 T.A.R. Puglia (LE) Sez. I n. 280 del 10 febbraio 2011
T.A.R. Puglia (LE) Sez. I n. 280 del 10 febbraio 2011
Urbanistica. Impugnazione titolo abilitativo e decorrenza del termine
Ai fini della decorrenza del termine di impugnazione di una concessione edilizia da parte di terzi l’effetto lesivo si atteggia diversamente a seconda che si contesti l’illegittimità del permesso di costruire per il solo fatto che esso sia stato rilasciato (ad esempio, per contrasto con l’inedificabilità assoluta dell'area) ovvero per il contenuto specifico del progetto edilizio assentito che, come nella specie, non rispetta ad esempio i limiti volumetrici consentiti dalla strumentazione urbanistica: in questo secondo caso, il mero inizio dei lavori non è sufficiente da solo a far decorrere il termine di impugnazione, in quanto esso non contiene informazioni sufficienti sul contenuto specifico del progetto edilizio assentito, atte a farne immediatamente percepire l’effetto concretamente lesivo per i terzi interessati
N. 00280/2011 REG.PROV.COLL.
 N. 01911/1997 REG.RIC.
 REPUBBLICA ITALIANA
 IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
 
 Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia
 Lecce - Sezione Prima
 ha pronunciato la presente
 SENTENZA
 sul ricorso numero di registro generale 1911 del 1997, proposto da:
 Dell'Anna Adriana, Dell'Anna Sergio, Dell'Anna Elda e Dell'Anna Franz, tutti  rappresentati e difesi dall'avv. Nicola De Pietro, presso il cui studio in  Lecce, via B. Martello n. 19, sono elettivamente domiciliati;
 contro
 Comune di Carmiano, rappresentato e difeso dall'avv. Giovanna Boccuni, presso il  cui studio in Lecce, via Lupiae n. 34, è elettivamente domiciliato;
 
 nei confronti di
 
 Ciccarese Vito Fernando e Paladini Sandra, non costituiti;
 
 per l'annullamento
 
 della concessione edilizia n.65 in data 25.11.1996 rilasciata in favore di  Ciccarese Vito Fernando e Paladini Sandra per la costruzione di una civile  abitazione in Carmiano; nonchè di ogni altro atto connesso, presupposto e  consequenziale;
 
 
 Visti il ricorso e i relativi allegati;
 Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Carmiano;
 Viste le memorie difensive;
 Visti tutti gli atti della causa;
 
 Relatore nell'udienza pubblica del giorno 20 ottobre 2010 il dott. Massimo  Santini e uditi per le parti gli Avv.ti Tolomeo, in sostituzione di De Pietro, e  Fasiello, in sostituzione di Boccuni;
 
 Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
 FATTO e DIRITTO
 1. Espone il ricorrente di essere proprietario di una civile abitazione situata  all’interno di un lotto, destinato dallo strumento urbanistico a zona di  completamento B/2, il quale può esprimere una volumetria complessiva pari a mc  3840.
 
 All’interno del medesimo lotto era già presente una azienda vinicola.
 
 In seguito veniva anche autorizzata la realizzazione di un fabbricato destinato  a deposito materiali.
 
 Il ricorrente, unitamente ad altri proprietari di fabbricati insistenti  sull’area de qua, presentava altresì domanda di sanatoria per la realizzazione  di maggiori volumi.
 
 In data 25 novembre 1996 veniva infine rilasciata la concessione edilizia qui  impugnata, diretta alla realizzazione di una civile abitazione.
 
 I ricorrenti presentavano al riguardo osservazioni con le quali si eccepiva in  sostanza che, per effetto degli interventi che avevano preceduto la concessione  da ultimo richiamata, si sarebbe verificato l’esaurimento della volumetria  complessivamente consentita sul predetto lotto.
 
 Sul punto, secondo quanto riferito dal ricorrente, l’amministrazione comunale  rilevava che nel calcolo della cubatura residuale autorizzabile non era stato  tenuto conto dei volumi realizzati dal ricorrente e sanati come innanzi detto:  pertanto, al netto degli illeciti edilizi sarebbe residuata una volumetria  sufficiente (mc 607) ai fini dell’assentimento dell’intervento edilizio da  ultimo richiesto e già autorizzato (per mc 599).
 
