 Cons. Stato Sez. VI n. 1366 del 3 marzo 2011
Cons. Stato Sez. VI n. 1366 del 3 marzo 2011 
Beni ambientali. Piano paesaggistico
Il piano paesaggistico può, ai sensi dell’art. 134, lett. c) del Codice, direttamente qualificare come beni paesaggistici, tipizzandole e sottoponendole a specifiche misure di salvaguardia e di utilizzazione come prevedeva l’allora art. 143, comma 1, lett. i), aree - ulteriori rispetto a quelle dichiarate tali in via amministrativa o ex lege - il cui valore specifico da tutelare è dato da caratteri simili, o di analogo fondamento, rispetto a quelli considerati per i vincoli provvedimentali dell’art. 136 o per quelli ex lege dall’art. 142, e il cui effetto ricognitivo è quello proprio dei quei vincoli paesaggistici, cui si deve aggiungere un contenuto prescrittivo, posto dal Piano stesso contestualmente alla loro individuazione.
 
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
 N. 01366/2011REG.PROV.COLL.
 N. 04394/2008 REG.RIC.
 Il Consiglio di Stato
 
 in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)
 ha pronunciato la presente
 SENTENZA
 sul ricorso numero di registro generale 4394 del 2008, proposto dalla Regione  autonoma della Sardegna, in persona del legale rappresentante pro tempore,  rappresentata e difesa dagli avvocati Paolo Carrozza, Vincenzo Cerulli Irelli e  Gian Piero Contu, con domicilio eletto presso Vincenzo Cerulli Irelli in Roma,  via Dora,1;
 contro
 Comune di Cagliari, in persona del legale rappresentante pro tempore,  rappresentato e difeso dagli avvocati Carla Curreli, Ovidio Marras, Massimo  Massa e Marcello Vignolo, con domicilio eletto presso Antonia De Angelis in  Roma, via Portuense, 104;
 
 nei confronti di
 
 Ministero per beni e le attività culturali, Ministero dell’ambiente, in persona  dei legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura  generale dello Stato, domiciliataria per legge in Roma, via dei Portoghesi, 12;
 
 e con l'intervento di
 
 ad adiuvandum:
 Associazione Italia Nostra Onlus, in persona del legale rappresentante pro  tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Carlo Dore, con domicilio eletto  presso Onlus Italia Nostra, in Roma, viale Liegi, 33;
 Associazione Sardegna Democratica, in persona del legale rappresentante pro  tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Gian Piero Contu e Giuseppe  Macciotta, con domicilio eletto presso Paola Fiecchi in Roma, via S. Marcello  Pistoiese, 73/75;
 ad opponendum
 Nuova Iniziative Coimpresa s.r.l., in persona del legale rappresentante pro  tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Pietro Corda e Antonello Rossi,  con domicilio eletto presso Andrea Manzi in Roma, via Federico Confalonieri, 5;
 
 per la riforma
 
 della sentenza del T.A.R. SARDEGNA - CAGLIARI: SEZIONE II n. 02241/2007, resa  tra le parti, concernente APPROVAZIONE PIANO PAESAGGISTICO REGIONALE - PRIMO  AMBITO OMOGENEO.
 
 Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
 Visto l'atto di costituzione in giudizio dei Ministeri per i beni e le attivita'  culturali e dell’ambiente;
 Viste le memorie difensive;
 Visti tutti gli atti della causa;
 
 Relatore nell'udienza pubblica del giorno 25 gennaio 2011 il consigliere di  Stato Maurizio Meschino e uditi per le parti gli avvocati Cerulli Irelli, Contu,  Vignolo, Dore, Corda, Rossi, e nelle preliminari l'avvocato dello Stato Rumetto;
 
 Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
 FATTO
 1. Il Comune di Cagliari, con il ricorso n. 902 del 2006 proposto al Tribunale  amministrativo regionale della Sardegna, ha chiesto l’annullamento:
 
 -con il ricorso introduttivo, della delibera della Giunta regionale del 5  settembre 2006, n. 36/7 concernente “Approvazione del Piano Paesaggistico -  Primo ambito omogeneo” e del Piano Paesaggistico Regionale (di seguito: PPR) con  esso approvato; nonché degli atti allegati alla deliberazione di approvazione ed  in particolare: della relazione generale e relativi allegati, delle carte in  scala 1:200.000, contenenti la perimetrazione degli ambiti di paesaggio costieri  e la struttura fisica, l’assetto ambientale, l’assetto storico-culturale,  l’assetto insediativo, le aree gravate dagli usi civici; 141 carte in scala  1:25.000 illustrative dei territori ricompresi negli ambiti di paesaggio  costieri; 27 schede illustrative delle caratteristiche territoriali e degli  indirizzi progettuali degli ambiti di paesaggio costiero, 38 carte in scala  1:50.000 relative alla descrizione del territorio regionale non ricompreso negli  ambiti di paesaggio costiero; le norme tecniche di attuazione e relativi  allegati; di tutti gli atti preparatori ed istruttori del PPR, compresi i pareri  della quarta Commissione del Consiglio regionale resi in data 8 agosto 2006 e 5  settembre 2006; delle delibere della Giunta n. 33/27 del 10 agosto 2004 e n.  15/1 del 7 aprile 2005, con le quali sono stati costituiti il Comitato  Scientifico ed i gruppi di lavoro interassessoriali e del provvedimento del  Presidente della Regione di scelta e di nomina dei componenti il suddetto  Comitato; della delibera della Giunta regionale n. 22/3 del 24 maggio 2006, con  la quale è stato adottato il PPR e delle relative norme tecniche di attuazione;
 
 -con motivi aggiunti, depositati in data 10 gennaio 2007, della delibera della  Giunta regionale del 5 settembre 2006, n. 36/7 concernente “Approvazione del  Piano Paesaggistico - Primo ambito omogeneo” e del PPR con esso approvato, con  tutti gli allegati; della delibera della Giunta regionale n. 22/3 del 24 maggio  2006, con la quale è stato adottato il PPR e delle relative norme tecniche di  attuazione;
 
 Con secondi motivi aggiunti, conseguenti ad adempimento istruttorio e depositati  il 9 luglio 2007, degli atti sopra elencati già oggetto di impugnazione.
 
 2. Il Tribunale amministrativo regionale , con la sentenza n. 2241 del 2007,  estromessi dal giudizio, su loro istanza, i Ministeri dell’ambiente e per i beni  e le attività culturali, ha accolto in parte il ricorso “nei sensi e nei limiti  di cui in motivazione” compensando tra le parti le spese del giudizio.
 
