 T.A.R. Veneto Sez. II n. 185 del 1 febbraio 2011
T.A.R. Veneto Sez. II n. 185 del 1 febbraio 2011
Urbanistica. Distanze tra edifici
Il D.M. 2 aprile 1968 n. 1444 - là dove all'art. 9 prescrive in tutti i casi la distanza minima assoluta di metri dieci tra pareti finestrate e pareti di edifici antistanti - è norma che impone determinati limiti edilizi ai comuni nella formazione o revisione degli strumenti urbanistici, ma non è immediatamente operante anche nei rapporti tra privati. E da ciò deriva che l'adozione, da parte degli enti locali, di strumenti urbanistici contrastanti con la norma comporta l'obbligo, per il giudice di merito, non solo di disapplicare le disposizioni illegittime, ma anche di applicare direttamente la disposizione del ricordato art. 9, divenuta, per inserzione automatica, parte integrante dello strumento urbanistico in sostituzione della norma illegittima disapplicata.
N. 00185/2011 REG.PROV.COLL.
 N. 01929/2009 REG.RIC.
 
 REPUBBLICA ITALIANA
 IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
 Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto
 
 (Sezione Seconda)
 ha pronunciato la presente
 SENTENZA
 sul ricorso numero di registro generale 1929 del 2009, proposto da Antonio Bumma  e Giuliana Dalla Dea, rappresentati e difesi dagli avv. Debora Stoppa e  Francesco Acerboni, con domicilio eletto presso lo studio di quest’ultimo in  Venezia – Santa Croce 312/A;
 contro
 il Comune di Rovigo, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso  dall’avv. Ferruccio Lembo, con domicilio ex lege (art. 25 c.p.a.) presso la  Segreteria di questo T.A.R.;
 
 nei confronti di
 
 Luca Masiero e Vanessa Zanardi, rappresentati e difesi dall'avv. Francesco  Mazzarolli, con domicilio ex lege (art. 25 c.p.a.) presso la Segreteria di  questo T.A.R.;
 
 per l'annullamento
 
 del permesso di costruire in sanatoria n. 138 rilasciato dal Comune di Rovigo ai  controinteressati Luca Masiero e Vanessa Zanardi in data 8 giugno 2009;
 del parere della Commissione edilizia del Comune di Rovigo espresso nella seduta  del 17 febbraio 2009;
 del parere espresso dall'Ufficio Legale del Comune di Rovigo in data 13 febbraio  2009;
 di ogni altro atto presupposto, collegato, inerente, conseguente e derivato  comprese, per quanto di interesse, le note istruttorie del dirigente del settore  urbanistica del Comune di Rovigo in data 22 gennaio 2009 prot. P.G. 40373 del 4  luglio 2008 e del tecnico istruttore in data 26 agosto 2008, prot. n. 40373 del  4 luglio 2008 UT 809;
 nei limiti dell’interresse, dell’art. 5, lett. L, delle NTA del vigente PRG del  Comune di Rovigo.
 
 
 Visti il ricorso e i relativi allegati;
 Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di Rovigo e di Luca  Masiero e di Vanessa Zanardi;
 Viste le memorie difensive;
 Visti tutti gli atti della causa;
 
 Relatore nell'udienza pubblica del giorno 16 dicembre 2010 la dott.ssa Brunella  Bruno e uditi per le parti i difensori Stoppa per i ricorrenti, Lembo per il  Comune intimato e Mazzarolli per i Sig.ri Masiero e Zanardi;
 
 Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
 FATTO
 In data 23 marzo 2007 Luca Masiero e Vanessa Zanardi – proprietari di un  immobile sito nel Comune di Rovigo, in via Trieste 101 e censito catastalmente  al fg. 18, mapp. 496, 921 e 925 – hanno presentato una D.I.A. avente ad oggetto  la realizzazione di una recinzione perimetrale a protezione e delimitazione  della loro proprietà.
 
