venga  disposta d'ufficio dall'autorità amministrativa e, comunque, prima che  intervenga la condanna.
 
 Come osservato dalla giurisprudenza di questa Corte (Sez. 3, n. 37371, 1 ottobre  2008) trattandosi di causa estintiva di un reato già perfezionato in tutti i  suoi elementi essenziali, il relativo onere probatorio incombe all'imputato.
 
 é peraltro evidente che anche lo spontaneo ripristino non può non essere  preventivamente comunicato alle competenti autorità amministrative, non solo  perché le effettive finalità potrebbero essere equivocate prima del  completamento delle opere di ripristino, ma anche perché chi vi provvede ha  sicuro interesse alla documentazione certa della spontaneità e tempestività  dell'azione riparatoria, considerate le conseguenze favorevoli che, per legge,  ne derivano.
 
 Nella fattispecie, il ricorrente non ha fornito alcun elemento atto a suffragare  neppure la mera intenzione di un intervento ripristinatorio la cui esecuzione  non era certo impedita dalla impossibilità di conoscere il numero esatto di  alberi estirpati.
 
 Lo stesso ricorrente smentisce, peraltro, l'effettiva esistenza di tale  intenzione laddove individua le opere eseguite come propedeutiche all'esecuzione  di altri lavori successivamente autorizzati.
 
 Il ricorso deve pertanto essere rigettato con le consequenziali statuizioni  indicate in dispositivo.
 P.Q.M.
 Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del  procedimento.
 
                    