 3. Con l’appello principale in epigrafe, proposto dalla Regione Sardegna, è  stata chiesta la riforma della sentenza di primo grado limitatamente alla parte  in cui ha accolto i motivi nn. 23, 24 e 25 (gli ultimi due contenuti nei primi  motivi aggiunti) con i quali il Comune di Cagliari aveva dedotto il difetto  d’istruttoria e di motivazione, oltre che l’illogicità delle previsioni del  piano che avevano previsto, per il colle di Tuvixeddu-Tuvumannu, (per un’area di  50 ettari), dapprima, in sede di adozione del piano, che fosse classificata tra  le “aree funerarie dal preistorico all’alto medioevo”, poi (in sede di  approvazione) come rientrante tra le “aree caratterizzate da preesistenze con  valenza storico culturale”, assoggettandola alla disciplina di cui all’art. 49  delle Norme Tecniche di Attuazione (di seguito: NTA) del piano stesso.
 
 Il Comune di Cagliari, nel resistere all’appello così proposto dalla Regione  Sardegna, ha presentato appello incidentale con cui sono state dedotte censure  avverso i capi della sentenza in esame recanti la declaratoria di  inammissibilità o il rigetto nel merito di alcuni dei motivi di primo grado. Il  Ministero per i beni e le attività culturali e il Ministero dell’ambiente,  costituitisi in giudizio, insistono per l’accoglimento dell’appello principale  proposto dalla Regione Sardegna. Sono intervenute ad adiuvandum, a sostegno del  predetto appello regionale, le associazioni Sardegna Democratica e Italia  Nostra, mentre è intervenuta ad opponendum la società Nuova Iniziative Coimpresa  s.r.l.
 
 4. La Sezione, con sentenza 27 luglio 2010, n. 4899, ha respinto l’appello  incidentale del Comune di Cagliari e, quanto all’appello principale proposto  dalla Regione Sardegna, ha ritenuto necessaria l’acquisizione, ai fini della  completezza dell’istruttoria, della seguente documentazione:
 
 -a) a cura della Regione Sardegna, una documentata relazione, accompagnata da  apposita cartografia ed eventuale corredo fotografico, atta a precisare sulla  base di quali specifici presupposti e/o sopravvenienze fattuali (nuovi studi,  ritrovamenti, indagini archeologiche etc.) sia stato deliberato dalla Giunta  regionale di assegnare all’intera area di Tuvixeddu-Tuvumanno la qualifica di  “aree caratterizzate da preesistenze con valenza storico-culturale” in luogo di  quelle in precedenza assegnate: in sede di proposta di piano, di “scavi”  (circoscritti a talune limitate parti dell’ area anzidetta e collocati in un  ambito territoriale relativo ad “espansioni fino agli anni ’50”); in sede di  adozione del PPR, “area archeologica” inserita tra le “aree funerarie dal  preistorico all’alto medioevo”; il tutto, con precisazioni in merito alla natura  e alla collocazione in loco degli eventuali nuovi ritrovamenti presi in  considerazione in rapporto alle planimetrie allegate al progetto edificatorio di  cui agli accordi di programma stipulati il 15 settembre e il 3 ottobre 2000 tra  Nuova Iniziative Coimpresa s.r.l., Comune di Cagliari e Regione Sardegna aventi  ad oggetto “riqualificazione urbana e ambientale dei Colli di San Avendrace”;
 
 -b) a cura del Ministero per i beni e le attività culturali - Soprintendenza per  i beni archeologici delle province di Cagliari e Oristano, una documentata  relazione atta a precisare quale sia lo stato attuale dei ritrovamenti  archeologici nell’area anzidetta (con allegata cartografia atta a segnalare la  posizione dei ritrovamenti stessi) e quale la loro progressione nel tempo.
 
 Ha assegnato, a tale fine, il termine di sessanta giorni dalla comunicazione in  forma amministrativa o dalla notificazione della decisione per il deposito degli  atti presso la Segreteria della Sezione, e, riservata ogni altra pronuncia in  rito, nel merito e sulle spese, ha fissato per il prosieguo la pubblica udienza  del 26 gennaio 2011.
 
 5. In data 24 settembre 2010, è pervenuta relazione, con allegata  documentazione, del Ministero per i beni e le attività culturali -  Soprintendenza per i beni archeologici per le province di Cagliari e Oristano;  in data 27 settembre 2010 è pervenuta nota della Regione Sardegna, con allegata  documentazione, seguita da documentazione integrativa pervenuta in data 15  dicembre 2010.
 
 La Regione appellante, il Comune appellato e gli intervenienti hanno depositato  ulteriori memorie difensive.
 
 6. All’udienza del 25 gennaio 2010 la causa è stata trattenuta per la decisione.
 DIRITTO
 1. Riguardo ai motivi del ricorso di primo grado n. 23, n. 24 e n. 25 (gli  ultimi due aggiunti) - oggetto principale del suo parziale accoglimento e contro  cui soltanto è diretto l’appello regionale -, a mezzo dei quali il Comune di  Cagliari aveva lamentato, nel Piano Paesaggistico Regionale (PPR) della Sardegna  approvato dalla Giunta regionale il 5 settembre 2006, per l’area di Tuvixeddu e  Tuvumannu difetto di istruttoria, difetto di motivazione e illogicità, nonché  violazione e falsa applicazione dell’art. 143, comma 1, lett. b) e dell’art.  142, comma 1, lett. m) del d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42 (“Codice dei beni  culturali e del paesaggio, ai sensi dell'articolo 10 della L. 6 luglio 2002, n.  137”; di seguito: Codice), nella sentenza di primo grado n. 2241/2007 del  Tribunale amministrativo regionale per la Sardegna:
 