 2. Veniva dunque interposto gravame per violazione degli standard edilizi.
 
 3. Si costituiva in giudizio l’amministrazione comunale per chiedere il rigetto  del gravame. La difesa dello stesso ente proponeva inoltre eccezione di  tardività del ricorso il quale, pur a fronte dell’inizio lavori avvenuto in data  15 marzo 1997, sarebbe stato tuttavia notificato soltanto in data 12 giugno  1997.
 
 4. Con ordinanza n. 752 del 1997 veniva respinta l’istanza di tutela cautelare.
 
 5. Con sentenza n. 2129 del 17 marzo 2004, accertato per fatto notorio il  decesso dell’Avv. Innocente, originario difensore del ricorrente, veniva  dichiarato interrotto il presente giudizio.
 
 Con atto di riassunzione notificato in data 16 giugno 2004 il ricorrente  originario chiedeva la prosecuzione del giudizio stesso.
 
 Nel costituirsi nuovamente, l’amministrazione comunale intimata eccepiva la  tardività della riassunzione, e ciò dal momento che l’evento interruttivo  (decesso del difensore) sarebbe avvenuto in data 7 gennaio 2001, dunque ben  oltre – nella prospettiva suddetta – il semestre anteriore alla avvenuta  notifica.
 
 In data 17 gennaio 2008 si costituivano poi in giudizio, quali odierni  ricorrenti, gli eredi del defunto Luigi Dell’Anna.
 
 7. Alla pubblica udienza del 20 ottobre 2010 la causa veniva infine trattenuta  in decisione.
 
 08. Tutto ciò premesso, si affrontano preliminarmente le eccezioni di rito  sollevate nel complesso dalla amministrazione comunale intimata.
 
 8. Va innanzitutto rigettata l’eccezione riguardante la tardività dell’atto di  riassunzione, avvenuto secondo la difesa comunale ben oltre il termine di sei  mesi dal verificarsi dell’evento interruttivo.
 
 Al riguardo osserva il collegio che, quanto alla decorrenza del relativo  termine, secondo la tesi fatta propria dall’Adunanza plenaria del Consiglio di  Stato sull’art. 24 della Legge TAR ratione temporis applicabile (cfr. dec. 11  ottobre 1983, n. 24) qualora non si sia avuta – come nel caso di specie –  dichiarazione, notificazione o certificazione dell’evento interruttivo, il  termine di sei mesi decorre da quando la parte ne abbia avuto, ad ogni modo,  effettiva conoscenza.
 
 Ebbene, nel caso di specie la difesa dell’amministrazione comunale, in quanto  parte del processo che ha sollevato l’eccezione in esame, non ha fornito  adeguata dimostrazione circa il fatto che il ricorrente originario avesse avuto  in concreto conoscenza dell’evento interruttivo (morte del proprio difensore)  prima della sentenza depositata in data 19 marzo 2004 (momento di conoscenza  legale dell’evento stesso e rispetto al quale l’atto di riassunzione è stato  invece tempestivamente proposto). Motivo questo che induce il collegio a  rigettare la specifica eccezione.
 
 9. Quanto invece alla tardività del ricorso originario osserva il collegio che,  secondo la giurisprudenza, ai fini della decorrenza del termine di impugnazione  di una concessione edilizia da parte di terzi l’effetto lesivo si atteggia  diversamente a seconda che si contesti l’illegittimità del permesso di costruire  per il solo fatto che esso sia stato rilasciato (ad esempio, per contrasto con  l’inedificabilità assoluta dell'area) ovvero per il contenuto specifico del  progetto edilizio assentito che, come nella specie, non rispetta ad esempio i  limiti volumetrici consentiti dalla strumentazione urbanistica: in questo  secondo caso, il mero inizio dei lavori non è sufficiente – da solo – a far  decorrere il termine di impugnazione, in quanto esso “non contiene informazioni  sufficienti sul contenuto specifico del progetto edilizio assentito, atte a  farne immediatamente percepire l’effetto concretamente lesivo per i terzi  interessati” (cfr. T.A.R. Liguria, sez. I, 25 gennaio 2010, n. 192).
 
