 TAR Campania (NA) Sez. II n. 28016 del 23 dicembre 2010
TAR Campania (NA) Sez. II n. 28016 del 23 dicembre 2010
Urbanistica. Deroga allo strumento attuativo 
 
Il principio affermato dalla giurisprudenza prevalente secondo il quale, ai fini del rilascio della concessione edilizia, nelle zone già urbanizzate è consentito derogare all’obbligo dello strumento attuativo (piano particolareggiato o piano di lottizzazione convenzionata), può trovare applicazione solo nell’ipotesi, del tutto eccezionale, che si sia già realizzata una situazione di fatto che da quegli strumenti consenta con sicurezza di prescindere, in quanto risultano oggettivamente non più necessari, essendo stato pienamente raggiunto il risultato (id est: l’adeguata dotazione di infrastrutture, primarie e secondarie previste dal piano regolatore) cui sono finalizzati. Per l’applicazione del principio, insomma, è necessario che lo stato delle urbanizzazioni sia tale da rendere assolutamente superflui gli strumenti attuativi. Tale situazione, del tutto peculiare, deve essere ovviamente accertata in riferimento all’intero contenuto previsto dal piano regolatore generale. La stessa, cioè, deve concernere le urbanizzazioni primarie e quelle secondarie in riferimento all’assetto definitivo dell’intero ambito territoriale di riferimento. La verifica, pertanto, non può essere limitata alle sole aree di contorno dell’edificio progettato, ma deve riguardare l’intero comprensorio che dagli strumenti attuativi dovrebbe essere pianificato. Ogni altra soluzione avrebbe evidentemente il torto di trasformare lo strumento attuativo in un atto sostanzialmente facoltativo, non più necessario ogniqualvolta, a causa di precedenti abusi edilizi sanati, di preesistenti edificazioni ovvero del rilascio di singole concessioni edilizie illegittime, il comprensorio abbia già subito una qualche urbanizzazione, anche se la stessa non soddisfa pienamente le indicazioni del piano regolatore.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
N. 28016/2010 REG.SEN.
 N. 04768/2005 REG.RIC.
 Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania
 
 (Sezione Seconda)
 ha pronunciato la presente
SENTENZA
 sul ricorso numero di registro generale 4768 del 2005, integrato da motivi  aggiunti, proposto da:
 Maisto Orazio, rappresentato e difeso dall'avv. Emanuele D'Alterio ed  elettivamente domiciliato presso lo studio del medesimo difensore in Napoli, al  viale Gramsci n.19;
 contro
 Comune di Mugnano di Napoli, in persona del legale rappresentante pro – tempore,  rappresentato e difeso dagli avv. Alfredo Contieri e Giovanni Leone ed  elettivamente domiciliato presso lo studio di quest’ultimo difensore in Napoli,  viale A.Gramsci,14;
 
 per l'annullamento
 
 A) quanto al ricorso principale, dell’ordinanza di demolizione n. 11 prot.llo n.  4963 dell’01/04/2005;
 
 B) quanto ai motivi aggiunti,
 
 - dell’ordinanza di demolizione n. 70/2005 del 13.2.2006;
 
 - del provvedimento di diniego comunicato con nota prot.llo 1554 del 22.1.2009;
 
 - della nota prot.llo n. 4744 dell’8.3.2010;
 
 Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;
 Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Mugnano di Napoli;
 Viste le memorie difensive;
 Visti tutti gli atti della causa;
 
 Relatore nell'udienza pubblica del giorno 25 novembre 2010 il dott. Umberto  Maiello e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
 
 Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
 FATTO
 Con il gravame principale, il ricorrente impugna l’ordinanza n. 11 prot.llo 4963  dell’1.4.2005, con cui il Comune di Mugnano di Napoli ha ingiunto la demolizione  di una struttura in ferro ampia mq. 80 ed alta ml. 3,50, realizzata senza alcun  titolo abilitativo.
 
 Avverso il precitato atto il ricorrente ha articolato le seguenti censure:
 
 1) il provvedimento impugnato sarebbe illegittimo perché non indica l’area che  verrebbe acquisita di diritto, e gratuitamente, al patrimonio comunale;
 
 2) il Comune intimato avrebbe eluso l’obbligo di cui all’art. 7 della legge n.  241/1990, omettendo di assicurare effettività alla prescritte garanzie di  partecipazione al procedimento;
 
 3) il provvedimento impugnato non risulterebbe, infine, corredato di una  pertinente ed esaustiva motivazione.
 