 -si richiama, anzitutto, che il ricorrente Comune di Cagliari assume, in  relazione al colle di Tuvixeddu-Tuvumannu, che il Piano Paesaggistico Regionale  (PPR) avrebbe classificato l’intera estensione di circa 50 ettari, interessata  da accordi di programma (stipulati con la Regione e imprese costruttrici), come  “aree funerarie dal preistorico all’alto medioevo”, mentre l’area avente tali  caratteristiche sarebbe in realtà limitata a un perimetro di circa 10 ettari e  solo a questa si sarebbe dovuto applicare l’inerente, con il conseguente obbligo  di sottostare alla prescrizioni di salvaguardia di cui all’art. 48 e seguenti  delle Norme Tecniche di Attuazione del PPR , sicché l’estensione stabilita  comporterebbe l’applicazione di queste prescrizioni anche ad aree non aventi la  natura di bene paesaggistico. [Nei motivi aggiunti, il Comune aveva poi rilevato  che il bene paesaggistico perimetrato ex novo, esteso per tutti i 50 ettari, era  stato illogicamente definito come “area caratterizzata da preesistenze con  valenza storico culturale” e posto all’interno della più vasta categoria delle  “aree caratterizzate da edifici e manufatti di valenza storico culturale”di cui  all’art. 48 delle NTA, ma senza che ivi fosse stata specificata (per cui,  semmai, sarebbe stata da intendere come ricadente tra le “aree funerarie dal  preistorico all’alto medioevo”: che era la classificazione attribuita nella  prima versione del PPR, come adottato il 24 maggio 2006, ed è quella prevista,  nel novero dei beni paesaggistici, dallo stesso art. 48, comma 1, lett. a.3.).  Ma in ogni caso (era la tesi del Comune) l’area funeraria interessa solo circa  10 ettari ed era stata già tutelata e inclusa nel parco archeologico e museale  (di circa 20 ettari), previsto dagli accordi di programma. La nuova  classificazione rendeva invece tutta l’area (50 ettari) vincolata  all’acquisizione del nulla osta archeologico, anche per l’edificazione sulla  parte prima non vincolata. Inoltre (sempre per il Comune), ai sensi dell’art.  143, comma 1, lett. b), d.lgs. n. 42 del 2004, il Piano paesaggistico deve, tra  l’altro, individuare puntualmente le aree di cui all’art. 142, comma 1 lett. m):  cioè le zone di interesse archeologico “già individuate”, e non già indicarne  delle nuove];
 
 -si afferma quindi:
 
 a) non si è in presenza di un vincolo archeologico (non imponibile con il PPR);
 
 b) la Regione con il PPR e le NTA ha il potere (previsto dal Codice), di imporre  ad un’area una specifica disciplina di tutela operando nel quadro dei vincoli  così detti “ricognitivi”;
 
 c) ai sensi dell’art. 143 del Codice, la determinazione della Regione deve  essere basata su un esame dello stato dei luoghi puntuale, svolto con rigore  valutativo e supportato da elementi scientifici documentati, così da pervenire a  vincoli ricognitivi corrispondenti alle qualità intrinseche del bene da  proteggere obbiettivamente accertate;
 
 d) in tale procedimento non si esercita una discrezionalità tecnica  insindacabile, dovendosi riconoscere un valore già esistente del bene;
 
 e) nella specie il potere esercitato non risulta sorretto dai necessari  approfondimenti istruttori; f) per cui “l’accoglimento del motivo comporta che  la individuazione dell’“Area caratterizzata da preeesistenze con valenza storico  culturale” è illegittima e che di conseguenza va eliminata la perimetrazione di  cui al foglio 557, sez. III dell’ambito 1 Golfo di Cagliari (depositato agli  atti di causa)”.
 
 2. Nell’appello la Regione autonoma della Sardegna eccepisce, in via  preliminare, il difetto di legittimazione e interesse del Comune di Cagliari  alla contestazione di atti che ampliano il patrimonio pubblico a favore della  collettività, i cui interessi esso rappresenta; né, si soggiunge, tale  contestazione è fondata sul conseguente divieto assoluto di edificazione  nell’area perimetrata, poiché ai sensi dell’art. 49 delle NTA il Comune può, in  sede di pianificazione urbanistica, delimitare le aree in cui è preclusa  l’edificazione e quelle in cui è invece consentita a determinate condizioni,  comportando la detta norma soltanto l’effetto proprio delle misure di  salvaguardia.
 
 Nel merito in particolare la Regione deduce:
 
 -il difetto di istruttoria non sussiste, poiché: a) il valore intrinseco  dell’area, comprendente una delle più importanti necropoli fenicio-puniche e  romane del Mediterraneo, è stato valutato adeguatamente dalla Regione, che ha  portato al livello della pianificazione paesaggistica l’indirizzo di tutela già  definito al riguardo con deliberazioni cautelari di urgenza, del maggio e  novembre 2006, poi revocate a seguito della proposta di dichiarazione di  notevole interesse pubblico fatta ai sensi degli articoli 136 e seguenti del  Codice; b) l’estensione dell’area da tutelare è giustificata dai numerosi  rilevanti ritrovamenti archeologici nell’area non sottoposta in precedenza a  vincolo archeologico (imposto nel 1996), come risultante da specifiche note  della Soprintendenza competente; c) l’individuazione dell’area come bene  paesaggistico nell’ambito del PPR è esercizio di discrezionalità tecnica  insindacabile in sede di legittimità, anche se si tratti di “riconoscere” il  valore intrinseco di un bene, salvi la non congruità o illogicità della  motivazione o il travisamento dei fatti.
 
 Nella memoria dell’appellante Regione, depositata il 24 dicembre 2010, si  afferma che dagli atti acquisiti con l’istruttoria disposta dalla Sezione  risulta che la perimetrazione dell’area determinata con il PPR non è innovativa,  in quanto trasposizione del vincolo paesaggistico già approvato nel 1997, e che  vi sono stati ritrovamenti archeologici anche esterni al perimetro del vincolo  archeologico preesistente, confermando tutto ciò l’erroneità del riconoscimento  del difetto di istruttoria da parte del Tribunale amministrativo.
 
 Nelle memorie depositate dal Comune di Cagliari si afferma che dai documenti  acquisiti il difetto di istruttoria esce invece confermato, non venendo indicati  nuovi ritrovamenti nell’area esterna a quella delimitata con il vincolo  archeologico preesistente. Si eccepisce, inoltre, l’inammissibilità della  deduzione dell’appellante Regione sull’asserita coincidenza dell’area  perimetrata con il PPR con quella già oggetto di vincolo paesaggistico nel 1997,  in quanto motivo nuovo; si conferma l’eccezione, già sollevata in precedenza,  sulla inammissibilità dell’intervento della “Associazione Sardegna Democratica”,  poiché soggetto non contemplato dagli articoli 13 e 18 della legge 8 luglio  1986, n. 349.
 
 Nelle memorie depositate da Nuova Iniziative Coimpresa s.r.l. si propongono  deduzioni ed eccezioni di contenuto analogo, eccependo altresì  l’inammissibilità, ai sensi dell’art. 104, comma 2, del d.lgs. 2 luglio 2010, n.  104 (Codice del processo amministrativo), della ulteriore documentazione  depositata dalla Regione in data 15 dicembre 2010 e di quella depositata il 15  dicembre 2010 dalla “Associazione Sardegna Democratica”.
 