 In altre parole, “la piena conoscenza idonea a far decorrere il termine per  l’impugnazione di un permesso di costruire, in difetto della prova della reale  conoscenza dei caratteri del progetto assentito, può ritenersi raggiunta solo  con il completamento delle opere perché solo in tale momento è possibile avere  una reale e non presunta consapevolezza dell’entità delle trasformazioni  edilizie consentite e del loro reale impatto sul tessuto urbanistico edilizio  (e, quel che più importa, sui propri interessi)” (cfr. T.A.R. Lazio Latina, sez.  I, 15 luglio 2009, n. 700). A nulla rilevando, nella direzione sopra indicata,  il mero riferimento temporale all’inizio dei lavori, parametro questo che non  permette di valutare l’eventuale lesività degli atti autorizzatori delle opere  (cfr., sul punto, T.A.R. Puglia Bari, sez. II, 11 agosto 2008, n. 1931).
 
 Per le ragioni sopra esposte anche la seconda eccezione deve dunque essere  respinta.
 
 10. Nel merito il ricorso è infondato.
 
 10.1. Si rileva in via preliminare che, nella prospettiva del Comune, in assenza  dei volumi realizzati e destinati a sanatoria in quanto frutto di abusi edilizi,  sussisterebbe una volumetria residuale (pari a mc 607) sufficiente ad ospitare  l’intervento da ultimo assentito con la concessione qui impugnata (pari a mc  599).
 
 Su tale specifica circostanza (sufficienza della volumetria in caso di scomputo  degli illeciti edilizi) il ricorrente non ha mosso contestazione alcuna, di modo  che possa ritenersi dimostrato il concreto assetto urbanistico raffigurato dal  Comune.
 
 10.2. Ciò premesso, occorre stabilire se la scelta dell’amministrazione (di non  considerare quanto realizzato mediante abusi nel calcolo della complessiva  volumetria) possa ritenersi o meno condivisibile.
 
 Al riguardo va innanzitutto osservato che, alla data del rilascio della  concessione edilizia qui impugnata, la domanda di condono edilizio presentata  dal ricorrente Dell’Anna (e relativa all’immobile le cui dimensioni avrebbero  poi influito sul complessivo dato volumetrico) non era stata ancora definita, ai  sensi dell’art. 35 della legge n. 47 del 1985, né è stata fornita in tale  direzione adeguata dimostrazione circa la possibile formazione del  silenzio-assenso di cui al comma diciassettesimo della richiamata disposizione.
 
 Pertanto, considerato che in caso di mancata conclusione del procedimento di  condono (mediante determinazione sindacale oppure mediante silenzio-assenso) “il  richiedente il titolo in sanatoria non acquisisce nessuna situazione soggettiva  intangibile, ancorché abbia versato l’oblazione” (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 27  febbraio 1998, n. 207), ne consegue che la presentazione della sola istanza (di  condono) era di per sé inidonea ad incidere sui parametri edilizi vigenti al  momento del rilascio della concessione edilizia impugnata, e ciò anche in  considerazione degli effetti non retroattivi della predetta sanatoria.
 
 In questa prospettiva deve dunque ritenersi che l’amministrazione comunale abbia  correttamente operato, nel senso di non considerare gli immobili abusivamente  realizzati (e non ancora effettivamente assentiti sul piano del condono  edilizio) ai fini del calcolo della residuale parte di volumetria disponibile.
 
 Tale conclusione è determinata dal fatto che il titolo edilizio contestato è  stato rilasciato quando l’abuso non era stato ancora condonato e non può,di  conseguenza,dar vita ad un principio di carattere generale in ordine al computo  o meno dei volumi condonati ai fini della quantificazione dei volumi  realizzabili in base all’indice di fabbricabilità fondiaria.
 
 Sotto un’angolazione più ampia si deve poi osservare che il condono sana l’abuso  non in base ai parametri edilizi (come invece avviene per l’accertamento di  conformità di cui all’art. 36 del testo unico edilizia), ma per motivi  differenti, fra i quali il recupero e il riordino dell’esistente ai fini  urbanistici, l’esazione dell’oblazione, l’assoggettamento alle imposte dirette,  etc..
 