 L’amministrazione comunale, a seguito delle segnalazioni presentate da Antonio  Bumma e Giuliana Dalla Dea – proprietari dell’immobile confinante con quello del  Masiero e della Zanardi – ha effettuato taluni riscontri ed approfondimenti;  nello specifico, in data 7 dicembre 2007, la polizia locale ha accertato, in  sede di sopralluogo, che “sul lato posto a nord dell’area cortiliva è stata  realizzata, in confine con le proprietà limitrofe, una recinzione in  calcestruzzo e sovrastante rete metallica alta circa 1,00 metri. In  corrispondenza della proprietà Bumma/Della Dea, situata in viale della Pace n.  n.72, l’opera edile è stata eseguita in adiacenza ad una recinzione preesistente  costituita da un muro in calcestruzzo largo metri 0,23 ed alto metri 0,30 con  sovrastante rete metallica. Il nuovo manufatto cementizio, dell’area cortiliva  della proprietà Masiero/Zanardi viene rilevato circa per una lunghezza di metri  5,95, di altezza 1,77 e spessore metri 0,20. L’opera così eseguita funge da mura  di contenimento del terreno il cui livello, nell’area, è stato rialzato  mediamente di circa metri 1,00”.
 
 Con la nota prot. n. 8374/2008 del 18 febbraio 2008 l’amministrazione comunale  ha comunicato al Masiero ed alla Zanardi l’avvio del procedimento volto  all’accertamento dell’abuso edilizio consistito nella realizzazione del muro di  contenimento suddetto e sollecitato chiarimenti.
 
 Il Masiero e la Zanardi hanno, quindi, presentato una domanda di sanatoria ai  sensi dell’art. 37 del d.p.r. n. 380 del 2001, positivamente riscontrata  dall’amministrazione che, in data 8 giugno 2009, ha rilasciato il permesso di  costruire in sanatoria.
 
 Il suddetto titolo edilizio, unitamente agli altri atti indicati in epigrafe,  sono stati impugnati da Antonio Bumma e da Giuliana Dalla Dea con il ricorso  introduttivo del presente giudizio.
 
 Avverso i provvedimenti gravati sono stati dedotti i seguenti motivi di ricorso.
 
 Con la prima censura la difesa dei ricorrenti ha lamentato la violazione del  d.m. n.1444 del 1968 nonché la falsa applicazione degli artt. 5 e 7 delle N.T.A.  del P.R.G. di Rovigo, evidenziando il carattere eccezionale della previsione  contenuta nell’art. 5 sopra citato, l’impossibilità di un’applicazione congiunta  con il successivo art. 7 e l’inderogabilità della disciplina relativa alle  distanze tra i corpi di fabbrica.
 
 Con il secondo motivo di ricorso è stato dedotto il vizio di eccesso di potere  per travisamento dei fatti e falsità dei presupposti nonché l’erronea  applicazione dell’art. 5 lett. L delle N.T.A. del P.R.G. di Rovigo, a motivo  delle caratteristiche proprie del muro che presenta un’altezza superiore agli 80  cm previsti dalla normativa comunale con conseguente piena applicazione delle  disposizioni in materia di distanze tra fabbricati.
 
 Con il terzo motivo di ricorso è stata censurata la violazione dell’art. 9 del  d.m. 2 aprile 1968 in relazione alle distanze dei manufatti dalle pareti  finestrate ed è stato anche impugnato l’art. 5 lett. L. delle N.T.A. in quanto  in contrasto con la normativa statale inderogabile.
 
 Il quarto mezzo di impugnazione si appunta sull’illegittimità del parere  espresso dalla commissione edilizia e sul vizio di eccesso di potere per  travisamento dei fatti ed erroneità dei presupposti anche in relazione al parere  legale acquisito dall’amministrazione nel corso dell’istruttoria. La difesa  della ricorrente contesta, peraltro, la ricostruzione in punto di fatto operata  dall’amministrazione.
 
 Con il quinto motivo di ricorso è stata censurata la violazione dell’art. 26  delle N.T.A. del Comune di Rovigo in quanto, costituendo il muro di contenimento  una nuova costruzione, la realizzazione di tale opera non risulta compatibile  con la suddetta disposizione delle N.T.A.; tale norma, infatti, in relazione  alle zone A1B- aree ovvero edifici di valore storico- ambientale con relativo  grado di protezione – dispone che “nel caso di edifici singoli, isolati o in  aggregazione per i quali sia previsto il restauro e il risanamento conservativo,  l’area libera di contorno agli stessi, individuata nelle tavole di P.R.G., deve  considerarsi inedificabile in quanto costituente parte inscindibile  dell’edificio e/o delle aggregazioni predette”.
 
 Il Comune di Rovigo ed i controinteressati si sono costituiti in giudizio per  resistere al gravame, concludendo per la reiezione dello stesso in quanto  infondato.
 