 3. Il Collegio esamina in via preliminare le eccezioni sollevate dalle parti.
 
 Non può essere accolta, anzitutto, l’eccezione sollevata dalla Regione  appellante sul difetto di legittimazione e di interesse del Comune di Cagliari.  In via generale infatti un comune ben può individuare in un provvedimento, pur  genericamente definibile di ampliamento del patrimonio collettivo, aspetti che  ritenga lesivi, per le modalità procedimentali della decisione ovvero perché  interferente con la sua valutazione degli interessi circa la gestione  territoriale di sua competenza, potendo in particolare ritenere non coerente con  tale quadro il vincolo che venga a prodursi sull’assetto e l’utilizzazione del  territorio comunale, posta una sua incidenza sulle scelte in materia.
 
 Non possono neppure essere accolte le eccezioni sollevate da parte comunale e di  “Nuova Iniziative Coimpresa s.r.l.”. Il richiamo da parte della Regione della  coincidenza dell’area perimetrata con il PPR con quella già oggetto di vincolo  paesaggistico nel 1997 non può essere considerato alla stregua del divieto in  appello di ius novorum; non si tratta, infatti, di un nuovo motivo di ricorso,  ma della evidenziazione argomentativa, in via di eccezione in senso stretto ad  un accolto motivo dell’originario ricorso, circa un dato riportato a seguito  dell’istruttoria che la Sezione ha disposto per acquisire gli elementi a  presupposto della determinazione del PPR di cui si tratta. E, in questo quadro,  non può neppure ritenersi violato l’art. 102, comma, 4, del Codice del processo  amministrativo per effetto del deposito da parte della Regione, in data 15  dicembre 2010, di ulteriore documentazione, poiché esibita in adempimento della  detta istruttoria, che è procedura prevista dal medesimo Codice (art. 65) in  quanto propriamente strumentale “ai fini della decisione della causa” (art. 104,  comma 2).
 
 La questione della legittimazione ad agire della interveniente “Associazione  Sardegna Democratica” non ha infine rilevanza in caso di accoglimento  dell’appello della Regione, recando l’intervento deduzioni dal tenore  sostanzialmente identico.
 
 4. Si passa ora all’esame del merito della controversia.
 
 4.1. Il Collegio ritiene di condividere, anzitutto, la valutazione del giudice  di primo grado per cui “è indubbio che la Regione attraverso il PPR e le NTA  (come previsto dal D.lgs. n. 42/2004), abbia il potere, dopo avere evidenziato  determinate caratteristiche di valore paesaggistico e storico culturale, di  imporre ad un’area una specifica disciplina di tutela…”.
 
 Il quadro della normativa del d.lgs. n. 42 del 2004 attributiva di tale potere è  dato, in particolare, dalle disposizioni di cui agli articoli art. 131, 134,  135, 143 e 145 (secondo il testo, novellato dal decreto legislativo, integrativo  e correttivo, 24 marzo 2006, n. 157, in vigore all’atto dell’approvazione del  PPR - delibera della Giunta regionale del 5 settembre 2006, n. 36/7 -, non  sostanzialmente dissimile, per quanto qui interessa, dai testi previgente e  attuale).
 
 Più specificamente:
 
 - l’art. 131 definisce quale “paesaggio.. le parti di territorio i cui caratteri  distintivi derivano dalla natura, dalla storia umana o dalle reciproche  interrelazioni” (comma 1); l’art. 134 individua quali “beni paesaggistici”,  oltre quelli dichiarati tali in via amministrativa o ex lege, ”gli immobili e le  aree tipizzati, individuati e sottoposti a tutela dai piani paesaggistici  previsti dagli articoli 143 e 156” (comma 1, lett. c); l’art. 135, nel prevedere  che le Regioni approvano “piani paesaggistici”, riguardanti l’intero territorio  regionale, dispone che i piani “in base alle caratteristiche naturali e  storiche, individuano ambiti definiti in relazione alla tipologia, rilevanza e  integrità dei valori paesaggistici” (commi 1 e 2); l’art. 143, nel disciplinare  le fasi di formazione del piano paesaggistico, prevede che con il piano si  provvede, tra l’altro, alla “individuazione degli ambiti paesaggistici di cui  all’articolo 135”, alla “definizione di prescrizioni generali ed operative per  la tutela e l’uso del territorio compreso negli ambiti individuati”, alla  “tipizzazione ed individuazione, ai sensi dell'articolo 134, comma 1, lettera  c), di immobili o di aree, diversi da quelli indicati agli articoli 136 e 142,  da sottoporre a specifica disciplina di salvaguardia e di utilizzazione” (comma  1, rispettivamente: lettere d), e) ed i), essendo gli immobili ed aree di cui  agli articoli 136 e 142 quelle di “notevole interesse pubblico” e “le aree  tutelate per legge”); ai sensi dell’art. 145, infine, il piano paesaggistico è  cogente e immediatamente prevalente sulla strumentazione della programmazione  urbanistica degli enti locali (comma 3);
 
 - è anche il caso di rilevare che il procedimento di formazione del Piano  Paesaggistico Regionale (PPR) della Sardegna è regolato, con espressa evocazione  dell’art. 135 (Pianificazione paesaggistica) del Codice, dalla l.r. 25 novembre  2004, n. 8 (Norme urgenti di provvisoria salvaguardia per la pianificazione  paesaggistica e la tutela del territorio regionale), che stabilisce che è  adottato e approvato dalla Giunta regionale (artt. 1 e 2);
 
 -ne consegue che:
 
 a) Il piano paesaggistico poteva, ai sensi dell’art. 134, lett. c) del Codice,  direttamente qualificare come beni paesaggistici, tipizzandole e sottoponendole  a specifiche misure di salvaguardia e di utilizzazione come prevedeva l’allora  art. 143, comma 1, lett. i), aree - ulteriori rispetto a quelle dichiarate tali  in via amministrativa o ex lege - il cui valore specifico da tutelare è dato da  caratteri simili, o di analogo fondamento, rispetto a quelli considerati per i  vincoli provvedimentali dell’art. 136 o per quelli ex lege dall’art. 142, e il  cui effetto ricognitivo è quello proprio dei quei vincoli paesaggistici, cui si  deve aggiungere un contenuto prescrittivo, posto dal Piano stesso  contestualmente alla loro individuazione.
 