 Con atto depositato il 27.4.2006, il ricorrente ha integrato le originarie  doglianze, estendendo la proposta impugnazione anche all’ordinanza n. 2556 del  13.2006, spedita dal Comune di Mugnano a seguito dell’abusiva prosecuzione dei  lavori che consentivano, di fatto, il completamento dell’opera (come esplicitato  nella relazione istruttoria, la struttura realizzata è oggi ampia mq. 92,50  circa ed alta ml. 3,20, per un volume complessivo di 296 mc. E’ stata accertata  la chiusura perimetrale con vetri blindati, nonché la realizzazione di  tramezzature interne, impianti tecnologici, pavimentazione, controsoffittatura),  salvo che per la pitturazione degli interni.
 
 Segnatamente, oltre a riproporre alcune censure già introdotte con il primo  mezzo di gravame (mancata indicazione dell’area che verrebbe acquisita di  diritto, e gratuitamente, al patrimonio comunale e difetto di motivazione), ha  contestato la violazione dell’art. 36 del d.p.r. 380/2001, atteso che, fin dal  22.7.2005, risulterebbe pendente una domanda di sanatoria.
 
 Con ulteriori motivi depositati il 23.6.2009, il ricorrente ha attratto nel  fuoco della contestazione anche il provvedimento n. 19936 del 21.11.2005,  reiettivo della domanda di sanatoria, deducendo l’assenza di qualsivoglia  supporto di ordine argomentativo a sostegno dell’opposto diniego.
 
 Con ordinanza istruttoria n. 690/09 del 10.11.2009 la Sezione ha disposto  incombenti istruttori a carico del Comune di Mugnano, rinnovando la suddetta  decisione interlocutoria con ordinanza n. 78 del 5.2.2010. Ad essa ha dato  riscontro l’Ente intimato con relazione n. 4744 dell’8.3.2010.
 
 Avverso tale relazione, con ulteriori motivi aggiunti depositati il 25.5.2010,  il ricorrente deduce che:
 
 1) la struttura realizzata è un’opera precaria, pertinenziale e destinata ad un  uso temporaneo;
 
 2) l’area sarebbe già urbanizzata e dotata di tutte le opere di urbanizzazione;
 
 Resiste in giudizio il Comune di Mugnano.
 
 All’udienza del 25.11.2010 il ricorso è stato trattenuto in decisione.
 DIRITTO
 Il ricorso, come integrato dai motivi aggiunti, è infondato e, pertanto, va  respinto.
 
 Giusta quanto anticipato nella narrativa in fatto, mette conto evidenziare che  il ricorrente ha realizzato senza alcun titolo abilitativo una struttura in  ferro ampia mq. 92,50 circa ed alta ml. 3,20, per un volume complessivo di 296  mc, chiusa perimetralmente con vetri blindati, ed oramai già dotata – per  effetto dell’abusiva prosecuzione dei lavori pervicacemente effettuata con  violazione dei sigilli –di tramezzature interne, impianti tecnologici,  pavimentazione e controsoffittatura.
 
 La suddetta vicenda costituisce il punto di riferimento di diversi procedimenti  sanzionatori e di diniego di sanatoria, tutti confluiti – per effetto della  tempestiva articolazione di motivi aggiunti – nel rapporto controverso  sottoposto all’attenzione del Collegio.
 
 In prospettiva metodologia appare utile soffermarsi, anzitutto, sul  provvedimento di diniego (determina prot.llo 1554 del 22.1.2009) con cui il  Comune di Mugnano ha respinto l’istanza di accertamento di conformità avanzata  dal ricorrente.
 
 E ciò anche e soprattutto perché il provvedimento di diniego vale a suggellare,  in via definitiva, un contrasto effettivo e di ordine sostanziale delle opere  realizzate con il regime urbanistico di riferimento, sì da rendere – ove  confermato – dovute le misure sanzionatorie di tipo ripristinatorio adottate dal  Comune.
 
 Tanto premesso, mette conto evidenziare che la reiezione dell’istanza di  sanatoria – giusta quanto si evince dagli esiti della svolta istruttoria - è  dovuta al fatto che l’area oggetto d’intervento è classificata nel vigente  P.R.G. come zona D3 (Insediamenti Produttivi P.I.P) ed il relativo regime  urbanistico (art. 21 delle n.a.) subordina ogni intervento alla preventiva  redazione ed approvazione di p.p.e., giammai approvati.
 
 In ragione di quanto evidenziato, il Comune di Mugnano – registrato il suddetto  contrasto con il locale regime urbanistico - ha concluso con un atto di diniego  il procedimento di accertamento di conformità attivato dal ricorrente.
 