 Con ordinanza n.977 del 28 ottobre 2009 questa Sezione ha rigettato la domanda  cautelare, valutando il periculum non particolarmente grave in rapporto agli  altri interessi coinvolti.
 
 All’udienza del 16 dicembre 2010 difensori comparsi hanno ribadito le rispettive  conclusioni, dopo di che la causa è stata trattenuta per la decisione.
 DIRITTO
 1.Il Collegio ritiene di poter procedere direttamente all’esame del merito, non  essendo stata sollevata alcuna eccezione preliminare e non emergendo questioni  rilevabili d’ufficio.
 
 2 Il ricorso è fondato per le ragioni di seguito esposte.
 
 2.1. Preliminarmente il Collegio sottolinea che, per giurisprudenza ormai  consolidata, in tema di distanze legali, il muro di contenimento di una scarpata  o di un terrapieno naturale non può considerarsi "costruzione" agli effetti  della disciplina di cui all'art. 873 c.c. per la parte che adempie alla sua  specifica funzione, e, quindi, dalle fondamenta al livello del fondo superiore,  qualunque sia l'altezza della parete naturale o della scarpata o del terrapieno  cui aderisce, impedendone lo smottamento; la parte del muro che si innalza oltre  il piano del fondo sovrastante, invece, in quanto priva della funzione di  conservazione dello stato dei luoghi, è soggetta alla disciplina giuridica  propria delle sue oggettive caratteristiche di costruzione in senso tecnico  giuridico, ed alla medesima disciplina devono ritenersi soggetti, perché  costruzioni nel senso sopra specificato, il terrapieno ed il relativo muro di  contenimento elevati ad opera dell'uomo per creare un dislivello artificiale o  per accentuare il naturale dislivello esistente (cfr., ex multis, Cass. Civ.,  sez. II, 10 gennaio 2006, n. 145; Cons. St., Sez. IV, 24 aprile 2009, n.2579;  Cons. St, Sez. V, 28 giugno 2000, n.3637).
 
 2.2. Nella fattispecie oggetto di giudizio assume centrale rilevanza, dunque, la  verifica in ordine alla preesistenza di un dislivello naturale tale da rendere  necessaria la realizzazione del muro allo scopo di contenimento del terreno,  onde evitare pericoli di frane e smottamenti.
 
 2.3 Dalla documentazione versata in atti e dalle allegazioni sia  dell’amministrazione resistente sia dei controinteressati non emergono elementi  idonei a sostenere che il muro, abusivamente edificato, avesse la funzione di  contenere un terreno già in origine esistente e ceduo.
 
 A tal fine, infatti, non risulta affatto significativa la circostanza che tra le  proprietà interessate esista una differenza di quota di 1,40 metri; ciò in  quanto, in assenza di ulteriori allegazioni idonee ad evidenziare la rilevanza  di tale dato in rapporto ad altri elementi, tra i quali anche alla pendenza ed  all’andamento del terreno – che era onere degli interessati produrre – non può  ritenersi provata l’esistenza sia della preesistenza della massa di terreno sia  delle caratteristiche dimensionali di tale massa.
 
 In base alla citata giurisprudenza, infatti, il terrapieno ed il muro di  contenimento rilevano quali nuove costruzioni non solo nel caso il cui il  dislivello sia stato prodotto artificialmente ma pure quando il dislivello già  esistente sia stato aumentato.
 
 Neanche soccorre, in senso contrario, la documentazione fotografica prodotta  dalla quale emerge che il muro, dell’altezza di metri 1,77 e sormontato da rete  metallica, è stato realizzato in aderenza ad un preesistente zoccolo in muratura  avente un’altezza di soli 0,30mt. e che i terreni circostanti non presentano  significativi dislivelli.
 
 Sussistono, anzi, elementi idonei ad essere apprezzati al fine proprio di  escludere la preesistenza di un dislivello naturale.
 
 Nel verbale redatto dalla polizia locale di Rovigo in data 20 dicembre 2007 in  esito al sopralluogo eseguito, infatti, si afferma testualmente che “l’opera  muraria così eseguita funge da mura di contenimento del terreno il cui livello,  nell’area cortiliva indicata in oggetto, è stato rialzato mediatamente di circa  mt. 1,00”.
 
 Non è un caso, peraltro, che proprio l’amministrazione comunale, nella  comunicazione di avvio del procedimento volto all’accertamento dell’abuso  edilizio, non ha mancato di chiedere chiarimenti in relazione al rialzamento  artificiale del terreno.
 