 La Regione, in questa attività ricognitiva, ben può infatti considerare  l’interrelazione tra l’ambiente naturale e l’inserzione stratificata  dell’apporto della storia umana, nel ripartire l’area in ambiti omogenei (e così  ha fatto nella specie: v. art. 2, comma 2, lett. a), art. 6 e ss. NTA; cfr. art.  143, comma 1, lett. d) e art. 135, commi 2 e ss., del Codice, nel testo allora  vigente) (qui rileva l’Ambito n. 1 - Golfo di Cagliari), e in ulteriori aree  (come quella in questione) in tali ambiti, con contestuale sottoposizione a  congrue prescrizioni di tutela.Si tratta infatti di ricognizione che corrisponde  alla ratio dei ricordati artt. 136 e 142 del Codice, per cui il bene  paesaggistico, in quanto espressione qualificata del patrimonio culturale, viene  dichiarato tale o per la particolare connotazione naturalistica, o come  particolare testimonianza della storia umana (cfr. artt. 1, comma 2; 2, comma 3;  131, comma 1, del Codice): in quest’ultimo genere rientra la ricognizione e la  qualificazione di cui si discute;
 
 b) tale qualificazione, in quanto afferente alla dimensione paesaggistica del  patrimonio culturale (cfr. art. 1, comma 3, del Codice), presuppone una  valutazione specifica, diversa da quella alla base di un vincolo di  beneculturale (cfr. art. 1, comma 2, del Codice), qual è un vincolo  archeologico. Si tratta piuttosto di una valutazione afferente la qualità  dell’ambito paesaggistico archeologicamente contrassegnato, e non dei singoli  beni archeologici, analogamente a quanto a suo tempo è stato disposto con l’art.  142, comma 1, lett. m) del Codice, dove (riprendendo la previsione introdotta  dall’art. 82 d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616 come modificato dall’art. 1 l.8  agosto 1985, n. 431, e poi dell’art. 146, comma 1, lett. m) d.lgs. 29 ottobre  1999, n. 490) si prevede che siano comunque da qualificare come di interesse  paesaggistico le zone di interesse archeologico.
 
 Del resto, il testo originario, ancora vigente all’epoca degli atti impugnati,  dell’art. 134, lett. c), diversamente da quello poi modificato dall’art. 2,  comma 1, lett. d), n. 2 d.lgs. 26 marzo 2008, n. 63, non parlava di  individuazione di questi nuovi ambiti da vincolare “a termini dell'articolo 136”  (cioè con riferimento a caratteri dello stesso tipo di quelli dei vincoli  provvedimentali): sicché ben si poteva allora procedere in sostanziale analogia  dell’art. 142, sui vincoli ex lege: e ivi dell’art. 142, comma 1, lett. m).
 
 La giurisprudenza (Cons. Stato, VI, 12 novembre 1990, n. 951; 10 dicembre 2003,  n. 8145; v. anche Cons. giust. amm. sic., 2 maggio 2000, n. 201) aveva rilevato  a proposito del vincolo paesaggistico ex lege per le zone di interesse  archeologico che si tratta di un vincolo ubicazionale, perché “è la relazione  spaziale con particolari elementi localizzati, quelli sì di particolare valore  paesistico o culturale, a connotare l’ambito territoriale come meritevole di  tutela paesistica nelle forme approntate per le bellezze naturali”, e prescinde  dall’avvenuto accertamento, in via amministrativa (allora ai sensi della l. n.  1089 del 1939: oggi ai sensi della Parte seconda, cioè degli artt. 14 e ss. del  Codice), dell’interesse specificamente archeologico delle aree stesse, in quanto  le due tutele sono distinte ed autonome. L’interesse archeologico è qualità  sufficiente a connotare il contestuale ambito come meritevole di tutela  paesaggistica, “per l’attitudine che il suo profilo presenta alla conservazione  del contesto di giacenza del patrimonio archeologico nazionale, cioè quale  territorio delle presenze di rilievo archeologico: qualità che è assunta a  valore storico culturale meritevole di protezione”; quella delle aree di  interesse archeologico è invero una “tutela distinta” da quella di cui alla l. 1  giugno 1939 n. 1089[oggi: Parte seconda, cioè artt. 14 e ss. del Codice],  “avendo ad oggetto non già, direttamente o indirettamente, i beni riconosciuti  di interesse archeologico, ma piuttosto il loro territorio”; l’interesse  archeologico insomma “può essere titolo di due tipi di tutela, eventualmente  concorrenti, e dunque oggetto di due distinti titoli di accertamento: quello  relativo al patrimonio storico artistico, di cui alla l. n. 1089 del 1939 [oggi:  Parte seconda del Codice],e quello paesistico, qui in questione”.
 
 Queste considerazioni valgono in analogia per vincoli di questo “terzo genere”  dell’art. 134 del Codice - vigente all’epoca degli atti impugnati - che abbiano  riferimento alle emergenze archeologiche. Anche questi vincoli, per la medesima  dimensione culturale propria della tutela paesaggistica (art. 9 Cost.; artt. 1,  comma 2; 2, comma 3; 131, comma 1, del Codice), non sono circoscritti al pregio  naturalistico del sito, e nemmeno presuppongono un necessario vincolo  archeologico, come invece indica la gravata sentenza quando parla del potere “di  individuare come beni paesaggistici siti od aree sottoposti anche, o solo in  parte, al regime dei beni archeologici”.
 
 Non si tratta qui dell’ “ampliamento” di un vincolo di bene culturale come pare  leggersi nella gravata sentenza (dove si parla di “ampliamento del vincolo già  impresso all’area in questione” e di relative “modalità”): non solo perché  questo non è dato ad un piano paesaggistico, ma soprattutto perché si tratta di  vincolo di altra ratio e finalità e portatore di altro regime (il che - vale  osservare - dissipa l’idea che si sia introdotto con questo improprio mezzo un  ampliamento dell’area soggetta al regime della Parte seconda del Codice).
 
 Nemmeno è corretto affermare, con la sentenza, che “le zone di interesse  archeologico” debbono essere già caratterizzate da questa specifica valenza  perché l’art. 142, comma 1, lett. m) parla di “le zone di interesse archeologico  individuate alla data di entrata in vigore del presente codice”. Infatti quella  limitazione temporale (introdotta con dubitabile innovazione rispetto ai poteri  del legislatore delegato dell’art. 10 l. 6 luglio 2002, n. 137, e comunque poi  abolita dall’art. 2, comma 1, lett. o), n. 1, d.lgs. 26 marzo 2008, n. 63)  concerne l’insorgenza autonoma, con la sua perimetrazione ricognitiva, del  vincolo ex lege (cioè dell’art. 142), ma non esclude che simile ragione di  vincolo paesaggistico possa rilevare, anche successivamente, con il diverso  mezzo di un piano paesaggistico ai sensi dell’art. 143 e indipendentemente da  preclusioni temporali.
 