 Le censure articolate avverso tale provvedimento con motivi aggiunti del  23.6.2009 e del 25.5.2010 sono manifestamente infondate.
 
 Può ritenersi, anzitutto, superata la doglianza con cui parte ricorrente (nei  motivi aggiunti del 23.6.2009) lamenta l’insufficienza del corredo motivazionale  dell’avversato provvedimento di diniego, le cui ragioni giustificative devono  ritenersi ampiamente chiarite anche a seguito della relazione prodotta in  giudizio dal Comune di Mugnano, che costituisce un valido supporto argomentativo  idoneo ad integrare l’originario corredo motivazionale del provvedimento  impugnato.
 
 Tanto in aderenza al nuovo schema normativo recepito all’art. 21 octies della  legge 241/1990, quale risultante dalla recente novella, che, com’è noto, ha  introdotto, in via di eccezione, una deroga al regime di annullabilità dell’atto  per vizi formali, inibendo la pronuncia di decisioni a contenuto demolitorio  qualora, per la natura vincolata del provvedimento, sia palese che il suo  contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto  adottato.
 
 Prive di pregio si rivelano, poi, le residue doglianze articolate con i motivi  aggiunti del 25.5.2010.
 
 Segnatamente, rispetto alle nuove argomentazioni difensive con cui la ricorrente  rivendica la natura precaria e pertinenziale dell’opera realizzata, va,  anzitutto, rilevata la tardività della censura, introdotta ben oltre i termini  di cui all’art. 21 della legge n. 1034/1971 (l’originario ordine di demolizione  - n. 11 prot.llo 4963 – è, infatti, stato spedito in data 1.4.2005).
 
 Ad ogni buon conto, tale doglianza è priva di pregio.
 
 La piana lettura del provvedimento impugnato riflette con evidenza la rilevanza  edilizia del contestato abuso, fatta palese dalle apprezzabili dimensioni della  nuova struttura (struttura in ferro ampia mq. 92,50 circa ed alta ml. 3,20, per  un volume complessivo di 296 mc, chiusa perimetralmente con vetri blindati, ed  oramai già dotata – per effetto dell’abusiva prosecuzione dei lavori  pervicacemente effettuata con violazione dei sigilli –di tramezzature interne,  impianti tecnologici, pavimentazione e controsoffittatura), cui si riconnette  una significativa trasformazione del manufatto preesistente e che, pertanto, non  può non essere ricondotta alla tipologia delle nuove costruzioni.
 
 Del resto, è noto che la nozione di costruzione, ai fini del rilascio del  permesso di costruire, si configura in presenza di opere che attuino una  trasformazione urbanistico-edilizia del territorio, con perdurante modifica  dello stato dei luoghi, a prescindere dal fatto che essa avvenga mediante  realizzazione di opere murarie, essendo irrilevante che le opere siano state  realizzate in metallo, in laminati di plastica, in legno o altro materiale, ove  si sia in presenza di un’evidente trasformazione del tessuto urbanistico ed  edilizio e le opere siano preordinate a soddisfare esigenze non precarie sotto  il profilo funzionale (cfr. ex multis C.d.S., Sez. IV, N. 2705/2008 in tal senso  anche Consiglio Stato, V, 13.6.2006, n.3490).
 
 Le divisate risultanze istruttorie – segnatamente quelle relative alle  caratteristiche costruttive che rendono evidente la natura non precaria  dell’opera – fanno propendere per la sussumibilità della fattispecie in esame  nelle categorie di illecito di cui all’art. 31 del d.p.r. 380/2001, rispetto  alle quali resta predicabile un’unica sanzione, giustappunto quella  ripristinatoria della demolizione.
 
 Analogamente, rispetto alla pretesa natura pertinenziale dell’opera, è  sufficiente obiettare che la nozione edilizia di pertinenzialità ha connotati  diversi da quelli civilistici: la res deve essere preordinata ad un'oggettiva  esigenza dell'edificio principale, funzionalmente ed oggettivamente inserita al  servizio dello stesso, sfornita di un autonomo valore di mercato, non valutabile  in termini di cubatura o comunque dotata di un volume minimo tale da non  consentire, in relazione anche alle caratteristiche dell'edificio principale,  una sua destinazione autonoma e diversa da quella a servizio dell'immobile cui  accede.
 
 Le suddette caratteristiche non risultano in alcun modo comprovate dalla parte  ricorrente, che non si è nemmeno peritata di enunciarle nel proprio mezzo di  impugnazione.
 