 2.4 L’opera, dunque, rileva quale nuova costruzione con conseguente applicazione  delle disposizioni in materia di distanze, tra le quali, in primis, quelle di  cui al d.m. n. 1444 del 1968.
 
 Come evidenziato dalla consolidata giurisprudenza, il D.M. 2 aprile 1968 n. 1444  - là dove all'art. 9 prescrive in tutti i casi la distanza minima assoluta di  metri dieci tra pareti finestrate e pareti di edifici antistanti - è norma che  impone determinati limiti edilizi ai comuni nella formazione o revisione degli  strumenti urbanistici, ma non è immediatamente operante anche nei rapporti tra  privati. E da ciò deriva (cfr. ex multis Cass. Civ. Sez. II 1.11.2004 n. 21899)  che l'adozione, da parte degli enti locali, di strumenti urbanistici  contrastanti con la norma comporta l'obbligo, per il giudice di merito, non solo  di disapplicare le disposizioni illegittime, ma anche di applicare direttamente  la disposizione del ricordato art. 9, divenuta, per inserzione automatica, parte  integrante dello strumento urbanistico in sostituzione della norma illegittima  disapplicata (cfr. Cons. St., sez. V, e novembre 2010 n. 7731; T.A.R. Lombardia,  Brescia, sez. I, 16 ottobre 2009, n. 1742).
 
 Più in generale, va posto in rilievo che l'art. 9 del D.M. 2 aprile 1968 n.  1444, là dove prescrive la distanza di dieci metri tra pareti finestrate di  edifici antistanti, va rispettata in tutti i casi, trattandosi di norma volta ad  impedire la formazione di intercapedini nocive sotto il profilo  igienico-sanitario, e pertanto non è eludibile in funzione della natura  giuridica dell'intercapedine (cfr. T.A.R. Toscana, Sez. III, 4.12.2001 n. 1734,  T.A.R. Liguria Sez. I, 12.2.2004 n. 145). Pertanto, le distanze tra costruzioni  sono predeterminate con carattere cogente in via generale ed astratta, in  considerazione delle esigenze collettive connesse ai bisogni di igiene e di  sicurezza, di modo che al giudice non è lasciato alcun margine di  discrezionalità nell'applicazione della relativa disciplina (cfr. Cons. St.,  Sez. IV, 5.12.2005 n. 6909).
 
 Alla luce di quanto esposto, dunque, anche a prescindere dalla circostanza che  nella fattispecie in esame sono stati erroneamente ritenuti sussistenti i  presupposti per l’applicazione dell’art. 5 lett. L delle N.T.A. del P.R.G. di  Rovigo – risultando per tabulas che il corpo di fabbrica emerge dal piano di  campagna originario per oltre 0,80 mt., in specie ove si consideri che l’opera  de qua deve essere considerata unitariamente senza possibilità di distinguere la  parte cementizia da quella in rete metallica, essendo quest’ultima strettamente  compenetrata alla prima in modo da costituire un tutt’uno – del tutto  illegittimamente l’amministrazione ha ritenuto non applicabile la disciplina  dettata dall’art. 9 del D.M. 2 aprile 1968 n. 1444.
 
 2.5 Va ulteriormente osservato, infine, che in tema di distanza fra costruzioni  o di queste con i confini vige il regime della c.d. "doppia tutela". Questo vuol  dire che il soggetto che assume di essere stato danneggiato dalla violazione  delle norme in materia è titolare, da un lato, del diritto soggettivo al  risarcimento del danno o alla riduzione in pristino nei confronti dell'autore  dell'attività edilizia illecita e, dall'altra, dell'interesse legittimo alla  rimozione del provvedimento invalido dell'amministrazione, quando tale attività  sia stata autorizzata.
 