 Il beneficio del condono è circoscritto all'immunità dalle sanzioni penali ed  amministrative, senza che sortiscano ulteriori effetti giuridici, non  espressamente previsti dalla norma clemenziale.
 
 In quanto il condono costituisce una misura extra ordinem, i volumi  antecedentemente condonati non concorrono alla determinazione della volumetria  complessivamente insediabile. Infatti, ragionando a contrario e computando nel  volume insediabile in applicazione degli indici di edificabilità anche i volumi  condonati, si riconducono quest’ultimi nell’ambito della edificazione legittima,  mentre si tratta di edificazione abusiva, condonata a seguito del pagamento  dell’oblazione. Questi volumi giustificano la loro esistenza solo con il condono  e, grazie a questo, sfuggono all’applicazione degli indici di fabbricabilità  della zona. L’inclusione nel computo dei volumi realizzabili in base agli indici  di fabbricabilità, inoltre, determinerebbe l’inutilità dell’oblazione versata  (in tal senso, Tar Lecce, n.2606/2010).
 
 Il Collegio è consapevole dell’esistenza di un contrario orientamento  giurisprudenziale (Cons. Stato,Sez. V, n.1479/1997; Tar Liguria, n.1769/2008);  non rinviene tuttavia argomenti che possano invalidare quanto sopra affermato  dato che le due situazioni (l’una solo sottratta alle sanzioni amministrative e  penali,ma non legittimata,l’altra legittima) si collocano su piani diversi e non  possono di conseguenza interagire.
 
 Sul piano degli effetti, si pensi poi alla edificazione legittima con  esaurimento degli indici volumetrici ed alla successiva realizzazione di un  abuso poi condonato: questo assetto non differisce da quello che la soluzione  data comporta, articolato nella edificazione legittima senza l’esaurimento degli  indici, in un successivo abuso e poi in una ulteriore edificazione con  esaurimento degli indici (senza il computo di quanto edificato abusivamente).
 
 Ad avviso del Collegio va fatta solo una precisazione.
 
 Se viene compiuto un abuso e lo stesso è condonato e successivamente una nuova  strumentazione urbanistica prevede indici di edificabilità maggiori, chi intenda  edificare nel rispetto dei nuovi indici non può non computare nell’edificazione  quanto abusivamente costruito.
 
 Questo, perché il nuovo strumento urbanistico muove dalla ricognizione  dell’esistente, ricognizione che investe sia l’edificazione legittima sia quella  condonata.
 
 Il nuovo strumento,sulla base della ricognizione dell’esistente e delle  previsioni relative alla popolazione prevista ed al fabbisogno abitativo,dato  dalla differenza fra quanto esistente e quanto ritenuto necessario,quantifica i  volumi edificabili,cioè i volumi da edificare in aggiunta a quelli esistenti  (quale che sia il titolo del quale sono dotati). L’esaurimento della volumetria  realizzabile non può,di conseguenza, prescindere dal computo dell’esistente, sia  stato esso legittimamente edificato o condonato.
 
 10.3. Deriva da quanto detto che ben ha operato l’amministrazione comunale, nel  senso di non tenere conto, ai fini del calcolo della volumetria disponibile,  delle opere abusivamente realizzate.
 
 11. In conclusione il ricorso è infondato e deve essere rigettato.
 
 Data la peculiarità delle questioni trattate, sussistono giusti motivi per  compensare le spese del presente giudizio.
 P.Q.M.
 Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia Lecce - Sezione Prima,  definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo rigetta.
 
 Spese compensate.
 
 Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
 
 Così deciso in Lecce nella camera di consiglio del giorno 20 ottobre 2010 con  l'intervento dei magistrati:
 
 Antonio Cavallari, Presidente
 Luigi Viola, Consigliere
 Massimo Santini, Referendario, Estensore
 
 L'ESTENSORE
IL PRESIDENTE
 
 
 DEPOSITATA IN SEGRETERIA
 Il 10/02/2011
 
                    