 Parimenti infondata è l’ulteriore censura fondata sull’osservazione diretta di  opere di urbanizzazione primaria e secondaria, oltre che sulla riscontrata  esistenza di vasti insediamenti abitativi nella zona omogenea di riferimento.
 
 Di contro, la Sezione, richiamando un orientamento già ripetutamente espresso,  osserva che il principio affermato dalla giurisprudenza prevalente secondo il  quale, ai fini del rilascio della concessione edilizia, nelle zone già  urbanizzate è consentito derogare all’obbligo dello strumento attuativo (piano  particolareggiato o piano di lottizzazione convenzionata), può trovare  applicazione solo nell’ipotesi, del tutto eccezionale, che si sia già realizzata  una situazione di fatto che da quegli strumenti consenta con sicurezza di  prescindere, in quanto risultano oggettivamente non più necessari, essendo stato  pienamente raggiunto il risultato (id est: l’adeguata dotazione di  infrastrutture, primarie e secondarie previste dal piano regolatore) cui sono  finalizzati.
 
 Per l’applicazione del principio, insomma, è necessario che lo stato delle  urbanizzazioni sia tale da rendere assolutamente superflui gli strumenti  attuativi.
 
 Tale situazione, del tutto peculiare, deve essere ovviamente accertata in  riferimento all’intero contenuto previsto dal piano regolatore generale.
 
 La stessa, cioè, deve concernere le urbanizzazioni primarie e quelle secondarie  in riferimento all’assetto definitivo dell’intero ambito territoriale di  riferimento.
 
 La verifica, pertanto, non può essere limitata alle sole aree di contorno  dell’edificio progettato, ma deve riguardare l’intero comprensorio che dagli  strumenti attuativi dovrebbe essere pianificato.
 
 Ogni altra soluzione avrebbe evidentemente il torto di trasformare lo strumento  attuativo in un atto sostanzialmente facoltativo, non più necessario  ogniqualvolta, a causa di precedenti abusi edilizi sanati, di preesistenti  edificazioni ovvero del rilascio di singole concessioni edilizie illegittime, il  comprensorio abbia già subito una qualche urbanizzazione, anche se la stessa non  soddisfa pienamente le indicazioni del piano regolatore (cfr. T.A.R. Campania,  Napoli, II, 15 marzo 2004 n. 2925; n°11664/2004).
 
 Orbene, nella divisata prospettiva, mette conto evidenziare che nessun elemento  versato in atti a corredo delle generiche prospettazioni di parte consente di  accreditare la sussistenza di una situazione simile a quella sopra descritta,  non essendosi la parte ricorrente peritata di produrre contributi tecnici ovvero  descrittivi che valessero, anche come mero principio di prova, a supportare  (anche nei soli termini di verosimiglianza) le proprie deduzioni.
 
 Acclarata, dunque, la legittimità del provvedimento di diniego a cagione  dell’evidenziato contrasto del manufatto realizzato rispetto alla disciplina  urbanistica di riferimento, anche le doglianze che investono l’ordine di  demolizione si rivelano prive di pregio.
 
 Anzitutto, priva di pregio si rivela la doglianza con cui parte ricorrente  lamenta la violazione delle garanzie di partecipazione al procedimento, la cui  cura è imposta all’Autorità procedente dall’art. 7 della legge 241/1990.
 
 Dirimente in senso ostativo alle pretese attoree appaiono le previsioni di cui  all’art. 21 octies della legge 241/1990, secondo cui non è annullabile il  provvedimento adottato in violazione di norme sul procedimento o sulla forma  degli atti qualora, per la natura vincolata del provvedimento, sia palese che il  suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in  concreto adottato.
 
 L’inconferenza della censura in esame discende, invero, dalla ineluttabilità  della sanzione repressiva comminata dal Comune di Mugnano, anche a cagione  dell’assenza di specifici e rilevanti profili di contestazione in ordine ai  presupposti di fatto e di diritto che ne costituiscono il fondamento  giustificativo, sicchè alcuna alternativa sul piano decisionale si poneva  all’Amministrazione procedente.
 
 Né può essere revocata in dubbio la completezza dell’ordito motivazionale,  pienamente idoneo a suffragare il contestato abuso.
 
 A tal riguardo, mette conto evidenziare che la tipologia costruttiva e le  dimensioni del contestato manufatto, che integra una nuova costruzione,  riflettono con assoluta evidenza la sussistenza del contestato abuso che, in  ragione della innegabile trasformazione edilizia ed urbanistica del territorio  che ad esso si riconnette, imponeva il previo rilascio di uno specifico permesso  di costruire che valesse ad autorizzarne l’esecuzione.
 