 Più specificamente, per consolidata giurisprudenza delle Sezioni Unite della  Corte di Cassazione, “le controversie tra proprietari di fabbricati vicini  aventi ad oggetto questioni relative all'osservanza di norme che prescrivano  distanze tra le costruzioni o rispetto ai confini, appartengono alla  giurisdizione del giudice ordinario, essendo anche a tale materia applicabile il  principio secondo il quale nei rapporti tra privati non si pone una questione di  giurisdizione, essendo la posizione di interesse legittimo prospettabile solo in  rapporto all'esercizio del potere della pubblica amministrazione che, invece, in  tali controversie non è parte in causa. Né a tal fine rileva l'avvenuto rilascio  di concessione edilizia, atteso che il giudice ordinario, cui spetta la  giurisdizione, vertendosi in tema di assunta violazione di un diritto  soggettivo, può incidentalmente accertare l'eventuale illegittimità della  concessione edilizia medesima, onde disapplicarla; mentre la giurisdizione del  giudice amministrativo è al riguardo configurabile allorché la controversia sia  insorta tra il privato e la pubblica amministrazione, per avere il primo  impugnato detta concessione al fine di ottenerne l'annullamento nei confronti  della seconda" (cfr., ex multis, Cass., SS.UU., 1 luglio 2002 n. 9555).
 
 Consegue da ciò, quindi, che sussistono nel nostro ordinamento ipotesi di doppia  tutela in relazione a possibili violazioni della disciplina vigente in materia  di distacco delle costruzioni dai confini del fondo ovvero da altre costruzioni,  a seconda che si agisca nei riguardi del confinante ovvero nei confronti  dell'Amministrazione Comunale che ha rilasciato il titolo edilizio, ben potendo  le azioni stesse coesistere e ben potendo il titolare dell'interesse qualificato  alla legittimità dell'azione amministrativa ottenere, comunque, in sede di  giurisdizione amministrativa l'annullamento ope iudicis del titolo edilizio  reputato illegittimo anche a prescindere dalla sua eventuale disapplicazione da  parte del giudice ordinario concomitantemente adito (cfr. TAR Veneto Sez II,  17.6.2005 n. 2504).
 
 2.6 Dalle considerazioni suesposte emerge la fondatezza sia del primo che del  terzo motivo di ricorso.
 
 In relazione a quest’ultimo, nella parte riferita alla dedotta illegittimità  dell’art. 5 delle N.T.A. del P.R.G., il Collegio ritiene necessarie alcune  precisazioni.
 
 Si evidenzia, infatti, che ai fini dell’ammissibilità dell’impugnazione delle  norme tecniche di attuazione annesse ad un piano regolatore generale è  necessaria, in considerazione della natura di atto complesso propria di  quest’ultimo, la notificazione sia nei confronti del comune che della Regione  interessati; ciò con la conseguenza che l’azione di annullamento va in parte qua  dichiarata inammissibile posto che il ricorso è stato notificato  all’amministrazione comunale ma non anche alla Regione.
 
 Ricorrono nondimeno nella fattispecie oggetto di giudizio i presupposti, come  sopra evidenziato, per procedere alla disapplicazione, dovendosi ritenere l’art.  9 del D.M. 2 aprile 1968 n. 1444 automaticamente inserito al posto della norma  illegittima.
 
 2.7 Quanto alle ulteriori censure dedotte, il Collegio procede ad assorbimento,  non potendo derivare alla parte ricorrente alcuna utilità ulteriore rispetto a  quella già conseguita in esito alle considerazioni sopra svolte.
 
 3 In relazione alle spese di lite, il Collegio, in applicazione del criterio  della soccombenza, condanna l’amministrazione resistente alla loro rifusione in  favore di parte ricorrente, nella misura indicata in dispositivo mentre, con  riferimento alla parte controinteressata si ravvisano giusti motivi, in  considerazione della peculiarità della fattispecie, per procedere all’integrale  compensazione.
 P.Q.M.
 Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto (Sezione Seconda)  definitivamente pronunciando sul ricorso in epigrafe, lo dichiara in parte  inammissibile e lo accoglie per la restante parte, annullando, per l’effetto, i  provvedimenti gravati.
 
 Condanna il Comune di Rovigo alla rifusione delle spese di giudizio a favore dei  ricorrenti, liquidandole complessivamente in € 4.000,00 di cui € 300,00 per  spese anticipate ed il residuo per diritti ed onorari, oltre i.v.a. e c.p.a..
 
 Compensa integralmente le spese di lite tra ricorrenti e controinteressati.
 
 Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
 
 Così deciso in Venezia nella camera di consiglio del giorno 16 dicembre 2010 con  l'intervento dei magistrati:
 
 Angelo De Zotti, Presidente
 Angelo Gabbricci, Consigliere
 Brunella Bruno, Referendario, Estensore
 
 L'ESTENSORE
IL PRESIDENTE
 
 
 DEPOSITATA IN SEGRETERIA
 Il 01/02/2011
 
                    