 Ma, anche a non evocare l’interesse archeologico delle aree, e dunque l’analogia  di fondamento con l’art. 142, comma 1, lett. m) del Codice, l’introduzione di un  vincolo del terzo genere dell’art. 134 (e dell’art. 143, comma 1, lett. i))  mediante il piano paesaggistico va giustificata da presupposti, di fatto o di  diritto, che evidenzino in concreto o il pregio intrinseco del sito (come è  previsto per l’art. 136), o la corrispondenza ad altre tipologie di vincolo  legale per categorie di cui all’art. 142 medesimo.
 
 Ed è questo che comunque appare essere stato fatto, diversamente da quanto  assume la sentenza, perché con il vincolo in questione è definita una tutela  volta alla salvaguardia della interrelazione di insieme che si è prodotta nella  storia tra le diverse testimonianze della civiltà umana e il più ampio ambito  del contesto naturale;
 
 c) tale valutazione, per essere ragionevole, deve essere resa dalla Regione  sulla base di presupposti idonei alla individuazione e tipizzazione degli ambiti  ed aree;
 
 d) tutto ciò, infine, con efficacia di sovraordinazione rispetto agli strumenti  urbanistici (art. 145 del Codice, che prevede la generale cogenza e l’immediata  prevalenza della pianificazione paesaggistica su quella urbanistica);
 
 -in questo quadro la Regione Sardegna ha esercitato il potere che le è stato  attribuito dalla normativa nel momento in cui, individuato nel PPR, l’Ambito I -  Golfo di Cagliari, vi ha perimetrato l’area di Tuvixeddu-Tuvumannu quale “Area  caratterizzata da preesistenze con valenza storico culturale” (Tavola 557 III  allegata alla deliberazione della Giunta regionale n. 367 del 2006), ai sensi  delle caratterizzazioni di cui al comma 1 dell’art. 48 delle NTA con conseguente  sottoposizione alle prescrizioni dell’art. 49 delle medesime per le “aree  caratterizzate da edifici e manufatti di valenza storico culturale”, e tra  queste per la categoria dei beni paesaggistici (prescrizioni consistenti  essenzialmente in misure di salvaguardia in attesa dell’adeguamento dei piani  urbanistici comunali al PPR: non già dell’introduzione di ulteriore regime di  vincolo archeologico, come diffusamente appare lamentato: la circostanza poi che  non sia stata introdotta anche una disciplina “di utilizzazione” qui non rileva,  non formando oggetto del contendere);
 
 -per cui resta da valutare se ai fini della determinazione in questione risulti  il presupposto di una istruttoria adeguata; ciò che costituisce l’oggetto  specifico della controversia quale delimitato a seguito della sentenza di primo  grado, e quindi del relativo appello e memorie all’esame, ed al cui riguardo è  stata disposta istruttoria dalla Sezione con la sentenza n. 4899 del 2010.
 
 4.2. A questo fine il Collegio giudica rilevante l’elemento, acquisito con la  detta istruttoria, della preesistente pronuncia resa il 16 ottobre 1997 dalla  Commissione provinciale per la tutela delle bellezze naturali di Cagliari,  operante ai sensi dell’articolo 2 e successivi della legge 29 giugno 1939, n.  1497, all’atto vigente, avente ad oggetto la proposta di apposizione di vincolo  paesaggistico ai sensi di tale legge; pronuncia successivamente richiamata nella  “Dichiarazione di notevole interesse pubblico ai sensi dell’art. 140 del D.lgs.  n. 42 del 22.01.2004 della zona Tuxiveddu-Tuvumannu nel Comune di Cagliari”  adottata dall’Assessore competente della Regione Sardegna con decreto 9 agosto  2006, n. 2323 (allegati alla nota dell’Assessorato agli enti locali della  Regione - Direzione generale della Pianificazione urbanistica territoriale e  Vigilanza edilizia, prot. n. 44620 del 13 dicembre 2010, sottoscritta dal  Direttore Generale)
 
 La rilevanza di tale pronuncia - preesistente al PPR e perciò oggettivamente da  ritenersi presupposta e nota all’atto della sua elaborazione, nonché recepita  come è suo proprio nell’atto di “Dichiarazione di notevole interesse pubblico”,  di cui sopra, adottata prima dell’approvazione del PPR- risulta da quanto segue:
 
 -il perimetro dell’area di cui qui si tratta, come qualificata nell’ambito e ai  sensi del PPR approvato con la delibera regionale n. 36/7 del 2006, coincide con  la perimetrazione delimitata ai fini del vincolo di cui alla citata pronuncia  del 1997 (come indicato nella suddetta nota della Regione, e allegati, e non  specificamente contestato dalle controparti in giudizio);
 
 -nella motivazione della pronuncia del 1997 si espongono analiticamente i vari  aspetti del sito che ne giustificano il vincolo, sotto i profili archeologico,  storico, architettonico, morfologico, inclusa la specifica considerazione delle  tombe puniche e romane e di altre testimonianze dell’epoca romana “oggi tutelate  con vincolo archeologico” (ci si riferisce al vincolo archeologico, diretto e  indiretto apposto su parte dell’area dal Ministero per i beni culturali e  ambientali in data 2 dicembre 1996), che “permettono sotto il profilo  paesaggistico la lettura dell’insieme e della morfologia originaria, rendendo  necessaria la ricomposizione paesistica attraverso l’azione di tutela, solo in  parte esercitata attraverso il citato vincolo archeologico che pur protegge una  rilevante porzione dell’area”;
 