 Di contro, la realizzazione dell’opera in contestazione, in mancanza del  suddetto titolo abilitativo, di per se stessa, fondava la reazione repressiva  dell’organo di vigilanza, che, nell’ambito della disciplina di settore, assurge  ad atto dovuto.
 
 In altri termini, nello schema giuridico delineato dall’art. 31 del d.p.r.  380/2001 non vi è spazio per apprezzamenti discrezionali, atteso che l’esercizio  del potere repressivo di un abuso edilizio consistente nell’esecuzione di  un’opera in assenza del titolo abilitativo costituisce atto dovuto, per il quale  è "in re ipsa" l’interesse pubblico alla sua rimozione ( cfr. T.A.R. Campania,  Sez. IV, 24 settembre 2002, n. 5556; 4 luglio 2001, n. 3071; Consiglio Stato,  sez. IV, 27 aprile 2004, n. 2529).
 
 Una volta accertata l'esecuzione di opere in assenza di concessione ovvero in  difformità totale dal titolo abilitativo, non costituisce, dunque, onere del  Comune verificare la sanabilità delle opere in sede di vigilanza sull'attività  edilizia (T.A.R. Campania, Sez. IV, 24 settembre 2002, n. 5556; T.A.R. Lazio,  sez. II ter, 21 giugno 1999, n. 1540).
 
 In definitiva, l’atto può ritenersi sufficientemente motivato per effetto della  stessa descrizione dell’abuso accertato, presupposto giustificativo necessario e  sufficiente a fondare la spedizione della misura sanzionatoria.
 
 Né può ritenersi rilavante, in questa fase, la mancanza di una perimetrazione  dell’area da acquisire.
 
 Il contenuto essenziale dell'ingiunzione di demolizione deve essere, infatti,  individuato in relazione alla funzione tipica del provvedimento, che è quella di  prescrivere la rimozione delle opere abusive. Pertanto, ai fini della  legittimità dell'atto è necessaria e sufficiente l'analitica indicazione delle  opere abusivamente realizzate in modo da consentire al destinatario della  sanzione di rimuoverle spontaneamente; l'indicazione dell'area di sedime,  quindi, non deve essere necessariamente presente nell'ordinanza di demolizione  ma può essere contenuta nel successivo atto dichiarativo dell'acquisizione (cfr.  ex multis T.A.R. Lazio Roma, sez. I, 09 febbraio 2010 , n. 1785).
 
 Giova, inoltre, osservare per mera completezza, rispetto alle censure articolate  avverso il secondo ordine di demolizione (n. 70/2005 del 13.2.2006), che il  valido esercizio del potere di repressione dell’abuso in argomento non era  impedito dalle condizioni ostative indicate nell’atto di gravame. La parte  ricorrente aveva, invero, eccepito la pendenza di una domanda di accertamento di  conformità che, però, risulta presentata in data 22.7.2005.
 
 Il Comune di Mugnano non si è pronunciato sulla menzionata istanza nel termine  di 60 gg., favorendo in tal modo la formazione del cd. silenzio – rigetto, di  talchè alla scadenza del suddetto termine (e dunque ben prima dell’adozione del  precitato ordine demolitorio n. 70/2005 del 13.2.2006) il procedimento era già  concluso.
 
 Sul punto è, poi, sufficiente aggiungere che tale arresto provvedimentale  (intervenuto per silentium) è stato fatto oggetto di esplicita conferma con il  provvedimento di diniego prot.llo n. 1554 del 22.1.2009, la cui validità è stata  già sopra scrutinata.
 
 Conclusivamente, ribadite le svolte considerazioni, il ricorso va respinto.
 
 Sussistono ciò nondimeno giusti motivi per compensare le spese di giudizio,  anche perché il Comune di Mugnano si è costituito con memoria di stile, sì da  rendere necessaria l’acquisizione di chiarimenti mediante la spedizione di ben  due ordinanze istruttorie. Restano, comunque, definitivamente a carico della  soccombente parte ricorrente gli oneri per il contributo unificato.
P.Q.M.
 Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania, Sezione Seconda,  definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo  respinge.
 
 Spese come da motivazione.
 
 Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
 
 Così deciso in Napoli nella camera di consiglio del giorno 25 novembre 2010 con  l'intervento dei magistrati:
 
 Carlo D'Alessandro, Presidente
 Anna Pappalardo, Consigliere
 Umberto Maiello, Consigliere, Estensore
 
 L'ESTENSORE
IL PRESIDENTE
 
 
 DEPOSITATA IN SEGRETERIA
 Il 23/12/2010
 
                    