 -pur potendosi affermare, come fatto nella sentenza di primo grado, che i due  procedimenti volti, l’uno, alla “Dichiarazione di notevole interesse pubblico  paesaggistico” (ai sensi, oggi, dell’art. 140 del d.lgs. n. 42 del 2004, in  sostanziale continuità con il contenuto e le finalità propri del precedente  procedimento di vincolo), l’altro, alla elaborazione del PPR, sono distinti ed  ispirati “a fini non del tutto coincidenti”, deve d’altro lato essere  considerato che:
 
 a) la “Dichiarazione” assessorile 9 agosto 2006, n. 2323 (Dichiarazione di  notevole interesse pubblico ai sensi dell'art. 140 del decreto legislativo n. 42  del 22 gennaio 2004 della zona Tuvixeddu - Tuvumannu nel comune di Cagliari)  riguarda le “aree indicate alle lettere c) e d) del comma 1 dell’art. 136”, cioè  “i complessi di cose immobili che compongono un caratteristico aspetto avente  valore estetico e tradizionale, ivi comprese le zone di interesse archeologico”  e “le bellezze panoramiche considerate come quadri…”(definizioni quasi identiche  a quelle dell’art. 1 della legge n. 1497 del 1939), di cui si riconosce  “l’interesse paesaggistico”;
 
 b) con questa dichiarazione si accerta perciò una valutazione d’insieme delle  caratteristiche dell’area rapportata al valore del paesaggio, e quindi  qualificatrice e analoga, per la prospettiva considerata e per l’interesse  pubblico tutelato, al tipo di valutazione dell’art. 134, lett. c) e dell’art.  143, comma 1, lett. i) in sede di formazione piani paesaggistici, ferma,  ovviamente, la diversa e ben maggiore ampiezza dell’oggetto e complessità dei  PPR, e perciò anche alla base della qualificazione di singole aree nell’ambito  dei piani stessi;
 
 c) vale rilevare - anche se non è questa la fattispecie, perché qui si introduce  un vincolo del “terzo genere” e non si recepisce uno del “primo” - che non a  caso è previsto dalla normativa che “i provvedimenti di dichiarazione di  interesse pubblico” e relativa “disciplina di tutela […] vanno a costituire  parte integrante del piano paesaggistico da approvare o da modificare”, a  conferma della oggettiva convergenza di metodi e fini dei due interventi di  accertamento che, pur distinti per procedimento e provvedimento, vanno a  convergere nel generale quadro del piano paesaggistico.
 
 5. Su questa base, come è nella specie, ai fini dell’apposizione del regime di  vincolo paesistico (ovvero, successivamente, della “Dichiarazione”), e poi della  formazione del PPR, viene considerata la stessa area, qualificata nel PPR come  “caratterizzata da preeesistenze con valenza storico culturale”. Viene con ciò  sostanzialmente valutato il medesimo insieme delle componenti che  connotativamente la distinguono. Si deve perciò concludere che:
 
 a) la ricognizione e tipizzazione di tale area quale, in sintesi, paesaggio  storico- culturale, ha nel PPR utile e sufficiente presupposto nella precedente  valutazione fatta ai fini del vincolo provvedimentale, mostrato dalla  coincidenza di perimetrazione, e che l’esercizio del potere pianificatorio  attribuito alla Regione, di qualificazione vincolistica dell’area nell’ambito  delle più ampie determinazioni del PPR stesso, non risulta viziato per difetto  di presupposto istruttorio.
 
 Nella specie, questa considerazione assorbe quella, più generale, per cui  l’introduzione dei vincoli paesaggistici del “terzo genere” (art. 134, lett. c)  d.lgs. n. 42 del 2004), per quanto comporti un controllo sui singoli interventi  analogo a quello dei vincoli tradizionali, è pur sempre espressione del più  ampio potere di pianificazione paesaggistica, dove l’intero territorio è, per la  natura stessa del piano paesaggistico regolato dal Codice dei beni culturali e  del paesaggio, necessariamente considerato nella sua globalità e assoggettato a  prescrizioni, anche più incisive, modulate al di fuori dei vincoli. Perciò, per  quanto concerne la rilevazione di quegli elementi fattuali, così come per  l’attribuzione delle qualificazioni e delle prescrizioni limitative della  modificabilità del paesaggio vincolato, similmente al resto del territorio non  richiede, oltre la ricognizione delle caratteristiche paesaggistiche,  un’indagine del medesimo spessore del vincolo provvedimentale amministrativo  (artt. 136 ss.), né una specifica motivazione.
 
 Di conseguenza, non pare si possa qui dichiarare illegittimo l’uso concreto  della discrezionalità tecnica propria del procedimento di pianificazione  paesaggistica, visto che comunque qui reitera un riconoscimento dell’esistenza  materiale della qualità di bene paesaggistico già fatto con un procedimento  della medesima Regione (che - è il caso di osservare - va a sovrapporsi a quello  provvedimentale, ma senza confondervisi).
 
 Resta stabilito, quanto alla concreta ed autonoma disciplina di salvaguardia,  che la regolamentazione definitiva dell’area è rinviata ad un’intesa tra Comune  e Regione, fermo che “all’interno dell’area individuata è prevista una zona di  tutela integrale, dove non è consentito alcun intervento di modificazione dello  stato dei luoghi, e una fascia di tutela condizionata” (art. 48, comma 2, delle  NTA).
 
 b) non solo: come sopra si è detto, ricorre qui la descritta ipotesi di un  vincolo da piano paesaggistico, la cui introduzione trova fondamento nell’art.  134, lett. c) del Codice (dunque dell’art. 143, comma 1, lett. i)).
 
 Il tema va qui ripreso ai fini della identificazione del percorso argomentativo  ricostruibile nella pianificazione paesistica qui al vaglio e va posto in  relazione alla tassonomia definita da questo PPR.
 
 L’art. 134, lett. c) del Codice è espressamente evocato dall’art. 47, comma 2,  lett. c) delle NTA del PPR (in ragione del quale sono sottoposte a vincolo da  piano le aree “caratterizzate da edifici e manufatti di valenza storico  culturale”, da ripartire secondo la previsione dell’art. 48, comma 1, lett. a))  e in concreto viene riferito all’area di cui qui si tratta.
 
 La ragionevolezza di questo nuovo vincolo, e del conseguente suo regime ex art.  48 delle NTA, è mostrata (diversamente da quanto assume la sentenza) dalle  emergenze archeologiche dell’area - seppur più ristretta - vincolata come bene  archeologico con il d.m. 2 dicembre 1996, e dall’attitudine che quella che ora  viene paesisticamente vincolata è funzionale alla conservazione del contesto di  giacenza del patrimonio archeologico nazionale già emerso, cioè rappresenta il  più ampio territorio delle presenze di rilievo archeologico (cfr. i ricordati  Cons. Stato, VI, 12 novembre 1990, n. 951; 10 dicembre 2003, n. 8145), già  oggetto del vincolo paesaggistico provvedimentale testé rammentato.
 
 Avendo qui riguardo alla qualificazione fatta in concreto dal piano, si conferma  che la sua funzione non si identifica con il vincolo archeologico di cui al d.m.  2 dicembre 1996. Quello è naturalmente di superficie più ristretta perché,  essendo finalizzato alla protezione non del paesaggio ma delle testimonianze  materiali dell’antichità, postula la loro emergenza o la ragionevole certezza  della loro esistenza, ancorché non ancora portate alla luce. La qualificazione  paesaggistica si fonda piuttosto sulla qualità di paesaggio da proteggere quale  contesto storico dell’area di emergenza archeologica, e dunque ben può essere,  per sua natura, di ampiezza superiore a quella. Il che nella specie è avvalorato  non solo dall’indiscussa presenza di quella specifica area, ma anche da  ulteriori ritrovamenti (pacifici per 22 ettari).
 
 Va ancor più considerato che, data la diversità di finalità, che è di  qualificazione come bene paesaggistico e non già come bene culturale, il vincolo  da piano paesaggistico non postula - quasi fosse un soverchio bis in idem - i  medesimi rigorosi presupposti di quello di bene culturale, dunque specifici  ritrovamenti archeologici, ma solo il documentato collegamento ubicazionale di  contestualità con un sito manifestamente archeologico: nella specie, quello  protetto con quel vincolo.
 
 Insomma, questa cura dell’interesse pubblico paesaggistico, diversamente da  quello culturale-archeologico, concerne la forma del paese circostante, non le  strette cose infisse o rinvenibili nel terreno con futuri scavi (di cui all’art.  10 del Codice). Perciò, una volta considerata da un lato l’esistenza della minor  area, già vincolata come bene culturale archeologico per le riscontrate copiose  emergenze, dall’altro le motivazioni emergenti sia dalla ricordata proposta  della Commissione provinciale per la tutela delle bellezze naturali di Cagliari  del 16 ottobre 1997, che dal ricordato decreto assessorile 9 agosto 2006, n.  2323 (che aggiungono al valore archeologico considerazioni di ordine storico  culturale), appare giustificato, e anzi coerente con la funzione del vincolo  paesistico, che il PPR abbia sottoposto l’intero contesto qui al vaglio ad un  vincolo del “terzo genere”.
 
 Coerente appare la specifica tipizzazione (come da incipit dell’allora art. 143,  comma 1, lett. i) del Codice), in “area con preesistenze con valore  storico-culturale”, collocata nel quadro dell’ “assetto [territoriale] storico  culturale” (che l’art. 47, comma 1, NTA definisce come “costituito dalle aree,  dagli immobili siano essi edifici o manufatti, che caratterizzano  l’antropizzazione del territorio a seguito di processi storici di lunga durata”;  e che nel concetto generale degli assetti del PPR, esposto all’art. 16 NTA, si  giustappone all’ “assetto ambientale” e all’ “assetto insediativo”, e con i  quali compone per ambiti l’assetto del territorio regionale). Questa  tipizzazione evidenzia un’autonoma specificità storica, meritevole in sé di  tutela paesaggistica in quanto area caratterizzata da edifici e manufatti di  valenza storico-culturale (artt. 47, comma 2 e 48, comma 1, lett. a)).
 
 La tipizzazione in “area con preesistenze con valore storico-culturale” appare -  alla luce del significato proprio delle parole richiamato dall’art. 12 delle  Preleggi e posto che le preesistenze non possono che essere edifici e manufatti  - indicare che si tratta di un’area con “edifici e manufatti di valenza  storico-culturale”; e manifestare, conformemente all’art. 47 NTA, la concreta  ricorrenza della qualità specifica dei beni che compongono l’assetto  storico-culturale regionale (sub specie di beni paesaggistici (art. 47, comma  2), piuttosto che di beni identitari (art. 47, comma 3).
 
 La tipizzazione appare ricondotta, più in particolare, alla qualificazione  dell’art. 47, comma 2, lett. c), n. 1 NTA, la quale comporta l’inclusione  dell’area stessa tra i beni paesaggistici in forza dell’art. 143, comma 1, lett.  i) del Codice: vale a dire, comporta l’imposizione del vincolo del “terzo  genere”, cioè dell’art. 134, lett. c), del Codice stesso.
 
 Con la tipizzazione in “area con preesistenze con valore storico-culturale”, più  in particolare, non vi è un’attribuzione di caratterizzazione atipica, come  sostanzialmente assume il Comune: ma piuttosto una sintesi delle caratteristiche  materiali su cui qui viene coerentemente basato l’accertamento costitutivo  richiamato dal detto art. 47, comma 2, lett. c), n. 1 NTA (vale a dire, ai fini  dell’introduzione del vincolo paesaggistico di cui si tratta).
 
 Questa tipizzazione non è in contraddizione, ma è l’affinamento, anche  all’esisto delle osservazioni, dell’iniziale qualifica di aree funerarie  archeologiche attribuita sede di adozione del PPR. Consequenziale è la  contestuale sottoposizione a specifiche misure di salvaguardia (ex art. 49 NTA).
 
 Pare il caso di considerare che non ridonda in danno dell’introduzione di  siffatto vincolo del terzo genere dell’art. 134 la vicenda successiva, autonoma  e distinta, del vincolo paesaggistico concretato nell’atto assessorile 9 agosto  2006, n. 2323: si tratta infatti di convergenza sostanziale circa i presupposti  ricognitivi per l’identificazione dell’area, non quanto a modalità della  qualificazione giuridica.
 
 Infine, è il caso di rammentare che per consolidata giurisprudenza la situazione  materiale di compromissione della bellezza naturale che sia intervenuta ad opera  di preesistenti realizzazioni, anziché impedire, maggiormente richiede che nuove  costruzioni non deturpino ulteriormente l’ambito protetto (Cons. Stato, VI, 13  febbraio 1976, n. 87; 11 giugno 1990, n. 600; 25 agosto 1995, n. 820; II, 17  giugno 1998, n. 53): non è dunque contraddittoria con l’imposizione del vincolo  la circostanza che, in una parte della perimetrazione, insistano di fatto  realizzazioni che a loro tempo abbiano contrastato i valori che per il futuro  con il PPR si intende proteggere.
 
 6. Per quanto considerato l’appello è fondato e deve essere perciò accolto.
 
 La complessità della controversia giustifica la compensazione delle spese dei  due gradi del giudizio.
 P.Q.M.
 Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) accoglie l’appello  in epigrafe.
 
 Spese dei due gradi compensate.
 
 Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
 
 Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 25 gennaio 2011 con  l'intervento dei magistrati:
 
 Giuseppe Severini, Presidente
 Rosanna De Nictolis, Consigliere
 Maurizio Meschino, Consigliere, Estensore
 Roberto Garofoli, Consigliere
 Manfredo Atzeni, Consigliere
 
 L'ESTENSORE
IL PRESIDENTE
 
 
 DEPOSITATA IN SEGRETERIA
 Il 03/03/2011
 
                    




